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INTERVISTA AL DOTT. GIANFRANCO ALUFFI, RESPONSABILE DEL SERVIZIO IESA ASLTO3

26 Lug 18

A cura di SERVIZIO IESA ASLTO3

l'intervista è stata effettuata da Raffaele Avico, redazione di Psychiatry On Line

Il servizio I.E.S.A. è rivolto a pazienti psichiatrici in attesa di una soluzione di reinserimento; si presenta come un servizio di inserimento di pazienti all'interno di famiglie ospitanti volontarie definite in ambito anglosassone foster families, che decidono di ospitare all'interno di casa loro una persona in stato di necessità, in cambio di un bonus economico erogato dall'Asl che si aggira intorno ai 1000 euro.

Il servizio è attivo da circa 20 anni su un territorio che conta circa 600mila abitanti ed è coperto dall’ASLTO3. Sulla totalità di questi abitanti al momento sono attivi circa 50 progetti (cioè ci sono 50 utenti psichiatrici accolti).

Negli ultimi periodi lo I.E.S.A. Ha ottenuto importanti riconoscimenti territoriali: è stato esteso a tutte le ASL della Regione Piemonte ed è l'unico servizio a essere riconosciuto e nominato all'interno della recente DGR29 regionale (che rivoluzione la psichiatria piemontese, con cambiamenti, tagli e modificazioni delle prassi, che hanno fatto discutere). Inoltre, sta diffondendosi all'interno delle altre regioni italiane per mezzo di un lavoro di formazione effettuato dal Dott. Gianfranco Aluffi in Emilia-Romagna, Toscana, Lombardia, Umbria, Puglia, Veneto, Lazio, Sardegna, Campania ecc., nell'ottica di, con l'appoggio attivo delle ASL, renderlo buona prassi sanitaria in linea con una retrostante idea democratica e basagliana di psichiatria territoriale, con il paziente “al centro”.

Il progetto I.E.S.A. riprende un modello terapeutico già avviato e funzionante in altre realtà europee come ad esempio il progetto Shared Lives nel Regno Unito (qui le famiglie ospitanti sono coinvolte nel reinserimento di pazienti non solo psichiatrici, ma anche portatori di altre tipologie di disagio -dalla disabilità agli immigrati difficilmente inseriti sul territorio), o la realtà di Geel in Belgio, dove nasce (http://www.lastampa.it/2017/01/24/scienza/benessere/ospitare-un-malato-psichico-lui-torna-in-contatto-con-la-vita-la-famiglia-ottiene-mille-euro-K71KxdbtEjqycEyvySFqVI/pagina.html). Propone un inserimento realmente territoriale di quei pazienti in carico alla psichiatria che in altro modo rischierebbero di rimanere «invischiati» nel circuito di reinserimento, per ora costituito da alloggi protetti, soluzioni lavorative per mezzo di borse lavoro e strutture di lungodegenza.

Per il territorio, si ottiene un doppio vantaggio: da un lato una consistente riduzione della spesa pubblica, che si riduce a un terzo (essendo che un utente in carico a una qualsiasi struttura costa allo Stato, giornalmente, dai 50 ai 200 euro), dall’altro prevedendo un appoggio economico alle famiglie che decidono di ospitare. In questo sta la sua forza, cioè l'avvicinare due attori sociali in un incontro che avvantaggia entrambi, in senso sia relazionale -come si noterà nel video allegato-, che economico, e che lo ha fatto notare come buona pratica per quanto concerne i movimenti di inclusione di soggetti portatori di difficoltà entro la delicata fase del “reinserimento”.

Alcune domande che abbiamo posto al Dott. Aluffi, direttore scientifico di Dymphna's Family (la rivista scientifica europea sullo IESA https://issuu.com/dymphnasfamily/docs/dymphnas_family_web) e responsabile del progetto per L'ASLTO3:

  1. Dott. Aluffi, quali ritiene siano i vantaggi che un progetto come lo IESA reca al territorio?

Un progetto come lo IESA che mira all’inclusione sociale di soggetti in difficoltà, valorizza le risorse presenti nel territorio, inducendo il contesto sociale a farsi carico delle sue parti più fragili. Va ad attivare le reti sociali già presenti, ne potenzia le capacità di integrazione, offrendo agli ospiti un contesto di vita non istituzionalizzato, non alienato dalla quotidianità in cui ciascuno di noi è inserito e in cui ciascun soggetto ha diritto di vivere. Inoltre la presenza di un rimborso spese per l’accoglienza corrisposto alle famiglie che generosamente aprono le porte delle loro case e mettono a disposizione il loro tempo per sostenere un ospite, può essere visto come una virtuosa ridistribuzione di risorse che ha come ricaduta positiva secondaria il fatto di evitare una massimizzazione del profitto devolvendo denaro esclusivamente in strutture protette. Lo IESA quindi segue un principio equo, ecologico e solidale, sostenendo il territorio e i cittadini.

  1. Cosa ha notato, nella sua esperienza, in termini di vantaggi ai pazienti?

Numerose ricerche scientifiche mettono in luce i parametri di efficacia dello strumento IESA. Innanzitutto è evidente una riduzione dei giorni di ricovero per cause psichiatriche, favorito da un maggior contenimento affettivo e un supporto più puntuale e continuativo garantito dalle famiglie ospitanti con l’aiuto degli operatori dell’équipe IESA; questo è sicuramente un indicatore di benessere e produce inoltre un risparmio dal punto di vista della gestione del denaro pubblico, attraverso una maggiore disponibilità di risorse di cura residenziale per i cittadini in stato di necessità, grazie all’ottimizzazione della spesa.

Lo stesso ragionamento vale per un altro parametro che emerge dalle ricerche che evidenziano una riduzione dei dosaggi di benzodiazepine al bisogno.

Infine il vantaggio maggiore è l’aumento della qualità della vita per i pazienti che possono riacquisire un ruolo sociale e familiare nel nuovo contesto, hanno la possibilità di ricostruirsi una rete di amici, incontrano nuove possibilità di formazione, lavoro e svago al di fuori del circuito psichiatrico e dunque dello stigma che ne deriva.
 

  1. Quanto ci allontaniamo dagli esempi europei (mi riferisco per esempio al progetto SHARED LIVES o alla stessa città di Geel)?

Il modello italiano, ispirato a quello tedesco, è profondamente diverso da quello belga di Geel nel quale i posti letto offerti dalle famiglie ospitanti sono considerati alla stregua di quelli messi a disposizione dalla clinica, che governa i progetti, semplicemente “dislocati” sul territorio anziché all’interno delle mura ospedaliere, mentre il modello seguito da Shared Lives risulta più vicino al nostro. La grande differenza sta nei numeri, poiché in Italia i progetti attivi sul territorio nazionale risultano ancora molto bassi rispetto a quelli delle esperienze citate, a causa di carenze di tipo culturale che vanno colmate, parlando di IESA e trasmettendo le potenzialità di tale proposta di cura, sia tra i professional, sia all’interno della popolazione. In questa operazione anche le istituzioni quali ad esempio le università dovrebbero farsi carico della responsabilità di inserire la formazione sullo IESA nei vari corsi potenzialmente interessati da tale pratica, anziché insistere su modelli di cura residenziale ancora legati a logiche massificatorie e separatorie basate sul concetto di terapia esclusivamente o quasi coincidente con l'assunzione di farmaci.

  1. Cosa sogna per il progetto IESA, nel futuro?

La funzione del sogno è per me molto importante e non nascondo che un approccio visionario, man mano sempre più sostenuto da evidenze, mi accompagna sin dai primi momenti in cui mi sono affacciato al mondo dello IESA. Era appunto un sogno nel lontano 1996, anno in cui mi trovavo nel sud della Germania e lavoravo a una ricerca proprio sullo IESA, poter portare un giorno nel mio paese questo modello di lavoro e questo approccio alla cura del disagio psichico. Questo sogno si è realizzato parzialmente in questi ultimi 20 anni, vedendo via via la nascita e la diffusione di diversi progetti IESA presso le AASSLL nazionali. La realizzazione del sogno per completarsi necessita ancora di una diffusione capillare di Servizi IESA sul territorio nazionale, che offrano un prodotto di qualità secondo precisi parametri condivisi e accreditati, un maggiore investimento da parte delle gestioni delle aziende sanitarie locali e delle Regioni, e dunque maggiori possibilità per i pazienti di accedere ad un supporto, ma mantenendo il più possibile una quotidianità “normale”. A sostegno di tutto questa occorrerà l'approvazione di una legge nazionale sul metodo IESA come strumento di cura residenziale in ambito psichiatrico ma non solo.

  1. Quali sono i vostri obiettivi operativi nel prossimo futuro?

Continuare a svolgere bene il nostro lavoro sul territorio dell’ASL TO3 con un investimento sempre maggiore e realizzare una corretta diffusione di questo tipo di strumento su tutto il territorio regionale piemontese, così come previsto dalla recente normativa in materia di riorganizzazione della residenzialità in psichiatria. Sto inoltre lavorando all'elaborazione di una proposta di legge nazionale sullo IESA che spero di vedere trasformata in legge entro la fine dell'attuale legislatura. Insieme a valorosi collaboratori abbiamo preparato un testo che ha già incontrato l'apprezzamento di alcuni parlamentari. Da qui in poi molto dipenderà dall'effettivo orientamento del parlamento a sostenere un modello di cure che mette al primo posto gli interessi della cittadinanza e dei potenziali fruitori. Speriamo in bene…

 

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