MA CHI È CHE DICE «TI AMO»?
di Michela Marzano, vanityfair.it, 20 gennaio 2016
Vi siete mai chiesti chi dice «ti amo» quando qualcuno ci dice che ci ama? Sì, lo so. Qualcuno penserà che questa domanda è senza senso. E che è evidente che è la persona che ci dice «ti amo» a dircelo. Ma se ci pensiamo con calma e ci prendiamo qualche minuto per riflettere, ci rendiamo conto che è tutto più complicato. Anche semplicemente perché nessuno di noi è un’entità monolitica e, come ci ha spiegato bene lo psicanalista Jacques Lacan, l’io si nasconde talvolta nei balbettii incerti di un discorso che si incarta e si arrotola, erede di una storia che ci attraversa e la cui origine resterà per sempre misteriosa.
«In che senso?» mi ha chiesto l’altro giorno Carlo mentre affrontavo con lui questo tema, guardandomi con l’aria di chi, questa volta, decisamente non mi segue. «Nel senso che ognuno di noi non è fatto solo di razionalità, ma anche d’inconscio. E talvolta ci ritroviamo a dire l’esatto contrario di quello che pensiamo e che, forse, vorremmo dire». «Ma anche quando amiamo?», mi ha detto allora sempre più stupito. «Se si rimette in discussione anche questo, che cosa resta dell’amore?».
Segue qui:
http://www.vanityfair.it/news/italia/16/01/20/marzano-amore
«In che senso?» mi ha chiesto l’altro giorno Carlo mentre affrontavo con lui questo tema, guardandomi con l’aria di chi, questa volta, decisamente non mi segue. «Nel senso che ognuno di noi non è fatto solo di razionalità, ma anche d’inconscio. E talvolta ci ritroviamo a dire l’esatto contrario di quello che pensiamo e che, forse, vorremmo dire». «Ma anche quando amiamo?», mi ha detto allora sempre più stupito. «Se si rimette in discussione anche questo, che cosa resta dell’amore?».
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http://www.vanityfair.it/news/italia/16/01/20/marzano-amore
CHI È LO PSICOLOGO CHE SERVE DAVVERO AGLI STUDENTI?
di Luigi Campagner, ilsussidiario.net, 21 gennaio 2016
Di psicologia discorreva domenica 17 gennaio Giovanni Trapattoni con Sinisa Mihajlovic alla Domenica Sportiva a proposito delle qualità di un allenatore, sostenendo che, a parte quelle tecniche – in ultimo convalidate solo dai risultati – la conoscenza psicologica dei giocatori è sicuramente quella più importante. Non che il Trap ignori l’esistenza degli psicologi sportivi o dei “gruppologi” alla Wilfred Bion, ma a sentirlo parlare non sembra neppure sfiorato dall’idea di demandare la formazione da mandare in campo allo psicologo della società. Né di rassegnare le dimissioni della propria competenza psicologica, che fa tutt’uno con la sua persona e dunque con il suo essere allenatore. Che si tratti di prendere provvedimenti dopo il tentato suicidio di una studentessa, prestare soccorso agli scampati allo tsunami delle Hawaii, al terremoto dell’Aquila, agli sfollati di un campo profughi in Siria o in Palestina. Oppure di intervenire in zone di guerra o con popolazioni traumatizzate dal terrorismo o dalla pulizia etnica, una taskforce che si rispetti non potrà essere sprovvista dello psicologo. Meglio se specializzato in psicologia delle emergenze. È la naturale estensione di ciò che accade nel quotidiano a partire dalle serie tv sempre più affollate di psicologi: profiler, esperti della mente, delle emozioni, della mimica facciale o delle posture del corpo.
Segue qui:
http://www.ilsussidiario.net/News/Educazione/2016/1/21/SCUOLA-Chi-e-lo-psicologo-che-serve-davvero-agli-studenti-/672076/
http://www.snodi.net/site/?q=Campagner_ilSussidiario-psicologostudenti
MI FAI VEDERE I TUOI SMS? UN NUOVO GIOCO DI COPPIA E POI?
di Paolo Conti, 27esimaora.corriere.it, 22 gennaio 2016
Attenzione, sta per nascere un nuovo gioco di società, pericoloso per i rapporti sentimentali e i legami affettivi: la lettura dei contenuti del telefonino di tua/o moglie/marito mentre l’altra/o legge il tuo. Colpa del nuovo film di Paolo Genovese, Perfetti sconosciuti, che uscirà l’11 febbraio, con un bel cast: Giuseppe Battiston, Anna Foglietta, Marco Giallini, Edoardo Leo, Valerio Mastandrea, Alba Rohrwacher, Kasia Smutniak. Il plot è intuibile dai trailer, ma tutta la storia ha come perno il telefono portatile, perenne appendice degli umani contemporanei. Una sera, un gruppo di amici storici con consorti si ritrova a cena. Si scherza su come non ci siano più misteri per nessuno e su nessuno dopo anni di amicizia. Eva/Kasia Smutniak provoca: «Davvero sappiamo tutto di tutti? Allora stasera mettiamo i telefoni sul tavolo, leggiamo ad alta voce i messaggi che arrivano».
Ironie, sorrisi. Poi gli imbarazzi, e i drammi: la giovane moglie che scopre la gravidanza di un’amante sconosciuta del marito, quell’omosessualità repressa, quell’omofobia insospettabile, il padre che dialoga bene con la figlia mettendo in crisi la moglie psicanalista, la nuora che prenota una casa di riposo per la suocera ingombrante all’insaputa del marito: un mosaico di «perfetti sconosciuti». La serata polverizza equilibri consolidati, lacera amicizie e matrimoni mentre Fiorella Mannoia canta l’omonima colonna sonora che ha scritto per il film con Bungaro e Cesare Chiodo. Chissà cosa accadrà quando il pubblico uscirà dopo aver visto il film (prodotto da Marco Belardi, di Lotus Production del Gruppo Leone, per Medusa film).
Quanti accetteranno di affidare il proprio telefono al/la partner? E quanti avranno il coraggio di scrutare nell’altro? In quanti romperanno il rapporto?
Segue qui:
http://27esimaora.corriere.it/articolo/mi-fai-vedere-i-tuoi-smsun-nuovo-gioco-di-coppiae-poi/
Ironie, sorrisi. Poi gli imbarazzi, e i drammi: la giovane moglie che scopre la gravidanza di un’amante sconosciuta del marito, quell’omosessualità repressa, quell’omofobia insospettabile, il padre che dialoga bene con la figlia mettendo in crisi la moglie psicanalista, la nuora che prenota una casa di riposo per la suocera ingombrante all’insaputa del marito: un mosaico di «perfetti sconosciuti». La serata polverizza equilibri consolidati, lacera amicizie e matrimoni mentre Fiorella Mannoia canta l’omonima colonna sonora che ha scritto per il film con Bungaro e Cesare Chiodo. Chissà cosa accadrà quando il pubblico uscirà dopo aver visto il film (prodotto da Marco Belardi, di Lotus Production del Gruppo Leone, per Medusa film).
Quanti accetteranno di affidare il proprio telefono al/la partner? E quanti avranno il coraggio di scrutare nell’altro? In quanti romperanno il rapporto?
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http://27esimaora.corriere.it/articolo/mi-fai-vedere-i-tuoi-smsun-nuovo-gioco-di-coppiae-poi/
GENITORI OMOSESSUALI, C’È DIFFERENZA? Lo psicanalista Ricci: sì, è un peso sui bimbi. la neuropsichiatra Costantino: no, dati Usa lo negano
di Luciano Mola, avvenire.it, 22 gennaio 2016
1 Nel dibattito sulle unioni civili il tema omogenitorialità è stato lasciato un po’ in disparte. Eppure non si può fare a meno di affrontarlo visto che la legge, se venisse approvata senza stralciare la parte dedicata alla stepchild adoption pur nelle varie versioni allo studio, introdurrebbe di fatto l’omogenitorialità nell’assetto giuridico italiano. Per un bambino non c’è davvero alcuna differenza tra avere due “papà” o due “mamme”, oppure due genitori eterosessuali?
Ricci: L’ipotesi di una famiglia omogenitoriale basata sul legame tra due individui dello stesso sesso, dove uno farebbe “da padre” e l’altro “da madre”, nega di fatto lo statuto di madre e di padre. È una negazione anatomica, biologica, culturale, antropologica, ma soprattutto simbolica. Tutto ciò non è senza conseguenze psichiche per il figlio o la figlia: vacilla la costruzione dell’identità sessuale, della differenza tra i sessi, del mito delle origini. Risulta scardinata la struttura della parentela, della genealogia, della filiazione, della trasmissione da una generazione all’altra.
Costantino: Dal punto di vista scientifico, il problema che si pone non è tanto se vi sia o no una differenza, ma se e come e attraverso quali fattori tale differenza impatti sul benessere dei bambini e sul loro sviluppo. Oggi le differenze negli assetti familiari sono vastissime e non riguardano solo il genere dei genitori o le loro scelte sessuali. Le famiglie monoparentali, vedove, separate, adottive, affidatarie, allargate, omogenitoriali o con culture di provenienza molto diverse tra i genitori sono una percentuale rilevante delle famiglie in cui crescono i bambini, negli Stati Uniti si parla di un terzo circa. Gli studi esistenti evidenziano che i fattori di rischio per la salute mentale sono gli stessi, trasversalmente a tutti gli assetti familiari.
2 Chi sostiene la tesi della “nessuna differenza” spiega che non è tanto importante il “genere” dei genitori, quanto la loro “funzione genitoriale”. Ma dal punto di vista psicopedagogico è davvero così?
Ricci: Da qualche anno, grazie alla visione gender, si parla sempre più di “funzione genitoriale” per giustificare l’idea che chiunque possa esercitare una funzione genitoriale, quindi anche coppie gay o lesbiche. È importante ricordare, invece, che è un elemento psichico strutturale il fatto che i figli possano crescere “immersi” nel duplice riferimento maschile e femminile rappresentato da un padre e da una madre. La differenza del loro statuto costituisce la garanzia simbolica che il figlio potrà crescere affermando a sua volta la differenza della propria individualità soggettiva. Ciò è fondamentale. Se così non fosse, rischia di incarnare, replicandolo, il desiderio dei genitori.
Costantino: Fare ricerca in questo campo è evidentemente complesso, perché il numero di variabili in gioco è molto alto, con rilevanti interazioni reciproche e pertanto richiede studi longitudinali e metodologie rigorose. Negli studi di buona qualità viene evidenziato come gli elementi maggiormente significativi per favorire uno sviluppo armonico dei bambini siano rappresentati dalla qualità delle relazioni tra genitori e figli, dallo spazio per la condivisione di emozioni, dal senso di competenza e di sicurezza dei genitori nell’esercitare il proprio ruolo e dal supporto economico e sociale disponibile. Se si corregge per tali fattori, la ricerca non evidenzia differenze significative tra le diverse tipologie di famiglie.
Segue qui:
http://www.avvenire.it/Cronaca/Pagine/genitori-omosessuali.aspx
Ricci: L’ipotesi di una famiglia omogenitoriale basata sul legame tra due individui dello stesso sesso, dove uno farebbe “da padre” e l’altro “da madre”, nega di fatto lo statuto di madre e di padre. È una negazione anatomica, biologica, culturale, antropologica, ma soprattutto simbolica. Tutto ciò non è senza conseguenze psichiche per il figlio o la figlia: vacilla la costruzione dell’identità sessuale, della differenza tra i sessi, del mito delle origini. Risulta scardinata la struttura della parentela, della genealogia, della filiazione, della trasmissione da una generazione all’altra.
Costantino: Dal punto di vista scientifico, il problema che si pone non è tanto se vi sia o no una differenza, ma se e come e attraverso quali fattori tale differenza impatti sul benessere dei bambini e sul loro sviluppo. Oggi le differenze negli assetti familiari sono vastissime e non riguardano solo il genere dei genitori o le loro scelte sessuali. Le famiglie monoparentali, vedove, separate, adottive, affidatarie, allargate, omogenitoriali o con culture di provenienza molto diverse tra i genitori sono una percentuale rilevante delle famiglie in cui crescono i bambini, negli Stati Uniti si parla di un terzo circa. Gli studi esistenti evidenziano che i fattori di rischio per la salute mentale sono gli stessi, trasversalmente a tutti gli assetti familiari.
2 Chi sostiene la tesi della “nessuna differenza” spiega che non è tanto importante il “genere” dei genitori, quanto la loro “funzione genitoriale”. Ma dal punto di vista psicopedagogico è davvero così?
Ricci: Da qualche anno, grazie alla visione gender, si parla sempre più di “funzione genitoriale” per giustificare l’idea che chiunque possa esercitare una funzione genitoriale, quindi anche coppie gay o lesbiche. È importante ricordare, invece, che è un elemento psichico strutturale il fatto che i figli possano crescere “immersi” nel duplice riferimento maschile e femminile rappresentato da un padre e da una madre. La differenza del loro statuto costituisce la garanzia simbolica che il figlio potrà crescere affermando a sua volta la differenza della propria individualità soggettiva. Ciò è fondamentale. Se così non fosse, rischia di incarnare, replicandolo, il desiderio dei genitori.
Costantino: Fare ricerca in questo campo è evidentemente complesso, perché il numero di variabili in gioco è molto alto, con rilevanti interazioni reciproche e pertanto richiede studi longitudinali e metodologie rigorose. Negli studi di buona qualità viene evidenziato come gli elementi maggiormente significativi per favorire uno sviluppo armonico dei bambini siano rappresentati dalla qualità delle relazioni tra genitori e figli, dallo spazio per la condivisione di emozioni, dal senso di competenza e di sicurezza dei genitori nell’esercitare il proprio ruolo e dal supporto economico e sociale disponibile. Se si corregge per tali fattori, la ricerca non evidenzia differenze significative tra le diverse tipologie di famiglie.
Segue qui:
http://www.avvenire.it/Cronaca/Pagine/genitori-omosessuali.aspx
ORDINE NEL DISORDINE MENTALE
di Vittorio Lingiardi, ilsole24ore.com, 23 gennaio 2016
Robert Leopold Spitzer, che The Lancet definisce «the most influential psychiatrist of his time», è morto, un mese fa, a 83 anni. Figlio di Benjamin e Esther Spitzer, un ingegnere e una pianista, cresce nell’Upper West Side di Manhattan. Nel 1953 si laurea in psicologia alla Cornell University e poi nel 1957 in medicina alla New York University. Nel 1966 si diploma al Columbia University Center for Psychoanalytic Training and Research, ma, scettico verso la psicoanalisi, dedicherà la sua vita alla diagnosi psichiatrica. Dare alla psichiatria una lingua franca e una struttura diagnostica basata su standard di ricerca è stata la sua missione. Gran parte dell’impianto e della nomenclatura diagnostici a cui oggi ricorrono gli psichiatri di mezzo mondo è frutto del suo lavoro di responsabile delle task forceche diedero vita alla terza edizione del DSM, il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders dell’American Psychiatric Association (APA). Quella del 1980 che, insieme alla versione reviseddel 1987, introdusse alcune tra le più significative, ma anche controverse e talora “ingombranti”, categorie diagnostiche. Nel lexicon psichiatrico incluse numerose etichette: anoressia, disturbo bipolare, disturbo da panico, disturbo da stress post- traumatico e molte altre diagnosi i cui nomi oggi ci sono familiari. Il manuale triplicò le sue dimensioni e iniziò a esercitare un enorme influenza nella clinica come nella ricerca. Un successo inatteso, più di un milione di copie. «Solo un maestro della psicometria poteva creare il DSM-III – afferma Allen Frances – e solo un maestro del mercato poteva convincere i clinici del bisogno di usarlo». Tuttavia, con la quarta edizione, che fu proprio Frances a coordinare, l’APA decise di attenuare la leadership di Spitzer, considerato da alcuni troppo autoritario. Qualcosa gli era sfuggito di mano.
Segue qui:
http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2016-01-23/ordine-disordine-mentale-212317.shtml?uuid=ACkcvR9B
PERCHÉ RINUNCIAMO A FARE FIGLI. Madri da paura. Oltre le statistiche ci sono le domande sul futuro, gli egoismi, le ansie, gli ingorghi del femminismo e le irresponsabilità dei padri. Fra punture, camici bianchi e ostinazioni. Un’indagine
Segue qui:
http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2016-01-23/ordine-disordine-mentale-212317.shtml?uuid=ACkcvR9B
PERCHÉ RINUNCIAMO A FARE FIGLI. Madri da paura. Oltre le statistiche ci sono le domande sul futuro, gli egoismi, le ansie, gli ingorghi del femminismo e le irresponsabilità dei padri. Fra punture, camici bianchi e ostinazioni. Un’indagine
di Annalena Benini, ilfoglio.it, 23 gennaio 2016
E adesso che puoi avere tutto, cosa c’è che non va? Adesso che puoi decidere, puoi vivere, puoi dire no, puoi chiedere aiuto, puoi diventare chi sei. Adesso che non devi liberarti da un’oppressione. Ora che puoi correre incontro ai tuoi desideri. Fare un po’ come ti pare, abbracciare il caos. Non dirmi che hai paura, adesso. Paura di perdere qualcosa, paura di non avere abbastanza cose. Paura di non essere brava come scrivono nei libri. Paura di annoiarti. Paura di diventare cattiva. Paura di amarlo poco, di amarlo male. Paura di soffocare gli altri desideri. Paura di dire: voglio un figlio, e se tu amore invece non lo vuoi, se te ne stai lì sulla porta a dire no, è presto, è tardi, non so, allora però adesso spostati, che mi stai bloccando il traffico.
Paura, adesso che sai bene il mondo che cos’è, di farne ricominciare un altro, però sconosciuto: insieme alla vita di un figlio viene alla vita, sempre, nuovamente, anche il mondo, ricomincia da capo. E’ uno sconvolgimento, una sovversione, non è vero che è soltanto un fatto naturale. Non lo è. Per lui che nasce, ma anche per te che torni nuovamente a nascere, questa volta come madre, che metti una vita a disposizione della vita, tiri un calcio al sé immutabile e fai entrare nei pensieri e negli incubi la baby-sitter, le malattie, le cadute dal quarto piano, gli orsi affamati, le dimissioni in bianco, l’utero retroverso. Per il padre, che in sala parto, stravolto, si accorge per la prima volta di questo principio di alterità, e dell’incognita: non sapevamo, non abbiamo mai saputo e non sapremo mai, nonostante quindici ecografie anche tridimensionali, chi stavamo aspettando. E per tutti quelli che stanno intorno a guardare, e sentono un’energia potentissima che arriva addosso ed è la vita nuova. Per il mondo, che da quel momento accoglie l’uomo in più, così somigliante a tutti eppure totalmente diverso. Così simile a te, o con quel modo di muovere le mani che riconosci eppure nessuno gli ha mai insegnato, somigliante ma sconosciuto, misterioso, un altro. E’ uscito da te, ma non sei tu, è altro sangue, nuovi desideri, e il bisogno carnale che ha di te. Ti guarda e piange, ti guarda e aspetta, lo guardi e sì, adesso lo vedi quanta paura, quanta voglia avevi.
Il 2015 è stato in Italia un anno senza figli. Poche nascite, un minimo storico continuamente superato da nuovi minimi storici. Meno di cinquecentomila bambini, meno del 2014, meno del 2013, meno dell’anno precedente e così via. Decine di migliaia di figli che non sono venuti al mondo, molti mondi in meno da far ricominciare. E’ brutto anche solo scriverlo, sembra un film distopico in cui l’umanità si estingue e i cani randagi vanno a caccia di bambini, ma nascono meno persone di quante ne muoiono, ed è da più di vent’anni una tendenza piuttosto continua, salvo un piccolo boom nel 2006 (gli statistici dicono: grazie agli immigrati) che però non ha spostato la media nazionale: un figlio virgola tre per coppia, adorato, viziato, analizzato, conteso, sulle spalle del quale far pesare tutto il mondo nuovo, tutti questi anziani (e i loro diritti alle pensioni) che lo osservano, lo studiano, scrivono manuali su come crescerlo nel modo migliore, come giocare con le costruzioni e avere successo nella vita, come sbagliare e avere successo, come colorare fuori dagli spazi e avere successo, come usare l’iPad e avere successo, come fare a botte e non farsi sgridare, come rassicurare la madre sul fatto che è la migliore del mondo: madre elicottero tigre orso libellula chioccia riccio (senza parlare della terribile madre coccodrillo), per ogni bambino cento manuali, per ogni manuale un tipo di madre diversa ma concentrata nel tirare fuori il meglio e vincere la gara, e tutti gli anziani in cerchio, molto preoccupati, molto ansiosi, fissano da sotto gli occhiali il bambino con l’abito d’oro e gli dicono: hai paura vero, adesso che tocca a te? Perché se i bambini diminuiscono, se ogni nascita è un evento sociale, una prova di coraggio, il figlio che viene al mondo porta con sé quel che resta dell’idea di futuro. E’ lui stesso, la sua esistenza, o il sogno di lui, la prova di una speranza, di un desiderio ingovernabile che si fa largo in mezzo ad altri desideri, ad altri bisogni, che supera le opposizioni, i discorsi sull’opportunità, sulla precarietà, e che sgomita e lavora dentro e prende spazio, e una notte fa dire a un ragazzo dentro un letto, sopra un divano, su una spiaggia o dentro un’automobile: proviamoci dai, che ci importa, e sull’onda di quel “che ci importa” (che ha dentro l’amore, l’abbandono, la libertà) può arrivare la sorpresa, l’incertezza di una vita certissima che sovverte ogni equilibrio, manda all’aria tutti i programmi e fa vincere, sopra questo mondo teso all’eliminazione di ogni incognita, la tenerezza insieme allo sgomento.
Segue qui:
http://www.ilfoglio.it/gli-inserti-del-foglio/2016/01/23/perche-rinunciamo-a-fare-figli___1-v-137382-rubriche_c140.htm
E adesso che puoi avere tutto, cosa c’è che non va? Adesso che puoi decidere, puoi vivere, puoi dire no, puoi chiedere aiuto, puoi diventare chi sei. Adesso che non devi liberarti da un’oppressione. Ora che puoi correre incontro ai tuoi desideri. Fare un po’ come ti pare, abbracciare il caos. Non dirmi che hai paura, adesso. Paura di perdere qualcosa, paura di non avere abbastanza cose. Paura di non essere brava come scrivono nei libri. Paura di annoiarti. Paura di diventare cattiva. Paura di amarlo poco, di amarlo male. Paura di soffocare gli altri desideri. Paura di dire: voglio un figlio, e se tu amore invece non lo vuoi, se te ne stai lì sulla porta a dire no, è presto, è tardi, non so, allora però adesso spostati, che mi stai bloccando il traffico.
Paura, adesso che sai bene il mondo che cos’è, di farne ricominciare un altro, però sconosciuto: insieme alla vita di un figlio viene alla vita, sempre, nuovamente, anche il mondo, ricomincia da capo. E’ uno sconvolgimento, una sovversione, non è vero che è soltanto un fatto naturale. Non lo è. Per lui che nasce, ma anche per te che torni nuovamente a nascere, questa volta come madre, che metti una vita a disposizione della vita, tiri un calcio al sé immutabile e fai entrare nei pensieri e negli incubi la baby-sitter, le malattie, le cadute dal quarto piano, gli orsi affamati, le dimissioni in bianco, l’utero retroverso. Per il padre, che in sala parto, stravolto, si accorge per la prima volta di questo principio di alterità, e dell’incognita: non sapevamo, non abbiamo mai saputo e non sapremo mai, nonostante quindici ecografie anche tridimensionali, chi stavamo aspettando. E per tutti quelli che stanno intorno a guardare, e sentono un’energia potentissima che arriva addosso ed è la vita nuova. Per il mondo, che da quel momento accoglie l’uomo in più, così somigliante a tutti eppure totalmente diverso. Così simile a te, o con quel modo di muovere le mani che riconosci eppure nessuno gli ha mai insegnato, somigliante ma sconosciuto, misterioso, un altro. E’ uscito da te, ma non sei tu, è altro sangue, nuovi desideri, e il bisogno carnale che ha di te. Ti guarda e piange, ti guarda e aspetta, lo guardi e sì, adesso lo vedi quanta paura, quanta voglia avevi.
Il 2015 è stato in Italia un anno senza figli. Poche nascite, un minimo storico continuamente superato da nuovi minimi storici. Meno di cinquecentomila bambini, meno del 2014, meno del 2013, meno dell’anno precedente e così via. Decine di migliaia di figli che non sono venuti al mondo, molti mondi in meno da far ricominciare. E’ brutto anche solo scriverlo, sembra un film distopico in cui l’umanità si estingue e i cani randagi vanno a caccia di bambini, ma nascono meno persone di quante ne muoiono, ed è da più di vent’anni una tendenza piuttosto continua, salvo un piccolo boom nel 2006 (gli statistici dicono: grazie agli immigrati) che però non ha spostato la media nazionale: un figlio virgola tre per coppia, adorato, viziato, analizzato, conteso, sulle spalle del quale far pesare tutto il mondo nuovo, tutti questi anziani (e i loro diritti alle pensioni) che lo osservano, lo studiano, scrivono manuali su come crescerlo nel modo migliore, come giocare con le costruzioni e avere successo nella vita, come sbagliare e avere successo, come colorare fuori dagli spazi e avere successo, come usare l’iPad e avere successo, come fare a botte e non farsi sgridare, come rassicurare la madre sul fatto che è la migliore del mondo: madre elicottero tigre orso libellula chioccia riccio (senza parlare della terribile madre coccodrillo), per ogni bambino cento manuali, per ogni manuale un tipo di madre diversa ma concentrata nel tirare fuori il meglio e vincere la gara, e tutti gli anziani in cerchio, molto preoccupati, molto ansiosi, fissano da sotto gli occhiali il bambino con l’abito d’oro e gli dicono: hai paura vero, adesso che tocca a te? Perché se i bambini diminuiscono, se ogni nascita è un evento sociale, una prova di coraggio, il figlio che viene al mondo porta con sé quel che resta dell’idea di futuro. E’ lui stesso, la sua esistenza, o il sogno di lui, la prova di una speranza, di un desiderio ingovernabile che si fa largo in mezzo ad altri desideri, ad altri bisogni, che supera le opposizioni, i discorsi sull’opportunità, sulla precarietà, e che sgomita e lavora dentro e prende spazio, e una notte fa dire a un ragazzo dentro un letto, sopra un divano, su una spiaggia o dentro un’automobile: proviamoci dai, che ci importa, e sull’onda di quel “che ci importa” (che ha dentro l’amore, l’abbandono, la libertà) può arrivare la sorpresa, l’incertezza di una vita certissima che sovverte ogni equilibrio, manda all’aria tutti i programmi e fa vincere, sopra questo mondo teso all’eliminazione di ogni incognita, la tenerezza insieme allo sgomento.
Segue qui:
http://www.ilfoglio.it/gli-inserti-del-foglio/2016/01/23/perche-rinunciamo-a-fare-figli___1-v-137382-rubriche_c140.htm
DYLAN DOG. TIZIANO SCLAVI HA CHIUSO CON IL FUMETTO E I ROMANZI. Dopo 25 anni ha anche abbandonato la psicoanalisi (un farmaco costa meno e ha lo stesso effetto: nessuno). Per paura non guida quasi più e non prenderà mai l’aereo
di Antonio D’Orrico, Il Corriere della Sera, 24 gennaio 2016
Vent’anni fa intervistai Tiziano Sclavi perché Dylan Dog, il protagonista delle sue storie a fumetti, secondo per fama in Italia solo a Tex Willer, compiva dieci anni dalla prima uscita. All’epoca Sclavi non rilasciava interviste e si comportava un po’ come J. D. Salinger, lo scrittore del Giovane Holden, non si faceva vedere, non si faceva fotografare. L’intervista di oggi coincide con i trent’anni di Dylan Dog, ma è da tempo ormai che Sclavi non ne scrive più le avventure (che però vanno avanti da sole, sempre seguite da un pubblico numeroso e appassionato). La buona salute di Dylan Dog è testimoniata, tra l’altro, dalla pubblicazione in questi giorni di tre storie tra le più memorabili e sclaviane: La Quinta Stagione, disegnata da Luigi Piccatto (Bonelli Editore), Caccia alle streghe, disegnata da Piero Dall’Agnol, e Sette anime dannate, disegnata da Corrado Roi (entrambe per le edizioni Bao). Oltre a Dylan Dog, Sclavi non scrive più romanzi (l’ultimo, del 2006, è Il tornado di valle Scuropasso). Ha scelto il silenzio o, forse, al silenzio l’ha costretto la depressione che non lo ha abbandonato mai. L’intervista si svolge a casa sua, una villa discreta circondata da un parco, dentro un bosco vicino a Milano. C’è anche Cristina, la moglie di Sclavi (vent’anni fa quando gli chiesi chi era sua moglie, come l’aveva conosciuta, cosa faceva, mi rispose lapidario: «Mia moglie è la mia vita»). Ci sediamo su due divani insieme ai sette cani, amatissimi, che vivono in perenne simbiosi con lo scrittore.
All’inizio ci fu Edgar Allan Poe?
«L’ho letto che avevo sei anni, nel 1959. Lessi tutto quello che scrisse, perfino Genesi di un poema, la noiosissima storia del Corvo. Quando ero piccolo, mi piacevano tutte le storie misteriose, sanguinarie, le favole più truci. Le trovavo molto educative. Ora la mia nipotina ha addirittura paura a vedere l’innocuo Frozen».
Di Poe sentiva il fascino dell’uomo oltre che dello scrittore?
«C’era anche quello, il fascino di una vita dannata. Anch’io nel mio piccolo ho avuto una vita un po’ complicata. Soffro di depressione da sempre. Poi sono un alcolista, un alcolista che non beve, però uno rimane alcolista per tutta la vita. È stato difficile vivere per me».
Leggere e scrivere l’hanno aiutata o hanno peggiorato le cose?
«Sono stati un aiuto. Scrivere è una grande terapia che ti permette, tra l’altro, di risparmiare sull’analista. Però io non ho risparmiato nemmeno su quello. Sono stato in analisi per venticinque anni. Un enorme spreco di tempo e di denaro. Un errore gigantesco, il più grande sbaglio della mia vita».
In venticinque anni avrà cambiato tanti analisti.
«Solo due. Il primo è morto dopo cinque anni che andavo da lui. Mi trovavo bene. Mi è crollato il mondo addosso».
Si direbbe in termini non proprio freudiani (o forse sì) che è stata pura sfiga.
«Il mio primo psicoanalista, tra l’altro, era lo zio di Cristina, mia moglie».
Ci sarebbe da osservare qualcosa, psicoanaliticamente parlando, a questo proposito.
«È solo una coincidenza. All’epoca non conoscevo Cristina. Ma forse, come dice mia moglie, non è stata una coincidenza perché io ero inavvicinabile per chi non fosse stato un po’ introdotto nel mio mondo di allora. Se non avessi saputo che era la nipote del mio psicoanalista, probabilmente non le avrei mai dato confidenza».
Segue qui:
http://www.corriere.it/cultura/16_gennaio_27/dylan-dog-30-anni-dopo-2d3909a6-c51f-11e5-9850-7f16b4fde305.shtml
All’inizio ci fu Edgar Allan Poe?
«L’ho letto che avevo sei anni, nel 1959. Lessi tutto quello che scrisse, perfino Genesi di un poema, la noiosissima storia del Corvo. Quando ero piccolo, mi piacevano tutte le storie misteriose, sanguinarie, le favole più truci. Le trovavo molto educative. Ora la mia nipotina ha addirittura paura a vedere l’innocuo Frozen».
Di Poe sentiva il fascino dell’uomo oltre che dello scrittore?
«C’era anche quello, il fascino di una vita dannata. Anch’io nel mio piccolo ho avuto una vita un po’ complicata. Soffro di depressione da sempre. Poi sono un alcolista, un alcolista che non beve, però uno rimane alcolista per tutta la vita. È stato difficile vivere per me».
Leggere e scrivere l’hanno aiutata o hanno peggiorato le cose?
«Sono stati un aiuto. Scrivere è una grande terapia che ti permette, tra l’altro, di risparmiare sull’analista. Però io non ho risparmiato nemmeno su quello. Sono stato in analisi per venticinque anni. Un enorme spreco di tempo e di denaro. Un errore gigantesco, il più grande sbaglio della mia vita».
In venticinque anni avrà cambiato tanti analisti.
«Solo due. Il primo è morto dopo cinque anni che andavo da lui. Mi trovavo bene. Mi è crollato il mondo addosso».
Si direbbe in termini non proprio freudiani (o forse sì) che è stata pura sfiga.
«Il mio primo psicoanalista, tra l’altro, era lo zio di Cristina, mia moglie».
Ci sarebbe da osservare qualcosa, psicoanaliticamente parlando, a questo proposito.
«È solo una coincidenza. All’epoca non conoscevo Cristina. Ma forse, come dice mia moglie, non è stata una coincidenza perché io ero inavvicinabile per chi non fosse stato un po’ introdotto nel mio mondo di allora. Se non avessi saputo che era la nipote del mio psicoanalista, probabilmente non le avrei mai dato confidenza».
Segue qui:
http://www.corriere.it/cultura/16_gennaio_27/dylan-dog-30-anni-dopo-2d3909a6-c51f-11e5-9850-7f16b4fde305.shtml
A PROPOSITO DI GENDER. Tutto troppo presto: è necessario attrezzare i genitori a gestire adeguatamente i minori alla conoscenza della sessualità
di Giuseppe Maiolo, ladigetto.it, 25 gennaio 2016
C’è una cosa che caratterizza in particolare gli adolescenti di oggi: vivono tutto con incredibile anticipazione. «Tutto troppo presto» dice Alberto Pellai, collega e amico, in un suo recente libro riferendosi alle esperienze e ai comportamenti sessuali delle nuove generazioni. Questo fa sì che oggi sia più necessario educare e preparare adeguatamente i minori alla conoscenza della sessualità. Ma vuol dire anche attrezzare gli adulti di riferimento, spesso confusi e impreparati a gestire questi figli cresciuti in fretta, a far fronte a tali cambiamenti epocali. È necessaria un’attrezzatura nuova capace di seguire questi processi evolutivi accelerati che sappiano accompagnare i bambini e gli adolescenti nella ricerca della propria identità e della propria sessualità. Così colpisce non poco l’allarme e la paura che si sta diffondendo per presunte e pericolose indicazioni dell’OMS sull’educazione sessuale dei bambini. Contrabbandando teorie o ideologie «Gender» che non esistono, stanno circolando con sempre più insistenza e pervasività informazioni scorrette e fuorvianti su un documento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità datato 2010.
Segue qui:
http://www.ladigetto.it/permalink/50908.html
PSICOANALISI: 100 ANNI DOPO, FREUD “APRE” ALLE NEUROSCIENZE
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PSICOANALISI: 100 ANNI DOPO, FREUD “APRE” ALLE NEUROSCIENZE
di Redazione, popsci.it, 25 gennaio 2016
I sogni rimangono lo strumento ‘principe’ per decodificare alcuni processi che accadono all’interno della mente, ma da Freud ai nostri giorni il modo di analizzarli e in generale di ‘scoprire’ ciò che accade al nostro interno è cambiato, si è arricchito, soprattutto in tre ambiti come le dipendenze, la depressione e i disturbi post-traumatici. La psicoanalisi e il legame con le neuroscienze, che studiano il sistema nervoso, l’utilizzo del ‘brain imaging’, tecnica di indagine radiologica funzionale delle varie aree cerebrali, per mappare la mente al lavoro, la neurobiologia che permette di comprendere ancora meglio il funzionamento della psiche nelle sue articolazioni anche biologiche, le riflessioni sulla coscienza, hanno portato profonde trasformazioni. Se ne discuterà al convegno “Psicoanalisi e neuropsicoanalisi dei sogni nelle dipendenze, nella depressione e nel trauma”, il 6-7 febbraio a Roma, organizzato dal Centro Psicoanalitico di Roma (CPdr) in collaborazione con il Centro Milanese di Psicoanalisi e con la Società Psicoanalitica italiana (Spi).
Segue qui:
http://www.popsci.it/psicoanalisi-100-anni-dopo-freud-apre-alle-neuroscienze.html
OPERAZIONE ABRAMO, LIBERAZIONE DAGLI IDOLI
I sogni rimangono lo strumento ‘principe’ per decodificare alcuni processi che accadono all’interno della mente, ma da Freud ai nostri giorni il modo di analizzarli e in generale di ‘scoprire’ ciò che accade al nostro interno è cambiato, si è arricchito, soprattutto in tre ambiti come le dipendenze, la depressione e i disturbi post-traumatici. La psicoanalisi e il legame con le neuroscienze, che studiano il sistema nervoso, l’utilizzo del ‘brain imaging’, tecnica di indagine radiologica funzionale delle varie aree cerebrali, per mappare la mente al lavoro, la neurobiologia che permette di comprendere ancora meglio il funzionamento della psiche nelle sue articolazioni anche biologiche, le riflessioni sulla coscienza, hanno portato profonde trasformazioni. Se ne discuterà al convegno “Psicoanalisi e neuropsicoanalisi dei sogni nelle dipendenze, nella depressione e nel trauma”, il 6-7 febbraio a Roma, organizzato dal Centro Psicoanalitico di Roma (CPdr) in collaborazione con il Centro Milanese di Psicoanalisi e con la Società Psicoanalitica italiana (Spi).
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OPERAZIONE ABRAMO, LIBERAZIONE DAGLI IDOLI
di Luigi Campagner, ilsussidiario.net, 26 gennaio 2016
Complimenti all’analista di Gad Lerner per come ha condotto questa lunga, difficile e appassionante analisi. Detto ciò, non vi è notizia che ne abbia mai avuto uno (o una). Di sicuro in Scintille. Una storia di anime vagabonde (2009) il suo attualissimo libro di memorie ebraiche e personali non se ne parla. Ma nel caso credo che Lerner si sarebbe rivolto a Julia Kristeva, la parigina e cosmopolita autrice di Stranieri a noi stessi, spesso citata in altri suoi lavori. Complimenti anche all’autore, che si presenta con lo stesso mix di coraggio, sincerità, vergogna, dolore e desiderio di un ipotetico paziente all’appuntamento con le sedute. Scintille è una meditazione iniziata nell’infanzia e durata cinquant’anni, è un libro scritto nel tempo con la pazienza e la determinazione di venire a capo di quel dedalo drammatico di lingue e nazionalità, di amnesie e censure, brani di memoria dolorosa e luminosa, che compongono la storia personale dell’autore e la storia della sua famiglia. Della sua come di milioni di altre. Scintille è anche il libro della maturità letteraria di Lerner, che si mette sulle tracce di Isaac Baschevis Singer, Shalom Aleichem, Joseph Roth o Bruno Schulz, gli amati cantori della “nuova Terra Promessa degli ebrei, prima che l’invasione dell’Unione Sovietica, scatenata da Hitler col nome in codice ‘Operazione Barbarossa’ alle tre del mattino del 22 giugno 1941, replicasse nella patria yiddish la distruzione del Tempio di Gerusalemme”. I Lerner vengono da lì: dal cuore della Galizia Orientale con capitale Leopoli, che Moshè Lerner, il difficile padre di Gad, si ostina a chiamare Lemberg, il nome yiddish e tedesco della città prima che diventasse la polacca Lwow, la russa L’vov e l’ucraina L’viv, dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Gli ebrei vi giunsero a metà del 1400 e fondarono una rigogliosa civiltà, barbaramente “cancellata dalla faccia della terra” dalla perversa collaborazione tra nazisti e nazionalisti ucraini.
Segue qui:
http://www.ilsussidiario.net/News/Cultura/2016/1/26/SHOAH-Operazione-Abramo-liberazione-dagli-idoli/673336/
Complimenti all’analista di Gad Lerner per come ha condotto questa lunga, difficile e appassionante analisi. Detto ciò, non vi è notizia che ne abbia mai avuto uno (o una). Di sicuro in Scintille. Una storia di anime vagabonde (2009) il suo attualissimo libro di memorie ebraiche e personali non se ne parla. Ma nel caso credo che Lerner si sarebbe rivolto a Julia Kristeva, la parigina e cosmopolita autrice di Stranieri a noi stessi, spesso citata in altri suoi lavori. Complimenti anche all’autore, che si presenta con lo stesso mix di coraggio, sincerità, vergogna, dolore e desiderio di un ipotetico paziente all’appuntamento con le sedute. Scintille è una meditazione iniziata nell’infanzia e durata cinquant’anni, è un libro scritto nel tempo con la pazienza e la determinazione di venire a capo di quel dedalo drammatico di lingue e nazionalità, di amnesie e censure, brani di memoria dolorosa e luminosa, che compongono la storia personale dell’autore e la storia della sua famiglia. Della sua come di milioni di altre. Scintille è anche il libro della maturità letteraria di Lerner, che si mette sulle tracce di Isaac Baschevis Singer, Shalom Aleichem, Joseph Roth o Bruno Schulz, gli amati cantori della “nuova Terra Promessa degli ebrei, prima che l’invasione dell’Unione Sovietica, scatenata da Hitler col nome in codice ‘Operazione Barbarossa’ alle tre del mattino del 22 giugno 1941, replicasse nella patria yiddish la distruzione del Tempio di Gerusalemme”. I Lerner vengono da lì: dal cuore della Galizia Orientale con capitale Leopoli, che Moshè Lerner, il difficile padre di Gad, si ostina a chiamare Lemberg, il nome yiddish e tedesco della città prima che diventasse la polacca Lwow, la russa L’vov e l’ucraina L’viv, dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Gli ebrei vi giunsero a metà del 1400 e fondarono una rigogliosa civiltà, barbaramente “cancellata dalla faccia della terra” dalla perversa collaborazione tra nazisti e nazionalisti ucraini.
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I RAGAZZI E LA SHOAH: UN ROMANZO PER NON CHIUDERE GLI OCCHI. Fra i libri usciti in prossimità della Giornata della Memoria c’è “Hanna non chiude mai gli occhi”, un libro che racconta ai ragazzi di oggi i sogni dei loro coetanei del ’43
di Emanuela Citterio, mondoemissione.it, 26 gennaio 2016
Titolo del tema: “Il giorno più bello della mia vita”. Alberto racconta la sua felicità quando scoprì che il padre gli avrebbe regalato la tanto sognata bicicletta. Ester descrive un indimenticabile viaggio in Sudamerica con la famiglia. Potrebbero essere desideri e ricordi di adolescenti di oggi. Risalgono invece al 1943 e sono rimasti sepolti nello scantinato di una scuola italiana di Salonicco, la “Umberto I”, frequentata anche da ragazzi ebrei. La furia nazista si abbatté sulla comunità sefardita della città greca, una delle più numerose in Europa. Furono deportate 54 mila persone. Ne sopravvissero poco più di duemila. I temi dei ragazzi della Umberto I, scoperti per caso solo tre anni fa, hanno ispirato “Hanna non chiude mai gli occhi” (edizioni San Paolo) di Luigi Ballerini, uscito in occasione della giornata della memoria. Cinquantatré anni, psicoanalista, Ballerini vive a Milano con la moglie Daniela e quattro figli di età compresa fra i 16 e i 24 anni. Gli adolescenti li ascolta in famiglia, nel suo studio, negli incontri che tiene nelle scuole. Una decina d’anni fa ha cominciato a raccontarli. Ha scoperto che la cosa gli riusciva bene e lo appassionava e oggi è anche un affermato autore per ragazzi. Nel 2014, con “La signorina Euforbia” (San Paolo), si è aggiudicato il Premio Andersen per il miglior libro età 9-12 anni.
Segue qui:
http://www.mondoemissione.it/cultura/i-ragazzi-e-la-shoah-un-romanzo-per-non-chiudere-gli-occhi/
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BAHARIER, LEGGERE È INTERPRETARE
di Alessandro Zaccuri, avvenire.it, 25 gennaio 2016
Haim Baharier non è uno scrittore prolifico e ne va fiero. Ma è anche un lettore prodigioso, qualità che da sola basterebbe a giustificare la scelta della Scuola per librai Umberto ed Elisabetta Mauri, che ha affidato a lui la lectio magistralis conclusiva dell’ormai imminente seminario di perfezionamento a Venezia. L’interessato, fedele al suo stile, minimizza: «Non sono un esperto di marketing – dice –, l’unico mio merito consiste nell’appartenere al popolo del Libro. E questa, per me, è una gioia profonda». Nato a Parigi nel 1947 da una coppia di ebrei polacchi sopravvissuti ad Auschwitz, Baharier vive a Milano, dove svolge l’attività di psicoanalista. Vanta una certa esperienza nel commercio delle pietre preziose, si è laureato in matematica e non disdegna l’attività di formazione manageriale. Soprattutto è uno studioso dell’ermeneutica biblica, come dimostrano i suoi libri, da La Genesi spiegata a mia figlia (2006) a Le Dieci Parole (2011). Il più recente, La valigia quasi vuota (Garzanti, 2014), rende omaggio alla figura di Monsieur Chouchani, il misterioso e sapientissimo clochard parigino che influenzò, tra l’altro, il pensiero di Emmanuel Lévinas, uno dei maestri di Baharier. Amore del paradosso e appello all’umorismo restano una costante del suo modo di esprimersi. «C’è quella famosa battuta, non so se la conosce…», dice.
Quale?
«Quella per cui gli ebrei sono il popolo del Libro, ma il Libro non è stato ancora stampato. Nasconde una piccola verità, come sempre accade con un bon mot riuscito. L’espressione “popolo del Libro” è abbastanza recente, e si riferisce a un libro molto particolare. Nella tradizione ebraica la Torah è un rotolo di pergamena, vergato in orizzontale anziché in verticale».
Quale?
«Quella per cui gli ebrei sono il popolo del Libro, ma il Libro non è stato ancora stampato. Nasconde una piccola verità, come sempre accade con un bon mot riuscito. L’espressione “popolo del Libro” è abbastanza recente, e si riferisce a un libro molto particolare. Nella tradizione ebraica la Torah è un rotolo di pergamena, vergato in orizzontale anziché in verticale».
Segue qui:
http://www.avvenire.it/Cultura/Pagine/BAHARIER-.aspx
LO PSICOLOGO? SU MISURA. Una richiesta su due al medico di base riguarda una sofferenza dell’anima, e i professionisti crescono al ritmo di 5000 l’anno. Ma ogni disagio vuole il suo referente ideale. Ecco come orientarsi
di Claudia Bortolato, d.repubblica.it, 26 gennaio 2016
Sarà perché ai dolori di sempre (perdite, disagi esistenziali di varia natura) si sono aggiunti quelli più attuali, in quest’epoca di crisi e post crisi. Di fatto, è salito significativamente il numero degli italiani che, a dispetto delle minori disponibilità economiche generali, si sono rivolti a uno psicologo. «Negli ultimi due anni si è registrato un aumento di richieste di aiuto psicologico stimabile tra il 5 e il 10 per cento. In buona parte si può imputare alla crisi socio-economica e ai mutamenti occupazionali, che comportano disagio, riduzione dell’autostima, instabilità nella regolazione emozionale e crisi delle capacità progettuali individuali e della famiglia. Con un impatto negativo anche sulla costruzione dell’identità dei più giovani», dice Nicola Malorni, presidente dell’Ordine Psicologi del Molise e portavoce dell’Ordine Nazionale degli Psicologi (psy.it). Stime che si riflettono nelle statistiche ufficiali più recenti. «Dal rapporto Istat sul Bes (Benessere equo e sostenibile in Italia), risulta che nel 2012 sono migliorate complessivamente le condizioni di salute fisica rispetto ai dati raccolti nel 2005. Al contrario, il benessere psicologico è peggiorato, soprattutto tra la popolazione adulta e tra i giovani maschi dai 18 ai 24 anni, per i quali il punteggio medio dell’indice Mcs (Mental Component Summary) è sceso dal 53,4 a 51,7», osserva Malorni. Il malessere ha cambiato pelle, quindi: si soffre maggiormente nell’anima che nel corpo. Il disagio si manifesta in modo più subdolo, confuso, resistente. Diffuso trasversalmente rispetto al sesso e all’età. Tanto da spingere a rivolgersi al dottore di base anche per i pensieri cupi e le angosce. «Si stima che almeno il 50 per cento delle richieste che pervengono ai medici di medicina generale esprimano un disagio di tipo relazionale/esistenziale più che un problema somatico, con una maggiore incidenza dei problemi depressivi (10.4 per cento), dell’ansia (7.9 per cento) e dell’abuso di sostanze (2.7 per cento)», dice ancora Malorni.
Segue qui:
http://d.repubblica.it/lifestyle/2016/01/26/news/come_trovare_lo_psicologo_giusto_sofferenza_dell_anima-2934220/
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VERGINI DI DIO. È possibile ancora incontrare una delle virtù più sbandierate, vilipese ed equivocate della storia?
di Umberto Silva, ilfoglio.it, 27 gennaio 2016
La chiesa, davvero misericordiosa, tutti accoglie e indirizza. Unioni tra maschi, matrimoni, adozioni… alla luce di un’antica magistrale sapienza la chiesa sconsiglia tutto ciò, non perché i gay sono gay ma perché sono uomini e, salvo alcune eccezioni, noi uomini di qualsiasi specie, religione e sesso, siamo ancor più pericolosi quando lasciati a noi stessi, senza che la mano di una donna accarezzi i nostri sogni. Osservate un gruppetto di etero-amiconi in un solitario pomeriggio domenicale o in una notte tribale e vedrete di quali imbecillità sono capaci. Le donne sono indispensabili, non innamorarsene perdutamente è un delitto. Dio le crea affinché il loro luminoso sorriso – anche il pianto, la smorfia, la lingua, il delizioso dentino e tutto quanto – ci distolgano da un’innata ferocia che tanto male ha fatto e continua a fare. Dalla maschia arrogante stirpe si discostano i preti, la cui eleganza resta superiore. Sono esseri a sé; nelle estive vacanze li vedevo aggirarsi per i boschi e mi affascinava la loro misteriosa natura.
Detto questo, mi soffermo su una delle virtù più sbandierate, vilipese ed equivocate: la verginità. Una fanciulla che per la prima volta si abbandona sulla riva del fiume a un amplesso con un ragazzo, perde la virginità o l’acquista? Dipende, non dalla fisiologia quanto dal desiderio. Se una donna o un uomo si congiungono per un secondo fine, per esempio per attaccare l’Aids all’altro o per carpirgli denaro o per sposarlo a tradimento o per fare come tutti, certo non si può parlare di verginità quanto di sadismo, perversione, calcolo, nichilismo. Se invece gli amanti si abbandonano al desiderio e all’amore, allora sì la verginità, la verginità della parola e dello sguardo quando incontrano Altro, in una sorpresa incessante. Non è questione di astinenza ma di esistenza.
Segue qui:
http://www.ilfoglio.it/la-politica-sul-lettino/2016/01/27/vergini-di-dio___1-vr-137509-rubriche_c391.htm
Detto questo, mi soffermo su una delle virtù più sbandierate, vilipese ed equivocate: la verginità. Una fanciulla che per la prima volta si abbandona sulla riva del fiume a un amplesso con un ragazzo, perde la virginità o l’acquista? Dipende, non dalla fisiologia quanto dal desiderio. Se una donna o un uomo si congiungono per un secondo fine, per esempio per attaccare l’Aids all’altro o per carpirgli denaro o per sposarlo a tradimento o per fare come tutti, certo non si può parlare di verginità quanto di sadismo, perversione, calcolo, nichilismo. Se invece gli amanti si abbandonano al desiderio e all’amore, allora sì la verginità, la verginità della parola e dello sguardo quando incontrano Altro, in una sorpresa incessante. Non è questione di astinenza ma di esistenza.
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http://www.ilfoglio.it/la-politica-sul-lettino/2016/01/27/vergini-di-dio___1-vr-137509-rubriche_c391.htm
AUMENTARE LA MEMORIA O DILUIRE I BRUTTI RICORDI GRAZIE A UNA PROTEINA. L’esperta spiega i possibili effetti del fattore IGF2 nella lotta all’Alzheimer o per dimenticare la dipendenza da alcol e sostanze stupefacenti
di Viviana Persalli, ilgiornale.it, 28 gennaio 2016
Il cervello è un universo che nella sua complessità infinita nasconde misteri ancora oscuri, sollecitando continuamente la curiosità di scienziati ed esperti. L’obiettivo principe è quello di comprendere certi meccanismi, capire come funzionino le attività cerebrali, per poter consentire all’uomo di intervenire in caso di patologie legate alla sfera cerebrale o per rendere meno traumatico un ricordo. La neuroscienziata Cristina Alberini, conosciuta in tutto il mondo per i suoi studi di eccellenza (condotti guidando il laboratorio alla New York University) sulla memoria e sui processi di formazione dei ricordi, ospite del Centro milanese di Psicoanalisi, sezione milanese della Società Psicoanalitica italiana, ha presentato alla Casa della cultura di Milano gli importanti risultati raggiunti in questo campo. «Alla base del consolidamento dei ricordi – spiega – c’è la proteina IGF2 (fattore di crescita insulinico 2), responsabile della formazione della memoria a lungo termine. In laboratorio, abbiamo appurato che, aumentando la presenza di questa proteina nell’ippocampo, la capacità di memorizzare aumentava, in particolare, immediatamente dopo un apprendimento; mentre i ricordi diventavano più precari riducendo la quantità di IGF2».
Segue qui:
http://www.ilgiornale.it/news/salute/aumentare-memoria-o-diluire-i-brutti-ricordi-grazie-proteina-1217704.html
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LA RIVINCITA DI FREUD. Negli ultimi decenni la terapia cognitivo-comportamentale ha avuto la meglio sulla psicoanalisi tradizionale. Ma nuovi studi mettono in dubbio i suoi risultati
di Oliver Burkeman, Internazionale, 29 gennaio 2016
Il dottor David Pollens è uno psicoanalista che riceve i suoi pazienti in un modesto studio al piano terra nell’Upper East Side, un quartiere di Manhattan, a New York, che per concentrazione di analisti compete forse solo con l’Upper West Side. Pollens, che ha poco più di sessant’anni e i capelli radi color argento, siede su una poltrona di legno che si trova all’estremità di un lettino, dove fa distendere i suoi pazienti con lo sguardo rivolto dall’altra parte per esplorare meglio le loro paure e fantasie più imbarazzanti. Molti ci vanno più di una volta alla settimana, anche per anni, come nella miglior tradizione della psicoanalisi. Pollens ha ottenuto notevoli successi nella cura dell’ansia, della depressione e di altri disturbi della psiche di adulti e bambini grazie a lunghe conversazioni libere da qualsiasi censura o schema preciso. Andare a trovare Pollens, come ho fatto io in un pomeriggio d’inverno alla fine del 2015, significa tuffarsi nell’arcano linguaggio freudiano della “resistenza”, della “nevrosi”, del “transfer” e del “controtransfer”. L’analista trasmette una sorta di caldo distacco ed è facile immaginare di potergli rivelare i propri segreti più inquietanti. Come altri membri della sua tribù, Pollens si considera una persona che scava nelle catacombe dell’inconscio per far emergere le pulsioni sessuali che si annidano sotto la nostra coscienza, l’odio che proviamo per chi dichiariamo di amare e le altre sgradevoli verità che noi stessi non conosciamo e spesso non vogliamo conoscere.
Segue qui:
http://www.dedalusbologna.it/cms/public/files/2016/internazionalela-rivincita-di-freud_145.pdf
http://issuu.com/segnalazioni.box/docs/internazionale1138_la_rvincita_di_f
LE SUPERCAZZOLE DI RECALCATI, NUOVO CONTE MASCETTI
di Massimiliano Parente, ilgiornale.it, 30 gennaio 2016
Il dottor David Pollens è uno psicoanalista che riceve i suoi pazienti in un modesto studio al piano terra nell’Upper East Side, un quartiere di Manhattan, a New York, che per concentrazione di analisti compete forse solo con l’Upper West Side. Pollens, che ha poco più di sessant’anni e i capelli radi color argento, siede su una poltrona di legno che si trova all’estremità di un lettino, dove fa distendere i suoi pazienti con lo sguardo rivolto dall’altra parte per esplorare meglio le loro paure e fantasie più imbarazzanti. Molti ci vanno più di una volta alla settimana, anche per anni, come nella miglior tradizione della psicoanalisi. Pollens ha ottenuto notevoli successi nella cura dell’ansia, della depressione e di altri disturbi della psiche di adulti e bambini grazie a lunghe conversazioni libere da qualsiasi censura o schema preciso. Andare a trovare Pollens, come ho fatto io in un pomeriggio d’inverno alla fine del 2015, significa tuffarsi nell’arcano linguaggio freudiano della “resistenza”, della “nevrosi”, del “transfer” e del “controtransfer”. L’analista trasmette una sorta di caldo distacco ed è facile immaginare di potergli rivelare i propri segreti più inquietanti. Come altri membri della sua tribù, Pollens si considera una persona che scava nelle catacombe dell’inconscio per far emergere le pulsioni sessuali che si annidano sotto la nostra coscienza, l’odio che proviamo per chi dichiariamo di amare e le altre sgradevoli verità che noi stessi non conosciamo e spesso non vogliamo conoscere.
Segue qui:
http://www.dedalusbologna.it/cms/public/files/2016/internazionalela-rivincita-di-freud_145.pdf
http://issuu.com/segnalazioni.box/docs/internazionale1138_la_rvincita_di_f
LE SUPERCAZZOLE DI RECALCATI, NUOVO CONTE MASCETTI
di Massimiliano Parente, ilgiornale.it, 30 gennaio 2016
Mi dispiace scriverne, perché mi fa tenerezza e mi diverte, insomma lui crede di essere un fedele discepolo di Freud e di Lacan, invece è l’ultimo erede del conte Mascetti, è la supercazzola prematurata con scappellamento a sinistra, in particolare a sinistra su Repubblica, ma anche più a sinistra sul Manifesto. Sto parlando di Massimo Recalcati, lo psicologo, e dell’Altro, quello che scrive gli articoli con Recalcati, sempre Recalcati. L’argomento non conta, il pezzo di Recalcati è sempre lo stesso, recalcato all’infinito. Scrive dei terroristi islamici che sgozzano gli ostaggi? «Mostrare l’orrore senza veli serve a provocare l’angoscia dell’Altro». E per forza, sarebbe strano li sgozzassero per angosciarsi loro. Recensisce un romanzo di Jeffrey Eugenides sui transgender, sull’essere uomo e essere donna al tempo stesso? «La natura dei genitali scandisce questa demarcazione. Il secondo tempo è quello dell’incontro con l’Altro». Parla del problema dell’immigrazione? E che ci vuole, come non averci pensato prima: «Si tratta di ristabilire i confini, di preservare la propria identità dal rischio della sua alterazione provocata dall’invadenza invasiva dell’Altro». E il femminicidio, lo stupro delle donne? Elementare, Watson: «Soprattutto se interpretiamo il razzismo, come ci invitava a fare Lacan, come odio irriducibile della libertà dell’Altro».
Segue qui:
http://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/supercazzole-recalcati-nuovo-conte-mascetti-1218510.html
Video
ALICATA, BARATTA, CORIGLIANO, GALIMBERTI, MAGATTI SUL FAMILY DAY
Diritti civili e adozioni: il day after del family day Al link il video della trasmissione del 31 gennaio 2016 su La7:
http://www.la7.it/omnibus/rivedila7/diritti-civili-e-adozioni-il-day-after-del-family-day-01-02-2016-173361
I più recenti pezzi apparsi sui quotidiani di Massimo Recalcati e Sarantis Thanopulos sono disponibili su questo sito rispettivamente ai link:
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4545
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4788
Da segnalare anche la rubrica
"Mente ad arte, percorsi artistici di psicopatologia nel cinema ed oltre, di Matteo Balestrieri al link
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4682
(Fonte dei pezzi della rubrica: http://rassegnaflp.wordpress.com)
http://www.la7.it/omnibus/rivedila7/diritti-civili-e-adozioni-il-day-after-del-family-day-01-02-2016-173361
I più recenti pezzi apparsi sui quotidiani di Massimo Recalcati e Sarantis Thanopulos sono disponibili su questo sito rispettivamente ai link:
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4545
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4788
Da segnalare anche la rubrica
"Mente ad arte, percorsi artistici di psicopatologia nel cinema ed oltre, di Matteo Balestrieri al link
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4682
(Fonte dei pezzi della rubrica: http://rassegnaflp.wordpress.com)
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