Il Poppante Saggio
Blog ferencziano
di Gianni Guasto

LA DUREZZA DELLA MATERIA

Share this
22 maggio, 2016 - 11:00
di Gianni Guasto

 
Provo sempre un misto di ammirazione e di stupito straniamento, quando osservo l'agente speciale Leroy Jethro Gibbs, main character della serie televisiva NCIS, mentre leviga il legno delle sue barche. Per due ragioni: la prima è che sono barche non destinate alla navigazione, ma alla demolizione non appena ultimate. Anziché in un cantiere, come sarebbe normale, Gibbs costruisce i suoi praho nella propria cantina dotata di un ingresso di normali dimensioni: va da sè che da lì le navi non usciranno mai, se non a pezzi piuttosto piccoli.
La seconda ragione sta nel fatto che Gibbs prova uno speciale piacere nel contatto fisico con il legno, che gli piace levigare e modellare a suo piacimento con movimenti sapientemente ripetitivi e condiscendenti, avendo l'accortezza di "seguirne le venature": cioè di rispettarne l'anima profonda.
Perché, se non ci si preoccupa di accondiscendere alla durezza della materia, nessuna trasformazione è possibile. Ed è proprio questa lotta impari, nella quale un uomo estremamente paziente e rassegnato può riuscire vincitore, che mi ha sempre angosciato.
Ho sempre ammirato la forza paziente dei maestri d'ascia in grado di piegare alberi secolari per trasformarli in scafi leggeri e filanti. Ma fu un'ammirazione esercitata da lontano.
Nei confronti della materia dura: legno metallo, pietra, ho sempre avuto un istintivo rifiuto, fin da quando, bambino, ricevetti da mio padre la proposta di provare ad affrontarla. Allora, la mia fu una rinuncia a priori: e fu talmente perentoria che mio padre non mi propose mai più di ritornarvi.
Vi era allora forse in me l'oscuro presentimento che avrei inseguito in futuro la trasformabilità di materie immateriali? Pensiero, emozione, angoscia, sogno, sarebbero stati ciò che mi avrebbe maggiormente impegnato, fino a diventare un modo di esistere e di relazionarmi.
Quando mi capitò di trascorrere otto lunghi anni in manicomio, mi confrontai con una materia mentale pietrificata, fossile, nei confronti della quale nessuna manipolazione, intaglio, carotaggio, rimodellamento erano possibili, a parte i piccoli tentativi di modificarne l'ambiente di vita. Forse, meglio di me avrebbe saputo fare un architetto.
Spaventato dall'idea dell'impotenza, decisi di evitare le psicosi cronicizzate: probabilmente sbagliando, ero convinto che nulla si potesse fare se non mantenere degli status quo di quiete, faticosamente raggiunti nel rispetto della loro immutabilità, evitando derive pericolose e smottamenti. Neanche gli psicofarmaci mi sembravano idonei ad avviare cambiamenti, per quanto non mi nascondessi l'enorme valore  di ciò che può consentire residui di libertà e margini di convivenza in un mondo non oppresso da muri e catene.
Decisi di dedicarmi all'infanzia, alle gravidanze difficili, agli esordi male accolti, agli esiti di violenze recenti, e non ancora indovate in profondità. Volevo accompagnare le emozioni e le angosce allo stato nascente. Fu una bella avventura. E lo fu perché proprio lì compresi, e finalmente accettai, il principio secondo  il quale l'anima profonda delle cose, come le venature dei legni di Gibbs, va assecondata e rispettata, mentre si prova a liberarla dalle scorie, chiamandola a nuova vita.
Nell'ora che imbrunisce, è tempo di bilanci. In questo mio lento completarmi, trovo costantemente nuove brevi primavere e incontri che mi mantengono nell'eterna condizione di apprendista, la più adatta a dar libero sfogo alla curiosità. Anche quando insegno ai più giovani, in realtà, cerco di imparare dalla mia, oltre che dall'altrui esperienza. E la scoperta tardiva ha un sapore particolare che non immaginavo di poter gustare così piacevolmente.
Ora lavoro con adolescenti "psichiatrici" affetti dalla malattia che fa loro (e altrui) sembrare chiuso il proprio destino, impossibile ogni trasformazione, e la ripetizione eterna dell'incubo noto, una condanna senza fine.
È strano come mi sorprenda a osservare che piccoli cambiamenti segnano il ritmo di relazioni apparentemente limitate alla mera custodia: la voglia di stare fisicamente vicini,  uno sguardo ansioso nel ragazzo che spia sul volto della madre provvisoria di turno l'assenza della riprovazione per una trasgressione appena commessa. Il gioco, impertinente e canzonatorio che una ragazza mi chiede ogni volta che c'incontriamo. Ragazzi provenienti da famiglie devastate dalla violenza, dell'abbandono dalla malattia mentale dei genitori, dalla tossicodipendenza e da devastanti ludopatie. Il legno delle navi di Gibbs lentamente comincia a prendere forma, la pazienza dei maestri d'ascia comincia a prendere lentissimamente il sopravvento sulla resistenza del fasciame da galera. Agili triremi forse non scatteranno sulle onde per merito nostro, ma è possibile che ciò che si dà a chi è stato svuotato, rimanga; che qualcosa sia, finalmente, per sempre. Il mio io giovane non avrebbe sperato di arrivare a tanto.
 

> Lascia un commento



Totale visualizzazioni: 2754