LA PSICOLOGIA COME RELIGIONE: SOLO CREDENDOCI QUALCOSA PUÒ CAMBIARE
di Luciano Casolari, ilfattoquotidiano.it, 10 maggio 2016
Ieri sono andato a un seminario ove un collega ha descritto e raccontato le emozioni provate durante una delle ultime sedute di una psicoanalisi. Non racconterò, per esigenza di spazio, tutta la seduta ma la sensazione di paura, angoscia e soprattutto di mancanza che emergeva. Il paziente credente sentiva in quel momento della sua vita un vuoto di fede e anche l’analista, pur agnostico da anni, ha avvertito fisicamente del gelo e la sensazione di solitudine. Come se Dio se ne fosse andato e li avesse lasciati soli. La fine di una psicoterapia è sempre un momento difficile sia per il paziente che per il terapeuta. Molte domande affollano la mente. Ce la farò? Sono guarito? Si chiede il paziente. Anche lo psicoterapeuta, pur avendo avuto esperienze analoghe che lo confortano, tra le quali la sua personale analisi, è dubbioso. Avrò fatto tutto quello che potevo e dovevo?
Segue qui:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/05/10/la-psicologia-come-religione-solo-credendoci-qualcosa-puo-cambiare/2707222/
Ieri sono andato a un seminario ove un collega ha descritto e raccontato le emozioni provate durante una delle ultime sedute di una psicoanalisi. Non racconterò, per esigenza di spazio, tutta la seduta ma la sensazione di paura, angoscia e soprattutto di mancanza che emergeva. Il paziente credente sentiva in quel momento della sua vita un vuoto di fede e anche l’analista, pur agnostico da anni, ha avvertito fisicamente del gelo e la sensazione di solitudine. Come se Dio se ne fosse andato e li avesse lasciati soli. La fine di una psicoterapia è sempre un momento difficile sia per il paziente che per il terapeuta. Molte domande affollano la mente. Ce la farò? Sono guarito? Si chiede il paziente. Anche lo psicoterapeuta, pur avendo avuto esperienze analoghe che lo confortano, tra le quali la sua personale analisi, è dubbioso. Avrò fatto tutto quello che potevo e dovevo?
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http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/05/10/la-psicologia-come-religione-solo-credendoci-qualcosa-puo-cambiare/2707222/
L’INCONSCIO CI GUIDA. Le parole del Papa che sferzano l’Europa, le accuse di Trump e la nuova gioventù di Berlusconi
di Umberto Silva, ilfoglio.it, 11 maggio 2016
Papa Francesco ha frustato l’Europa che non è più madre e nemmeno padre. La cosa mi ha fatto piacere, anche perché due giorni prima di lui quelle stesse parole le ho scritte io. Lungi da me ogni vanità, è esattamente il contrario. Se scrivo certe cose addirittura anticipando il Papa, significa che anche i più imbecilli degli umani, tra i quali mi annovero, hanno capito che qualcosa di orrendo sta accadendo nel mondo e cominciano ad agitarsi. Ma le radici erano avvelenate già da tempo, la chiesa era decaduta e le nazioni anche, ci si è creduti eterni dominatori che potevano prendersi il lusso di trattare i paesi arretrati da ritardati mentali, col risultato di farne davvero dei pazzi ma cattivi, cattivissimi.
L’Europa ma anche l’America, il disastro coinvolge tutto l’occidente. Se il Parlamento italiano è pieno di buffoni, costoro almeno ci fanno ridere quando invece un Donald Trump… Parlando del caso Trump, Obama ha evocato il circo, pensando così di bollare lo scalmanato. In realtà il circo è istituzione assai nobile, una tradizione addirittura liturgica, mentre con Donald Trump siamo da altre parti. I Bush, gentiluomini all’antica, si ritirano e lanciano la maledizione, vedendo il partito sputtanato immagino che sarà difficile per loro dare la mano al nuovo premier, probabilmente gli schiacceranno le famose ditine. E la regina d’Inghilterra? Lei non farà una piega, lei ha stretto la mano a gente impresentabile senza dire bah; la regina si pensa immortale e stima il suo interlocutore un morto in piedi. Quei pochi che stringeranno la mano a Trump diranno che lo fanno per la patria, e gli stessi suoi servi, dal maggiordomo al segretario di stato, diranno che lo fanno per incivilirlo, lasciando intendere che sotto sotto sono loro a governare. E così combineranno porcate indegne. Nel frattempo molti vip diserteranno i balli alla Casa Bianca ostentando sdegno, mentre molti altri ci si ficcheranno accampando il pretesto che vogliono vedere fino anche punto…
Segue qui:
http://www.ilfoglio.it/la-politica-sul-lettino/2016/05/11/linconscio-ci-guida___1-vr-141837-rubriche_c396.htm
Papa Francesco ha frustato l’Europa che non è più madre e nemmeno padre. La cosa mi ha fatto piacere, anche perché due giorni prima di lui quelle stesse parole le ho scritte io. Lungi da me ogni vanità, è esattamente il contrario. Se scrivo certe cose addirittura anticipando il Papa, significa che anche i più imbecilli degli umani, tra i quali mi annovero, hanno capito che qualcosa di orrendo sta accadendo nel mondo e cominciano ad agitarsi. Ma le radici erano avvelenate già da tempo, la chiesa era decaduta e le nazioni anche, ci si è creduti eterni dominatori che potevano prendersi il lusso di trattare i paesi arretrati da ritardati mentali, col risultato di farne davvero dei pazzi ma cattivi, cattivissimi.
L’Europa ma anche l’America, il disastro coinvolge tutto l’occidente. Se il Parlamento italiano è pieno di buffoni, costoro almeno ci fanno ridere quando invece un Donald Trump… Parlando del caso Trump, Obama ha evocato il circo, pensando così di bollare lo scalmanato. In realtà il circo è istituzione assai nobile, una tradizione addirittura liturgica, mentre con Donald Trump siamo da altre parti. I Bush, gentiluomini all’antica, si ritirano e lanciano la maledizione, vedendo il partito sputtanato immagino che sarà difficile per loro dare la mano al nuovo premier, probabilmente gli schiacceranno le famose ditine. E la regina d’Inghilterra? Lei non farà una piega, lei ha stretto la mano a gente impresentabile senza dire bah; la regina si pensa immortale e stima il suo interlocutore un morto in piedi. Quei pochi che stringeranno la mano a Trump diranno che lo fanno per la patria, e gli stessi suoi servi, dal maggiordomo al segretario di stato, diranno che lo fanno per incivilirlo, lasciando intendere che sotto sotto sono loro a governare. E così combineranno porcate indegne. Nel frattempo molti vip diserteranno i balli alla Casa Bianca ostentando sdegno, mentre molti altri ci si ficcheranno accampando il pretesto che vogliono vedere fino anche punto…
Segue qui:
http://www.ilfoglio.it/la-politica-sul-lettino/2016/05/11/linconscio-ci-guida___1-vr-141837-rubriche_c396.htm
BATACLAN, LA PSICANALISI SPIEGA LA STRAGE. Alessandra Guerra ha intervistato otto analisti francesi. Per capire il perché di tanta ferocia e le responsabilità d’Occidente
di Carmine Castoro, unita.tv, 11 maggio 2016
C’è un termine francese, déshérence, che in italiano vuol dire più o meno “essere diseredati”, in una doppia accezione: chi è diseredato è privato deliberatamente da qualcun altro di qualcosa che gli appartiene come patrimonio, come ricchezza, come valore acquisito, ma chi è diseredato è anche colui che qualcun altro non riconosce degno del lascito e della gestione di una risorsa morale e materiale, di una proprietà, come se non ne avesse i numeri, la disponibilità giuridica e spirituale. È un termine che usa Charles Melman, uno degli otto psicanalisti francesi che in una tagliente, irrinunciabile raccolta di interviste curata da Alessandra Guerra, Attacco alla generazione Bataclan: perché? (edizioni ETS, pagg. 76, euro 10) si interrogano sulle radici dell’odio del sedicente Califfato che ha inondato di atrocità le cronache del mondo, e sullo sviluppo di quella cruentissima guerra di espansione e “redenzione” che l’Isis sta mettendo in atto contro l’Occidente e i paesi “apostati” del Medioriente. «Oggi sta accadendo – risponde Melman – che un certo numero di giovani musulmani si senta abbandonato dalle proprie famiglie, incapaci di trasmettere una cultura di origine, con dei padri che sono e vivono da umiliati, depressi, sottomessi e che, per affermare la loro autorità, diventano molto brutali e violenti. In più, questi ragazzi, a causa della disoccupazione di massa, vivono come se non fossero riconosciuti dalla comunità».
Cosa vuol dire questo? Che, da un lato, le etnie di fede islamica che vivono ai margini delle nostre metropoli, Parigi sopra tutte, vedono nei loro genitori l’effige sfigurata delle discriminazioni e delle sopraffazioni perpetrate negli ultimi decenni dalle politiche sistemiche di colonizzazione bellica e mercantile messe in atto dai Paesi europei e dagli Stati Uniti contro le loro terre di appartenenza; dall’altro, che la società dell’abbondanza, del liberismo, dell’elogio della facoltà di costruirsi un destino, è solo un gigantesco regime delle illusioni, un Capitalismo ingannatore che non fa altro che perpetuare emarginazione, pregiudizio, disgregazione, l’inscrizione sin dalla nascita di migliaia di maghrebini, siriani, irakeni, libici in quella che Francoise Jandrot chiama la “filiera dell’esclusione”, forgiata sulle banlieue, eterna miccia accesa nel cuore di un’urbanità asettica e accelerata, baratri delle differenze negate, “veri e propri luoghi del non diritto”.
Segue qui:
http://www.unita.tv/focus/bataclan-la-psicanalisi-spiega-la-strage/
C’è un termine francese, déshérence, che in italiano vuol dire più o meno “essere diseredati”, in una doppia accezione: chi è diseredato è privato deliberatamente da qualcun altro di qualcosa che gli appartiene come patrimonio, come ricchezza, come valore acquisito, ma chi è diseredato è anche colui che qualcun altro non riconosce degno del lascito e della gestione di una risorsa morale e materiale, di una proprietà, come se non ne avesse i numeri, la disponibilità giuridica e spirituale. È un termine che usa Charles Melman, uno degli otto psicanalisti francesi che in una tagliente, irrinunciabile raccolta di interviste curata da Alessandra Guerra, Attacco alla generazione Bataclan: perché? (edizioni ETS, pagg. 76, euro 10) si interrogano sulle radici dell’odio del sedicente Califfato che ha inondato di atrocità le cronache del mondo, e sullo sviluppo di quella cruentissima guerra di espansione e “redenzione” che l’Isis sta mettendo in atto contro l’Occidente e i paesi “apostati” del Medioriente. «Oggi sta accadendo – risponde Melman – che un certo numero di giovani musulmani si senta abbandonato dalle proprie famiglie, incapaci di trasmettere una cultura di origine, con dei padri che sono e vivono da umiliati, depressi, sottomessi e che, per affermare la loro autorità, diventano molto brutali e violenti. In più, questi ragazzi, a causa della disoccupazione di massa, vivono come se non fossero riconosciuti dalla comunità».
Cosa vuol dire questo? Che, da un lato, le etnie di fede islamica che vivono ai margini delle nostre metropoli, Parigi sopra tutte, vedono nei loro genitori l’effige sfigurata delle discriminazioni e delle sopraffazioni perpetrate negli ultimi decenni dalle politiche sistemiche di colonizzazione bellica e mercantile messe in atto dai Paesi europei e dagli Stati Uniti contro le loro terre di appartenenza; dall’altro, che la società dell’abbondanza, del liberismo, dell’elogio della facoltà di costruirsi un destino, è solo un gigantesco regime delle illusioni, un Capitalismo ingannatore che non fa altro che perpetuare emarginazione, pregiudizio, disgregazione, l’inscrizione sin dalla nascita di migliaia di maghrebini, siriani, irakeni, libici in quella che Francoise Jandrot chiama la “filiera dell’esclusione”, forgiata sulle banlieue, eterna miccia accesa nel cuore di un’urbanità asettica e accelerata, baratri delle differenze negate, “veri e propri luoghi del non diritto”.
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http://www.unita.tv/focus/bataclan-la-psicanalisi-spiega-la-strage/
FREUD SUL RENON, MOSTRA FOTOGRAFICA. A Soprabolzano il percorso per immagini curato da Marchioro In una lettera del 1911 si legge: «Qui sto divinamente bene»
di Redazione, altoadige.gelocal.it, 13 maggio 2016
L’Associazione turistica e il Comune di Renon hanno promosso e dedicato una mostra fotografica al fondatore della psicoanalisi Sigmund Freud, presso la stazione del trenino di Soprabolzano. La mostra è curata dallo storico della psicoanalisi Francesco Marchioro che ha delineato un percorso a ritroso, com’è tipico del processo analitico, ovvero a partire dalla costruzione del trenino del Renon, quindi dalle recenti attività di congressi e di “settimane freudiane” organizzate sin dal 1993 sul Renon dall’associazione Imago-Ricerche di psicoanalisi di Bolzano, fino a passi della storia familiare e scientifica di Sigmund Freud. Ma, qual è il legame tra Freud e il Renon, e come vi giunge Freud? In una lettera del febbraio 1911 egli rivela a Carl Gustav Jung che per la per la prossima estate ha «bisogno di un posto in cui possa essere solo e di un bosco nelle vicinanze». Così, prima di Pasqua, parte da Vienna in compagnia dell’amico e allievo Sandor Ferenczi e compie una breve gita nei dintorni di Trento e Bolzano per trovare quel posto desiderato. La ricerca gli offre un luogo davvero speciale: il Renon. Così, mentre la moglie Martha e i figli lasciano Vienna già all’inizio di luglio (1911) e si recano sul Renon, dapprima a Soprabolzano e poi a Collalbo, Freud li raggiungo intorno al 20 luglio, dopo un soggiorno a Karlsbad, dove si era recato per rimettersi da una “colite americana”. E il suo arrivo segna il punto più gioioso della vacanza: iniziano le escursioni, le passeggiate e la raccolta dei funghi, un passatempo molto amato da tutta la famiglia.
Segue qui:
http://altoadige.gelocal.it/tempo-libero/2016/05/13/news/freud-sul-renon-mostra-fotografica-1.13469560
L’Associazione turistica e il Comune di Renon hanno promosso e dedicato una mostra fotografica al fondatore della psicoanalisi Sigmund Freud, presso la stazione del trenino di Soprabolzano. La mostra è curata dallo storico della psicoanalisi Francesco Marchioro che ha delineato un percorso a ritroso, com’è tipico del processo analitico, ovvero a partire dalla costruzione del trenino del Renon, quindi dalle recenti attività di congressi e di “settimane freudiane” organizzate sin dal 1993 sul Renon dall’associazione Imago-Ricerche di psicoanalisi di Bolzano, fino a passi della storia familiare e scientifica di Sigmund Freud. Ma, qual è il legame tra Freud e il Renon, e come vi giunge Freud? In una lettera del febbraio 1911 egli rivela a Carl Gustav Jung che per la per la prossima estate ha «bisogno di un posto in cui possa essere solo e di un bosco nelle vicinanze». Così, prima di Pasqua, parte da Vienna in compagnia dell’amico e allievo Sandor Ferenczi e compie una breve gita nei dintorni di Trento e Bolzano per trovare quel posto desiderato. La ricerca gli offre un luogo davvero speciale: il Renon. Così, mentre la moglie Martha e i figli lasciano Vienna già all’inizio di luglio (1911) e si recano sul Renon, dapprima a Soprabolzano e poi a Collalbo, Freud li raggiungo intorno al 20 luglio, dopo un soggiorno a Karlsbad, dove si era recato per rimettersi da una “colite americana”. E il suo arrivo segna il punto più gioioso della vacanza: iniziano le escursioni, le passeggiate e la raccolta dei funghi, un passatempo molto amato da tutta la famiglia.
Segue qui:
http://altoadige.gelocal.it/tempo-libero/2016/05/13/news/freud-sul-renon-mostra-fotografica-1.13469560
ENZO BIANCHI: «NEANCHE GLI UOMINI RELIGIOSI HANNO CAPITO LA MISERICORDIA DI DIO». Al Salone del libro di Torino il priore della Comunità di Bose dialoga con Massimo Recalcati sul suo ultimo libro e dice: «Nella storia della Chiesa la misericordia è stata interpretata esattamente all’opposto di come l’ha messa in pratica in Gesù. Ecco perché è uno scandalo e una follia»
di Antonio Sanfrancesco, famigliacrisitana.it, 15 maggio 2016
La misericordia è qualcosa di scandaloso, folle persino per la logica umana. Non di rado, nel corso della storia e all’interno della Chiesa, è stata interpretata esattamente all’opposto da come l’ha messa in pratica Gesù con la donna adultera che scribi e farisei volevano lapidare. Enzo Bianchi parla con la verve dell’uomo appassionato. Cita i Vangeli, la festa ebraica dello Yom Kippur, il profeta Osea e il mistico russo Silvano del Monte Athos. Al Salone del Libro di Torino dialoga con lo psicanalista Massimo Recalcati partendo dal suo ultimo libro L’amore scandaloso di Dio (San Paolo, 144 pp. € 7,99).
Il Priore della Comunità di Bose sottolinea il senso paradossale della misericordia: «Non è il pentimento che crea il perdono», spiega, «ma il perdono che ci viene dato che provoca il pentimento». Questo è possibile grazie alla «forza asimmetrica», come la definisce Recalcati, del perdono: «Non perdono l’altro perché si pente ma lo perdono perché questo gesto apre allo scenario inedito del pentimento e permette a quell’uomo di ricominciare».
Nell’Auditorium del Lingotto gremito di gente un laico e un uomo di fede dialogano su una materia spinosissima e a tratti sembra un duetto di voce sola. «Nella mia esperienza di psicanalista», sottolinea Recalcati, «so bene che se c’è un’esperienza umana che più somiglia alla risurrezione, questa è l’esperienza di essere perdonati. Perché permette a chi è perdonato di continuare a vivere, gli offre un’altra chance, segna un nuovo inizio». Enzo Bianchi fa una premessa: «Il tema del perdono non mi appartiene né dall’infanzia, né dall’educazione cattolica. Fino a 30 anni ero rigorista, i miei modelli erano Giovanna d’Arco e Thomas Beckett». Poi l’incontro con il testo biblico e con quella affermazione, autenticamente scandalosa e rivoluzionaria, che il profeta Osea mette in bocca a Dio: “Misericordia io voglio e non sacrifici, la conoscenza di Dio più degli olocausti”». Bianchi spiega il senso di questa doppia affermazione: «Sacrifici e olocausti, concettualmente, vanno insieme e questo in fondo lo capiamo», scandisce, «più difficile da capire, perché radicalmente nuovo, è mettere insieme misericordia e conoscenza di Dio. Significa che Dio lo possiamo conoscere solo in un’esperienza passiva di misericordia, di amore e di riconciliazione, altrimenti diventa un idolo che ci fabbrichiamo su misura, il prodotto delle nostre proiezioni. L’inferno per l’uomo, per ognuno di noi, è non essere perdonati da nessuno».
Segue qui:
http://www.famigliacristiana.it/articolo/enzo-bianchi-la-misericordia-e-uno-scandalo-che-gli-uomini-religiosi-non-hanno-capito.aspx
La misericordia è qualcosa di scandaloso, folle persino per la logica umana. Non di rado, nel corso della storia e all’interno della Chiesa, è stata interpretata esattamente all’opposto da come l’ha messa in pratica Gesù con la donna adultera che scribi e farisei volevano lapidare. Enzo Bianchi parla con la verve dell’uomo appassionato. Cita i Vangeli, la festa ebraica dello Yom Kippur, il profeta Osea e il mistico russo Silvano del Monte Athos. Al Salone del Libro di Torino dialoga con lo psicanalista Massimo Recalcati partendo dal suo ultimo libro L’amore scandaloso di Dio (San Paolo, 144 pp. € 7,99).
Il Priore della Comunità di Bose sottolinea il senso paradossale della misericordia: «Non è il pentimento che crea il perdono», spiega, «ma il perdono che ci viene dato che provoca il pentimento». Questo è possibile grazie alla «forza asimmetrica», come la definisce Recalcati, del perdono: «Non perdono l’altro perché si pente ma lo perdono perché questo gesto apre allo scenario inedito del pentimento e permette a quell’uomo di ricominciare».
Nell’Auditorium del Lingotto gremito di gente un laico e un uomo di fede dialogano su una materia spinosissima e a tratti sembra un duetto di voce sola. «Nella mia esperienza di psicanalista», sottolinea Recalcati, «so bene che se c’è un’esperienza umana che più somiglia alla risurrezione, questa è l’esperienza di essere perdonati. Perché permette a chi è perdonato di continuare a vivere, gli offre un’altra chance, segna un nuovo inizio». Enzo Bianchi fa una premessa: «Il tema del perdono non mi appartiene né dall’infanzia, né dall’educazione cattolica. Fino a 30 anni ero rigorista, i miei modelli erano Giovanna d’Arco e Thomas Beckett». Poi l’incontro con il testo biblico e con quella affermazione, autenticamente scandalosa e rivoluzionaria, che il profeta Osea mette in bocca a Dio: “Misericordia io voglio e non sacrifici, la conoscenza di Dio più degli olocausti”». Bianchi spiega il senso di questa doppia affermazione: «Sacrifici e olocausti, concettualmente, vanno insieme e questo in fondo lo capiamo», scandisce, «più difficile da capire, perché radicalmente nuovo, è mettere insieme misericordia e conoscenza di Dio. Significa che Dio lo possiamo conoscere solo in un’esperienza passiva di misericordia, di amore e di riconciliazione, altrimenti diventa un idolo che ci fabbrichiamo su misura, il prodotto delle nostre proiezioni. L’inferno per l’uomo, per ognuno di noi, è non essere perdonati da nessuno».
Segue qui:
http://www.famigliacristiana.it/articolo/enzo-bianchi-la-misericordia-e-uno-scandalo-che-gli-uomini-religiosi-non-hanno-capito.aspx
IL GESTO DI ABRAMO PADRE TORMENTATO TRA AMORE E TIMORE”
di Massimo Recalcati, repubblica.it, 15 maggio 2016
Non c’è forse racconto più sconvolgente di quello biblico del cosiddetto “sacrificio di Isacco”. In esso sembra essere in gioco un rovesciamento traumatico della paternità: la mano del padre non protegge la vita del figlio, ma si arma per dargli la morte. Il testo biblico si impernia su una richiesta paradossale e atroce che un Padre (Dio) muove ad un altro padre (Abramo): che sacrifichi, in nome della fede, il suo figlio più amato Isacco. «Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, va’ nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su un monte che ti indicherò». Kierkegaard si è soffermato sullo scandalo di questa scena in pagine memorabili di Timore e tremore facendo di Abramo un “cavaliere della fede”. Secondo il filosofo danese il conflitto che attraversa Abramo è quello tra due Leggi inconciliabili; da una parte la Legge etica degli uomini che sancisce il dovere del padre di assumersi una responsabilità illimitata verso il proprio figlio e, dall’altra, la Legge di Dio che impone, assurdamente, che i limiti della Legge etica vengano oltrepassati, scardinati, trascesi dalla Legge religiosa che impone l’obbedienza assoluta verso Dio. È l’aut aut inaggirabile col quale Abramo si confronta: se rispetta la Legge etica degli uomini si trova a disdire la Legge religiosa di Dio; se invece segue la Legge religiosa di Dio si mette in contrasto con la Legge etica degli uomini.
Segue qui:
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2016/05/15/il-gesto-di-abramo-padre-tormentato-tra-amore-e-timore56.html?ref=search
Non c’è forse racconto più sconvolgente di quello biblico del cosiddetto “sacrificio di Isacco”. In esso sembra essere in gioco un rovesciamento traumatico della paternità: la mano del padre non protegge la vita del figlio, ma si arma per dargli la morte. Il testo biblico si impernia su una richiesta paradossale e atroce che un Padre (Dio) muove ad un altro padre (Abramo): che sacrifichi, in nome della fede, il suo figlio più amato Isacco. «Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, va’ nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su un monte che ti indicherò». Kierkegaard si è soffermato sullo scandalo di questa scena in pagine memorabili di Timore e tremore facendo di Abramo un “cavaliere della fede”. Secondo il filosofo danese il conflitto che attraversa Abramo è quello tra due Leggi inconciliabili; da una parte la Legge etica degli uomini che sancisce il dovere del padre di assumersi una responsabilità illimitata verso il proprio figlio e, dall’altra, la Legge di Dio che impone, assurdamente, che i limiti della Legge etica vengano oltrepassati, scardinati, trascesi dalla Legge religiosa che impone l’obbedienza assoluta verso Dio. È l’aut aut inaggirabile col quale Abramo si confronta: se rispetta la Legge etica degli uomini si trova a disdire la Legge religiosa di Dio; se invece segue la Legge religiosa di Dio si mette in contrasto con la Legge etica degli uomini.
Segue qui:
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2016/05/15/il-gesto-di-abramo-padre-tormentato-tra-amore-e-timore56.html?ref=search
GLI «ADULTESCENTI». Come prendersela con un adolescente che non ha voglia di crescere quando gli adulti li fanno vivere in un territorio fittizio, più virtuale e di fantasia che di realtà?
di Giuseppe Maiolo, ladigetto.it, 16 maggio 2016
Per capire i giovani di questo nostro tempo difficile, i loro linguaggi e quei comportamenti che spesso ci mettono in crisi, dovremmo domandarci dove sta andando la nostra società e gli adulti di riferimento. Un bel libro di alcuni anni fa intitolato «La società degli eterni adolescenti» del poeta americano Robert Bly, metteva l’accento proprio su questo: viviamo sempre di più immersi in una società «orizzontale», che non ha un sopra e un sotto, un prima e un poi; senza più padri e figli, ma neanche nonni e nipoti, siamo diventati tutti fratelli e sorelle. O amici. Quindi ci ritroviamo in una comunità di «adultescenti», dove si rimane eternamente giovani o veri e propri adolescenti che ancora ignorano le responsabilità, prima fra tutte quella di crescere e individuarsi. Come pretendere allora che i ragazzi diventino grandi e maturi, se i modelli di riferimento hanno i tratti del Bonsai, cioè sono genitori in miniatura? Come le piante Bonsai, non si sviluppano che in parte, perché costretti a vivere con poco terreno sotto i piedi non mettono radici profonde e restando piccoli, deboli e fragili. Allora spesso hanno difficoltà ad affrontare e sostenere la funzione genitoriale e non di rado cercano che qualcuno li sollevi da questo compito.
Segue qui:
http://www.ladigetto.it/permalink/54206.html
Per capire i giovani di questo nostro tempo difficile, i loro linguaggi e quei comportamenti che spesso ci mettono in crisi, dovremmo domandarci dove sta andando la nostra società e gli adulti di riferimento. Un bel libro di alcuni anni fa intitolato «La società degli eterni adolescenti» del poeta americano Robert Bly, metteva l’accento proprio su questo: viviamo sempre di più immersi in una società «orizzontale», che non ha un sopra e un sotto, un prima e un poi; senza più padri e figli, ma neanche nonni e nipoti, siamo diventati tutti fratelli e sorelle. O amici. Quindi ci ritroviamo in una comunità di «adultescenti», dove si rimane eternamente giovani o veri e propri adolescenti che ancora ignorano le responsabilità, prima fra tutte quella di crescere e individuarsi. Come pretendere allora che i ragazzi diventino grandi e maturi, se i modelli di riferimento hanno i tratti del Bonsai, cioè sono genitori in miniatura? Come le piante Bonsai, non si sviluppano che in parte, perché costretti a vivere con poco terreno sotto i piedi non mettono radici profonde e restando piccoli, deboli e fragili. Allora spesso hanno difficoltà ad affrontare e sostenere la funzione genitoriale e non di rado cercano che qualcuno li sollevi da questo compito.
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http://www.ladigetto.it/permalink/54206.html
INTERVISTA A RECALCATI: «UN FIGLIO NON È UN SOSTITUTO». Massimo Recalcati oggi a Trieste interverrà al convegno sulla maternità
di Federica Manzon, ilpiccolo.gelocal.it, 17 maggio 2016
Maternità è un’esperienza, è una condizione umana, è un tempo regolato dalla biologia e riconosciuto dalla legge, è un vincolo che lega due individui. Una definizione quindi che si apre da subito a una molteplicità di significati e ci obbliga a interrogarci sul concetto stesso di maternità: le sue manifestazioni e i suoi limiti. Se ne parlerà oggi a Trieste al convegno “Maternità: luci e ombre nel divenire madre” (hotel Nh, a partire dalle 9). Tra i relatori, lo psicanalista Massimo Recalcati, che al tema del materno e del paterno, della genitorialità, ha dedicato i suoi lavori più recenti. «Il desiderio di un figlio è una cosa diversa dal volere un figlio – mette in chiaro Recalcati -. Quando è solo la pura volontà del singolo a portare alla nascita il rischio è che questa non rappresenti altro che un potenziamento narcisistico della vita del genitore. Tutto il contrario del desiderio di dare la vita, che è invece esperienza del dono, del cedimento della propria identità come manifestazione di un atto d’amore».
Quali sono oggi i modi possibili in cui si declina la maternità?
«La cifra politica dei miei ultimi libri è sicuramente il tentativo di emancipare il padre e la madre dall’ideologia del sangue, della stirpe, del genere sessuale. Madre non ha genere sessuale, ma è l’altro che accoglie la vita con ospitalità, senza che il legame con la figura biologica diventi un’esclusività».
C’è maternità quindi anche in una coppia omosessuale?
«L’importante è che il figlio non nasca dalla volontà dell’uno di compensare le proprie mancanze, ma che sia il frutto dell’amore tra due, di un gesto creativo e non compensativo. In questo senso che i soggetti della coppia appartengano allo stesso sesso non cambia la questione».
Segue qui:
http://ilpiccolo.gelocal.it/tempo-libero/2016/05/17/news/un-figlio-non-e-un-sostituto-1.13493419
Maternità è un’esperienza, è una condizione umana, è un tempo regolato dalla biologia e riconosciuto dalla legge, è un vincolo che lega due individui. Una definizione quindi che si apre da subito a una molteplicità di significati e ci obbliga a interrogarci sul concetto stesso di maternità: le sue manifestazioni e i suoi limiti. Se ne parlerà oggi a Trieste al convegno “Maternità: luci e ombre nel divenire madre” (hotel Nh, a partire dalle 9). Tra i relatori, lo psicanalista Massimo Recalcati, che al tema del materno e del paterno, della genitorialità, ha dedicato i suoi lavori più recenti. «Il desiderio di un figlio è una cosa diversa dal volere un figlio – mette in chiaro Recalcati -. Quando è solo la pura volontà del singolo a portare alla nascita il rischio è che questa non rappresenti altro che un potenziamento narcisistico della vita del genitore. Tutto il contrario del desiderio di dare la vita, che è invece esperienza del dono, del cedimento della propria identità come manifestazione di un atto d’amore».
Quali sono oggi i modi possibili in cui si declina la maternità?
«La cifra politica dei miei ultimi libri è sicuramente il tentativo di emancipare il padre e la madre dall’ideologia del sangue, della stirpe, del genere sessuale. Madre non ha genere sessuale, ma è l’altro che accoglie la vita con ospitalità, senza che il legame con la figura biologica diventi un’esclusività».
C’è maternità quindi anche in una coppia omosessuale?
«L’importante è che il figlio non nasca dalla volontà dell’uno di compensare le proprie mancanze, ma che sia il frutto dell’amore tra due, di un gesto creativo e non compensativo. In questo senso che i soggetti della coppia appartengano allo stesso sesso non cambia la questione».
Segue qui:
http://ilpiccolo.gelocal.it/tempo-libero/2016/05/17/news/un-figlio-non-e-un-sostituto-1.13493419
“DONALD TRUMP? NON È POI COSÌ MALE”, PAROLA DI FILOSOFO MARXISTA
di Aldo Di Lello, secoloditalia.it, 17 maggio 2016
Il programma economico di Donald Trump? “E’ assai più moderato rispetto a quelli che piacciono alla destra americana. Sarebbe stato peggio Ted Cruz“. Il filosofo Slavoj Zizek dice cose che non ti aspetteresti mai di sentire da uno che ha appena pubblicato un libro che si intitola La nuova lotta di classe (Ostuni ed). In realtà queste parole di Zizek non sorprendono più di tanto chi conosce un po’ il suo pensiero. Il filosofo (insegna all’Università di Lubiana, ma è una sorta di “star” internazionale della cultura) è un esemplare particolare di intellettuale di sinistra: combatte il pensiero unico (al pari di tanti intellettuali di destra) e non crede nei “palliativi proposti dalla sinistra liberal”. “Lo so è triste – ammette in una intervista rilasciata a Guido Azzolini de la Repubblica – ma per capire il nostro tempo dobbiamo rivolgerci ai conservatori”. In un’altra occasione affermò: “La sinistra manca di visione globale e, se non bastasse, non ha uno straccio di programma alternativo alla spesa pubblica. E la tragedia è che l’unica opposizione all’ideologia liberaldemocratica è incarnata dai partiti populistici di una destra nazionalista”.
Il programma economico di Donald Trump? “E’ assai più moderato rispetto a quelli che piacciono alla destra americana. Sarebbe stato peggio Ted Cruz“. Il filosofo Slavoj Zizek dice cose che non ti aspetteresti mai di sentire da uno che ha appena pubblicato un libro che si intitola La nuova lotta di classe (Ostuni ed). In realtà queste parole di Zizek non sorprendono più di tanto chi conosce un po’ il suo pensiero. Il filosofo (insegna all’Università di Lubiana, ma è una sorta di “star” internazionale della cultura) è un esemplare particolare di intellettuale di sinistra: combatte il pensiero unico (al pari di tanti intellettuali di destra) e non crede nei “palliativi proposti dalla sinistra liberal”. “Lo so è triste – ammette in una intervista rilasciata a Guido Azzolini de la Repubblica – ma per capire il nostro tempo dobbiamo rivolgerci ai conservatori”. In un’altra occasione affermò: “La sinistra manca di visione globale e, se non bastasse, non ha uno straccio di programma alternativo alla spesa pubblica. E la tragedia è che l’unica opposizione all’ideologia liberaldemocratica è incarnata dai partiti populistici di una destra nazionalista”.
Di papa Bergoglio dice…
E dire che il pensiero di Zizek affonda le radici nell’economia politica di Marx, nella dialettica hegeliana, nelle categorie psicanalitiche di Lacan. Nell’intervista al quotidiano diretto da Mario Calabresi, ne ha per tutti, anche per papa Bergoglio. “Ovviamente ho accolto con favore la sua critica alla xenofobia. Ma il punto non è, come ha fatto Francesco, invocare diritti umani, democrazia e libertà, ma discutere dell’ordine economico globale che provoca queste migrazioni di massa”.
Segue qui:
http://www.secoloditalia.it/2016/05/donald-trump-non-e-poi-cosi-male-parola-di-filosofo-marxista/
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FEMMINE E PRETI. Se il Papa chiama le donne a una sovrana parte nella chiesa, siamo alla frutta e vale la pena mangiarla
di Umberto Silva, ilfoglio.it, 18 maggio 2016
Per amare Dio occorre non crederci troppo, Lui inatteso ti appare quanto la tempesta è più forte, quando il bene e il male si danno aspra battaglia tanto che non distingui l’uno dall’altro e senti la necessità d’invocare un Terzo che arbitri la partita. Dio Lo senti più vicino quando ti sembra allontano, Lo puoi incontrare in un deserto accecante ma può anche farsi vivo, sempre più raramente, in una chiesa ormai troppo consacrata, Dio cercando la novità, l’adveniat regnum, l’apocalisse, l’arrivo folle e trionfale delle donne al soglio pontificio sbandierando vesti ricamate e capelli al vento. Se Papa Francesco chiama le donne a una sovrana parte nella chiesa, vuol dire che siamo alla frutta, che è squisita e vale la pena mangiarsela. La frutta – mele e prugne, grazie – sono le donne che in questa tragica emergenza di sfinito amore e riluttante desiderio ed eros da quattro soldi e eteros frastornati, possono restituire alla chiesa tutto il bene che lei ha fatto loro, compreso il male, tanto che ci starebbe benissimo un’amazzonica pugna contro i terribili lefebvriani, che si concluda con sette spose per sette fratelli.
Segue qui:
http://www.ilfoglio.it/la-politica-sul-lettino/2016/05/18/donne-diacono-papa-francesco-chiesa___1-vr-142125-rubriche_c545.htm
Per amare Dio occorre non crederci troppo, Lui inatteso ti appare quanto la tempesta è più forte, quando il bene e il male si danno aspra battaglia tanto che non distingui l’uno dall’altro e senti la necessità d’invocare un Terzo che arbitri la partita. Dio Lo senti più vicino quando ti sembra allontano, Lo puoi incontrare in un deserto accecante ma può anche farsi vivo, sempre più raramente, in una chiesa ormai troppo consacrata, Dio cercando la novità, l’adveniat regnum, l’apocalisse, l’arrivo folle e trionfale delle donne al soglio pontificio sbandierando vesti ricamate e capelli al vento. Se Papa Francesco chiama le donne a una sovrana parte nella chiesa, vuol dire che siamo alla frutta, che è squisita e vale la pena mangiarsela. La frutta – mele e prugne, grazie – sono le donne che in questa tragica emergenza di sfinito amore e riluttante desiderio ed eros da quattro soldi e eteros frastornati, possono restituire alla chiesa tutto il bene che lei ha fatto loro, compreso il male, tanto che ci starebbe benissimo un’amazzonica pugna contro i terribili lefebvriani, che si concluda con sette spose per sette fratelli.
Segue qui:
http://www.ilfoglio.it/la-politica-sul-lettino/2016/05/18/donne-diacono-papa-francesco-chiesa___1-vr-142125-rubriche_c545.htm
IVANO SPANO E LA MALATTIA DELL’OCCIDENTE. Esce nuovo libro dello psicoanalista con prefazione di Zamperini
di Redazione, ansa.it, 19 maggio 2016
Oscilliamo tra presenza e assenza, tra realtà e apparenza. Nel mondo della rappresentazione, che “è l’unico che ci è dato di abitare”, viviamo “nella profonda ambiguità”. Ivano Spano, psicoanalista, docente all’Università di Padova, nel suo nuovo libro ‘La Malattia dell’Occidente. Marketing of life’ (Guerini e Associati), con la prefazione dello psicologo sociale Adriano Zamperini, ci mostra le nuove forme di alienazione provocate dal vivere nella virtualità.
Segue qui:
http://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/libri/2016/05/19/ivano-spano-e-la-malattia-delloccidente_9568fadc-00af-457b-943e-038dd832796d.html
Oscilliamo tra presenza e assenza, tra realtà e apparenza. Nel mondo della rappresentazione, che “è l’unico che ci è dato di abitare”, viviamo “nella profonda ambiguità”. Ivano Spano, psicoanalista, docente all’Università di Padova, nel suo nuovo libro ‘La Malattia dell’Occidente. Marketing of life’ (Guerini e Associati), con la prefazione dello psicologo sociale Adriano Zamperini, ci mostra le nuove forme di alienazione provocate dal vivere nella virtualità.
Segue qui:
http://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/libri/2016/05/19/ivano-spano-e-la-malattia-delloccidente_9568fadc-00af-457b-943e-038dd832796d.html
(Fonte dei pezzi della rubrica: http://rassegnaflp.wordpress.com)
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