Essere senza speranza vuol anche dire essere senza timore1
J. Lacan
Pessimismo e materialismo
Si sottolinea spesso, da più direzioni, il pessimismo di Jacques Lacan. Difficile non essere d’accordo con questa affermazione. Al contempo è altrettanto difficile non riconoscere che si tratta di una faccenda insidiosa2. Allo stesso tempo possiamo subito affermare due cose. La prima. Il pessimismo di Lacan non è “solo suo”, ma si radica in quello che è stato il suo costante punto di interrogazione, Sigmund Freud – come è noto Lacan, in chiusura del suo trentennale insegnamento ribadisce: «Tocca a voi essere lacaniani, se volete. Io sono freudiano»3. La seconda. Il pessimismo di Lacan si rovescia nel corso del suo insegnamento in quello che approssimativamente possiamo chiamare “un semplice materialismo”.
Il pessimismo di Freud
Diamo dunque per acquisito che c’è pessimismo in Lacan, e che c’è pessimismo in Lacan, in primis ma non solo – come vedremo – perché c’è pessimismo in Freud. Proviamo ora a declinare questo pessimismo in alcune direzioni – sarà il nostro modo di interrogarlo. Per prima cosa tentiamo di operare un’estrazione dall’esteso pessimismo di Freud, per voi suddividere la porzione estratta in quattro parti. Chiamiamo allora la porzione estratta irriducibilità/ineliminabilità. Per Freud c’è qualcosa di irriducibile/ineliminabile nella vita così detta umana4. Le quattro parti che declinano questa porzione estratta sono:
1) è irriducibile/ineliminabile il disagio della civiltà,
2) è irriducibile/ineliminabile la condizione di castrazione dell’essere umano,
3) è irriducibile/ineliminabile la pulsione di morte,
4) è irriducibile/ineliminabile la ripetizione.
Da queste quattro parti possiamo definire il nodo centrale: per Freud, siccome c’è civiltà (castrazione) c’è pulsione di morte (ripetizione) e siccome c’è pulsione di morte (ripetizione) c’è civiltà (castrazione). Questa circolarità è l’irriducibilità/ineliminabilità con cui è alle prese l’essere vivente detto umano – essere che a causa di questa circolarità ha sempre a che fare, da un lato con la morsa della castrazione, della mancanza, dall’altro con un’esigenza eccessiva e senza sosta5.
La radicalizzazione di Lacan
Lacan ha portato alle sue estreme conseguenze il pessimismo di Freud proprio attraverso una radicalizzazione di questa circolarità civiltà–pulsione – manovra che come vedremo porterà Lacan al rovescio del pessimismo di Freud. La radicalizzazione operata da Lacan consiste nel “tirare il collo” a questa circolarità facendola diventare la circolarità linguaggio–pulsione6. Il linguaggio è taglio7, rottura, disarmonia che afferrando l’essere vivente produce quell’alterazione del corpo, quel taglio del corpo, quella disarmonia del corpo che è la pulsione8 – pulsione che a sua volta determinerà l’esigenza di un linguaggio capace di ordinarla e orientarla, linguaggio che a questo punto, da un lato riuscirà in parte e solo in parte a realizzare questo compito, dall’altro lato continuerà a produrre quell’alterazione del corpo che è la pulsione (siamo così al compimento della circolarità).
Per certi versi possiamo dire che Lacan traduce civiltà con linguaggio, e in questa traduzione – come e più che in ogni traduzione – c’è una trasformazione e un tradimento. Attraverso questa traduzione l’azione della civiltà sull’essere vivente passa in un tempo secondo, lasciando spazio ad un tempo primo in cui è in atto l’azione del linguaggio. Tale azione del linguaggio, proprio perché interrogata da Lacan a partire dal disagio della civiltà di Freud diventa, nel corso del suo insegnamento – attraverso tutta una serie di passaggi e tortuosità che non è qui il caso di riprendere – qualcosa di molto distante dalla civiltà e da quel che solitamente si intende con linguaggio9.
Per Lacan il linguaggio non è tanto – o non è in primis – una serie di vincoli, di regole, di legami, di connessioni, di segni – se così fosse sarebbe senz’altro un altro modo di intendere la civiltà. Il linguaggio è taglio, rottura, alterazione dell’essere vivente, che produce un’alterazione, una rottura, del corpo del vivente, alterazione e rottura del corpo che è la pulsione – o per meglio dire, la pulsione è la costante ripetizione di questa alterazione del corpo, alterazione del corpo che ripeto è determinata e alimentata da quell’alterazione che è il linguaggio10.
Paradigma freudiano/Paradigma lacaniano
Il pessimismo freudiano lascia aperto qualche spiraglio – sul quale in effetti si sono innestate molte letture ed usi dell’insegnamento di Freud. La circolarità civiltà-pulsione lascia aperta in effetti una doppia possibilità. La civiltà è un determinato funzionamento che produce una perdita, una mancanza, un’alterazione, dunque la pulsione come spinta che ripete tale perdita e tale squilibrio. In questo paradigma, ripeto, rimangono aperte due possibilità. La prima. Rimane aperta la possibilità di un altro tipo di civiltà, di una civiltà che funzionando diversamente potrebbe non introdurre la perdita, lo squilibrio, e dunque generare una spinta – pulsione – caratterizzata diversamente rispetto a quella che non fa altro che perpetrare il disagio della perdita e dello squilibrio. La seconda. Pur rimanendo intatta la struttura della civiltà, se la pulsione è una spinta, è un qualcosa dunque, allora è possibile agire su questo qualcosa per modificarne il modo di manifestarsi e affermarsi – facendo in modo, ad esempio, che passi dallo squilibrio all’equilibrio, dall’eccesso all’adattamento alla realtà ecc….
Gran parte della pratica psicoanalitica si inserisce e muove a partire da questa seconda possibilità.
Il paradigma lacaniano non lascia aperto nessuno spiraglio. Il linguaggio non è che la sua incidenza, dunque non è che alterazione, taglio, rottura11 – non è che ciò e dunque non può essere altro da ciò. Lo stesso vale per la pulsione. Questa per Lacan non è qualcosa, una spinta, che si afferma in un certo modo e dunque ipoteticamente, se opportunamente trattata – ad esempio con la psicoanalisi – potrebbe affermarsi e dispiegarsi in un altro modo. La pulsione è fremito del corpo, alterazione del corpo, frustata del corpo – non è che ciò e dunque non può essere altro da ciò.
Nel paradigma freudiano rimane aperta la speranza – a dire il vero tale speranza non è molto frequentata da Freud quanto dai suoi allievi – che la civiltà e la pulsione essendo “qualcosa” possono cambiare caratteristiche. La psicoanalisi sarebbe allora quella pratica attraverso la quale è possibile modificare la pulsione e dunque il suo rapporto con la civiltà. Altre pratiche tentano di intraprendere la direzione inversa, ossia cambiare la civiltà e dunque, come conseguenza, la pulsione.
Nel paradigma lacaniano questa speranza non può rimanere aperta – per la ragioni, molto semplici, indicate sopra. Il nodo linguaggio-pulsione, la circolarità linguaggio-pulsione è immodificabile. Quel che la pratica psicoanalitica può toccare e cambiare è il rapporto che quell’essere umano che si sottopone alla pratica psicoanalitica – cioè l’analizzante – intrattiene con la circolarità linguaggio-pulsione. L'eventuale cambiamento del rapporto del soggetto – analizzante – con la circolarità linguaggio-pulsione, non modificherà niente – non può modificare niente – della circolarità linguaggio-pulsione.
Questo pessimismo radicale, questa assenza di speranza, potrebbe fare pensare che per Lacan la cifra della pratica psicoanalitica sia la rassegnazione e l'accettazione. Come vedremo nel seguito della nostra riflessione, si tratta di tutt'altra cifra!
Dall'impotenza all'impossibile
Vediamo ora, molto brevemente, che cosa vuol dire modificare il rapporto con l'immodificabile circolarità linguaggio-pulsione. Vuol dire che si tratta di passare dall'impotenza all'impossibile12 – questo passaggio è quel che la pratica psicoanalitica deve permettere di realizzare. L'impotenza è la cifra – il sintomo – di una soggettività tesa a risolvere la circolarità linguaggio-pulsione e che paga il prezzo di questo suo sforzo e dell'impossibilità di realizzarlo con l'impotenza. Passare da ciò all'impossibile significa decidersi per l'impossibile, ossia decidere quale è il proprio impossibile e dunque decidere di farne qualcosa – farne qualcosa che al fondo vuol dire decidere di fare tutto a partire dal proprio impossibile.
Decidersi per l'impotenza significa decidere di modificare l'immodificabile circolarità linguaggio-pulsione – pagando con l'impotenza. Decidersi per l'impossibile significa decidere come, in che modo, l'immodificabile nodo linguaggio-pulsione è presente nella propria vita, e fare di questo la causa della propria vita (del proprio amare, del proprio muoversi, del proprio parlare ecc…) – pagando con la fedeltà a questa decisione. Detto altrimenti decidersi per l’impossibile significa «produrre l’incurabile»13.
Ogni sintomo – psicoanaliticamente inteso – è la conseguenza del decidersi per l'impotenza. Il decidersi per l'impossibile elimina il sintomo? No! Per eliminare il sintomo occorre eliminare il nodo linguaggio-pulsione che lo causa – e questo come più volte detto non è possibile, almeno per Lacan. Decidersi per l'impossibile – è questo che un'analisi deve produrre – permette di modificare (non di eliminare) il sintomo, cioè di servirsene come di un marchio che alimenta la propria vita.
Idealismo
Lacan è spesso molto severo con quelle declinazioni della psicoanalisi che invece di maneggiare l'immodificabile nodo linguaggio-pulsione affermano la possibilità di modificarlo o peggio ancora non la contemplano – ad esempio per Lacan la psicoterapia è una pratica concepita attraverso il misconoscimento di tale nodo14.
Questo idealismo agli occhi dello psicoanalista parigino non determina solo pratiche e teorie insignificanti, ma anche e soprattutto pratiche “dannose”, in quanto il movimento che affermano non è solo destinato allo scacco ma anche ad alimentare il disagio, il sintomo e la psicopatologia che cercano di affrontare15. Questo per una semplice ragione, perché il movimento di un certo modo di praticare la psicoanalisi – quella tesa a risolvere l'ineliminabile/irriducibile – è isomorfo al movimento della nevrosi, la quale si fonda sempre sull'esigenza di voler risolvere l'ineliminabile e irriducibile nodo linguaggio-pulsione.
La psicoanalisi è un truffa?
Questo breve paragrafo e i tre successivi sono una piccola digressione all'interno del nostro ragionamento. C'è una peculiarità del pessimismo di Lacan rispetto a quello di Freud. Lacan ha molti dubbi sull'incisività della pratica psicoanalitica, in particolare nell'ultima parte del suo insegnamento. Ed ha dubbi ancora più marcati e diffusi in tutto l'arco del suo insegnamento – dunque non concentrati nell'ultima parte – sullo psicoanalista. Non a caso Lacan non manca di chiedersi se la psicoanalisi non sia una truffa: «Si è più o meno colpevoli del reale. E’ proprio per questo che la psicoanalisi è una cosa seria, e che non è assurdo dire che può scivolare nella truffa»16. Allo stesso tempo, con una frequenza incalzante invita a non fidarsi degli psicoanalisti. A mio avviso qui il pessimismo di Lacan è teso a tenere sveglio chi pratica/frequenta la psicoanalisi – come analista o come analizzante. Allo stesso tempo questo pessimismo mira a dire qualcosa. In primis a dire come la psicoanalisi diventa una truffa. La pratica psicoanalitica diventa una truffa quando confonde gli effetti di senso con il reale. In seconda istanza questo pessimismo mira a dire quando uno psicoanalista non è uno psicoanalista. Non c’è psicoanalista quando questi è: «reclutato sulla base del “capire i propri malati”»17 e quando questi esercita «a partire dal suo smarrimento»18.
Non contare su di lui!
C'è una seconda peculiarità del pessimismo di Lacan, non del tutto presente in Freud. Lacan non crede e non ha alcuna fiducia negli esseri umani. Prendiamo questo passaggio: «Quando la sera siete a teatro, pensate alle vostre faccende personali, alla penna che avete perso durante il giorno, all'assegno che dovrete firmare l'indomani – dunque, meglio non fare troppo affidamento su di voi»19. Questo pessimismo ha delle conseguenze su come egli concepisce la pratica psicoanalitica. Non si può contare sulla collaborazione e partecipazione degli esseri umani. Quando ci concepisce una cosa, quando si cerca di mettere a punto il funzionamento di un dispositivo non si può fare affidamento sulla collaborazione degli esseri umani affinché questo funzioni. Occorre concepire un processo, un dispositivo, che funzioni a prescindere dalla partecipazione e collaborazione di chi vi è sottoposto. Ed è proprio questo che Lacan ha fatto, cioè ha cercato di mettere a punto e realizzare un dispositivo per la pratica analitica che non ha bisogno della collaborazione delle persone che vi partecipano per essere incisivo – per questo Lacan diffida, ad esempio, del concetto di alleanza terapeutica. Inutile dire quanto questo passaggio necessiti di essere sviluppato. Non la faremo, la cosa ci porterebbe molto lontano nella nostra riflessione – abbiamo premesso che questi paragrafi sarebbero stati solo degli accenni.
Mi sembrano però possibili due brevi considerazioni. Perché Lacan ha così poca fiducia nelle persone? Perché c'è l'inconscio, e allora ogni essere umano è troppo occupato dall'inconscio per potersi occupare d'altro e ed troppo contro se stesso per poter fare affidamento su di lui: «ciò che distingue infatti il branco umano dal branco animale è che per ciascun soggetto – come tutti sanno salvo gli imprenditori della psicologia collettiva – il nemico del branco è lui stesso»20. Come può la pratica analitica dispiegarsi e per di più essere incisiva senza la collaborazione delle persone21 che vi partecipano? Affidandosi all'inconscio in cui è preso l'analizzante – dunque non alla persona/analizzante22 – e alla funzione dell'analista – dunque non alla persona/analista: «l'i(a) dell'analista deve comportarsi come un morto»23.
L'ottimismo di Lacan
All'interno di questo pessimismo c'è un innegabile ottimismo di Lacan – in parte emerso alla fine del paragrafo precedente. Almeno per un lungo periodo Lacan scommette sull'inconscio, fa fiducia all'inconscio e pensa che questo debba accadere nella pratica analitica – e che per certi versi parte della pratica psicoanalitica consista proprio in questa scommessa: «L’analista dice a colui che sta per cominciare – Andiamo, dica qualunque cosa, sarà meraviglioso»24. Se la pratica analitica riesce a produrre inconscio in chi vi si sottopone – analizzante – questa produzione non può che determinare effetti positivi (chiamiamoli approssimativamente così, altrimenti si aprirebbe un'altra questione) nel soggetto/analizzante in questione – ecco l’ottimismo di Lacan.
Il risveglio
Per certi versi in linea con questo ottimismo c'è l'idea che la pratica analitica possa produrre un risveglio in chi vi si sottopone: «L’uomo, con l’analista, si sveglia»25. Non si tratta però di un risveglio della coscienza, non si tratta di una illuminazione – siamo distanti, se non all'opposto, del risveglio caro all'illuminismo26. Si tratta di un risveglio da intendersi come separazione dall'ombra del narcisismo27 e dalla garanzia del fantasma28.
Lacan si rovescia: il reale non manca di niente
Siamo ora arrivati al passaggio decisivo, quello più volte annunciato, quello in cui Lacan rovescia il suo pessimismo, il che, come detto, non significa che lo misconosce, ma che ne determina il risvolto affermativo. Ripetiamo il percorso: a partire dal pessimismo di Freud, Lacan vi opera una radicalizzazione profonda, che non lascia spazio ad alcuna speranza di sciogliere il nodo linguaggio-pulsione che definisce la condizione di disagio dell'essere vivente detto umano. Come visto questo “senza speranza” non da adito ad alcuna rassegnazione/accettazione, quanto ad una sovversiva affermazione di decidersi per l'impossibile. Seguendo questa traiettoria, nel corso del suo insegnamento Lacan lascia più volte intendere un possibile rovescio di tutto ciò, rovescio che si formalizza, cioè si attualizza, nell'ultima fase del suo pensiero, attraverso la messa a punto del registro del reale.
In effetti reale è il registro che definisce il nodo linguaggio-pulsione di cui ci stiamo occupando. La distorsione in atto, l'alterazione permanente, la spaccatura in atto che è questo nodo, la possiamo chiamare, con Lacan, reale. Questa distorsione in atto, questa alterazione permanente, questo reale insomma, è, proprio perché è ciò, quel che nella vita di ogni soggetto, non va29, che si mette di traverso, che disturba, che non cambia, che insiste ecc…. Ma, ed ecco il passaggio, passaggio veramente moto semplice, questo reale è ciò – quel che non va, che non cambia ecc…. – se e solo se lo intendiamo e maneggiamo a partire dal singolo soggetto, dalla sua vita, dalle sue coordinate (detto altrimenti a partire dal nostro punto di vista di essere umani). Ma se questo reale, cioè questa alterazione, questa distorsione, questo taglio perpetuo del corpo, lo intendiamo e maneggiamo in sé ci accorgiamo di due cose: 1) che è sempre e solo in atto, dunque funziona perfettamente: «al reale non manca nulla»30, 2) che è in ogni movimento del soggetto, in ogni cosa che gli accade, in quanto ne è la causa – pertanto questo reale è sempre soddisfatto, si soddisfa di qualsiasi cosa, in quanto si compie in qualsiasi cosa31.
E' proprio questo reale ad essere massimamente e strutturalmente insopportabile per ogni soggetto, dunque ogni soggetto non fa altro che rifiutare questo reale, pagandone i ritorni in termini di sintomo e psicopatologia. La pratica analitica deve allora permettere al soggetto di rapportarsi diversamente a questo reale, cioè di decidersi per questo reale – cioè di lasciarsi giocare, prendere, guidare, da questa sempre in atto e sempre soddisfatta alterazione, taglio, fremito. Se si inscrive questa decisione il soggetto non pagherà più il ritorno del “reale rifiutato” nella forma del sintomo. Ma affinché questa decisione avvenga occorre che il soggetto nella propria analisi abbia perso i modi con cui rifiutava il reale e abbia acconsentito al modo in cui il reale si realizza in lui.
Acconsentire a ciò vuol dire decidersi, dire sì, all'altra faccia del sintomo, quella che Lacan chiama sinthomo32. Questa faccia non indica il sintomo come ritorno del rifiuto del reale ma il sintomo come affermazione del reale, come modo singolare in cui si realizza il reale nella vita di ciascuno. Tale versante del sintomo, tale affermazione del reale è ciò a cui ogni soggetto fa obiezione attraverso l'altro versante del sintomo. La pratica analitica deve permette a chi vi si sottopone di arrivare ad affermare questa affermazione, ossia ad affermare il proprio sinthomo.
Materialismo
Questa seconda versione del reale è appunto il rovescio della prima. Se diciamo che è il rovescio vuol dire che convive con la precedente, pertanto nell'ultimo insegnamento di Lacan abbiamo la convivenza di due versioni del reale. Per la prima il reale è l'ineliminabilità/irriducibilità di quel che non va. Qui sta il pessimismo di Lacan. Per la seconda il reale è l'ineliminabilità/irriducibilità di quel che non manca di niente, che è sempre soddisfatto. Qui non sta l'ottimismo di Lacan, ma il suo semplice materialismo.
La pratica psicoanalitica
Quando siamo alle prese con il primo reale, possiamo dire che la pratica psicoanalitica deve modificare il rapporto del soggetto/analizzante con questo reale, cioè, come detto, produrre un decidersi per l'impossibile. Quando siamo alle prese con il secondo reale, possiamo dire che la pratica psicoanalitica deve modificare il rapporto del soggetto/analizzante con questo reale, cioè, produrre un decidersi per il suo essere perfettamente in atto, perfettamente soddisfatto. Che la pratica psicoanalitica possa fare questo è per Lacan ogni volta da conquistare e da verificare – in particolare quando siamo alle prese con la seconda variazione del reale. Affinché ci sia una chance che questo accada, è fondamentale non dare senso al reale attraverso l'analisi, ma togliere, attraverso l'analisi, l'esigenza di senso che alimenta il soggetto fino al punto in cui per questo stesso “soggetto” – mettiamo le virgolette perché a questo punto il soggetto non sarà più soggetto, sarà destituito in quanto soggetto – non sarà possibile fare altro che decidersi per il reale.
1J. Lacan, La psicoanalisi. Ragione di uno scacco, in Altri Scritti, Einaudi, Torino, 2013, p. 344.
2Devo a Francesco Bollorino, che ringrazio, il desiderio di provare ad occuparmene, cosa che altrimenti, probabilmente proprio per questa insidiosità, avrei evitato.
3J. Lacan, Il Seminario di Caracas, in “La Psicoanalisi” n. 28, Astrolabio, Roma, 200, p. 10.
4 Cfr. S Freud, Al di là del principio di piacere, in Opere vol IX, Bollati Boringhieri, Torino, 2000, pp. 193-249.
5 Cfr. J. Lacan, Il Seminario VII. Libro VII. L’etica della psicoanalisi, Einaudi, Torino, 2008, in particolare cap. XXII.
6 Lacan chiama spesso questa circolarità «vizio di struttura» (J. Lacan, Il Seminario. Libro X. L’angoscia, Einaudi, Torino, 2007, p. 146).
7 In molti passaggi, e con sfumature diverse, Lacan pone questa omologia tra incidenza del linguaggio e pulsione. Molto significativi a tal proposito i capitoli XVI e XXI del Seminario VII (cit.) e i capitoli XXI e XXII del Seminario VI di cui riporto un breve passaggio: «Il taglio è in fin dei conti l’ultima caratteristica strutturale del simbolico come tale. E’ in questa direzione – lo dico per inciso- che vi ho già insegnato a cercare il senso di quello che Freud ha chiamato l’istinto di morte [la pulsione di morte]» (J. Lacan, Il Seminario. Libro VI. Il desiderio e la sua interpretazione, Einaudi, Torino, 2016, p. 441).
8 «Quel qualcosa di frammentato e stravolto che è la pulsione» (J. Lacan, Il Seminario. Libro SVII, cit., p. 348).
9 Cfr. J. Lacan, Televisione, in Altri Scritti, cit., pp. 505-538.
10 Cfr. J. Lacan, Le Séminaire, Livre XIX, …ou pire, Seuil, Parigi, 2011, in particolare cap. III, VIII e XVI.
11 Cfr. tra l’altro J. Lacan, Il Seminario. Libro XXIII. Il sinthomo, Astrolabio, Roma, 2006, in particolare cap. II.
12 «Nella psicoanalisi si tratta di elevare l’impotenza (quella che rende ragione del fantasma) all’impossibilità logica (quella che incarna il reale)» (J. Lacan, …o peggio, in Altri Scritti, cit., p. 543).
13 J. Lacan, L’atto psicoanalitico, in Altri Scritti, cit., p. 375.
14Cfr. J Lacan, La direzione della cura, in Scritti. Vol. II, Einaudi, Toino, 2002, pp. 580-642.
15 «Un’ortopedia psichica che si accanisce con un’ostinazione ebete a voler rafforzare l’io, trascurando il fatto che ciò significa andare nel senso del sintomo, della formazione di difesa, dell’alibi nevrotico» (J. Lacan, La psicoanalisi vera, e la falsa, in Altri Scritti, cit., p. 168).
16 J. Lacan, Le Séminaire, Livre XXIV, L’insu que sait de l’une-bévue s’aile à mourre, in Ornicar? n. 17/18, 1979, Marsilio, Venezia, p. 9.
17 J. Lacan, Proposta sullo psicoanalista della scuola, in Altri Scritti, cit., p. 251.
18 J. Lacan, Forse a Vincennes…, in Altri Scritti, cit., p. 310.
19 J. Lacan, Il Seminario. Libro SVII, cit., p. 295.
20 J. Lacan, Il Seminario. Libro VIII. Il transfert, Einaudi, Torino, 2008, p. 402.
21 «Pesare le persone è il mezzo più improprio per il reclutamento dello psicoanalista» (J. Lacan, Comunicato all’École, in Altri Scritti, cit., p. 289).
22 «L’oggetto della psicoanalisi non è l’uomo, è ciò che gli manca» (J. Lacan, Risposte ad alcuni studenti di filosofia, in Altri Scritti, cit., p. 211).
23 J. Lacan, Il Seminario. Libro VIII, cit., p. 206. [qui i(a) sta per l'io dell'analista].
24 J. Lacan, Il Seminario. Libro XVII. Il rovescio della psicoanalisi, Einaudi, Torino, 2001, p. 59.
25 J. Lacan, Il Seminario. Libro VIII, cit., p. 411.
26 «Nessuna pretesa di conoscenza sarebbe adeguata qui. (…) In realtà l’inconscio (…) giammai è un torta al bacio» (J. Lacan, La mispresa del soggetto supposto sapere, in Altri Scritti, cit., p. 329).
27 Cfr. J. Lacan, Il Seminario. Libro VIII, cit., cap. XXVI
28 Cfr. J. Lacan, Il Seminario. Libro SXI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, Einaudi, Torino, 2003, e, Ivi., Posizione dell’inconscio, in Scritti Vol. II, cit., pp. 832-854, e, Ivi., Proposta del 9 ottobre 1967, in Altri Scritti, cit., pp. 241-256.
29 «Il reale, per l’appunto, è quel che non va» (J. Lacan, La terza, in “La Psicoanalisi” n. 12, Astrolabio, Roma, 1993, p. 17).
30 J. Lacan, Il Seminario. Libro X, cit., p. 201.
31 Questo punto viene formalizzato da Lacan nel Seminario XX. Preziosi a proposito J.A. Miller, Pezzi staccati, Astrolabio, Roma, 2006, in particolare cap. VII, e Ivi., Cose di finezza in psicoanalisi in “La Psicoanalisi” n. 59, Astrolabio, Roma, 2016, pp. 157-190. Nel corso del suo insegnamento, prima di questa formalizzazione non sono mancate anticipazioni. Significativo a riguardo questo passaggio del Seminario XI: «Quel che abbiamo di fronte a noi in analisi è un sistema in cui tutto si sistema e che raggiunge il suo proprio tipo di soddisfazione» (J. Lacan, Il Seminario. Libro XI, cit., p. 162).
32Cfr. J. Lacan, Il Seminario. Libro XXII, cit.
Pezzo condivisibile e
Pezzo condivisibile e valido.
Trovo molto convincente soprattutto la parte relativa all’impossibile. L’analisi punta a saperci fare con l’impossibile anzichè lasciare il soggetto umano nell’impotenza. Si astiene da un’idealizzazione che farebbe credere a un “tutto è possibile” tanto da ricadere nella psicologia dell’io criticata da Lacan. Questo rischio – quello di degradare l’analisi a una forma di psicologia dell’io – era evidente ai tempi di Lacan ma credo sia tuttora presente, anche sdraiandosi sul divano di analisti lacaniani.
il rischio oggi è molto più
il rischio oggi è molto più presente di allora!