Lacan e la Cina Nota editoriale de La Psicoanalisi, n. 56-57, 2014-2015

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“Mi sono accorto di una cosa: forse sono lacaniano solo per aver studiato un po’ di cinese in altri tempi”,[1] disse un giorno Lacan al suo seminario. Lacan aveva studiato il cinese con Paul Demiéville negli anni della guerra e lo riprenderà nel 1969 con François Cheng, il quale gli presentò, come primo testo da studiare, il capitolo primo del libro di Laozi. Eccone l’inizio nella versione tradotta dal poeta cinese, accademico di Francia:

 
La Via che può essere detta Via
Non è l’eterna Via
Il nome che può essere nominato
Non è l’eterno Nome
Senza nome: Cielo-e-Terra ne provengono
Il Nome: Madre-di-ogni-cosa
Sempre senza desiderio consideriamo il Germe
Sempre con desiderio consideriamo il Termine
Doppio-nome derivato dall’Uno
Questo due-uno è mistero
Mistero dei misteri
Porta di ogni meraviglia
 

Lacan era sorpreso, dice François Cheng, che il termine Tao significhi contemporaneamente la Via e il parlare (o l’enunciazione).[2] Non è l’unico apporto della cultura cinese ad aver interessato Lacan. Basterebbe pensare al riferimento al wu wei, a quell’agire senza agire in cui ritrova il principio cardine della pratica analitica, o ancora all’interesse per il dialogo che Mengzi intesse nel collegamento tra xing e ming, tradotti con natura e destino. Questo numero della rivista offre una panoramica dell’interesse di Lacan nei confronti della cultura cinese, e che è il frutto di un convegno che ha riunito sinologi, filosofi e psicoanalisti su questo tema.
Non è tuttavia l’unico apporto di questo numero. L’inedito in italiano di Lacan consiste nel suo intervento finale alle Giornate di studio dell’Ecole freudienne de Paris che si tennero a Lille nel settembre 1977, e, oltre ad altri articoli, segnaliamo il testo di Jacques-Alain Miller Che cosa vuol dire essere lacaniani?, che è una ripresa di parte del suo Corso L’orientation lacanienne tenuto al Dipartimento di Psicoanalisi dell’Università di Parigi VIII nel 1997.



[1] J. Lacan, Il seminario. Libro XVIII. Di un discorso che non sarebbe del sembiante (1971), Einaudi, Torino 2010, p. 30.
[2] Cfr. F. Cheng, “Il dottor Lacan nel quotidiano”, in La Psicoanalisi, n. 10, 1991, p. 47-59.
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