LA PSICOANALISI E' SCIENTIFICA?
19 giugno, 2018 - 06:51
19 giugno, 2018 - 06:51
1.
Mi colpisce quanto spesso, in dibattiti sulla psicoanalisi a cui partecipano analisti e filosofi, si evochi la questione della scientificità della psicoanalisi. Si percepisce là un nodo ancora tutto da sciogliere, che assilla chi pratica la psicoanalisi, o riflette su di essa.
Ovviamente affermare “la psicoanalisi è scientifica” oppure “la psicoanalisi non è scientifica” implica certi criteri per assegnare a una disciplina la patente di ‘scienza’. Insomma, esistono varie accezioni di scienza. Per esempio, da oltre un secolo si discute se la matematica e la logica siano scienze oppure no. Per esempio, Bertrand Russell aveva una posizione detta “platonica”, ovvero pensava che la matematica fosse scienza dei numeri così come la botanica è scienza delle piante; il matematico non inventa, scopre. All’inverso, Ludwig Wittgenstein aveva una posizione detta costruttivista, ovvero, per dirla semplicemente, la matematica è un gioco linguistico. E’ come inventare un gioco, gli scacchi per esempio: una volta scelte arbitrariamente certe regole, il gioco può andare avanti (quasi) all’infinito, sarà possibile scoprire sempre nuovi teoremi… Per Wittgenstein il matematico non scopre nulla, costruisce una sorta di macchina, anche se non materiale ma intelligibile. Poi la matematica viene usata dagli scienziati per descrivere i processi reali. Ma possiamo dire che giocando a scacchi conosciamo? Ci sono anche altre posizioni sul rapporto tra matematica, logica e scienze, che non discuterò qui.
La questione di che cosa sia scienza o non lo sia diventa ancora più spinosa quando ci si confronta con certe scienze che i francesi e gli italiani chiamano “scienze umane”, e gli anglofoni social sciences e psychology, e oggi cognitive sciences. Alcune di queste scienze, come la linguistica e l’economia, pretendono di aver raggiunto un livello di rigore scientifico, anche perché sono matematizzate. Del resto, siccome esiste un Nobel in economia così come ce ne è uno in fisica, in chimica e in medicina, pensiamo che l’economia sia una scienza seria come fisica, chimica e medicina. In realtà all’interno della comunità mondiale degli economisti esistono le posizioni più diverse non solo su come descrivere l’economia, ma su che cosa bisogni intendere per economia. L’economia ha la maschera della scienza, ma dubito che lo sia effettivamente.
2.
Un pregiudizio diffuso è pensare che qualcosa è scienza quando rende certi fenomeni prevedibili. Un pregiudizio che chiamerei humiano (da Hume). Ad esempio, dopo la crisi economica del 2008 molti, anche illustri studiosi, hanno detto “Ma se l’economia è una scienza, perché allora essa non ha previsto questo crack?” In realtà l’economia moderna non ha previsto nessuna delle grandi crisi, nemmeno quella del 1929 che proseguì per tutti gli anni 30; e non perché abbia solo la maschera della scienza. Certo alcuni fenomeni sono prevedibili (come le eclissi solari). Altri non lo sono affatto (come i terremoti); ma questo non significa che la geologia e la sismologia non siano scientifiche. Oggi quasi tutti sono convinti che la teoria darwiniana dell’evoluzione sia comunque – anche se se ne criticano certi aspetti - una teoria rigorosamente scientifica. Eppure essa non permette affatto di prevedere le nuove specie animali o vegetali che verranno fuori. Anche perché oggi, sempre più, certe specie sono prodotte direttamente o indirettamente dall’uomo, ovvero, esse sono effetto di decisioni che non possiamo prevedere. Nessun biologo darwiniano sarebbe mai stato capace, osservando lo stato della vita sul pianeta 60 milioni di anni fa, di prevedere l’emergere non dico di Homo sapiens, ma anche semplicemente di mammuthus. Il darwinismo non è in grado di prevedere nulla dell’evoluzione della vita (non più dell’economia politica), ma ci fornisce un modello generale, astratto, di come la vita evolve. Esso dice: “Se compare una nuova specie, allora essa sarà stata il frutto della selezione di certe mutazioni della sua proto-specie da parte dell’ambiente”.
Un altro pregiudizio tenace è pensare che una disciplina sia scientifica quando essa si occupa di cose chiaramente materiali. Ad esempio, alcuni pensano che la psicoanalisi o la psicologia in generale non siano vere scienze perché non hanno per oggetto elementi materiali, più o meno tangibili, mentre le neuroscienze, per esempio, sarebbero quelle sì scientifiche perché si occupano di un oggetto materiale, per quanto estremamente complesso, il cervello umano. Ma nessun serio epistemologo direbbe che la condizione della scientificità è la materialità del proprio oggetto. Si possono studiare in modo scientifico anche idee, immaginazioni, sentimenti, scopi, insomma stati mentali, senza dover necessariamente interrogarsi su che cosa avvenga contemporaneamente nel cervello. Il cognitivismo, ad esempio, è nato in contrapposizione al behaviorismo ma anche alle neuroscienze in quanto pretendeva di studiare gli stati mentali seguendo le metodologie scientifiche. L’importante non è che io studi neuroni o associazioni di idee, l’importante è che studi scientificamente.
In che cosa consiste allora la scientificità di uno studio?
3.
Per molto tempo filosofi e scienziati hanno pensato che quel che conta sia il seguire più o meno il metodo scientifico. Ma quando cerchiamo di definire che cosa è “metodo scientifico”, allora le cose si complicano maledettamente, perché anche qui le risposte degli studiosi variano, e di molto. Anche se, bisogna dire, un ricercatore scientifico qualunque in scienze dure, ovvero considerate tali in modo non controverso, ha una sorta di conoscenza intuitiva di come si procede scientificamente e quando no, anche se non ha letto un rigo di Mill, Carnap, Popper o Duhem.
Per molto tempo si è affermata, anche in Italia, la concezione popperiana di metodo scientifico: ovvero, certe proposizioni sono scientifiche (non importa quindi se siano vere o false) quando sono confutabili, o falsificabili. Se dico “l’acqua bolle a 100 C°”, la proposizione è scientifica perché, se oggi riscaldo dell’acqua e questa bolle a 90 C° oppure a 110 C°, essa sarebbe falsificata. Mentre se dico “i sogni sono una soddisfazione allucinatoria di desideri”, sarà molto difficile falsificare questa proposizione. Difatti, quando alcuni pazienti portarono a Freud sogni in cui appariva evidente che non si soddisfacevano desideri, Freud ebbe buon gioco nel dire “tu paziente desideri falsificare la mia teoria che i sogni soddisfino desideri, e proprio questo è il desiderio che nel sogno si soddisfa”. Manovra indubbiamente brillante, ma che rovina completamente, agli occhi di Popper, la scientificità della teoria di Freud, dato che su questa strada sarà di fatto impossibile offrire un modo di falsificarla. Ovvero, Freud è incapace di descrivere un solo sogno possibile che, se occorresse, falsificherebbe la sua teoria. In realtà, possiamo sognare qualsiasi cosa, anche di stare sognando.
Certamente il criterio popperiano ha un prezzo elevato: escludere la storiografia da ogni scientificità. Quel che conta per Popper è che si formulino congetture ovvero teorie, ma lo storico non è tenuto a elaborare teorie storiografiche, gli basta scoprire certi fatti del passato e metterli insieme in un certo modo. Eppure sappiamo che ci sono modi più o meno rigorosi di raccontare la storia. Non dimentichiamo che la psicoanalisi, prima ancora di essere una teoria, è un certo modo di raccontare storie, di ricostruire la vita psichica di soggetti.
Sono stati però proprio degli storici – della scienza – a falsificare la teoria di Popper. Essi hanno mostrato che, di fatto, tutte le teorie scientifiche oggi affermate sono falsificate da un mare di controfatti, ovvero fatti di cui queste teorie non riescono a render conto. Ma non basta questo perché queste teorie vengano abbandonate. Questo dato di fatto è stato fatto proprio dalla ricostruzione scientifica che personalmente trovo più verosimile, quella di Thomas Kuhn. Anche su Kuhn sono diffusi vari malintesi, per cui sulla sua teoria vanno chiarite alcune cose.
4.
Alcuni analisti che vogliono superare Freud dicono che la teoria di Freud è una scienza normale nel senso di Kuhn, quindi da abbandonare. Pensano che per Kuhn la scienza normale sia una scienza sclerotizzata, intenta solo a risolvere puzzle, che non si interroghi più sulle proprie basi; mentre la vera scienza, quella feconda, sarebbe la scienza straordinaria. Si tratta di un grosso malinteso sulla posizione kuhniana. In effetti Kuhn distingue due fasi nella storia di una scienza: le fasi di scienza straordinaria in cui si dibatte su paradigmi alternativi, dove insomma gli scienziati non condividono tra loro nessuna chiave esplicativa; e le fasi di scienza normale, in cui tutti gli scienziati di una determinata disciplina condividono un paradigma di base che non viene messo in questione. Nella scienza normale gli scienziati si dedicano a risolvere puzzle, ovvero fatti recalcitranti al paradigma accettato, e si sforzano di farli rientrare, in qualche modo, nel modello esplicativo universalmente accettato dalla comunità. Ad esempio, all’epoca in cui era indiscusso il modello cosmologico di Newton, gli astronomi erano interdetti da un comportamento anomalo del perielio di Mercurio, non previsto dalla teoria. Cercarono di spiegarlo in vari modi, ad esempio, ipotizzando l’azione perturbatrice di un altro pianeta non ancora scoperto, e simili. Come è noto, questa anomalia (per il sistema newtoniano) è invece perfettamente spiegata dalla teoria di Einstein. Ma questo perché con Einstein è cambiato completamente il paradigma esplicativo del sistema solare. All’inizio del secolo scorso ci furono delle vere rivoluzioni scientifiche, ovvero cambiamenti drammatici di paradigma – in fisica, la relatività di Einstein, la meccanica quantistica. Oggi la teoria di Einstein è paradigma accettato, per cui la cosmologia è in una fase normale. Da notare che una scienza normale può riferirsi contemporaneamente anche a paradigmi tra loro non del tutto compatibili. Alcuni amici fisici si dicono tormentati dal fatto che la fisica di oggi ha due paradigmi fondamentali, quello relativista e quello quantistico, che non si integrano a vicenda. Ma molti altri fisici non si tormentano affatto.
Questo non significa che le fasi di scienza straordinaria – quando paradigmi fondamentali si contendono il campo – siano quelle buone, davvero progressive, mentre le fasi di scienza normale siano fasi grigie di conformista decadenza. Al contrario, per Kuhn c’è progresso della conoscenza perché ci sono fasi normali abbastanza lunghe: è risolvendo puzzle – ovvero, facendo rientrare poco a poco le varie anomalie nel paradigma dominante – che si accumula conoscenza. In altre parole, perché ci sia progresso scientifico, perché il sapere produca tecnologie sempre nuove, occorre che gli scienziati non siano provvisti di eccessivo spirito critico. Se mettessero sempre in dubbio il paradigma dominante, non ci sarebbe alcun accumulo di conoscenza. Un certo conformismo degli scienziati è un fattore potente del progresso della conoscenza. Questo è un punto essenziale della teoria di Kuhn, che venne rigettato da Paul Feyerabend per esempio. Feyerabend abbracciò invece una teoria anarchica della conoscenza, ovvero, secondo lui le scienze non seguivano alcun metodo preciso e specifico, “Anything goes”. Ma non entrerò qui in questo dibattito.
Ora, da un punto di vista kuhniano la psicoanalisi in un secolo e passi non è mai stata una scienza propriamente detta perché non è entrata mai veramente in una fase di scienza normale. E’ rimasta sempre scienza straordinaria – direi, una scienza d’emergenza. Sin da quando Freud era vivo, in effetti, paradigmi alternativi sono entrati in competizione con la psicoanalisi: quello di Jung, di Adler, poi quello di M. Klein, di Bion, di Fromm, in fondo anche di Lacan, ecc. La comunità degli psicoanalisti non esiste proprio perché è frammentata in varie comunità, tra l’altro fra loro in gran parte impermeabili. A parte un generico riferimento a Freud, non si è mai affermato un paradigma unico. Di solito, ogni scuola ignora in gran parte quel che fa un’altra scuola. Prova ne sia che non esistono riviste specializzate di psicoanalisi che pubblichino contributi di analisti di ogni scuola. Ogni rivista dà spazio soltanto ai propri adepti, segno che non si accettano gli altri paradigmi. L’ International Journal of Psychoanalysis, organo ufficiale dell’IPA (International Psychoanalytic Association), pubblica di fatto solo contributi che rientrano nei paradigmi accettati dall’IPA, anche se paradigmi tra loro in competizione. Non è così nelle riviste delle scienze “normali”, per chiamarle kuhnianamente. Una rivista specializzata in una certa branca, mettiamo in fisica dei solidi, darà spazio a contributi che magari si rifanno a ipotesi diverse, alternative, ma in teoria tutti i fisici dei solidi potranno collaborare a questa rivista, perché tutti condividono lo stesso paradigma. Tutti pensano di concordare su che cosa significhi “fisica dei solidi”. Certo ci potranno essere dissensi su determinate teorie, ma tutti si accettano come “colleghi” appartenenti a uno stesso club. Il sistema della scienza è ormai un vasto sistema di produzione, non solo per i suoi risvolti tecnologici, ma anche per costruire quella che chiamerei la Banca Centrale delle conoscenze.
Ci sono quelli che in America si chiamano mavericks, studiosi anche valenti che affermano una loro idea, diciamo privata, di scienza. E in effetti i grandi rivoluzionari nella scienza sono partiti da concetti e paradigmi del tutto “privati”, prima che trionfassero. Ma se non si è al livello di Galilei, Darwin, Mendel, Planck, Einstein, una visione della scienza anti-normale resterà privata. La scientificità è prima di tutto un assetto di organizzazione sociale.
5.
Il fatto che la psicoanalisi non si sia mai evoluta in “scienza normale” non è di per sé una sciagura, anzi. Certamente oggi cessa sempre più di essere insegnata nelle facoltà dette scientifiche, come psichiatria o psicologia. Sempre più la psicoanalisi viene evocata in queste facoltà come una curiosità storica, non come un “programma di ricerca” (lo chiamerebbe Imre Lakatos) ancora attuale. Così la psicoanalisi viene insegnata sempre più in facoltà o dipartimenti non scientifici: filosofia, storia, letterature comparate, storia e critica d’arte, scienze della comunicazione… La psicoanalisi è sempre più uscita dal campo delle discipline riconosciute come scientifiche. Ora, molti analisti denunciano questa espulsione come se si trattasse di una persecuzione da parte delle correnti psichiatriche e psicologiche vincenti, si dice “il cognitivismo egemone emargina la psicoanalisi”. Ma questa interpretazione persecutoria è, come ogni interpretazione persecutoria, molto superficiale. La verità è che la psicoanalisi non incontra quegli standard che, allo stato attuale, qualificano una disciplina come scientifica. Ma, ripeto, non è detto che questo sia un male.
Viviamo in un’epoca in cui si fa passare per serio solo ciò che è scientifico. Se qualcosa non è scientifico, allora è poesia, arte, musica… In questa dicotomia, non ci sono zone grigie: o scienza, o poesia. E dove mettere la storia? E dove mettere le scienze sociali, l’antropologia culturale, la riflessione economica, la filosofia? Sono scienza o poesia? E’ vero che oggi una parte della filosofia, detta analitica, pretende di essere finalmente una filosofia scientifica, di accumulare sapere come le scienze lo accumulano. Ma per me si tratta di un’illusione. Dire che la filosofia può essere scientifica è come dire che gli scacchi possono essere come il bridge…
La psicoanalisi, se fatta seriamente, occupa un luogo oggi non categorizzato, che sta tra la filosofia, le scienze della mente, la pratica di cura, l’intuizione psicologica…. Quindi, essa non è una scienza diciamo istituzionale.
Personalmente, sulla scia di Kuhn, non identifico una scienza perché dimostrerebbe di seguire il Metodo scientifico. Una scienza è una specifica organizzazione sociale che coinvolge una serie di istituzioni: università, centri di ricerca, enti finanziatori, laboratori, rete di pubblicazioni. Ad esempio, si è nel campo della scienza quando si accetta il criterio dell’impact factor… Quando si accettano gli standard di valutazione di oggi. Quando si compilano richieste di finanziamenti all’Unione Europea fatti in un certo modo. Gli analisti hanno voglia di urlare al vento che sono “scientifici”: la loro organizzazione socio-istituzionale non è affatto paragonabile a quella delle scienze di oggi. Per esempio, quasi tutte le ricerche riconosciute scientifiche sono scritte in inglese; invece gli analisti si ostinano, per lo più, a scrivere nella propria lingua. La psicoanalisi, anche quando scimmiotta le “scienze normali”, di fatto, anche se inconsapevolmente, resiste alla normalizzazione.
Ma questa resistenza non è un handicap. Prova ne sia che scienziati veri, accettati come tali dalle loro comunità scientifiche di riferimento, si ispirano spesso alla psicoanalisi e in particolare a Freud. Sono freudiani, anche se con venature fenomenologiche, i neuroscienziati della scuola di Parma di Giacomo Rizzolatti, per esempio (gli scopritori dei neuroni specchio). Era freudiano in senso lato Gerald Edelmann, il padre del darwinismo neurale, premio Nobel in immunologia. Come è freudiano Ernest Kandel, premio Nobel in neuroscienze. Ed era freudiano a modo suo – dato che ha fatto analisi con lo stesso analista per 46 anni – il neurologo-scrittore Oliver Sacks, anche se non ha mai scritto sulla psicoanalisi. Si ispirava a Freud, oltre che alla fenomenologia, lo scienziato cognitivo Francisco Varela. E gli esempi si potrebbero moltiplicare. Per non parlare dell’influsso di concetti freudiani nelle scienze sociali (basti pensare alla fortuna del concetto di narcisismo in sociologia e in politologia.) Cosa vuol dire questo? Non che la teoria di Freud sia di per sé scientifica, ma che essa ha uno straordinario valore euristico, continua insomma a ispirare ricerche e teorie scientifiche. La psicoanalisi è una buona Musa scientifica. Come sono state grandi Muse scientifiche la filosofia platonica (su Galilei), Spinoza (in particolare su Einstein), Kant, il positivismo logico, ecc. La psicoanalisi resta insomma una visione della soggettività umana tuttora molto potente, anche nel campo dei cultori delle scienze riconosciute tali.
Jacques Lacan non pretendeva che la psicoanalisi fosse una scienza. Condivideva l’idea di Popper che essa fosse inconfutabile, quindi non scientifica. Ma poneva una domanda interessante: “Cosa potrebbe accadere alle scienze se esse accettassero la psicoanalisi nel loro seno?” Il problema non è se la psicoanalisi sia una scienza, ma se la scienza si dilati o si modifichi in modo da recepirla o meno.
6.
Freud disse che tre erano i mestieri impossibili: governare, educare, psicoanalizzare. In questo modo implicitamente metteva la psicoanalisi non nel campo delle scienze, ma delle pratiche di cura degli esseri umani. Nessuno direbbe in effetti che il governo e l’educazione siano scienze. Si dirà: eppure esiste una scienza politica, esiste una scienza pedagogica. Ma appunto, fino a che punto sono scienze? I grandi leader politici, quelli che hanno cambiato il mondo, lo sono stati perché erano scientifici? Erano scientifici Bismarck, F.D. Roosevelt, Nelson Mandela, lady Thatcher?... O alcuni educatori hanno lasciato segno nella storia – Maria Montessori, don Milani… – perché erano scientifici?
La dottrina psicoanalitica, pur non essendo scientifica, è importante in quanto per molti (ad esempio per me) è molto verosimile. Essa è uno dei modi moderni in cui l’essere umano legge se stesso. Come a suo tempo furono essenziali il modo in cui l’essere umano venne letto da Platone, Aristotele, gli stoici, Montaigne, Hume, Marx, Nietzsche, Heidegger… Quella freudiana è insomma una delle maggiori chiavi di lettura dell’umanità da parte dell’umanità stessa. Illuminante per alcuni, fallace per altri, ma non vi si può prescindere. Come per alcuni sono illuminanti o fallaci certe letture fondamentali dell’assetto sociale: quella marxista e socialista, quella liberale, quella nietzscheana, quella liberal-democratica… Possiamo dire che marxismo, liberalismo, nietzscheanismo, liberal-democrazia, ecc., sono letture scientifiche della società? Ciascuna cerca di essere il più possibile verosimile, attraverso argomentazioni, esempi, narrazioni, ecc., ma nessuna di queste è una teoria scientifica. Eppure non possiamo leggere il mondo sociale nel quale viviamo senza riferirci a una di queste visioni. Le nostre visioni del mondo e della vita non si basano sul sapere delle scienze, quanto sui modelli che consideriamo più verosimiglianti.
Certamente però la psicoanalisi attrae perché, pur non essendo una scienza, è permeata dall’ideale di scientificità. La psicoanalisi adotta quella che chiamerei un’idealità spinozista della scienza. “Gli uomini – scrisse Spinoza (Etica, IV, prefazione) – ignorano per lo più le cause dei loro desideri. Sono in effetti consci delle loro azioni e dei loro desideri, ma ignorano le cause che li determinano a desiderare qualcosa”. E’ il programma stesso della psicoanalisi. La psicoanalisi punta a riconoscere le cause che ci determinano a desiderare. Ma non basta essere spinozisti per essere scientifici, ci vuole ben altro. Lo spinozismo – come per Einstein – è l’ideale scientifico di molti, ma resta un ideale, un progetto soprattutto etico di riconoscere – e superare – ciò che ci determina.
Alcuni psicoanalisti, intimiditi, pensano di essere rassicurati se qualcuno dimostra loro che quel che fanno è scientifico. Ma gli analisti devono imparare ad accettare il rischio assoluto della loro pratica, nulla li garantisce, non ci sono Metodi o Meta-metodi che dicano loro come fare bene. Sono presi nel groviglio dei capricci storici e dei misteri del talento.
Ma proprio grazie a questa idealità scientifica, la psicoanalisi, se pur non è una scienza, è la pratica-teoria più adeguata all’uomo e alla donna nell’epoca del dominio della scienza e della tecnica. Da qui il suo persistere oltre un secolo. Si potrebbe obiettare che siano espressioni della nostra era dominata dalla scienza piuttosto il cognitivismo e le pratiche da esso prodotte, perché, come dice il nome stesso, il cognitivismo considera la soggettività umana come essenzialmente qualcosa di cognitivo, e la scienza è interamente cognizione. Il cognitivismo pensa che l’essenziale di ogni essere umano è ciò che lo rende simile a uno scienziato. Ma la psicoanalisi è in opposizione dialettica al cognitivismo. Possiamo dire che la psicoanalisi tratta i fallimenti dovuti alla società cognitiva; d’altro canto il cognitivismo tempera la fuga psicoanalitica verso una hybris interpretativa. La società cognitiva è una cultura che punta al massimo controllo razionale – è funzione di quel che Freud aveva chiamato l’Io, nella seconda topica. Ma questo controllo sempre più esteso produce una serie di effetti collaterali, per dir così, di perdita di controllo, che il controllo cognitivo non riesce a gestire. In questo senso, la psicoanalisi è figlia della scienza e della tecnica, non perché essa tenda a essere a sua volta scienza e tecnica, ma perché è il modo migliore per riassorbire gli scacchi, gli scarti, della cultura tecno-scientifica. Del resto, come abbiamo detto, la psicoanalisi sposa gli ideali della scienza, ovvero, il principio di un’elaborazione non prescrittiva di quello che un soggetto potrebbe essere. La psicoanalisi punta anch’essa alla verità, anche se si tratta di una verità soggettiva. Essa punta insomma alla parola veridica del soggetto, che è il punto di partenza di ogni scienza.
Mi colpisce quanto spesso, in dibattiti sulla psicoanalisi a cui partecipano analisti e filosofi, si evochi la questione della scientificità della psicoanalisi. Si percepisce là un nodo ancora tutto da sciogliere, che assilla chi pratica la psicoanalisi, o riflette su di essa.
Ovviamente affermare “la psicoanalisi è scientifica” oppure “la psicoanalisi non è scientifica” implica certi criteri per assegnare a una disciplina la patente di ‘scienza’. Insomma, esistono varie accezioni di scienza. Per esempio, da oltre un secolo si discute se la matematica e la logica siano scienze oppure no. Per esempio, Bertrand Russell aveva una posizione detta “platonica”, ovvero pensava che la matematica fosse scienza dei numeri così come la botanica è scienza delle piante; il matematico non inventa, scopre. All’inverso, Ludwig Wittgenstein aveva una posizione detta costruttivista, ovvero, per dirla semplicemente, la matematica è un gioco linguistico. E’ come inventare un gioco, gli scacchi per esempio: una volta scelte arbitrariamente certe regole, il gioco può andare avanti (quasi) all’infinito, sarà possibile scoprire sempre nuovi teoremi… Per Wittgenstein il matematico non scopre nulla, costruisce una sorta di macchina, anche se non materiale ma intelligibile. Poi la matematica viene usata dagli scienziati per descrivere i processi reali. Ma possiamo dire che giocando a scacchi conosciamo? Ci sono anche altre posizioni sul rapporto tra matematica, logica e scienze, che non discuterò qui.
La questione di che cosa sia scienza o non lo sia diventa ancora più spinosa quando ci si confronta con certe scienze che i francesi e gli italiani chiamano “scienze umane”, e gli anglofoni social sciences e psychology, e oggi cognitive sciences. Alcune di queste scienze, come la linguistica e l’economia, pretendono di aver raggiunto un livello di rigore scientifico, anche perché sono matematizzate. Del resto, siccome esiste un Nobel in economia così come ce ne è uno in fisica, in chimica e in medicina, pensiamo che l’economia sia una scienza seria come fisica, chimica e medicina. In realtà all’interno della comunità mondiale degli economisti esistono le posizioni più diverse non solo su come descrivere l’economia, ma su che cosa bisogni intendere per economia. L’economia ha la maschera della scienza, ma dubito che lo sia effettivamente.
2.
Un pregiudizio diffuso è pensare che qualcosa è scienza quando rende certi fenomeni prevedibili. Un pregiudizio che chiamerei humiano (da Hume). Ad esempio, dopo la crisi economica del 2008 molti, anche illustri studiosi, hanno detto “Ma se l’economia è una scienza, perché allora essa non ha previsto questo crack?” In realtà l’economia moderna non ha previsto nessuna delle grandi crisi, nemmeno quella del 1929 che proseguì per tutti gli anni 30; e non perché abbia solo la maschera della scienza. Certo alcuni fenomeni sono prevedibili (come le eclissi solari). Altri non lo sono affatto (come i terremoti); ma questo non significa che la geologia e la sismologia non siano scientifiche. Oggi quasi tutti sono convinti che la teoria darwiniana dell’evoluzione sia comunque – anche se se ne criticano certi aspetti - una teoria rigorosamente scientifica. Eppure essa non permette affatto di prevedere le nuove specie animali o vegetali che verranno fuori. Anche perché oggi, sempre più, certe specie sono prodotte direttamente o indirettamente dall’uomo, ovvero, esse sono effetto di decisioni che non possiamo prevedere. Nessun biologo darwiniano sarebbe mai stato capace, osservando lo stato della vita sul pianeta 60 milioni di anni fa, di prevedere l’emergere non dico di Homo sapiens, ma anche semplicemente di mammuthus. Il darwinismo non è in grado di prevedere nulla dell’evoluzione della vita (non più dell’economia politica), ma ci fornisce un modello generale, astratto, di come la vita evolve. Esso dice: “Se compare una nuova specie, allora essa sarà stata il frutto della selezione di certe mutazioni della sua proto-specie da parte dell’ambiente”.
Un altro pregiudizio tenace è pensare che una disciplina sia scientifica quando essa si occupa di cose chiaramente materiali. Ad esempio, alcuni pensano che la psicoanalisi o la psicologia in generale non siano vere scienze perché non hanno per oggetto elementi materiali, più o meno tangibili, mentre le neuroscienze, per esempio, sarebbero quelle sì scientifiche perché si occupano di un oggetto materiale, per quanto estremamente complesso, il cervello umano. Ma nessun serio epistemologo direbbe che la condizione della scientificità è la materialità del proprio oggetto. Si possono studiare in modo scientifico anche idee, immaginazioni, sentimenti, scopi, insomma stati mentali, senza dover necessariamente interrogarsi su che cosa avvenga contemporaneamente nel cervello. Il cognitivismo, ad esempio, è nato in contrapposizione al behaviorismo ma anche alle neuroscienze in quanto pretendeva di studiare gli stati mentali seguendo le metodologie scientifiche. L’importante non è che io studi neuroni o associazioni di idee, l’importante è che studi scientificamente.
In che cosa consiste allora la scientificità di uno studio?
3.
Per molto tempo filosofi e scienziati hanno pensato che quel che conta sia il seguire più o meno il metodo scientifico. Ma quando cerchiamo di definire che cosa è “metodo scientifico”, allora le cose si complicano maledettamente, perché anche qui le risposte degli studiosi variano, e di molto. Anche se, bisogna dire, un ricercatore scientifico qualunque in scienze dure, ovvero considerate tali in modo non controverso, ha una sorta di conoscenza intuitiva di come si procede scientificamente e quando no, anche se non ha letto un rigo di Mill, Carnap, Popper o Duhem.
Per molto tempo si è affermata, anche in Italia, la concezione popperiana di metodo scientifico: ovvero, certe proposizioni sono scientifiche (non importa quindi se siano vere o false) quando sono confutabili, o falsificabili. Se dico “l’acqua bolle a 100 C°”, la proposizione è scientifica perché, se oggi riscaldo dell’acqua e questa bolle a 90 C° oppure a 110 C°, essa sarebbe falsificata. Mentre se dico “i sogni sono una soddisfazione allucinatoria di desideri”, sarà molto difficile falsificare questa proposizione. Difatti, quando alcuni pazienti portarono a Freud sogni in cui appariva evidente che non si soddisfacevano desideri, Freud ebbe buon gioco nel dire “tu paziente desideri falsificare la mia teoria che i sogni soddisfino desideri, e proprio questo è il desiderio che nel sogno si soddisfa”. Manovra indubbiamente brillante, ma che rovina completamente, agli occhi di Popper, la scientificità della teoria di Freud, dato che su questa strada sarà di fatto impossibile offrire un modo di falsificarla. Ovvero, Freud è incapace di descrivere un solo sogno possibile che, se occorresse, falsificherebbe la sua teoria. In realtà, possiamo sognare qualsiasi cosa, anche di stare sognando.
Certamente il criterio popperiano ha un prezzo elevato: escludere la storiografia da ogni scientificità. Quel che conta per Popper è che si formulino congetture ovvero teorie, ma lo storico non è tenuto a elaborare teorie storiografiche, gli basta scoprire certi fatti del passato e metterli insieme in un certo modo. Eppure sappiamo che ci sono modi più o meno rigorosi di raccontare la storia. Non dimentichiamo che la psicoanalisi, prima ancora di essere una teoria, è un certo modo di raccontare storie, di ricostruire la vita psichica di soggetti.
Sono stati però proprio degli storici – della scienza – a falsificare la teoria di Popper. Essi hanno mostrato che, di fatto, tutte le teorie scientifiche oggi affermate sono falsificate da un mare di controfatti, ovvero fatti di cui queste teorie non riescono a render conto. Ma non basta questo perché queste teorie vengano abbandonate. Questo dato di fatto è stato fatto proprio dalla ricostruzione scientifica che personalmente trovo più verosimile, quella di Thomas Kuhn. Anche su Kuhn sono diffusi vari malintesi, per cui sulla sua teoria vanno chiarite alcune cose.
4.
Alcuni analisti che vogliono superare Freud dicono che la teoria di Freud è una scienza normale nel senso di Kuhn, quindi da abbandonare. Pensano che per Kuhn la scienza normale sia una scienza sclerotizzata, intenta solo a risolvere puzzle, che non si interroghi più sulle proprie basi; mentre la vera scienza, quella feconda, sarebbe la scienza straordinaria. Si tratta di un grosso malinteso sulla posizione kuhniana. In effetti Kuhn distingue due fasi nella storia di una scienza: le fasi di scienza straordinaria in cui si dibatte su paradigmi alternativi, dove insomma gli scienziati non condividono tra loro nessuna chiave esplicativa; e le fasi di scienza normale, in cui tutti gli scienziati di una determinata disciplina condividono un paradigma di base che non viene messo in questione. Nella scienza normale gli scienziati si dedicano a risolvere puzzle, ovvero fatti recalcitranti al paradigma accettato, e si sforzano di farli rientrare, in qualche modo, nel modello esplicativo universalmente accettato dalla comunità. Ad esempio, all’epoca in cui era indiscusso il modello cosmologico di Newton, gli astronomi erano interdetti da un comportamento anomalo del perielio di Mercurio, non previsto dalla teoria. Cercarono di spiegarlo in vari modi, ad esempio, ipotizzando l’azione perturbatrice di un altro pianeta non ancora scoperto, e simili. Come è noto, questa anomalia (per il sistema newtoniano) è invece perfettamente spiegata dalla teoria di Einstein. Ma questo perché con Einstein è cambiato completamente il paradigma esplicativo del sistema solare. All’inizio del secolo scorso ci furono delle vere rivoluzioni scientifiche, ovvero cambiamenti drammatici di paradigma – in fisica, la relatività di Einstein, la meccanica quantistica. Oggi la teoria di Einstein è paradigma accettato, per cui la cosmologia è in una fase normale. Da notare che una scienza normale può riferirsi contemporaneamente anche a paradigmi tra loro non del tutto compatibili. Alcuni amici fisici si dicono tormentati dal fatto che la fisica di oggi ha due paradigmi fondamentali, quello relativista e quello quantistico, che non si integrano a vicenda. Ma molti altri fisici non si tormentano affatto.
Questo non significa che le fasi di scienza straordinaria – quando paradigmi fondamentali si contendono il campo – siano quelle buone, davvero progressive, mentre le fasi di scienza normale siano fasi grigie di conformista decadenza. Al contrario, per Kuhn c’è progresso della conoscenza perché ci sono fasi normali abbastanza lunghe: è risolvendo puzzle – ovvero, facendo rientrare poco a poco le varie anomalie nel paradigma dominante – che si accumula conoscenza. In altre parole, perché ci sia progresso scientifico, perché il sapere produca tecnologie sempre nuove, occorre che gli scienziati non siano provvisti di eccessivo spirito critico. Se mettessero sempre in dubbio il paradigma dominante, non ci sarebbe alcun accumulo di conoscenza. Un certo conformismo degli scienziati è un fattore potente del progresso della conoscenza. Questo è un punto essenziale della teoria di Kuhn, che venne rigettato da Paul Feyerabend per esempio. Feyerabend abbracciò invece una teoria anarchica della conoscenza, ovvero, secondo lui le scienze non seguivano alcun metodo preciso e specifico, “Anything goes”. Ma non entrerò qui in questo dibattito.
Ora, da un punto di vista kuhniano la psicoanalisi in un secolo e passi non è mai stata una scienza propriamente detta perché non è entrata mai veramente in una fase di scienza normale. E’ rimasta sempre scienza straordinaria – direi, una scienza d’emergenza. Sin da quando Freud era vivo, in effetti, paradigmi alternativi sono entrati in competizione con la psicoanalisi: quello di Jung, di Adler, poi quello di M. Klein, di Bion, di Fromm, in fondo anche di Lacan, ecc. La comunità degli psicoanalisti non esiste proprio perché è frammentata in varie comunità, tra l’altro fra loro in gran parte impermeabili. A parte un generico riferimento a Freud, non si è mai affermato un paradigma unico. Di solito, ogni scuola ignora in gran parte quel che fa un’altra scuola. Prova ne sia che non esistono riviste specializzate di psicoanalisi che pubblichino contributi di analisti di ogni scuola. Ogni rivista dà spazio soltanto ai propri adepti, segno che non si accettano gli altri paradigmi. L’ International Journal of Psychoanalysis, organo ufficiale dell’IPA (International Psychoanalytic Association), pubblica di fatto solo contributi che rientrano nei paradigmi accettati dall’IPA, anche se paradigmi tra loro in competizione. Non è così nelle riviste delle scienze “normali”, per chiamarle kuhnianamente. Una rivista specializzata in una certa branca, mettiamo in fisica dei solidi, darà spazio a contributi che magari si rifanno a ipotesi diverse, alternative, ma in teoria tutti i fisici dei solidi potranno collaborare a questa rivista, perché tutti condividono lo stesso paradigma. Tutti pensano di concordare su che cosa significhi “fisica dei solidi”. Certo ci potranno essere dissensi su determinate teorie, ma tutti si accettano come “colleghi” appartenenti a uno stesso club. Il sistema della scienza è ormai un vasto sistema di produzione, non solo per i suoi risvolti tecnologici, ma anche per costruire quella che chiamerei la Banca Centrale delle conoscenze.
Ci sono quelli che in America si chiamano mavericks, studiosi anche valenti che affermano una loro idea, diciamo privata, di scienza. E in effetti i grandi rivoluzionari nella scienza sono partiti da concetti e paradigmi del tutto “privati”, prima che trionfassero. Ma se non si è al livello di Galilei, Darwin, Mendel, Planck, Einstein, una visione della scienza anti-normale resterà privata. La scientificità è prima di tutto un assetto di organizzazione sociale.
5.
Il fatto che la psicoanalisi non si sia mai evoluta in “scienza normale” non è di per sé una sciagura, anzi. Certamente oggi cessa sempre più di essere insegnata nelle facoltà dette scientifiche, come psichiatria o psicologia. Sempre più la psicoanalisi viene evocata in queste facoltà come una curiosità storica, non come un “programma di ricerca” (lo chiamerebbe Imre Lakatos) ancora attuale. Così la psicoanalisi viene insegnata sempre più in facoltà o dipartimenti non scientifici: filosofia, storia, letterature comparate, storia e critica d’arte, scienze della comunicazione… La psicoanalisi è sempre più uscita dal campo delle discipline riconosciute come scientifiche. Ora, molti analisti denunciano questa espulsione come se si trattasse di una persecuzione da parte delle correnti psichiatriche e psicologiche vincenti, si dice “il cognitivismo egemone emargina la psicoanalisi”. Ma questa interpretazione persecutoria è, come ogni interpretazione persecutoria, molto superficiale. La verità è che la psicoanalisi non incontra quegli standard che, allo stato attuale, qualificano una disciplina come scientifica. Ma, ripeto, non è detto che questo sia un male.
Viviamo in un’epoca in cui si fa passare per serio solo ciò che è scientifico. Se qualcosa non è scientifico, allora è poesia, arte, musica… In questa dicotomia, non ci sono zone grigie: o scienza, o poesia. E dove mettere la storia? E dove mettere le scienze sociali, l’antropologia culturale, la riflessione economica, la filosofia? Sono scienza o poesia? E’ vero che oggi una parte della filosofia, detta analitica, pretende di essere finalmente una filosofia scientifica, di accumulare sapere come le scienze lo accumulano. Ma per me si tratta di un’illusione. Dire che la filosofia può essere scientifica è come dire che gli scacchi possono essere come il bridge…
La psicoanalisi, se fatta seriamente, occupa un luogo oggi non categorizzato, che sta tra la filosofia, le scienze della mente, la pratica di cura, l’intuizione psicologica…. Quindi, essa non è una scienza diciamo istituzionale.
Personalmente, sulla scia di Kuhn, non identifico una scienza perché dimostrerebbe di seguire il Metodo scientifico. Una scienza è una specifica organizzazione sociale che coinvolge una serie di istituzioni: università, centri di ricerca, enti finanziatori, laboratori, rete di pubblicazioni. Ad esempio, si è nel campo della scienza quando si accetta il criterio dell’impact factor… Quando si accettano gli standard di valutazione di oggi. Quando si compilano richieste di finanziamenti all’Unione Europea fatti in un certo modo. Gli analisti hanno voglia di urlare al vento che sono “scientifici”: la loro organizzazione socio-istituzionale non è affatto paragonabile a quella delle scienze di oggi. Per esempio, quasi tutte le ricerche riconosciute scientifiche sono scritte in inglese; invece gli analisti si ostinano, per lo più, a scrivere nella propria lingua. La psicoanalisi, anche quando scimmiotta le “scienze normali”, di fatto, anche se inconsapevolmente, resiste alla normalizzazione.
Ma questa resistenza non è un handicap. Prova ne sia che scienziati veri, accettati come tali dalle loro comunità scientifiche di riferimento, si ispirano spesso alla psicoanalisi e in particolare a Freud. Sono freudiani, anche se con venature fenomenologiche, i neuroscienziati della scuola di Parma di Giacomo Rizzolatti, per esempio (gli scopritori dei neuroni specchio). Era freudiano in senso lato Gerald Edelmann, il padre del darwinismo neurale, premio Nobel in immunologia. Come è freudiano Ernest Kandel, premio Nobel in neuroscienze. Ed era freudiano a modo suo – dato che ha fatto analisi con lo stesso analista per 46 anni – il neurologo-scrittore Oliver Sacks, anche se non ha mai scritto sulla psicoanalisi. Si ispirava a Freud, oltre che alla fenomenologia, lo scienziato cognitivo Francisco Varela. E gli esempi si potrebbero moltiplicare. Per non parlare dell’influsso di concetti freudiani nelle scienze sociali (basti pensare alla fortuna del concetto di narcisismo in sociologia e in politologia.) Cosa vuol dire questo? Non che la teoria di Freud sia di per sé scientifica, ma che essa ha uno straordinario valore euristico, continua insomma a ispirare ricerche e teorie scientifiche. La psicoanalisi è una buona Musa scientifica. Come sono state grandi Muse scientifiche la filosofia platonica (su Galilei), Spinoza (in particolare su Einstein), Kant, il positivismo logico, ecc. La psicoanalisi resta insomma una visione della soggettività umana tuttora molto potente, anche nel campo dei cultori delle scienze riconosciute tali.
Jacques Lacan non pretendeva che la psicoanalisi fosse una scienza. Condivideva l’idea di Popper che essa fosse inconfutabile, quindi non scientifica. Ma poneva una domanda interessante: “Cosa potrebbe accadere alle scienze se esse accettassero la psicoanalisi nel loro seno?” Il problema non è se la psicoanalisi sia una scienza, ma se la scienza si dilati o si modifichi in modo da recepirla o meno.
6.
Freud disse che tre erano i mestieri impossibili: governare, educare, psicoanalizzare. In questo modo implicitamente metteva la psicoanalisi non nel campo delle scienze, ma delle pratiche di cura degli esseri umani. Nessuno direbbe in effetti che il governo e l’educazione siano scienze. Si dirà: eppure esiste una scienza politica, esiste una scienza pedagogica. Ma appunto, fino a che punto sono scienze? I grandi leader politici, quelli che hanno cambiato il mondo, lo sono stati perché erano scientifici? Erano scientifici Bismarck, F.D. Roosevelt, Nelson Mandela, lady Thatcher?... O alcuni educatori hanno lasciato segno nella storia – Maria Montessori, don Milani… – perché erano scientifici?
La dottrina psicoanalitica, pur non essendo scientifica, è importante in quanto per molti (ad esempio per me) è molto verosimile. Essa è uno dei modi moderni in cui l’essere umano legge se stesso. Come a suo tempo furono essenziali il modo in cui l’essere umano venne letto da Platone, Aristotele, gli stoici, Montaigne, Hume, Marx, Nietzsche, Heidegger… Quella freudiana è insomma una delle maggiori chiavi di lettura dell’umanità da parte dell’umanità stessa. Illuminante per alcuni, fallace per altri, ma non vi si può prescindere. Come per alcuni sono illuminanti o fallaci certe letture fondamentali dell’assetto sociale: quella marxista e socialista, quella liberale, quella nietzscheana, quella liberal-democratica… Possiamo dire che marxismo, liberalismo, nietzscheanismo, liberal-democrazia, ecc., sono letture scientifiche della società? Ciascuna cerca di essere il più possibile verosimile, attraverso argomentazioni, esempi, narrazioni, ecc., ma nessuna di queste è una teoria scientifica. Eppure non possiamo leggere il mondo sociale nel quale viviamo senza riferirci a una di queste visioni. Le nostre visioni del mondo e della vita non si basano sul sapere delle scienze, quanto sui modelli che consideriamo più verosimiglianti.
Certamente però la psicoanalisi attrae perché, pur non essendo una scienza, è permeata dall’ideale di scientificità. La psicoanalisi adotta quella che chiamerei un’idealità spinozista della scienza. “Gli uomini – scrisse Spinoza (Etica, IV, prefazione) – ignorano per lo più le cause dei loro desideri. Sono in effetti consci delle loro azioni e dei loro desideri, ma ignorano le cause che li determinano a desiderare qualcosa”. E’ il programma stesso della psicoanalisi. La psicoanalisi punta a riconoscere le cause che ci determinano a desiderare. Ma non basta essere spinozisti per essere scientifici, ci vuole ben altro. Lo spinozismo – come per Einstein – è l’ideale scientifico di molti, ma resta un ideale, un progetto soprattutto etico di riconoscere – e superare – ciò che ci determina.
Alcuni psicoanalisti, intimiditi, pensano di essere rassicurati se qualcuno dimostra loro che quel che fanno è scientifico. Ma gli analisti devono imparare ad accettare il rischio assoluto della loro pratica, nulla li garantisce, non ci sono Metodi o Meta-metodi che dicano loro come fare bene. Sono presi nel groviglio dei capricci storici e dei misteri del talento.
Ma proprio grazie a questa idealità scientifica, la psicoanalisi, se pur non è una scienza, è la pratica-teoria più adeguata all’uomo e alla donna nell’epoca del dominio della scienza e della tecnica. Da qui il suo persistere oltre un secolo. Si potrebbe obiettare che siano espressioni della nostra era dominata dalla scienza piuttosto il cognitivismo e le pratiche da esso prodotte, perché, come dice il nome stesso, il cognitivismo considera la soggettività umana come essenzialmente qualcosa di cognitivo, e la scienza è interamente cognizione. Il cognitivismo pensa che l’essenziale di ogni essere umano è ciò che lo rende simile a uno scienziato. Ma la psicoanalisi è in opposizione dialettica al cognitivismo. Possiamo dire che la psicoanalisi tratta i fallimenti dovuti alla società cognitiva; d’altro canto il cognitivismo tempera la fuga psicoanalitica verso una hybris interpretativa. La società cognitiva è una cultura che punta al massimo controllo razionale – è funzione di quel che Freud aveva chiamato l’Io, nella seconda topica. Ma questo controllo sempre più esteso produce una serie di effetti collaterali, per dir così, di perdita di controllo, che il controllo cognitivo non riesce a gestire. In questo senso, la psicoanalisi è figlia della scienza e della tecnica, non perché essa tenda a essere a sua volta scienza e tecnica, ma perché è il modo migliore per riassorbire gli scacchi, gli scarti, della cultura tecno-scientifica. Del resto, come abbiamo detto, la psicoanalisi sposa gli ideali della scienza, ovvero, il principio di un’elaborazione non prescrittiva di quello che un soggetto potrebbe essere. La psicoanalisi punta anch’essa alla verità, anche se si tratta di una verità soggettiva. Essa punta insomma alla parola veridica del soggetto, che è il punto di partenza di ogni scienza.
Commenti
L’interessante articolo, mi conferma sul fatto che la psicanalisi, oggi come oggi, potrebbe anche non avere lo statuto di scienza, cosa che però non negherebbe che essa sia una scienza, da confermarsi, in un prossimo futuro, come tale.
Nel campo scientifico, si hanno varie esperienze (prassi/tecniche), che hanno funzionato e delle quali, successivamente, se ne sono enunciati i principi scientifici impliciti.
Prendiamo l’esempio della termodinamica che data, con Carnot e col suo “Primo Principio della Termodinamica” al 1824 e si sviluppa con Kelvin e il “Secondo Principio della Termodinamica” nel 1848, quando la prima macchina a vapore di Newcomen risaliva al 1705, mentre il brevetto della macchina a vapore di Watt era del 1764.
La termodinamica, cioè, come scienza, nasce per spiegare il funzionamento di macchine già costruite con metodi empirici.
Non mi porrei quindi la domanda o più ansiogenamente il problema se la psicanalisi sia o no una scienza, ma se funzioni o no.
… E funziona egregiamente.
Peccato che il cognitivismo non sia scientifico. E' solo una pratica della conferma. Non conosce la confutazione delle previsioni e dei pregiudizi, come invece regolarmente fa la psicanalisi.