The article starts with a reference to the theory of affective tone complex of Jung (1934), revised and updated according to the latest research from neuroscience by Van Der Kolk and Siegel (2015, 2013) on the shortest route of Le Doux. Then proceeds by analyzing for some dialogue themes and images from the film Departures (Takita, J., 2008), to illustrate the evolution of the father complex. From the angry reactions to his father, to the dissolution of the complex.
Abstract
L’articolo inizia con un riferimento alla teoria dei complessi a tonalità affettiva di Jung (1934), rivisitata e aggiornata secondo le recenti ricerche di neuroscienze di Van Der Kolk e Siegel (2015, 2013) sulla via breve di Le Doux. Procede poi, analizzando per temi alcuni dialoghi e immagini del film Departures (Takita, J., 2008), per illustrare una evoluzione del complesso paterno. Dalle reazioni rabbiose verso il padre, allo scioglimento del complesso.
Jung parla di complessi a tonalità affettiva, riferendosi a quelle situazioni in cui c’è un eccesso di energia psichica, affettività esagerata rispetto al contesto, tendenza all’agito, autonomia dalle funzioni dell’Io [3, 2]. Un complesso è “un insieme di rappresentazioni, pensieri, ricordi, in parte o del tutto inconsci, dotati di una forte carica affettiva” [1], che limita la libertà dell'Io. Una specie di buco nero che assorbe energie.
Queste teoria psicoanalitica, rappresenta il versante clinico di quello che le neuroscienze spiegano come la via breve di Le Doux. Secondo Van Der Kolk [6] e Siegel [4], ci sono alcuni input sensoriali, ricordi, affetti che stimolando l’amigdala, ci fanno vivere la paura, l’ansia, o la rabbia, bloccando qualsiasi modulazione della corteccia prefrontale. Il cervello limbico prende il comando innescando una risposta neurovegetativa che bypassa la corteccia cerebrale. Quando lo stimolo mette in allarme il sistema limbico, questo prende il sopravvento, non viene più modulato dalla corteccia e innesca una risposta massiccia di tipo attacco, fuga o paralisi.
I complessi a tonalità affettiva di Jung, bypassano la corteccia, allertano e attivano il sistema limbico in uno stato di allarme.
Queste reazioni possono essere di intensità diversa a secondo del grado di consapevolezza e di elaborazione di ognuno di noi. Tra i nostri pazienti, ci sono degli ambiti non risolti che emergono con queste reazioni di eccessiva animosità, alta attivazione psichica, difficilmente modulabile e al di fuori della gestione dell’Io.
Per raccontare un esempio di tale processo, ho scelto un film, per associare ai dialoghi anche le immagini, che tanto hanno a che fare con il non verbale. Il film Departures di Yojiro Takita (2008, Oscar miglior film straniero) [5] è un bell'esempio di come possa evolvere il complesso paterno.
Vi propongo alcuni brani del film, scelti e ordinati per temi.
Daigo, il protagonista, suona il violoncello in una grande orchestra di Tokio. L'orchestra viene chiusa e lui è costretto a ripensare alle scelte della sua vita. Decide così di smettere di suonare e di trasferirsi al suo paese natale dove sua madre, morta due anni prima, gli ha lasciato in eredità una casa.
La ferita
"Mia madre mi ha allevato completamente da sola" dice Daigo. “Mio padre non è altro che un verme. Gestiva un piccolo caffè ma poi è fuggito con la cameriera ed è scomparso, un padre inesistente.” E quando gli chiedono chissà cosa farà ora, lui risponde: “sarà già morto da tanto tempo”. “Se tu lo reincontrassi?” Gli chiede la moglie “Lo picchierei” risponde Daigo.
Daigo racconta la sua ferita, ed i suoi commenti sul padre sono carichi di rabbia.
La signora del bagno pubblico confida alla moglie di Daigo: "quando i suoi si sono separati, davanti alla sua mamma lui non ha mai pianto, mai, neanche una volta. Ma quando veniva qua ed era solo nel bagno degli uomini, piangeva, vedevo le sue spalle ossute scuotersi per i singhiozzi." Un dolore vissuto da solo, non condiviso, che ha scavato nel profondo e si è incistato chissà dove. Una ferita alimentata negli anni non solo dalla perdita del padre, ma anche dal dolore vissuto dalla madre.
Il lavoro
Daigo trova un lavoro strano, pensava si trattasse di un’agenzia di viaggi, in realtà è un tanatoesteta, okuribito, colui che accompagna, colui che prepara la salma per il suo ultimo viaggio. All'inizio è un po' spaventato, non sa bene se sarà in grado di gestire la cosa, poi però, piano piano, riesce a cogliere qualcosa di importante. “Dare ad un corpo, divenuto freddo, una bellezza che durerà per sempre, con calma, con precisione, ma soprattutto con tanta amorevolezza. Pur nella tristezza dell’ultimo addio, quanto viene eseguito per preparare il defunto, immerso nel silenzio pieno di pace, mi appare meraviglioso.”
Anche quando l’amico lo avverte "Si è saputo … Trovati un altro lavoro. Non ti vergogni a fare quello che fai?” ; anche quando la moglie lo accusa “Ho scoperto che lavoro fai … Ma non hai nemmeno un po’ di vergogna? … Ma non potevi sceglierti un lavoro normale?”; anche quando la moglie lo lascia, per ritornare solo quando si sarà licenziato; lui rimane, non se ne va, conquistato dalla pacatezza del suo capo.
Il suo capo
Il suo capo è un uomo mite, di poche parole, affidabile, che si affeziona a lui. Lo incontra per la prima volta al colloquio di lavoro e gli dice: “credo che sia stato il destino a condurti qui. Almeno provaci, se poi non ti trovi bene puoi sempre lasciare”.
Quando Daigo lo raggiunge per comunicargli la sua decisione di lasciare il lavoro (dopo la minaccia della moglie di andarsene), il capo lo accoglie nella sua casa piena di piante, sembra quasi una serra lussureggiante, quasi a voler compensare con tanta vita il suo lavoro così vicino alla morte. Il capo lo invita alla sua tavola, per gustare i sapori del buon cibo e gli racconta di come ha cominciato a fare quel lavoro: “Mia moglie, l’ho perduta da nove anni ormai. Tutte le coppie prima o poi vengono divise dalla morte, … e ti rimane un grande dolore. L’ho preparata io, per l’ultimo viaggio. E’ stata la mia prima cliente. E da allora faccio questo lavoro.” … e così Daigo resta.
Festeggiano il Natale insieme, Daigo, il capo e la ragazza dell’ufficio, pollo arrosto e il suono del violoncello. Un clima semplice, un atmosfera che infonde calore. Durante lo svolgersi della storia si assiste alla nascita di un legame tra di loro, piccoli gesti, piccole attenzioni: il capo rappresenta, su un piano simbolico, il padre buono ritrovato.
La musica
C’è la musica di prima, quella che suonava nell’orchestra di Tokio e di quei tempi Daigo racconta: “è stato un periodo in cui i giorni passavano e basta offrendomi una vita senza scopo.”
Una musica che, quando Daigo restituisce il violoncello gli fa dire: “Fu la scelta più difficile e penosa della mia vita, ma stranamente, non appena mi liberai del violoncello, provai un gran sollievo, come se mi fossi liberato da pesanti catene. Quello che avevo creduto essere il mio sogno, forse, non era il mio sogno”.
E poi c’è la musica di adesso, una in particolare, la preferita del padre: “Mi è venuta improvvisamente voglia di suonare il violoncello. Voglio suonare il violoncello, suonare e lasciarmi invadere dai ricordi.”
I ricordi
E mentre suona la sua musica riaffiorano i ricordi, di quando suonava il violoncello davanti a sua madre e a suo padre, di quando sulla riva di un torrente, si è scambiato un sasso con suo padre.
Lui era piccolino e non riesce a dare un volto al padre, è tutto molto sfuocato.
Il sasso parlante
Così Daigo spiega a Mika (sua moglie) mentre le porge un sasso: “Nell’antichità, quando gli uomini non avevano la scrittura, gli uomini per comunicare cercavano un sasso la cui forma esprimesse i loro sentimenti e lo inviavano ad un'altra persona. Chi lo riceveva dalla sensazione al tatto e dal peso capiva i sentimenti di chi lo aveva inviato. Un sasso liscio per esempio per comunicare serenità d’animo e felicità. Uno ruvido e spigoloso trasmetteva preoccupazione per l’altro”. Era una cosa che gli aveva spiegato suo padre, e anche quel sasso avvolto nello spartito e conservato con il violoncello, era un sasso parlante che gli aveva dato suo padre. Così commenta Daigo arrabbiato: “Il fatto era che ci saremmo scambiati un sasso parlante ogni anno, alla fine, solo quella volta. Che idiota!.”
E mentre ascolta la musica preferita del padre ha quel sasso tra le mani, ci giocherella, non riesce a staccarsene. L’energia è tutta lì, sia per odiare, ma anche per una specie di speciale attrazione che lo fa stare lì, su questa sua parte non risolta che gli assorbe tanta energia.
E’ tutto fermo lì, è da lì che bisogna ripartire, una riflessione che Daigo fa guardando i salmoni risalire la corrente e si chiede: “non è triste? Risalgono fin quassù per poi andare a morire. Se sono destinati a morire perché faticano tanto?” ed un passante saggiamente risponde: “loro vogliono tornare nel posto dove sono nati.” Quasi a sottolineare che bisogna ritornare lì dove questa parte è rimasta bloccata, dove si è creato questo vortice che inghiotte energia e non la lascia fluire liberamente.
Già Mika aveva colto una nuova visuale, un’altra possibile lettura della storia tra la madre e il padre di Daigo: mentre ascoltano la musica preferita del padre, così dice: “Posso anche sbagliarmi, ma ho l’impressione che tua madre non abbia mai smesso di amare tuo padre. … Se non lo avesse amato avrebbe buttato via tutti i suoi dischi. E non li avrebbe conservati così con tanta cura.”
Mika ritorna
Mika ritorna a casa, inaspettata, c’è una novità, è incinta e Daigo presto sarà padre. Nell'assistere alla preparazione della salma della signora del bagno pubblico, Mika coglie quell’amorevolezza del rituale della preparazione, un rituale di separazione per poterle dire addio. “Ora vorrei che tutti insieme le togliessimo dal volto la fatica, ognuno di voi le darà il proprio saluto” dice Daigo, e Mika coglie l’importanza del gesto, pieno di amore e di rispetto per chi se n’è andato.
Il confronto
Quando arriva la notizia della morte del padre, la ragazza dell'ufficio rivela la sua storia. Anche lei ha lasciato suo figlio piccolo per seguire un altro uomo. “Anche io sai, … anche io ho lasciato mio figlio a Obihiro. Aveva sei anni. Mi sono innamorata di uno… ‘Mamma, mamma, resta!’ mi chiamava disperato. Ma io gli ho gridato di tacere … e sono fuggita”. Il confronto è molto duro. Daigo si confronta con la sua rabbia e i vissuti dell'altro: il dolore di chi se n'è andato, il rimorso di aver sbagliato e di aver fatto soffrire, l'impossibilità di riparare. E' un momento molto forte, per superare la corazza di rabbia che è cresciuta negli anni, bisogna raggiungere alti livelli di carica emotiva. Le urla della ragazza fanno breccia nella rabbia di Daigo. “Ti prego, devi andare da lui. Stai insieme a tuo padre almeno alla fine!” dice la ragazza. Quello che all'inizio era una negazione, diventa una possibilità. Daigo si apre alla possibilità dell'incontro.
L'incontro
Già il racconto del pescatore, rivela che il padre è arrivato da solo ed è sempre stato solo. "Non so da dove venisse. Era comparso in città un giorno. Era solo. Qua al porto si è sempre dato un gran da fare. Per il suo lavoro non ha chiesto che poter vivere nella baracca dei custodi. … Era taciturno … era difficile strappargli una parola.”
Daigo si chiede: “che significato avrà mai avuto la vita di quest’uomo. Ha vissuto per più di settant’anni e quello che lascia è una scatola di cartone”.
Quando arrivano quelli delle pompe funebri, con i loro modi frettolosi, li ferma e decide di preparare lui la salma. E qui l'incontro. Quei gesti di accudimento lo portano a scoprire, che suo padre è morto stringendo tra le mani il sasso che lui, bambino, gli aveva dato tanti anni prima. E qui si sciolgono tutte quelle emozioni rimaste congelate per anni, scendono le lacrime, cautamente, con pudore, Daigo finalmente sente il dolore di tutto quello che è mancato, a lui e a quest'uomo che ha appena incontrato. Piano, piano, il volto del padre si ricompone anche nel suo ricordo. Il buco nero che assorbiva tutta quella energia è svanito, ora l'energia può fluire liberamente. Adesso che ha reincontrato suo padre, potrà anche lui essere padre.
Riflessioni
Com’è stato possibile questo scioglimento del complesso? I percorsi sono sempre diversi, ed ognuno ha il suo. In questa bellissima storia, raccontata così delicatamente, che mi fa pensare, che in qualche modo e da qualche parte, è stata vissuta, ci sono diversi elementi.
La crisi, la decisione di smettere di suonare nella orchestra, il restituire il violoncello … “Fu la scelta più difficile e penosa della mia vita, ma stranamente, non appena mi liberai del violoncello, provai un gran sollievo, come se mi fossi liberato da pesanti catene. Quello che avevo creduto essere il mio sogno, forse, non era il mio sogno”. Forse la scelta di fare del violoncello il suo lavoro era legata più a un dover essere che a qualcosa di profondamente suo.
Il ritorno al paese natale, come i salmoni … “loro vogliono tornare nel posto dove sono nati”. Quando c’è un buco nero nel flusso dell’energia psichica, bisogna ripartire dalla ferita che l’ha creato, e la casa natale è il luogo e il tempo della sua ferita.
Il trovare nel suo strano lavoro qualcosa che lo mette in contatto con sue parti profonde. Per accudire con amorevolezza, forse, ed è solo un’ipotesi, delle parti morte (simbolicamente), congelate e non vissute, dentro di sé e in sua madre.
Il rapporto con il capo vissuto come un nutrimento affettivo per la sua ferita, un padre buono (a livello simbolico), che c’è, che lo aiuta a trovare la sua strada nella vita.
Ecco, questi gli ingredienti per far sì che l'incontro diventi possibile, e finalmente, quella nebbia che vediamo nella prima scena del film, si può diradare, per dare una visione più chiara … l’energia ora, può scorrere liberamente. Spesso quando si osa avvicinarsi per capire, si scopre che la realtà è meno peggio di come si era immaginata.
Bibliografia
[1] Galimberti, U., Dizionario di psicologia, UTET Torino, 1992
[2] Jung, C.G., L’associazione verbale negli individui normali, Opere vol. 2 tomo I, Bollati Boringhieri Torino, 1904-1905
[3] Jung, C.G., Considerazioni generali sulla teoria dei complessi (1934), Opere vol. 8 La dinamica dell’inconscio, Bollati Boringhieri Torino
[4] Siegel, D.J., La mente relazionale, Raffaello Cortina Milano, 2013
[5] Takita, Y., Departures, film Giappone, 2008
[6 ] Van der Kolk, B., Il corpo accusa il colpo, Raffaello Cortina Milano, 2015
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