Ai compagni di ricerca
Cosa fai, gli chiedevo, col mio cuore?
Quanto disti da me, in linea retta?
Quanti chilometri di batticuore?
Quando mi dai l’amore che mi spetta
Tu e le tue fissazioni! Mi vien voglia
di rinfacciarti le mie piaghe,
quelle sì cancrenose, immedicabili…
Ma no, sbaglio. Non io, tu sei l’erede
d’una sacra penuria,
te e i tuoi da sempre ha saccheggiato il cielo.
C’è più tristezza nel tuo lutto
per un gioco perduto, per una bambola squartata
che nel mio per il novero dei morti
che colleziono da una vita.
E’ più giusta, ha più stoffa la tua pena.
E intanto non riesco a consolarti,
mio affannato, tremante, altero amore!
Non rispondi, mi guardi
come, ma sì, come un nemico di classe
se cerco di distrarti,
se ti ricatto con la tenerezza…
Ma credimi, tesoro, che non voglio rubartelo
l’osso del tuo dolore.
Giovanni Raboni (da “A tanto caro sangue”, 1988)
L'osso del nostro dolore e' quello che portiamo ai signori analisti che del dolore sembra sempre siano immuni.
Anzi, sembra quasi non li riguardi.
Dall'altra parte del vetro con i capelli bianchi, Dottore, esci e ti avvicini e mi dici che non il taglio ma la pelle cura.
La pelle cura!
L'incontro di due Ph che funzionano e non si respingono. Mantengono la pelle giovane e soprattutto RI-generano.
Difficile poter veder nei signori analisti il dolore perché Loro sembran sempre su un altro piano, dall'altra parte del vetro.
A volte fa paura da paziente pensare che l'altro sia stato messo peggio di noi, altre volte consola l'idea di uguaglianza .
Ma cosa ci differenzia ad un certo punto dal paziente?
Il sapere mantenersi sempre ad un certo livello di conoscenza di se e dell'altro!
Una posizione di messa in discussione continua delle proprie uscite dalla cura: avrò veramente superato il mio sintomo?
Avro' risolto la mia SCISSIONE veramente?
Mi dice l'eminenza grigia: quando funziona è così che funziona.
Caspita faccio una domanda e qualcuno mi dice come si fa .
Non sempre ma quando funziona per me si fa così !
Il signor analista "deve" e dico "deve" essere uomo di ricerca perché senza questo atteggiamento c'è rischio di limitare la possibilità di cura dell'altro.
Se penso alla mia analisi devo ringraziare l'aver visto in tutta la sua magnificenza la falla del mio analista.
Aver visto ha consentito l'entrata in scena dell'umanità dell'altro anche nelle sfumature più dolorose.
Idealizzare ci serve per poter far cose che in condizioni di normalità non faremmo.
Ma vedere il re nudo penso sia stata la possibilità di un vero avvicinamento alla mia umanità lesa.
Quando scegliamo da chi farci curare decidiamo inconsciamente una ripetizione: quella che ci consente di uscirne, mi dice una grande collega.
L'analisi scorre su binari.
Quando nasci già morto l'uscita dall'analisi non coincide con un lutto ma con l'entrata attraverso l'incorporazione nella vita, la nascita.
All'estremo di un immaginario continuum chi non vuole staccarsi e all'estremo opposto chi non si e' mai attaccato.
Come un treno che scorre su e giù noi possiamo appartenere a questi due estremi.
Per uno sarà fondamentale morire, per altro sarà fondamentale nascere.
I signori analisti per esser tali, signori pazienti, scorrono su questo binario ma la loro paura e' più forte perché purtroppo e spesso la loro postura tradisce più di altri una difesa molto particolare che si chiama PSICANALESE.
Lingua spesso abusata e storpiata a tal punto che il metodo preciso e dotato di senso sparisce con la possibilità che ad un certo punto si possa pensare che non esista una cura per il dolore se non perché si parla.
Si parla perché si pensa, si pensa perché qualcuno ci ha parlato.
I signori analisti, tanti, non sono andati a fondo delle loro questioni e più assumono posture e più dimostrano che il loro sapere non sa fare ma sa solo dire.
Motivo per cui gli psicoanalisti si rompono la testa su definizioni ma guai a chiedere spiegazioni precisa sui meccanismi di uscita.
Gli analisti non parlano delle loro uscite, i grandi analisti si.
Pochi.
Questa è una domanda ingenua mi dissero.
Beh signori analisti le domande ingenue sono quelle vere.
Se ne esce o no dal dolore dal trauma dalla depressione dai disturbi di personalità da tutta la psicopatologia.
Quale metodo?
Quanti metodi?
Se pensate, cari pazienti, quanti anni ci son voluti per dar forma ai nostri sintomi pensate a quanto tempo ci vuole per smontarli.
Allora non prendiamo in giro i pazienti e non è una questione di scuola o appartenenza.
Mai appartenuta a scuole perché la vera cura sarebbe stata quella che mi avrebbe curata.
E qualcuno mi ha curata sul serio!
Con determinazione romantica di chi crede, mi ha curata la falla del mio analista, la mia determinazione ad andare fino in fondo, la mia libertà a dire tutto quello che mi viene in mente senza se e senza ma. Vale più la mia vita che benefit secondari all'appartenenza.
La libertà ti viene dalla disperata voglia di vivere ( che serva qualcosa tutto il dolore provocato).
Mi hai curato, Dottore, e forse non sai nemmeno tu bene come, ma la cura e' stata metodo, tempo, passione, fede, errore, caduta, amore reciproco, invidia , odio, persecutorieta'.
Sono state liti, abbracci.
Se non mi crede quella e' la porta.
Sono stati acting, corse ,rischi.
Sono state delusioni, ricadute rivincite risalite.
Il debito che ho nei riguardi della psicoanalisi quella vera e' immenso e non mi relego a caso perché come me i miei pazienti e tanti altri sanno che l'unico modo per uscirne e' quello.
Anche quando lavorai nei Paesi cosiddetti del Terzo mondo era forte il pensiero che i traumi non si potessero curare se non attraverso un lavoro lungo fatto di tranche.
L'umano e' a tutte le latitudini.
Non ho mai avuto posture, ho rischiato, mi son sempre sentita in difetto ma ora posso dire che metodo non è assunzione alla lettera ma e' lettera che fa segno attraverso la carne della lingua di due esseri umani costantemente alla ricerca .
Uno vuol uscire dal dolore l'altro vuol sapere come si fa.
Noi analisti amiamo sapere come si fa.
Noi analisti non crediamo nelle prese posizione a tutti i costi.
Ma noi analisti sappiamo che c'è la Psicanalisi e che le sue basi sono binari su cui scorre la storia dei due soggetti.
Alcune storie si incrociano e sembrano destinate alla cura e questo deve essere indagato meticolosamente per fornire tratte sempre nuove per trattare il dolore che e'un binario su cui scorre la psicopatologia.
Quando senti che c'è stata cura e che te ne puoi andare dalle mani dell'Altro?
Quando dentro di te senti un debito d'amore che e' possibilità di andarsene rimanendo .
VIGILIA DI RESTARE
Tutto è pronto: la valigia,
le camicie, le mappe, la vana speranza.
Tolgo la polvere dalle palpebre.
Ho messo all’occhiello
la rosa dei venti.
Tutto è a posto: il mare, l’aria, l’atlante.
Mi manca solo il quando,
il dove, un diario di bordo,
carte delle maree, venti a favore,
coraggio e qualcuno che sappia
amarmi come non so fare io.
La nave che non esiste, lo sguardo,
i rischi, le mani della meraviglia,
il filo ombelicale dell’orizzonte
che sottolinea questi versi sospesivi…
Tutto è pronto: davvero, invano.
JUAN VICENTE PIQUERAS
Quello che hai scritto dice
Quello che hai scritto dice tante cose.Si ,hai in mano la bussola per saper navigare da sola ,hai imparato a navigare nel mare della vita con il codice del mare. Quando navighi non vi sono cartelli stradali ma l’analista(bravo skipper)usa regole e segnali precisi..se si avvicina una tempesta e il vento soffia troppo forte bisogna raccogliere le vele altrimenti l’imbar cazione si rovescia.Pensa la parte immersa dello scafo è’ chiamata opera viva, la parte emersa opera morta. E non è’ ciò’ che caratterizza il paziente quando entra nella stanza d’analisi?Per imparare a regolare le vele bisogna imparare a fare i nodi e un modo errato rischia di sciogliersi o peggio di non sciogliersi più’ rendendo pericolosa la manovra.E chi ci insegna se non l’analista e per imparare ci vuole tempo e farli e rifarli.E navigare è’ vita , avere il coraggio dell’incognita perché’ a fine analisi abbiamo gli strumenti per non trasformare il dolore , le delusioni, il non amore in sintomo: grazie Dottore