Oracolo manuale e arte della prudenza, 4
Baltasar Gracian
Gli enigmi sono di casa in regime idealistico, dove riguardano i rapporti, originariamente insondabili, tra due essenze, per esempio, l’essenza latente dell’uomo (da indovinare) e l’essenza manifesta dell’animale che la mattina cammina a quattro zampe, a mezzogiorno con due e alla sera con tre (l’enigma della sfinge a Edipo). Perciò Freud, che era idealista, poteva dire di essere riuscito nell’ardua impresa di aver svelato (enthüllt) il segreto (Geheimnis) del sogno, stabilendo il rapporto tra contenuto latente e manifesto di certe rappresentazioni (o essenze) dell’apparato psichico. (v. la lettera di Freud a Fliess del 12 giugno 1900 a proposito di una lapide a memoria della scoperta della Traumdeutung). Che poi la Sfinge inconsapevolmente ponesse al figlio di Giocasta il grosso problema biologico del bipedismo, da cui dipende perfino il complesso d’Edipo, per via dell’immaturità motoria e intellettuale che costringe il piccolo dell’uomo a un lungo e coatto soggiorno in famiglia dopo il parto, è del tutto indifferente all’approccio enigmistico. Non ci sono retropensieri nell’indovinello. In fondo, ogni enigma è una futilità letteraria, buona tutt’al più per scrivere romanzi polizieschi. Riconosciuta questa banalità, la Sfinge poté sfracellarsi giù dalla rocca di Tebe. Sulla sua tomba Wittgenstein incise l’aforisma: “L’enigma non esiste” (Tractatus 6.5).
Siamo difronte al meno futile topos, evidenziato da Lacan, della divisione tra sapere e verità, avatar della divisione cartesiana tra sapere ed essere: l’uomo dell’ideale sta dalla parte della verità (dell’essere), l’uomo della scienza dalla parte del sapere. Edipo è l’uomo della verità; risolve enigmi ma non sa riconoscere la propria stessa realtà epistemica. Non sa quel che sa. Di più, l’uomo della verità è animato da una generale, ma non meno specifica, volontà di ignoranza. Al punto tale che si può dire con Lacan che gli psicanalisti che “applicano” l’Edipo non sono psicanalisti, perché non riconoscono la realtà dell’analisi che stanno conducendo, persi come sono nelle narrazioni mitologiche freudiane. Giustamente Lacan affermò che in psicanalisi il complesso d’Edipo “è strettamente inutilizzabile” (Seminario del 18 febbraio 1970). Questo post alla fine prospetta una possibile spiegazione dell’affermazione paradossale.
La scienza non si interessa alle essenze e ai loro rapporti segreti, ma tenta di risolvere equazioni che descrivono complesse interazioni locali, tipicamente se sono equazioni differenziali, tra particelle elementari (originariamente gli atomi democritei), all’interno di modelli spesso non realistici (non idealistici). Ai fini della convalida o della confutazione di un modello non è di alcun aiuto sfogliare la “Settimana enigmistica”. Dall’enigmistica non mi aspetto lumi sulla sorte del modello supersimmetrico della materia con sbosoni che sono fermioni e sfermioni che sono bosoni. Dalla buona congettura mi aspetto molto di più che da uno strampalato enigma, magari versificato. Anche se falsa, una buona congettura è feconda di altre congetture, mentre da un enigma non nasce nulla. “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”, cantava De André in onore di una prostituta dalla bocca di rosa.
L’approccio idealistico-enigmistico alla filosofia della scienza è il tipico modo di pensare ideologico della fenomenologia husserliana, all’insegna del motto “verso le cose stesse”. (L’avatar psicanalitico di quella fenomenologia è “verso il reale”, propagandato da un certo lacanismo deteriore). La fenomenologia è sostanzialmente platonica (tutta la filosofia è essenzialmente platonica): racconta, spesso con un penchant mitologico, non come si va verso le cose ma verso le essenze ideali. Dal 1936 fino alla morte, avvenuta due anni dopo, Husserl scrisse e riscrisse la Crisi delle scienze europee, proprio quando le scienze europee erano al massimo del fulgore. Il filosofo ignorava il progresso scientifico del suo tempo, non meno del creatore della psicanalisi. Presupponeva che la scienza galileiana fosse un’idealizzazione della realtà. Prese un granchio. La scienza galileiana non idealizzava nulla; era solo uno dei tanti possibili modelli, forse il più semplice, di un fenomeno cui gli antichi non seppero “salvare”: i gravi cadono tutti con la stessa legge oraria, indipendentemente dal loro peso. En passant, la scienza galileiana non è neppure una scienza indiziaria, sul tipo delle scienze umanistiche. Non serve neppure a risolvere enigmi polizieschi. “Faites des mots croisés. (Conseils à un jeune psychanalyste)”. (J. Lacan, “Fonction et champ de la parole et du langage en psychanalyse” (1953), in Id., Ecrits, Seuil, Paris 1966, p. 266). “Fate parole crociate”: è un consiglio da filosofo idealista, a orientamento logocentrico, quale a tutti gli effetti Lacan fu. Un aspetto da dimenticare, che offusca intuizioni psicanalitiche altrimenti rilevanti del grande psicanalista parigino.
Allora ci chiediamo perché l’idealismo, con la connessa propensione enigmistica, oggi non vada più bene in psicanalisi. Forse perché in psicanalisi si è realizzata l’attesa (da pochi) svolta scientifica? Direi proprio di no. La ragione della decadenza dell’idealismo in psicanalisi sta nella pratica clinica quotidiana, che non è più quella dei tempi di Freud. Giorno dopo giorno verifico che lo schematismo freudiano, grezzamente medicale, basato sul riportare allo stato “ideale” precedente al trauma o alla rimozione – in medicina si chiama restitutio ad statum quo ante – non si applica più alle nevrosi del giorno d’oggi. Sempre più nel mio studio vado sperimentando una pratica “ostetrica” della psicanalisi: far nascere il nuovo, che non ha ancora rappresentazioni ma geme nelle doglie del parto. Uso anch’io – perdonatemi – il gergo medicale per farmi intendere. Uso il termine “ostetrico” in senso socratico. Oggi il mio lavoro non consiste solo nel far riemergere dal passato qualcosa di censurato, ma si orienta a far nascere un futuro che il passato non aveva né previsto né concepito. Non su eventi passati più o meno traumatici si orienta oggi il faro psicanalitico, cercando le cause del malessere attuale; l’approccio storicistico non serve più a molto nel setting divano-poltrona; tanto meno servono gli approcci ermeneutici della filosofia o eziologici della medicina. Serve di più illuminare le nebbie da cui emergerà quel che non è ancora avvenuto, affidandosi a congetture talora spericolate e magari più ingiustificate delle mitologie edipiche.
Lo riconobbe Freud stesso nelle Costruzioni in psicanalisi del 1937. Ci sono costruzioni nuove, che non corrispondono a nessun ricordo perduto; sorprendentemente, tuttavia, esse hanno valore terapeutico pari se non maggiore dei ricordi recuperati. Aristotelicamente parlando (ma con prudenza, essendo Aristotele il filosofo che ha dato corpo all’idealismo di Platone), si tratta di passare dalla potenza (nel passato) all’atto (nel presente). Non si tratta di modificare il passato, cosa ontologicamente impossibile, ma di far funzionare il passato come promotore di un presente e di un futuro con un nuovo assetto epistemico, ecco come va configurandosi la nuova psicanalisi, in attesa di diventare scientifica. Questo è l’atto analitico su cui tanto insistette Lacan, irrealizzabile nell’ottica della terapia medica o della consulenza filosofica. La conclusione di un’analisi è sempre più vicina a: “Ora so le cose in modo diverso”; le cose sono cambiate perché le vedo in un’altra luce.
Risultato collaterale: non esistono paranoie né maniacalità nell’assetto scientifico e questo sarebbe già una bella prospettiva terapeutica per la psicanalisi scientifica. Non esistendo rappresentazioni ideali dell’oggetto amato e odiato, la scienza non può produrre né deliri di persecuzione né fissazioni erotiche. Non teme persecutori e non si salda a ideali erotomanici, la scienza. La scienza pensa il falso, nell’attesa che il futuro apporti qualcosa di meno falso, grazie al duro lavoro collettivo di analisi su ipotesi di lavoro. L’idealismo è più facile della scienza; non ha bisogno che il collettivo lavori per renderlo più vero, perché l’ideale è vero da sempre. Gode di una verità prêt-à-porter alla portata di tutte le tasche. Perciò va bene al potere, l’idealismo, ma anche al popolo sotto forma di animismo o vitalismo, magari declinati in senso omeopatico o astrologico.
Alla psicanalisi, come primo passo per diventare scienza, basterebbe distogliersi dall’ipnosi del padrone, il quale pretende che la psicanalisi funzioni da terapia adattativa, tecnicamente codificata e professionalmente esercitata. Che non si parli di “esperimenti terapeutici”! Ippocrate li vietava. Allora, viva l’enigmistica edipica, asservita a qualche ideale di convivenza al riparo da ogni novità.
Agli utenti della psicanalisi do un consiglio per la vita. Non fate come me; non perdete tempo a condannare la psicanalisi enigmistica come ho fatto io in questo post. È inutile criticarla, perché non cambierà mai. È come la superstizione. La vuole così com’è un legame sociale ormai consolidato da decenni, nonostante le numerose scissioni scolastiche tra psicanalisti. La “Settimana enigmistica” si ripete uguale a sé stessa, com’era 84 anni fa, quando fu fondata dall’ingegner Sisini, e com’era l’idealismo, fondato 2500 anni fa da Platone. Si può solo prenderla con umorismo, la psicanalisi enigmistica; si possono solo leggere le sue interpretazioni (freudiane, junghiane, kleiniane, bioniane, lacaniane ecc.) come spiritosaggini, sulle orme di Zeno del romanzo di Svevo, che recepiva sogghignando le esternazioni pseudoscientifiche del suo “dottore” (niente meno che Edoardo Weiss). Il grande romanziere voleva farci capire che le narrazioni della psicanalisi enigmistica sono solo letteratura deteriore. A buon intenditor…
0 commenti