« Niente è più umano del crimine », intitola Jacques-Alain Miller una sua conferenza qui riportata. E Lacan, parlando di quanto avviene tra l’uomo e la donna, in un passaggio di un suo seminario ricorda che « invece di usare la squisita cortesia animale, agli uomini capita di stuprare una donna, o viceversa ».[1]
Sì, niente è più umano del crimine. L’animale potrà essere feroce, ma non sarà mai criminale. Per poter delinquere occorre essere fatti di una pasta speciale, quella in cui la pulsione – non l’istinto animale – per un erratico eccesso di godimento, a volte mortifero per sé e per gli altri, esonda dal letto del simbolico. Passaggio all’atto viene chiamato o, a volte, acting out. Siamo sempre nel registro dell’atto.
Eppure, a volte, il parlessere – come lo chiana Lacan – può porre, in quanto individuo capace di intendere e di volere, un vero e proprio atto delittuoso. Quando viene commesso un delitto, non sempre ci troviamo di fronte un folle, uno squilibrato, uno psicopatico, uno psicotico. A volte ci troviamo di fronte una persona che non risponderebbe ai canoni della psicopatologia e che può mettersi a uccidere senza batter ciglio una settantina di giovani sul lago di Utoya, per esempio. Aveva forse l’individuo in questione una missione da compiere ? Era forse in combutta con agenti per operare una pulizia etnica ? Comunque costui si ritiene in diritto di riconquistare non solo la sua libertà ma esige che venga premiato con una medaglia. Non è mia intenzione pronunciarmi sull’autore di una simile tragedia. E’ mia intenzione indicare come troppo anguste e inadeguate le maglie che collegano il diritto penale con le problematiche così come le ha affrontate finora la psichiatria. La psicoanalisi potrebbe portarvi un soffio nuovo ?
E quello che pensiamo. Anche solo riprendendo quel filo rosso che ci riporta indietro nel tempo ricollegandoci con il giovane Lacan. Già nella sua Tesi di dottorato in medicina, già in altri suoi scritti, Lacan si era interrogato a lungo sul rapporto che intercorre tra l’essere umano e il suo atto. Foss’anche l’atto delittuoso.
In questo numero de La Psicoanalisi viene messa in luce quella che potremmo chiamare a giusto titolo la criminologia lacaniana, sebbene non si situi sulla scia di quella che viene chiamata correntemente criminologia.
Inoltre la rivista ospita i lavori del Dipartimento « Psicoanalisi e Diritto » in cui per lunghi anni si sono confrontati avvocati e psicoanalisti in un dibattito in cui ognuno ha cercato di comprendere il discorso dell’altro.
Il lettore apprezzerà il felice incontro tra persone animate dal desiderio di chiarire reciprocamente il diverso ambito da cui trae forza la loro azione specifica. Lo psicoanalista ha molto da imparare per comprendere la sintassi delle procedure che cade come una rete sul soggetto, che sia colpevole o presunto tale. L’avvocato e il giudice hanno molto da imparare per comprendere la lingua del soggetto messo sotto accusa a norma di legge.
Per terminare do la parola all’avvocato Giuliano Spazzali riprendendo un passo di un suo intervento riportato nella rivista. « Io ho capito che ci sono delle cose che mi sollecitano a voler capire e io da solo non sono capace, quindi ho bisogno di una spalla e chiarisco io al mio difeso che ho bisogno di questa spalla. Ma chi è il mio partner ? Chi si siede accanto a me per aiutarmi a tradurre la lingua del mio difeso che io da solo non capisco ? Come difensore sono fermo alla psichiatria ufficiale, ma è possibile che gli strumenti di traduzione siano solo questi ? C’è uno psicoanalista lacaniano che si siede accanto a me ? ».
Dobbiamo la copertina del numero a Caroline Peyron con il suo quadro « 2 novembre 1975 Ostia – Torvaianica 11 aprile 1953 ».
Sì, niente è più umano del crimine. L’animale potrà essere feroce, ma non sarà mai criminale. Per poter delinquere occorre essere fatti di una pasta speciale, quella in cui la pulsione – non l’istinto animale – per un erratico eccesso di godimento, a volte mortifero per sé e per gli altri, esonda dal letto del simbolico. Passaggio all’atto viene chiamato o, a volte, acting out. Siamo sempre nel registro dell’atto.
Eppure, a volte, il parlessere – come lo chiana Lacan – può porre, in quanto individuo capace di intendere e di volere, un vero e proprio atto delittuoso. Quando viene commesso un delitto, non sempre ci troviamo di fronte un folle, uno squilibrato, uno psicopatico, uno psicotico. A volte ci troviamo di fronte una persona che non risponderebbe ai canoni della psicopatologia e che può mettersi a uccidere senza batter ciglio una settantina di giovani sul lago di Utoya, per esempio. Aveva forse l’individuo in questione una missione da compiere ? Era forse in combutta con agenti per operare una pulizia etnica ? Comunque costui si ritiene in diritto di riconquistare non solo la sua libertà ma esige che venga premiato con una medaglia. Non è mia intenzione pronunciarmi sull’autore di una simile tragedia. E’ mia intenzione indicare come troppo anguste e inadeguate le maglie che collegano il diritto penale con le problematiche così come le ha affrontate finora la psichiatria. La psicoanalisi potrebbe portarvi un soffio nuovo ?
E quello che pensiamo. Anche solo riprendendo quel filo rosso che ci riporta indietro nel tempo ricollegandoci con il giovane Lacan. Già nella sua Tesi di dottorato in medicina, già in altri suoi scritti, Lacan si era interrogato a lungo sul rapporto che intercorre tra l’essere umano e il suo atto. Foss’anche l’atto delittuoso.
In questo numero de La Psicoanalisi viene messa in luce quella che potremmo chiamare a giusto titolo la criminologia lacaniana, sebbene non si situi sulla scia di quella che viene chiamata correntemente criminologia.
Inoltre la rivista ospita i lavori del Dipartimento « Psicoanalisi e Diritto » in cui per lunghi anni si sono confrontati avvocati e psicoanalisti in un dibattito in cui ognuno ha cercato di comprendere il discorso dell’altro.
Il lettore apprezzerà il felice incontro tra persone animate dal desiderio di chiarire reciprocamente il diverso ambito da cui trae forza la loro azione specifica. Lo psicoanalista ha molto da imparare per comprendere la sintassi delle procedure che cade come una rete sul soggetto, che sia colpevole o presunto tale. L’avvocato e il giudice hanno molto da imparare per comprendere la lingua del soggetto messo sotto accusa a norma di legge.
Per terminare do la parola all’avvocato Giuliano Spazzali riprendendo un passo di un suo intervento riportato nella rivista. « Io ho capito che ci sono delle cose che mi sollecitano a voler capire e io da solo non sono capace, quindi ho bisogno di una spalla e chiarisco io al mio difeso che ho bisogno di questa spalla. Ma chi è il mio partner ? Chi si siede accanto a me per aiutarmi a tradurre la lingua del mio difeso che io da solo non capisco ? Come difensore sono fermo alla psichiatria ufficiale, ma è possibile che gli strumenti di traduzione siano solo questi ? C’è uno psicoanalista lacaniano che si siede accanto a me ? ».
Dobbiamo la copertina del numero a Caroline Peyron con il suo quadro « 2 novembre 1975 Ostia – Torvaianica 11 aprile 1953 ».
[1] J. Lacan, Il seminario. Libro XVIII. Di un discorso che non sarebbe del sembiante (1971), Einaudi, Torino 2010, p. 26.