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La genitorialità e la sua “legge”

21 Feb 16

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Nello scontro sulla genitorialità allargata ai single e alle coppie omosessuali e, di fatto, sul superamento delle modalità di procreazione “naturali”, si dimentica l’essenziale: non sono questioni di pertinenza legale. Il potere legislativo non dispone di strumenti obiettivi per stabilire chi è adatto alla funzione genitoriale o come si deve procreare. Gli “esperti della psiche” non sono in grado di soccorrerlo. Non possono chiudere il futuro delle persone nella loro sfera di cristallo: questa è la condizione perché riescano a pensare e a conoscere. La legge può intervenire in modo normativo, arbitrario (l'ha fatto nel passato e continua a farlo), ma col rischio di creare, a lungo andare, problemi  peggiori di quelli che, si suppone, voglia risolvere. Un suo intervento limitativo della possibilità di diventare genitori può essere necessario in caso di sofferenza psichica o intellettiva grave, ma anche in questo caso l'arbitrio è grande.
L’assunzione della funzione genitoriale e le modalità di procreazione non possono essere preventivamente regolate senza cadere nel pregiudizio. La possibilità di essere genitori non dipende primariamente dal buon carattere, la sensibilità, l’attenzione, l’accoglienza, il buon senso, la fermezza, il rigore (qualità in parte necessarie, ma non sufficienti), la serenità della vita sentimentale, la presenza stabile di un partner  (condizioni  facilitanti, ma non strettamente necessarie) e neppure dal carattere eterosessuale o omosessuale del legame d’amore in cui si è impegnati. La cosa che davvero conta, è essere vivi sul piano del desiderio: capaci, in potenza, di perdersi e di ritrovarsi nell’incontro erotico. Questo implica un senso di responsabilità nei confronti dell’altro desiderato, il suo  rispetto come soggetto desiderante, la partecipazione alla comune regolazione dell’intensità e della  profondità dell’incontro.
La funzione genitoriale non ha a che fare con l’appagamento dei bisogni materiali dei figli (che può avvenire anche in modo impersonale, senza un riconoscimento reciproco). È fondata sulla possibilità iniziale di relazionarsi con i loro desiderio erotico: la ricerca di un rapporto sensuale con la vita, non la sessualità vera e propria (che si sviluppa a partire dall’adolescenza), ma l’esplorazione del mondo -che è anche sperimentazione- mediante l’immaginare, il sognare e pensare che nascono dai sensi (la “meraviglia” di cui è capace la sensorialità). La capacità dei genitori di andare incontro alla crescita erotica dei figli (decisiva per quella affettiva e intellettiva) non è racchiusa nella “radiografia” del loro profilo psicologico. Il desiderio di essere genitori è coabitato dal desiderio dei figli, si legittima nella relazione con loro. Questa relazione, non è fatta solo di comportamenti effettivi, ma anche di potenzialità e di intuizioni, che attraversano i conflitti e le inibizioni e sfidano la prevedibilità.
Se la legge non può impedire l’accesso diretto o indiretto alla genitorialità, senza recar danno pregiudiziale alla libertà, a maggior ragione non può garantirne la buona riuscita. Ciò che non può essere deciso dalla legge, né tantomeno dalle convenzioni morali, che puntualmente cercano di erigersi a legalità, è affidato al nostro senso di responsabilità.
La responsabilità dei genitori nei confronti dei figli nasce nell’ambito della co-costituzione delle loro soggettività desideranti. L’autorità legislativa non la può determinare, né definire. La può solo favorire con leggi che difendono il rispetto delle differenze e la parità dei soggetti desideranti in tutte le relazioni di scambio.

 

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5 Commenti

  1. simonetta.putti

    Sarantis scrive che “nello
    Sarantis scrive che “nello scontro sulla genitorialità allargata ai single e alle coppie omosessuali e, di fatto, sul superamento delle modalità di procreazione “naturali”, si dimentica l’essenziale: non sono questioni di pertinenza legale. Il potere legislativo non dispone di strumenti obiettivi per stabilire chi è adatto alla funzione genitoriale o come si deve procreare.” Forse non è irrilevante, in primis, fare delle distinzioni: la genitorialità allargata non coincide (o quantomeno può non coincidere e non coincide necessariamente) con le forme di procreazione ‘non naturali’, intendendo queste ultime come GPA. Oggi, invece, assistiamo ad una con-fusione tra le due questioni… e sarebbe bene andar oltre la confusione.
    Anzi, chiediamoci CUI PRODEST… la confusione di cui sopra; intanto, ad evitare possibili fraintendimenti, dichiaro il mio completo favore alla estensione dei diritti civili.
    Fatta questa distinzione, credo che la legge possa e debba mettere regole ed argini attorno a fenomeni – mi riferisco alla GPA – che rischiano di debordare nello sfruttamento del corpo umano. Il traffico di organi umani rilevato frequentemente negli ultimi decenni è una realtà oggettiva, supportata dallo strapotere del ‘mercato’, che ha dato luogo a crimini. Questo, penso, è il territorio in cui si vorrebbe una chiara posizione dei nostri legislatori. Taluni obietteranno che la GPA è permessa in alcuni Paesi, ed in altri no… ed è pertanto una ‘entità’ diversamente percepita e giudicata. Vero… ad ognuno, quindi, assumersi la responsabilità e l’autonomia del proprio sentire / pensare. Grazie, Sarantis…

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    • bianchivaleria

      Concordo con Simonetta Putti.
      Concordo con Simonetta Putti. Facciamo i dovuti distinguo. Soprattutto quando Ordini come quello degli Psicologi inviano al Senato raccolte di ricerche che per alcuni sono incontrovertibili, mentre per altri proprio non lo sono.
      Confrontiamoci su tematiche quali la Gpa e differenziamo dalle unioni civili. Su questo ultimo punto siamo di certo a favore, in molti.

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  2. sarantis.thanopulos

    Cara Simonetta, cara
    Cara Simonetta, cara Valeria
    La distinzione tra l’adozione cosiddetta “stepchild” e il ricorso all'”utero in affitto” (GPA), si può fare solo sul piano dell’opportunità politica (il consenso necessario dei cittadini). Sul piano etico non è possibile.
    Se, come mi auguro (ma già le nuvole sí addensano), verrà approvata la possibilità che gli omosessuali possano adottare i figli dei loro partner, nati da precedenti relazioni eterosessuali, non vedo come possa essere impedito alle coppie omosessuali che non si trovano in questa condizione, o alle coppie etrosessuali che non dispongono di un utero adatto, di ricorrere alle GPA, senza o con il contributo biologico di uno dei partner (la gratificazione narcisistica vuole la sua parte), per avere un figlio di cui prendere cura fin dal primo giorno della sua nascita. Perché dovrebbe essere loro riservata la sola possibilità di adottare bambini che hanno perduto traumaticamente i loro genitori biologici (tipicamente dopo un lungo abbandono), cioè “a danno già avvenuto”? Certamente le GPA comportano una discontinuità tra la madre della gravidanza e la madre della cura, che è foriera di indubbie difficoltà. Queste difficoltà sono, tuttavia, superabili in presenza di un adeguato impegno, in termini di desiderio è di affetto, che fa fronte alla “cesura” della nascita (in questo caso più forte).
    A nessuno può essere negato a priori (a parte casi di gravissime controindicazioni) la possibilità di realizzare il suo desiderio di essere genitore. Non lo si può fare neppure in modo indiretto, riservando a coloro che non possono procreare in modo “naturale” le genitorialità difficili, a tratti molto frustranti, che devono riparare fallimenti genitoriali pregressi, a volte gravissimi. La cura dei figli non ha carattere sacrificale, implica sempre una gratificazione, un piacere personale. Questo crea di fatto una forte domanda di GPA, che non può essere interdetta, ma deve essere capita. Ci dice soprattutto che la cura dei bambini “orfani” non può essere risolta nell’ambito di una genitorialità di ripiego, supposta, vissuta, come di serie B, ma attraverso l’assunzione consapevole di una responsabilità, riguardante eterosessuali e omosessuali, coppie fertili e coppie sterili, nei confronti del desiderio che vive nel dolore di ogni bambino.
    Non c’è dubbio che il ricorso alle GPA implichi rischi etici molto seri (sui quali non mi dilungo, dando per scontata la loro evidenza) ma questi rischi non sono da ascrivere alle GPA in se stesse, bensì al loro uso improprio. Pensare che esistano leggi che possano disciplinare, in modo diretto, l’uso delle modalità con cui l’essere umano può supplire ai suoi limiti naturali, evitandone gli eccessi, è un’illusione. L’uso appropriato di queste modalità è determinato dal senso di responsabilità nei confronti dell’altro, dalla presenza di una vera cultura etica. Se la cultura in cui viviamo elude l’elaborazione della perdita associata ai limiti, se gli strumenti sostitutivi di ciò che non è naturalmente possibile, diventano la sostituzione del lutto e portano alla negazione onnipotente della perdita, la legge ordinaria non può contraddire l’abuso delle “protesi” tecnologiche dell’esistenza: lo compiace, a lungo andare, tanto maggiormente quanto più sembra di contrastarlo.
    Sarantis Thanopulos

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    • simonetta.putti

      Grazie, Sarantis, per
      Grazie, Sarantis, per l’articolata risposta. Mi soffermo sulla parte finale: “Se la cultura in cui viviamo elude l’elaborazione della perdita associata ai limiti, se gli strumenti sostitutivi di ciò che non è naturalmente possibile, diventano la sostituzione del lutto e portano alla negazione onnipotente della perdita, la legge ordinaria non può contraddire l’abuso delle “protesi” tecnologiche dell’esistenza: lo compiace, a lungo andare, tanto maggiormente quanto più sembra di contrastarlo.” Condivido pienamente questa tua lettura dello Spirito del tempo in cui siamo; credo però che a noi attenga anche il compito / possibilità di non farci travolgere dallo ‘sciame’ di un conformismo pilotato dal mercato, e di cercare il recupero del senso del Limite. Credo che alla visione catastrofica di Byung-Chul Han .. si possano contrapporre antidoti….

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    • bianchivaleria

      Buonasera, aggiungo un’ultima
      Buonasera, aggiungo un’ultima riflessione – – citando prima l’interessante “Il corpo come luogo dello sfruttamento”
      e il concetto di “retorica del dono”.
      (http://www.unipd.it/ilbo/corpo-come-luogo-sfruttamento)

      La Gpa come “modello commerciale, che paradossalmente esclude dai maggiori benefici proprio le donne, a causa di un modello mistificante che Coooper e Waldby chiamano ‘la retorica del dono’. L’articolo 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, per prendere un esempio tra tanti, stabilisce “il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro”. Un tabù, quello della commercializzazione dei tessuti, che però non tutela i soggetti più deboli, ma anzi alla fine si risolve in un espediente per indebolirne la posizione contrattuale.”
      “La donazione e la gestazione per altri sono di solito sottoposte a contratti secondo i quali la donna perde praticamente ogni diritto sugli ovociti e sul feto: se vuol essere pagata dovrà obbedire sotto ogni aspetto ai desiderata dei committenti e sottoporsi agli esami e alle procedure cliniche previste, compreso l’aborto. In questo senso il biolavoro non sarebbe altro, secondo questa visione, che la nuova forma assunta oggi dallo sfruttamento dei corpi, in particolare femminili, con in più un elevato tasso di industrializzazione.”
      E d’accordo, questo non piace ai più. Alcune/alcuni cercano di porre dei limiti o, almeno, come facciamo noi – io e la Dottoressa Putti certamente – di stimolare riflessioni sul limite del/al desiderio.

      Se desiderando – come narra l’etimologia del termine – cerco le stelle, non è detto che si debba incentivare per forza l’andare a coglierle per tirarle giù dal cielo. Si scoprirà, forse, che è impossibile. Tradotto in termini più comprensibili ai più: quel che sarà dei figli surrogati lo sapremo solo tra molti anni.
      Nell’ampia (o quasi) raccolta di ricerche a nostra disposizione manca quasi completamente quella relativa al tema surrogacy. Manca soprattutto rispetto ai figli nati “abroad” da coppie gay e madri surrogate.

      Lancio una provocazione costruttiva, spero. Perché non andare tutti noi a supportare e aiutare al meglio le scelte che, nelle famiglie omogenitoriali, portano ad altre metodologie? Non solo l’adozione, come si diceva qui sotto, ma il co-parenting. Se non co-parenting tra due coppie (lesbo-gay) magari la costruzione di famiglie con un’amica? Con qualcuno che non sarà “laggiù in California” ma vicino, possibile scelta di relazione concreta anche per i bambini? Una surrogata-amica, vicina, che possa fare la mamma anche part-time, per dire.

      Se il bambino da adottare ha, come viene sottolineato nel commento, già subito il suo trauma, e quindi è meno ambito del “nuovo figlio” con quale responsabilità – appunto – si sceglie di far subire il lutto, la separazione al nuovo figlio (“negazione onnipotente della perdita”, come nelle frasi dei padri surrogati “no, non ha sofferto”, “la madre è solo un concetto antropologico”, “va tutto benissimo”)?

      Letteralizziamo e radicalizziamo. “I bambini stanno bene nelle famiglie omogenitoriali” diventa = a – allora eliminiamo l’altro.

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