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La norma e l’eccezione

16 Mag 16

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Donald Trump, candidato quasi certo dei Repubblicani alla presidenza degli Stati Uniti, ha compreso la posta in gioco nell’elezione di Sadiq Khan, laburista di fede musulmana, a sindaco di Londra. Com’è noto, Trump ha messo al centro del suo programma elettorale l’impegno di bandire, temporaneamente, l’ingresso negli Stati Uniti a tutti i musulmani. Quando gli è stato chiesto cosa avrebbe fatto, una volta eletto, con Khan, che ha manifestato l’intenzione di visitare gli Stati Uniti, ha risposto: “Ci saranno sempre eccezioni”. Ha aggiunto che aveva visto con piacere l’elezione di Khan e gli augurava di fare un buon lavoro.
L’eccezione rappresentata dall’elezione di un musulmano alla testa di una delle più importanti capitali dell’Europa, funzionerà come conferma della norma -l’esclusione del diverso dal governo della comunità- o segnerà, invece, l’inizio di una sua irreversibile destabilizzazione? I populisti xenofobi optano consapevolmente per la prima cosa. Scindere gli stranieri integrabili, o già integrati, dalle folle degli immigrati che invadono tumultuosamente la terra dove il caso e la necessità li hanno gettati, consente di assimilare i primi ai propri modelli di chiusura verso l’altro e rinforzare l’argine nei confronti dei secondi.
Checché se ne pensi, la xenofobia o il razzismo non sono che debolmente associati al narcisismo delle differenze, piccole o grandi. Il colore della pelle, il modo di vestirsi, i costumi, i credi religiosi, i modi di pensare sono soltanto fattori facilitanti l’azione discriminante o puri pretesti. La radice del rigetto dell’altro è nella dissoluzione delle relazioni di scambio a favore dei rapporti di potere unilaterali, nel trionfo dell’arbitrio sulla libera circolazione del desiderio. Il rigetto non respinge il deviante, lo costituisce come tale: lo usa  come puro annesso della propria esistenza o, se questo non è possibile, lo fa sparire dalla propria vista. Annessione e espulsione vanno di pari passo: tutto quello che può servire all’ottundimento dei propri sensi è depredato con avidità e ciò che può risvegliarli è buttato via/ annientato.
L’evidente squilibrio di Trump non è lo spostamento dal proprio centro di gravità di chi patisce eventi travolgenti che lo investono con forza imprevista, né il decentramento, non scevro di rischi, della propria esistenza di chi si sporge verso l’alterità, aprendosi alla vita. Trump si squilibra nel suo allontanarsi dalla vita, rifiutando il disordine e gli sconvolgimenti che ne fanno parte. Nel combattere l’imprevedibilità (che come ogni calcolatore cerca di forzare a suo favore), distorce il suo modo di sentire, pensare ed essere, creando un modello del vivere che è parimenti statico e bizzarro. Cerca di costruire un mondo a sua immagine e somiglianza, secondo un personale capriccio che non tiene conto dell’altro (se non per motivi strumentali), ma solo di ciò che gli garba: ciò che non scompiglia le sue carte.
La xenofobia, nelle sue forme organizzate più estreme, tende a sfociare nella configurazione della norma nella sua forma pura: l’agire come eccezione dalla vita. La violenza del suo linguaggio riflette la violenza del suo impatto sul tessuto vivo dell’esperienza. Nel confronto con l’equilibrio sempre in movimento, instabile del mondo reale, lo squilibrio immobile, pietrificato del potere normativo rivela la sua azione implacabile di sterminatore.
Di stermini della differenza la storia è piena. Le loro avvisaglie sono regolarmente ignorate, tanto forte è il richiamo all’ordine nei periodi di tempesta.Vale poco l’esperienza che la catastrofe si annida in questo richiamo.

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