Caduti d'Oltremare 1
Per fare luce e giustizia sulla morte di Giulio Regeni si sono mobilitate e messe in grande tensione, e giustamente, la politica, le istituzioni e l’opinione pubblica italiane. Così pure siamo volta per volta indignati delle violenze che colpiscono nostri connazionali lontano dai confini della patria e partecipiamo commossi al dolore delle famiglie, anche in questi mesi e giorni.
Per contrasto e in contemporanea a tutto questo, per noi ovvio e dovuto, fuori discussione, risulta ancora più tragica e assurda la condizione di quelle migliaia di migranti “irregolari” che, nel viaggio verso l’Europa, muoiono nei deserti, nei campi di detenzione o annegati in mare, senza che nessuna autorità, nessun Stato li reclami o ne lamenti la scomparsa.
Si dirà che questo succede perché nei luoghi da cui questi migranti provengono non opera uno Stato funzionante che, ancora prima di garantire diritti e sicurezza, si preoccupi di sapere se i suoi cittadini sono almeno in vita, conoscendone nome, età, luogo di nascita e vita.
I migranti “irregolari” che devono fare a meno di uno Stato si tengono come unici riferimenti la famiglia, il clan. A nessun altro può interessare della loro morte per fame, per sete, ammazzato di botte, affogato.
Anzi, qui, nella civile Europa, per qualcuno di noi è meglio: gente in meno che sarebbe venuta a disturbare. Non tutti i morti ammazzati sono uguali.
Caduti d’Oltremare 2
Ho fatto visita al Sacrario dei Caduti d’Oltremare di Bari per rendere omaggio alla sepoltura del dottor Angelo Bravi (Milano 1911- Tripoli di Libia 1942), massimo esponente della psichiatria coloniale italiana e direttore del manicomio per libici di Tripoli,.
Il Sacrario di Bari, il più importante cimitero militare italiano dedicato ai combattenti della seconda guerra mondiale morti in Jugoslavia, Albania, Grecia, Russia, ospita anche i resti dei caduti italiani in Africa orientale, Africa settentrionale, Libia (1911-1939; 1940-1943), Marocco, Tunisia, Algeria (1940-1945) : 75.000 le persone sepolte; 45.000 gli ignoti.
Nel Sacrario è allestito un Museo Storico nel quale sono documentati gli sviluppi dell’espansione coloniale italiana a partire dall’Eritrea, per andare alla Somalia, alla Tripolitania, alla Cirenaica, all’Etiopia, con particolare riguardo, ovviamente dato il luogo, alle vicende militari.
Al di là degli aspetti più propriamente bellici di tali storie, mi è balzato agli occhi il dato del grande numero:si tratta di centinaia di migliaia, di giovani maschi adulti italiani che in sessant’anni si sono susseguiti a sbarcare sulle spiagge africane, armati, pronti a offendere, impadronirsi di terre altrui per poi magari morire nel difenderle come proprie. Per dire che anche le nostre furono delle migrazioni (ai militari seguivano i coloni che si portavano via le terre migliori).
Mi sono chiesto cosa potessero aver mai pensato di noi i bisnonni, nonni e padri dei migranti africani del nostro tempo quando i loro coetanei nostri bisnonni, nonni e padri, magari cantando Tripoli, bel suol d’amore o Faccetta nera. sbarcavano da navi di guerra sulle coste d’Africa, inquadrati nel Regio Esercito e nella Regia Marina.
Oggi siamo a interrogarci sul che fare davanti all’arrivo sulle coste d’Italia e d’Europa di decine di migliaia di bambine e bambini, donne, giovani maschi adulti africani che pretendono attenzione, rispetto, accoglienza. Molti di noi vivono questa situazione come una aggressione, pur essendo tutte queste persone disarmate, inermi.
La nostra storia patria più recente ha molto da dirci.
Luigi Benevelli
Mantova, 1 settembre 2017
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