Lacan non era un morto, era un vivo.
Antonio Di Ciaccia
Antonio Di Ciaccia
L’insegnamento, la filosofia, la religione, la criminologia, la Cina… Ampi campi per questo 3° gruppo delle Piccole mappe, le note editoriali che Antonio Di Ciaccia ha pubblicato all’apertura di quasi tutti i 62 (ad oggi) numeri della rivista La psicoanalisi. Cartine virtuali e cartacee per orientarsi, sapere dove andare a cercare le risposte alle domande che, se non dovessero sorgere, ci vengono suggerite.
Facciamo una passeggiata, per esempio, nel campo sterminato dell’insegnamento, dove con Antonio scopriamo (o riscopriamo) che il compito dell’insegnante in Lacan è di barrare il sapere. Il sapere va portato per quello che è: incompleto. Il linguaggio non arriva dappertutto. E’ il vuoto intorno a cui ruota il sapere, come mostrava Socrate, con il suo insegnamento e la sua persona.
L’analista, quando insegna, è nella posizione dell’analizzante, dunque gli allievi sono tutti in posizione di analista. Insegnare considerando che il sapere non è garantito, che l’insieme dei significanti non si annoda con la supervisione di qualcun altro, ma secondo il tentativo disperato e disperante di aggiustare una perdita che non si ripara mai, che non c’è un significante speciale per nessuno, ma diversi per ciascuno.
Il garante del sapere, inconscio o meno, non esiste, la donna non esiste, il rapporto sessuale non esiste, allora che si fa? “Rendere possibile l’impossibile, rendere possibile la realtà” (Caparezza). Ovvero fare, ma anche parlare, e godere, perfino godere di ciò che si desidera: quel sintomo di cui ci si lagnava, può diventare ciò che ci regge, lasciando vuoto un posto, che non può riempirsi.