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CURANDEROS MADE IN ITALY? I GUARITORI POPOLARI IN ITALIA…..

3 Gen 19

Di Sergio-Mellina
«… l’umanità procede, perfezionando le sue forze.
Tutto ciò che per essa è irraggiungibile,
un giorno diventerà accessibile, comprensibile;
solo però occorre lavorare aiutare con tutte le forze
 chi cerca la verità».
Cecov Il giardino dei ciliegi.
 
Riassunto
Nel biennio 1995-1996 il curatore del testo pubblicato qui sotto, avendo la responsabilità di Primario del SDSM della ASL RM B organizzò e diresse un corso intitolato “Capire il disturbo della persona immigrata”. L’iniziativa fu presa per utilizzare al meglio e al massimo il tempo che avevamo, per allestire tutti i servizi di salute mentale dopo il 1978, ovvero, senza manicomio. Il tempo sembrava tantissimo, paragonato a quello dell’O.P. Ma non era così e non solo per la nostra impazienza. E neppure la nostra paranoia persecutoria, che ci faceva sospettare un boicottaggio ad ogni rallentamento della “180”. Ad avviso anche di molti amici, colleghi e collaboratori, il modo più propizio per iniziare un’attività di cura e d’indagine o anche di semplice mantenimento della salute mentale e perché no, di prevenzione, su questioni riguardanti la mente, la psiche, il pensiero e le relazioni interpersonali necessarie a coltivare corretti rapporti sociali tra cittadini, fosse necessario studiare. Cosa? Molti colleghi avevano fatto domanda per ottenere in loco, supervisioni ad indirizzo psicodinamico individuali o di gruppo, altri di andare direttamente a corsi di formazione. Noi decidemmo, semplicemente di migliorare le nostre conoscenze un po’ su tutto.  Ci pareva che la formula “biopsicosociale” cara a Piero Scapicchio fosse riassumibile in questo “corso di formazione” dove invitavamo le “eccellenze” dei temi più disparati nei campi allora maggiormente in fermento a parlarci per aprirci le menti. Ricordo che, una decina d’anni prima mi colpì molto un giovane e promettente collega della cattedra pisana conosciuto a Milano, durante le turbolente giornate della SIP del 1968. Me lo aveva presentato Bruno Callieri, obbligandomi ad ascoltarlo, in maniera assertiva (“lo devi ascoltare”) come faceva lui coi suoi allievi prediletti, perché era una della “promesse” più rilevanti delle ultime produzioni della psichiatria antropofenomenologica. Si chiamava Aldo Giannini (1927-1981), aveva un’aria sportiva, ma parlava con proprietà di linguaggio e usando a modo le parole. «Che tecnica hai usato coi casi della tua relazione» – gli fu chiesto a bruciapelo – «Li ascoltavo e ci parlavo». «Psicoanalisi?» venne incalzato «No, terapia psicologica!» «Ma dai, insomma, sempre una psicoterapia!» «No, no! Psicoterapia non analiticamente orientata». A distanza di quarant’anni, queste parole del molestatore che provocava e  la risposta ferma di Aldo, me le sento ancora risuonare nitidamente nelle orecchie, non solo perché lui era un vero studioso ma anche perché sapeva cavarsela da solo, disponendo di una forte personalità [01]. Rammento che all’epoca, la terapia freudiana non godeva di grande favore «perché era la cura dei ricchi», e a questa stoltezza ci si dovevano aggiungere le frequenti e accanite baruffe tra assemblearisti, psicoanalisti e fra le varie correnti tra loro, per terapizzare l’Istituzione da dentro e da fuori. I fenomenologi erano rarissimi, i giovani pochi. E ormai da quando i “Gesuiti” del Varesotto avevano sbaragliato i “Francescani degli ordini minori”, facilitando la cultrazione della psichiatria dalla neurologia, ed elevarne al soglio della cattedra [02], erano quasi scomparsi. Bisognava salire in montagna in qualche manicomio fuori mano, oppure inseguire qualche “filosofo” visionario rifiutato dalle corti accademiche. I “Maestri senza cattedra”, come scrivono Mario Rossi Monti e Francesca Cangiotti, Antigone, 2012. Giannini, malgrado gli fosse morto il Direttore, una delle peggiori iatture che ti possano capitare se sei in carriera accademica, andando a Sassari, fu un’eccezione che confermò la regola. Nell’ambito di un nutrito calendario predisposto e opportunamente finanziato dal SS della Regione Lazio fu invitato il Prof. Tullio Seppilli, ordinario di antropologia all’Università di Perugia a parlarci dei “guaritori popolari in Italia”. Registrammo il suo intervento che, successivamente sbobinato, è restato inedito. Ci pare utile accompagnarlo ai nostri auguri per le feste ai lettori della rivista e completare così degnamente l’affettuoso necrologio di Luigi Benevelli, su questa rivista, del 4 settembre, 2017.
 
Introduzione Mellina.
Abbiamo qui con noi, per questa giornata di studio, il Prof. Tullio Seppilli dell’Università di Perugia che ringraziamo per aver accettato il nostro invito. Si tratta di una voce autorevole nel panorama dell’Antropologia medica, unanimemente riconosciuta a livello internazionale. Personaggio straordinario, affabulatore incantevole di fatti folclorici, osservatore acuto e profondo di accadimenti apparentemente prodigiosi che si svolgono nell’ambito delle tradizioni popolari, e non solo. I luoghi geografici in cui egli ha condotto i suoi studi etnografici, etnologici e storico-antropologici – curvati verso l’indagine delle terapie mediche tradizionali e le relative pratiche attuative – lo hanno visto protagonista non solo in Italia, ma anche in Africa e soprattutto nell’America Latina, con particolare riguardo alla cultura tradizionale brasiliana. Chi ha avuto la fortuna di ascoltare le sue lezioni oppure le sue relazioni, in qualche congresso, ma anche semplicemente nel clima informale delle riunioni simposiali delle riunioni interdisciplinari e lo ha sentito parlare delle “streghe della Val Nerina”, tanto per fare un esempio, non può non esserne rimasto “stregato”. Ordinario di Antropologia culturale all’Università di Perugia, dirige l’Istituto di Etnologia ed Antropologia culturale, è membro dell’AISEA (Associazione Italiana di Scienze Etno-Antropologiche) e Presidente, nonché fondatore, del SIAM (Società Italiana di Antropologia Medica). A lui si deve l’introduzione in Italia dello studio sistematico dell’Antropologia Medica. La sua opera è stata principalmente quella di far appropinquare due discipline riottose, vicine e lontane allo stesso tempo: la Medicina e l’Antropologia. Tra poco uscirà una Rivista specializzata contenente, in un ponderoso volume, il cammino fin qui percorso dal SIAM [03]. Egli si è anche occupato di antropologia dell’alimentazione (prima che il problema fosse affrontato dagli psichiatri nei termini clinici dell’anoressia e della bulimia), dell’inurbamento dei contadini e del trasferimento delle culture contadine in città. L’oratore che, come abbiamo detto, è un finissimo studioso di culture brasiliane e di guaritori tradizionali latino-americani, avrebbe preferito trattare di questo argomento, ma noi abbiamo scelto un’opzione diversa, riportandolo un po’ ai suoi interessi di partenza, affinché ci desse una traccia sui guaritori popolari italiani, di cui non abbiamo finora trattato nel nostro Corso e non troveremo tanto facilmente il tempo di occuparcene.


 
Seppilli
La questione dei guaritori è abbastanza complicata in Italia, perché per esempio a differenza degli sciamani (o quelli che in definitiva possiamo chiamare operatori sanitari) che lavorano in contesti diversi, che non sono propriamente quelli degli studi classici di tipo etnologico, noi ci troviamo qui a parlare di operatori sanitari che convivono con la medicina ufficiale. Quindi non si tratta di quelli che corrispondono in altre società ai nostri medici, ma si tratta di un certo parallelismo ed è questo che complica abbastanza le cose. Ora io ho preferito preparare una relazione per appunti fondamentali, più che per temi eccessivamente focalizzati perché mi sembra che l’interesse sia nel vedere cosa siano i guaritori, ma anche come s’intersecano nei rapporti dei sistemi complessivi di terapia e con il complesso delle rappresentazioni che la gente ha con quelle che noi chiamiamo tanto per intenderci l’area di salute/malattia. Ora su questo si possono sistematizzare alcuni punti e direi che è più facile partire o meglio prendere la rincorsa dal secolo scorso perché alcuni fenomeni sono più evidenti, se si analizzano partendo dal passato e non tanto per amore della storia del passato. Lo dico perché noi siamo abituati all’idea dell’esistenza di un grande Medicina istituzionalizzata, quella che noi antropologi chiamiamo la Biomedicina facendo talvolta arrabbiare i Medici, ma esiste questo grande edificio della Medicina ufficiale e poi esistono dei guaritori. Questa è una prospettiva molto recente. In realtà se noi andiamo a vedere la situazione nel secolo scorso, vediamo una pluralità di risposte in cui la Medicina, quella che noi possiamo chiamare la Biomedicina è soltanto una delle risposte esistenti.
In altri termini oggi esiste questo divario enorme tra una Medicina egemone, totalizzante, complessiva, avanzata, tecnologica e pezzetti di altre cose.
Nel secolo scorso le cose erano molto più bilanciate e quindi conviene appunto partire da lì. Ora se noi ci poniamo il problema di qual era l’atteggiamento della popolazione italiana verso le posizioni di salute/malattia, quindi una popolazione prima ancora che si ponesse problemi sanitari, dobbiamo fra l’altro sottolineare almeno un elemento che quando parliamo di popolazione italiana, noi intendiamo nell’800 una vastissima area di popolazione agricola e una popolazione urbana estremamente povera, da cui emergevano a livello diretto, piccoli gruppi aristocratici o di borghesia urbana. Ma nel complesso quello che noi oggi possiamo chiamare mondo popolare, era largamente dominante dal punto di vista demografico e quindi quantitativo.
Ora noi abbiamo alcuni dati sugli atteggiamenti della popolazione nell’800 intorno alle questioni di salute/malattia, per alcuni fatti che sono avvenuti e per alcune ricerche che sono state fatte. Noi siamo abituati a pensare che le ricerche antropologiche comincino per noi antropologi verso la seconda metà dell’800. In realtà oggi se dovessimo situare il momento in cui comincia una ricerca che oggi possiamo chiamare antropologica dovremmo andare almeno agli inizi dell’800. E la prima indicazione abbastanza sistematica che noi abbiamo degli atteggiamenti verso la salute/malattia che poi si connettevano con la risposta all’area dei guaritori, l’abbiamo in riferimento a quelle che sono state le più grandi indagini sociali mai compiute in Italia e mai ripetute successivamente, vale a dire quelle condotte dai Governi Napoleonici. Questi Governi o meglio questi Stati Napoleonici sotto questo profilo hanno avuto un grande merito.
Voi sapete che in Italia c’era un grande Stato napoleonico che era il Regno d’Italia al Nord che comprendeva un pezzo di Marche fino all’attuale Umbria. Poi c’era una parte che era la Toscana e il Lazio e poi la Liguria e il Piemonte che erano direttamente annessi all’impero francese. Infine c’era il Sud, un Sud senza la Sicilia che era occupata dagli Inglesi. Ma c’era questo grande Regno del Sud che era governato da uno dei più intelligenti – come possiamo chiamarli? “Quadri dirigenti” del periodo napoleonico che era Gioacchino Murat [04].
Ora diciamo che seguendo il modello francese di organizzazione d’inchieste per questionario, anche in Italia sono state fatte, sia nel Regno d’Italia al Nord, sia nella parte occupata direttamente e annessa all’Impero francese, sia nel Sud, delle grandi inchieste sociali. Sia per indagare sulle condizioni oggettive e censuarie sia per accertare le condizioni sanitarie della popolazione, sia, infine, sul patrimonio culturale. Ora non possiamo entrare nel merito: le inchieste nel Nord furono fatte soprattutto sul patrimonio culturale e linguistico e su alcune caratteristiche del mondo popolare.
La più organica è stata quella del Sud, quella fatta dal Regno di Napoli sotto il governo di Gioacchino Murat. Ricordiamo che agli inizi dell’800, la zona cioè il Regno di Napoli era uno dei punti avanzati. La questione meridionale si costituisce dopo, sia pure con radici molto antiche, ma si costituisce dopo. Allora c’erano 3 poli sostanziali. Il Piemonte e la Lombardia, d’influenza austriaca e il Regno di Napoli. La prima ferrovia com’è noto viene costruita a Napoli.
Ora a Napoli viene fatta una gigantesca inchiesta, compilata su 4 questionari e per evitare equivoci, devo sottolineare il fatto che non si tratta di questionari nel nostro senso attuale, cioè di questionari con cui si va dalla gente a chiedere delle risposte. I questionari erano dei temari forniti a dei mediatori: dirigenti, politici, amministrativi, professori di scuola media, esperti di agricoltura che, relativamente a singole specifiche zone dovevano compilare informazioni rispetto alle cose chieste. Queste informazioni venivano poi sintetizzate a livello di Provincia e poi a livello di Regno. Per dare un’idea il solo questionario demografico sanitario di una sola Provincia dell’Abruzzo, che noi abbiamo analizzato in modo specifico, è costituito da circa 1000 cartelle dattiloscritte, per dire i livelli mai più raggiunti in Italia da regimi sociali.
L’osservazione che volevo fare era però questa. In questo periodo a Napoli si tenta una grandiosa operazione di organizzazione e di educazione sanitaria che è la vaccinazione antivaiolosa. Fatto nuovo, di grandi implicazioni di cui abbiamo ricostruito in una vecchia ricerca che abbiamo fatto anni fa, tutta la struttura organizzativa che andava dal problema di rifornirsi di vacche malate per poi preparare il vaccino, fino ad istruire i medici-inoculatori, come si chiamavano, e anche fare accettare alla popolazione la vaccinazione. Poiché la popolazione tendeva a non accettare, perché in tutta Europa l’invenzione del vaccino antivaioloso aveva scatenato il terrore di una lenta trasformazione bovina della gente che veniva vaccinata. Per cui giravano caricature con la gente fatta con la faccia a forma di vacca o cose del genere e dunque una forte resistenza.
E’ interessante questa campagna perché nel Regno di Napoli, fu organizzata in modo particolarmente intelligente giocando su due livelli. Da un lato inserendo nella grande inchiesta delle domande relative alle superstizioni concernenti la vaccinazione. E’ interessante perché non era tanto e solo le superstizioni concernenti il vaiolo, ma le reazioni popolari ad una innovazione. Pensiamo su una tematica modernissima da questo punto di vista, se ricordate quando fu lanciato il vaccino antipolio in Italia ci furono reazioni di questo genere, quindi ci furono una serie di ricerche per superare la cosa, ecc.
 
Le statistiche
In questa ricerca vennero fuori una serie d’informazioni. Tra parentesi si chiamavano statistiche queste ricerche – e ciò è interessante – perché nell’800 il termine statistica non significava quello che significa oggi, cioè quantificazione dei dati, ma significava “Scienza dello Stato”. Per cui la statistica nel Regno di Napoli è uno studio sulle condizioni di vita e sulla popolazione del Regno su una linea enunciata allora che forse devo dire, in seguito, che occorressero molte ricerche per ben governare. Vi furono delle polemiche molto forti allora, quando cominciò questa statistica perché alcuni dicono che sono soldi buttati via e la risposta ufficiale è che non si deve. Anzi è formulata in questi termini. Il nemico ha bisogno di poche informazioni per aggredirci e si diceva si forniscono con le inchieste informazioni al nemico. Mentre è per ben governare che occorrono molte informazioni, che è una concezione ampiamente moderna.
In questo contesto viene fuori una serie d’informazioni sull’atteggiamento verso il vaiolo e viene organizzata la prima grande campagna di divulgazione sanitaria in termini estremamente moderni perché si analizzano i pregiudizi per superarli e si trovano delle risposte fondate sulla tecnica, diciamo molto moderna, della utilizzazione di mediatori molto autorevoli.
Fra l’altro, poiché nel Regno di Napoli i mediatori autorevoli sembravano essere in larga misura i Parroci, il Governo laico-giacobino muratiano deve fare i conti con la Chiesa. Ed è interessante il modo con cui viene organizzata questa cosa. Da un lato si cerca l’alleanza con alcuni vescovi illuminati. Mi ricordo fra l’altro che abbiamo trovato un’omelia di un Vescovo di Magonza che viene tradotta in italiano per essere letta in tutte le chiese. Dall’altro si colpiscono quei Parroci che non accettano di usare le Chiese nella campagna per la vaccinazione.
Abbiamo trovato una velina del Ministro che dice, anzi fa una proposta seguendo un ragionamento molto cartesiano: – “Poiché è dimostrato che se si vaccina la gente il vaiolo non viene fuori, poiché perciò si può presupporre che se viene fuori il vaiolo non è stata fatta la vaccinazione e poiché si può presupporre che se non è stata fatta la vaccinazione è colpa del Parroco, che non ha fatto il lavoro, si propone di togliere automaticamente la Parrocchia al prete al primo caso di vaiolo. Indubbiamente si tratta di una “soluzione giacobina” che non fu mai più tentata in epoca successiva nel nostro paese. Ma è interessante come indicazione del tempo.
Noi abbiamo perciò una serie di informazione sugli atteggiamenti verso la malattia, verso i medici. Per esempio c’è un certo diffuso timore nei confronti dei medici-inoculatori che vengono dalla città perché sono estranei rispetto ai guaritori locali e allora il Governo muratiano reagisce ordinando che la vaccinazione sia fatta prima nei confronti dei figli dei ricchi e nelle piazze dei paesi, in modo che la gente veda che non è una fregatura, perché se i ricchi vengono vaccinati vuol dire che non ci sono problemi.
Questo per dire com’è complessa tutta l’organizzazione e come sia piena di creatività, diciamo, fino alle medagliette. Si predispone un concorso per le medagliette che devono esibire i medici-inoculatori. Insomma una cosa molto ben organizzata. Dunque, abbiamo una serie d’informazioni su quel periodo, anche per il Nord    un po’ meno ampie e con la caduta dei Regni napoleonici torna il silenzio sulle questioni della salute popolare e, salvo per alcune piccole indagini, diciamo di statistiche in senso moderno delle malattie, vale a dire dell’epidemiologia, anzi di pre-epidemiologia, in alcune zone italiane, perché l’insegnamento dei governi napoleonici, rimane in qualche misura sul piano tecnico.
I governi napoleonici avevano impiantato per la prima volta i registri dello stato civile sottraendo ai Parroci la potestà unica, il monopolio attraverso gli stati delle anime, del controllo sulla popolazione, aveva insegnato a tabulare per esempio i dati demografici. Bisogna dire che fu mandato ai Sindaci il modello della tabella: nati, morti, matrimoni divorziati. Dato questo interessante perché è la prima volta che compare il divorzio nello Stato italiano. Quindi abbiamo queste informazioni.
 
La demologia.
Dobbiamo arrivare fino alla seconda metà inoltrata dell’Ottocento per avere dei dati sull’atteggiamento del mondo popolare nei confronti della malattia. E lì abbiamo una grande quantità di materiali in rapporto allo sviluppo dell’Antropologia e soprattutto di quel settore dell’antropologia che possiamo chiamare, che oggi viene chiamato spesso folclore, che allora veniva chiamato demologico perché attraverso una serie di iniziative l’Antropologia si va costituendo come scienza organizzata. Entra nelle Università, si costituiscono i primi musei, si collega all’Antropologia italiana a quella francese e inglese e anche a quella tedesca. Nasce tutto il filone positivistico, diciamo gli annuali antropologici della realtà sociale.
In questo quadro succedono alcune cose. La prima è che gli antropologi si confrontano con gli atteggiamenti popolari verso la malattia attraverso una lettura che è quella dello studio delle superstizioni.
La ragione di base per cui gli antropologi in Italia cominciano a studiare la medicina popolare e quindi l’atteggiamento popolare verso le malattie e l’esistenza dei guaritori è nel quadro dell’influenza del positivismo inglese e francese e soprattutto legato all’idea che nel mondo popolare rimanessero residui di forme arcaiche della cultura e perciò fosse molto importante analizzarle per poi distruggerle, nel senso che si trattasse di attardamenti diciamo igienico-sanitari.
Il termine superstizione definisce questo campo di analisi e viene lanciato dalla Società Italiana di Antropologia ed Etnologia del tempo (1885 circa) da parte del Presidente che era Paolo Mantegazza abbastanza noto allora, con una grande inchiesta sulla superstizione in Italia. Questa inchiesta dà luogo tra l’altro ad alcune fra le più interessanti monografie locali sulla medicina popolare. Però la rubricazione era la superstizione, cioè l’idea base era che si trattasse comunque di cose largamente inefficaci, rispetto al grande sviluppo che in quegli anni aveva la medicina diciamo ufficiale. Si trattava perciò di un grande sforzo di documentare – tenendo per ovvio che queste cose dovessero essere superate nel quadro del progresso civile, attraverso una grande operazione che avveniva in quegli anni e che era quella della capillarizzazione della medicina attraverso le “Condotte” in tutto il paese.
 
Medicina popolare e prevenzione. Gli utilizzatori.
Dunque, abbiamo questo doppio binario di azioni e nascono alcune delle principali fonti che noi abbiamo ancora oggi sulla medicina popolare in Italia. Nel 1891 esce un testo sulla medicina popolare abruzzese di Antonio De Nino. Nel 1892 esce un testo ancora oggi di grande importanza per l’Umbria di Ruggero Zanetti che è stato ripubblicato recentemente e nel 1896 esce uno dei classici in questo campo che è la medicina popolare siciliana di Giuseppe Pitré. Questi tre testi, per l’Abruzzo, per l’Umbria e per la Sicilia, costituiscono oggi il patrimonio base per qualsiasi ricerca sulle medicine popolari italiane.  accanto a questi testi, intorno al tema delle superstizioni, ma con grossi agganci sui problemi della medicina popolare esistono lavori soprattutto per le Marche, per l’Emilia-Romagna e per il Veneto. Ma un po’ dovunque, anche per la Toscana e per altre aree del napoletano, esistono indagini di questo genere.
Contestualmente si costituisce un enorme Archivio di amuleti in larga parte medici che, a partire dall’iniziativa di un antropologo perugino che è Giuseppe Bellucci [05], oggi stiamo cercando di rilanciare. La sua opera raccoglie circa 3.000 amuleti classificandoli, analizzandoli, scambiandoli attraverso una rete di informatori locali formidabile. Per cui noi ora abbiamo – e lo stiamo studiando – questo enorme “museo virtuale” di procedure per evitare o per curare dei mali, di cui va però sottolineato un aspetto (questo semmai lo riprendiamo dopo) ed è che lo studio degli amuleti ci conferma su un dato di fondo: la medicina popolare aveva al centro la prevenzione e non la terapia. Questo è di grande importanza. Nel momento in cui l’educazione sanitaria attuale deve lottare per introdurre la concezione della prevenzione in una società segnata da un orientamento medico di tipo terapeutico, bisogna segnalare il fatto che la distruzione della medicina popolare in Italia ha significato la distruzione in larghissime fasce popolari di un atteggiamento di base che era di tipo preventivo. E allora potremmo anche porci il problema di cosa sarebbe avvenuto se nella programmazione sanitaria in Italia noi fossimo riusciti a inserire dentro al modello della prevenzione altre forme di prevenzione. Questo potrebbe essere un tema quando ci si diverte e si vuole vedere cosa sarebbe avvenuto se avessero vinto i Cartaginesi anziché i Romani, in cui si gioca a costruire una storia diversa [06].
Ora abbiamo una grossa quantità di materiali di grande interesse e a queste concezioni di medicina popolare corrispondeva, bisogna dire e lo ripeto come dicevo all’inizio ,un’articolazione della risposta sanitaria estremamente complessa che è molto più ricca, diciamo dal punto di vista della quantità delle risposte, di quella che noi ci immaginiamo oggi. In altre parole l’idea era che di fronte alla malattia ci fosse una pluralità di soggetti coinvolti che andava dai medici, ai barbieri per la piccola chirurgia, ai flebotomi, alle mammane, ai Parroci che avevano in mano una vasta quantità di risposte terapeutiche di vario genere, ai Monaci che lavoravano in campo erboristico e preparavano gli elisir. C’era insomma una enorme quantità di risposte che non venivano appiattite tutte per il solo fatto di non essere quelle mediche. Erano una pluralità e probabilmente, almeno per quanto sembra di capire, che anche le più varie classi sociali vi si intersecavano. Non è che tutta la borghesia utilizzasse i medici e le classi popolari utilizzassero i guaritori. C’era un’articolazione complessa.
 
Lo Stato Unitario.
La costruzione dello Stato Unitario ha significato anche la centralizzazione della Medicina sotto l’egida della Facoltà di Medicina. Le Facoltà di medicina diventano le garanti di una legittimazione della formazione e della professione che esclude qualunque altro tipo di professionalità. Questo è un fenomeno di enorme importanza in Italia che ha potuto svilupparsi anche per la grossa capacità dello stato unitario, appena costituito, che ha consentito di capillarizzare la risposta nelle campagne. In altre parole, alla repressione e alla stigmatizzazione, anche basata su precise norme giuridiche, di tutte le attività che non erano controllate dalle Facoltà di Medicina ha però corrisposto alla gigantesca costruzione di una capillare raccolta di risposte che ha, in qualche modo, fornito un’alternativa alla semidistruzione e alla delegittimazione di tutte le altre.
Io mi sono portato qui un testo diffuso dal Ministero dell’Interno, una Circolare della Direzione della Sanità Pubblica indirizzata ai “Sigg. Prefetti” del 5 ottobre 1887 che dice: «Pervengono a questo Ministero continui e insistenti reclami perché in molti Comuni del Regno è tollerato da parte delle Autorità Amministrative l’esercizio abusivo della Medicina e Chirurgia, lo spaccio di medicamenti e specifici, sia in privato che in pubblici esercizi e sulle Vie e Piazze, di persone non provvedute di regolare diploma. Il Regolamento Generale Sanitario riserva esclusivamente ai Medici e Chirurgi ai Dentisti e Flebotomi (quelli ufficiali), la facoltà di esercitar l’arte salutare nei ristretti limiti della rispettiva Laurea e Diploma e ai Farmacisti la facoltà di vendere sostanze medicinali a dose e forma di medicamento. Chiunque senza regolare Laurea o Diploma ottenuta in una Università del Regno si arroga tali facoltà, lede i diritti dei Sanitari e dei Farmacisti, viola le vigenti disposizioni dirette a tutelare il pubblico interesse dall’inganno di persone ignoranti o di malafede». Quindi siamo alla totale delegittimazione e alla repressione dei guaritori. E dice ancora «tali persone se sfuggono alla vigilanza dei Consigli Sanitari la quale si estende sugli esercenti le professioni sanitarie con legale autorizzazione (si occupavano dei Medici, i Consigli Sanitari), cadono tali persone, invece sotto la sanzione della legge di Pubblica Sicurezza e della Legge 5 Luglio 1882 n. 995». Siamo dunque alla elaborazione  di un sistema legislativo che porta poi il Ministro a chiedere l’intervento dei Prefetti e una risposta ufficiale dei prefetti intorno alle iniziative prese.
Contemporaneamente negli stessi anni in Italia viene realizzata dal Ministero degli Interni una gigantesca inchiesta in cui si chiede a tutti i Sindaci di tutti i Comuni d’Italia di indicare quante persone esercitano una qualche forma di risposta sanitaria, senza essere provvisti di laurea. Siamo già alla costruzione di un grosso apparato repressivo, che ha l’effetto in qualche modo di decapitare larga parte della medicina popolare. Sotto questo aspetto, la Medicina Popolare, come sempre avviene in questi casi, si organizza soltanto a livello sotterraneo e perciò perde gli operatori in larga misura, dunque rimane la “medicina familiare”. Le contadine cioè continuano a sapere che certe erbe possono servire per certe cose, ma la risposta più raffinata diventa sempre più difficile. In tal modo, effettivamente con il nostro secolo si può parlare di una Biomedicina ufficiale vincente, e di una forte riduzione dello spazio della Medicina Popolare, che rimane relegata in montagna, alle zone isolate, laddove ci sono pochi medici condotti, ecc.
 
Questa operazione è importante perché mentre prima la medicina popolare era un sistema in qualche modo di credenze e di opinioni a cui corrispondevano degli operatori specifici e coerenti, pian piano si tende ad eliminare, a decapitare il vertice di questo sistema e a farlo precipitare nell’illegalità di fatto, o nel chiuso delle mura domestiche.
Rimangono comunque alcuni guaritori perché niente è perfetto neanche nella repressione, e senza, adesso, dare un giudizio. È importante però considerare che mentre oggi noi rivalutiamo alcuni elementi della Medicina Popolare, bisogna considerare che dal punto di vista soggettivo tutta questa operazione era condotta dai “media” e da “politici” che pensavano questa operazione come estremamente progressista, laica e modernista. Inoltre, pensavano anche di colpire, nella lotta contro i guaritori, l’intervento della Chiesa, proseguendo, anzi sviluppando una querelle che durava almeno dal ‘600, in cui la Medicina tendeva a sottrarre al dominio ecclesiastico le risposte a una serie di soluzioni. Pensiamo alla querelle tra Magistrati, Medici e Inquisitori intorno alla questione delle streghe. La grande battaglia contro l’inquisizione è stata condotta da Magistrati e da Medici che avocarono a sé l’eventuale criminalità dei gesti delle streghe, l’eventuale follia della condizione psichica delle streghe, sottraendola al dominio dell’interpretazione demoniaca.
Dunque bisogna considerare che soggettivamente questa operazione era stata condotta come processo di cambiamento, modernizzazione, laicizzazione e declericalizzazione dello Stato Unitario, all’interno dell’ideologia risorgimentale. Tra l’altro, studiando alcuni dei personaggi che hanno fatto questo come ricerca, incontriamo ancora Giuseppe Bellucci, per esempio, che abbiamo studiato recentemente in merito alla sua raccolta di amuleti. Lui era massone quando la massoneria era una organizzazione laica, innovativa, eccetera, quindi vedeva tutta questa operazione in chiave di laicizzazione della cultura tant’è che, nella raccolta degli amuleti, lui mette fra questi anche i santini diffusi e le preghiere diffuse dai Frati di Assisi dicendo “Amuleto cattolico”, ecc. Sostanzialmente perché si trattava di un oggetto che serviva a salvare da qualcosa. Perciò all’interno di una ricerca che lui fa sull’intersezione fra mondo religioso e mondo magico, vi colloca questo tipo di cattolicesimo popolare come produttore di amuleti. Questo è il quadro, per cui è molto complessa la valutazione globale del fenomeno. Fatto sta che tutta questa serie di ricerche finisce quando la Medicina Popolare cessa di essere un nemico forte o quando la Medicina ufficiale centralizza quasi tutte le relazioni, ma direi anche quando la grande forza dell’Antropologia italiana che era il supporto positivistico viene a cadere.
 
Le guerre mondiali.
Con la fine della I Guerra Mondiale crolla tutta l’impalcatura della ricerca antropologica. Le ultime grandi ricerche sono proprio quelle di Bellucci che analizza l’aumento delle superstizioni fra i soldati della I Guerra Mondiale. Questo tipo di ricerca viene fatto parallelamente in Francia, in Germania, in una serie di posti della I Guerra mondiale che è stata un crogiolo d’intersezioni culturali e l’occasione di una serie di innovazioni nelle tecniche protettive. Per cui appunto Bellucci dedica ben due volumi allo studio delle nuove superstizioni nelle trincee della I Guerra mondiale. Con questo studio, crolla questo edificio e, soltanto dopo la II Guerra mondiale, riprenderanno le ricerche sulla Medicina Popolare.
Due osservazioni su questa questione della Medicina Popolare. La prima è – perché su questa ci sono stati molti dibattiti – qual è la matrice ideologica della medicina popolare? Da cosa nasce?
Ecco la complicazione di cui parlavo all’inizio si manifesta proprio nel tentativo di dare una risposta a questo problema. Noi non abbiamo una radice della medicina popolare staccata dalla radice della medicina culta che poi diventa la Biomedicina moderna. In realtà a partire dal mondo romano in poi c’è un’intersezione continua, sono immessi processi di circolazione culturale, c’è una forte egemonia ecclesiastica sul patrimonio culturale delle popolazioni che porta ad avere certi atteggiamenti verso la vita e la morte e verso la malattia. Per esempio possiamo seguire le strade per cui la Scuola Salernitana influenza la cultura popolare. Entrano nei proverbi popolari delle massime prodotte dalla Scuola salernitana. Per fare soltanto un esempio, abbiamo un continuo processo di sincretismo, di circolazione culturale di rielaborazione e di passaggio, per esempio di messe a punto della medicina culta a livello popolare e di assunzione di elementi della Medicina Popolare da parte della medicina culta. Possiamo immaginarci che dal punto di vista della conoscenza delle erbe e delle virtù terapeutiche il mondo contadino fosse quello più adatto ad avere esperienze empiriche e probabilmente una parte notevole dell’erboristica entra nella medicina culta, tant’è che fino all’800 l’erboristica era abbastanza intersezionata tra mondo popolare e mondo culto. Però bisogna anche dire che se noi leggiamo Plinio troviamo l’origine di tutta una serie di opinioni e di utilizzazione delle erbe. Quindi è un processo molto complesso in cui poi ad un certo punto intervengono gli Arabi. Voglio dire che c’è una base estremamente articolata che comincia a staccarsi veramente soltanto alla fine del ‘700. Solo alla fine del ‘700 noi possiamo parlare di una Medicina Popolare sostanzialmente autonoma dalla medicina culta, che poi prende l’avvio con le scoperte biologiche e che termina allo stato attuale. Se noi analizziamo questo percorso possiamo utilizzare anche quei dati che vengono dalle ricerche successive.
 
I Guaritori popolari contadini.
Io ho cominciato a lavorare sui guaritori popolari italiani molti anni fa. Poi c’è un documento che vi leggerò, più o meno di quell’epoca, in cui si datano le mie ricerche, siamo negli anni ‘50. Abbiamo fatto una quantità enorme di ricerche sui guaritori soprattutto nell’Italia centrale, però contemporaneamente sono note le ricerche di Ernesto de Martino sui guaritori nell’Italia meridionale e altrove, anche nel Veneto, Lombardia e altre Regioni.
Se dovessimo sintetizzare queste figure di guaritori popolari – e questo è il centro del nostro discorso di oggi che ho ridotto un po’ per dare questo sguardo più ampio – potremmo dire questo.
Prima c’è un problema metodologico che dobbiamo porci. I guaritori popolari che noi troviamo oggi (non parlo delle nuove forme urbane), vale a dire quelli “contadini”, sono l’esito dei vecchi guaritori, nel senso che si riduce l’area geografica di pertinenza, potremmo anche immaginare di si, in montagna, in campagna, ecc. Tanto più che contemporaneamente si fanno più o meno le stesse cose. anche per quanto riguarda la materia di cui si occupano, cosa che potrebbe sembrare abbastanza ovvia. L’impressione è che la cosa sia più complessa e che la penetrazione capillare della medicina dei medici condotti abbia sottratto campi d’intervento ai guaritori. L’impressione che si ha oggi, lavorando sui guaritori e che si aveva anche negli anni ‘50 lavorando coi guaritori, è che a livello contadino si fosse formata una dicotomia, una sorta di divisione dei compiti. Io ho assistito anche ad incontri tra guaritori e medici condotti, cui il guaritore proponeva una divisione del lavoro, per cui sempre più le malattie che oggi molto impropriamente possiamo chiamare, grosso modo, più strettamente somatiche entravano nella pertinenza dei medici condotti, perché ormai erano arrivati nelle campagne e rimanevano ai guaritori soprattutto quelle malattie in cui la componente psichica era più forte, diciamo le malattie di tipo ”psicosomatico”. Questa è un’ipotesi. Io l’ho discussa molto con altri colleghi che poi tocca una serie di problemi anche negli studi di medicina popolare. Per esempio in Messico e in altre Regioni dove c’è stata una penetrazione capillare della medicina culta e dove si tratta di capire allora se i guaritori sono i residui rimasti simili o se sono il risultato di una divisione del lavoro, sia pure portata dalla repressione, ecc.
Oggi come oggi si ha l’impressione che i guaritori contadini veri lavorino in due direzioni fondamentali. L’uso di erbe dove c’è una base empirica di conoscenza totale relativa all’efficacia e poi l’intervento intorno a forme patologiche di cui le componenti psichiche sono forti e perciò diventa anche più difficile per la medicina di tipo biomedico individuare i processi.
Da questo punto di vista assume centralità (di cui mi sono occupato) la questione della «fattura» come campo elettivo di lavoro dei guaritori, che poi passa anche quando si sviluppa di più quello che noi possiamo chiamare l’area dei guaritori urbani.
 
La «fattura»
Questa questione della «fattura» è importante perché tutta l’Antropologia ottocentesca partiva dall’idea che la «fattura» fosse una superstizione priva di significato. Il modello interpretativo che noi abbiamo elaborato attraverso la ricerca sui casi di «fattura», è invece che la «fattura» sia una “sindrome”, che oggi potremmo chiamare grosso modo, psicosomatica, di cui vanno individuate le caratteristiche dei singoli sintomi e che si crede in modo particolare all’intervento del guaritore proprio per il suo carattere. Se questo è vero allora per noi è importante, cosa che facevano poco i positivisti, individuare il sintomo. La «fattura» è legata soprattutto alla lettura in chiave di «fattura» dello stato di un individuo; è legata prevalentemente a dati somatici del tipo pallore, stanchezza, incapacità di agire. Segue poi, andando più sullo psichico, pessimismo, angoscia, sensazione di non farcela, dimagrimento, ecc. Sindromi, cioè, tutte di questo tipo, con evidenti elementi psicosomatici. Una volta “trovata” la «fattura», si riesce a collegare in qualche modo il malessere a ciò che blocca il buon funzionamento dell’apparato gastroenterico, e quindi bolo, mal di stomaco, incapacità di digerire, perdita della fame, ecc.
Questo tipo di sindrome che potremmo chiamare anche “CBS”, come oggi, a questo proposito fanno i medici americani e del mondo anglosassone per altri tipi di disturbi. Per esempio la stessa sigla (Sindrome Culturalmente Determinata, n.d.s.) potrebbe essere usata per una grande forma largamente diffusa in America Latina, ma anche presente in Sicilia, che è il “Susto”, cioè la malattia che viene da una grande paura. Questa sindrome è molto diffusa e diventa il campo specialistico di molti guaritori.
Su questo noi dobbiamo fare un ragionamento anche abbastanza autocritico dal punto di vista della medicina ufficiale, perché io ho seguito molti casi.
Il contadino comincia ad avere questi disturbi. Va dal medico che è un medico condotto, non uno psichiatra, o comunque va dal “medico della mutua” come si dice, il quale gli dice sostanzialmente che non ci ha niente, perché non c’è niente di molto evidente. Soltanto che il responso sanitario, la diagnosi medica, urta contro il fatto che il contadino sa che qualcosa c’è, perché “la sente”, sta male.
Questo apre un primo elemento di disaffezione verso il medico soprattutto in casi in cui il contadino in prima battuta va dal medico della mutua, non va dal guaritore. Supponiamo che arrivi dal guaritore. Cosa fa il guaritore? Intanto entra in rapporto con lui usando un linguaggio culturalmente omogeneo. Il guaritore gli propone per esempio una diagnosi costituita da un modello che è quello della «fattura», che il contadino capisce come lo capisce il guaritore. In altre parole il contadino e il guaritore parlano la stessa lingua. Se fosse stato invece un medico a parlare avrebbe detto cose sostanzialmente incomprensibili al contadino. Gli dice esplicitamente che potrebbe essere una «fattura» e questo il contadino comincia subito capire cos’è. Poi aggiunge: vediamo se questa «fattura» c’è e costruisce la diagnosi insieme al paziente. Inizia l’operazione di ricerca e d’individuazione della «fattura» medesima: «prendiamo dell’acqua, prendiamo dell’olio, facciamo cadere le gocce in un piatto, vediamo se… » Il contadino vede se le gocce si sparpagliano o se rimangono lì e partecipa perciò della diagnosi. Una volta partecipato della diagnosi e accertato che la «fattura» c’è, il guaritore propone al paziente una terapia congiunta. Cioè lui dice che cosa va fatto, ma una parte notevole della terapia la deve fare il paziente. Deve andare a casa, aprire un cuscino, vedere se ci sono delle cose, poi andare a mezzanotte ad un crocicchio (io ho trovato ancora oggi a Perugia un sacco di crocicchi, di notte con cuscini che bruciano, tanto per quelli che pensano che tutte queste cose siano finte) e lui va e brucia il cuscino e partecipa di tutto questo. L’agito di questa vicenda partecipata crea una forte motivazione ed una forte attesa di guarigione.
Da questo punto di vista, se è una sindrome psicosomatica, è molto probabile che funzioni meglio questa risposta che la risposta del medico condotto, che non tranquillizza affatto il contadino dicendogli che non c’ha niente, mentre continua a star male e non ha la minima idea di essere capito.
Io negli anni ‘60 proposi al CNR una ricerca che aveva come sfondo di ridurre la lotta contro i guaritori rurali, assumendo come serio questo problema. Naturalmente non ho avuto una lira perché doveva essere un cast della medicina a finanziarlo. Ma per vendetta ho pubblicato qualche anno fa questa inchiesta che avevo fatto, motivando il discorso sulla sindrome da «fattura».
Ora, da questo punto di vista noi abbiamo visto che il guaritore assume sempre più autorità. Se il contadino, invece, anche assumendo l’ipotesi di una sindrome psicosomatica, fosse andato dallo psicoanalista, ammesso che fosse stato possibile a un contadino andare dallo psicoanalista e mantenere il colloquio analitico dal punto di vista linguistico con l’analista, si sarebbe dissanguato sul piano economico e avrebbe riaperto il gap linguistico culturale che già col medico aveva fatto fallire il risultato e in più avrebbe iniziato una carriera, probabilmente se fosse andata bene, più radicale nella terapia. Ma poiché l’esperienza dimostra che in genere quando un guaritore interviene in questi casi, in un paio di sedute cura l’individuo. Il fatto poi che sia una cura superficiale e che magari 2 anni dopo torni fuori il sintomo, non è un problema, perché 2 anni dopo ritornerà dal guaritore forte della fiducia che l’altra volta l’aveva guarito, che per il contadino sarà una nuova «fattura». Dunque, in realtà spenderà meno, ci sprecherà meno tempo e starà meglio. Allora se l’arte sanitaria è l’arte di far stare meglio la gente, questo evidentemente ci deve fare riflettere.
 
Il guaritore urbano
Il mondo popolare sta cambiando ovviamente e tra l’altro si è evoluto dagli anni ‘50 in poi. Un fenomeno che esisteva già prima è quello del guaritore urbano.
Il guaritore urbano diverge da quello contadino per alcune cose. In genere il guaritore contadino, quasi mai è solo guaritore. E’ in genere un contadino che in certe ore cura ed ha una forma di risposta anche molto più rapida e un tipo di pagamento in genere, di natura. I guaritori contadini che noi abbiamo studiato, salvo ormai quelli estremamente evoluti, si facevano pagare con delle uova, poche cose, qualche volta niente.
Questo apre un problema – che io vi cito tra parentesi sennò mi dilungo troppo – come il guaritore diventa guaritore. Noi in Italia noi abbiamo alcuni modelli di carriera per diventare guaritori, diciamo così. C’è, ci sono, per esempio nell’Italia centrale, ma non solo, anche nell’Italia Meridionale, il modello de “la rivelazione”. Cioè il guaritore è prima una persona adulta normale che improvvisamente ha un sogno. Naturalmente i sogni meridionali a quanto abbiamo visto (sono stati già studiati da Miriam Castiglione) sono enormemente più ricchi dei sogni centro-settentrionali in genere. Per esempio i sogni umbri sono di una povertà incredibile, malgrado si pensi che l’Umbria sia una terra sacra, santa, ecc. Comunque compare una Madonna, per esempio, e dice alla persona: ”tu hai i poteri, devi utilizzarli solo per il bene, ma li devi utilizzare”.
E’ Interessante che in questo “devi utilizzarli”, cioè non puoi sperperare i tuoi poteri, perché servono a guarire, si riproduce un atteggiamento che è stato segnalato in tutte le ricerche sugli Sciamani. Quando lo Sciamano arriva alla famosa “malattia sciamanica”, che è quella che scatena il potere sciamanico, ad un certo punto lui esce dalla malattia solo se accetta di fare lo Sciamano. La credenza largamente diffusa dove c’è lo sciamanismo è che se lo Sciamano si rifiuta di fare lo sciamano muore, cioè non esce da quella malattia. Si esce solo dedicandosi.
Ora questo tipo d’impostazione che lì è legato all’universo mitico rituale sciamanico, qui è legato al cattolicesimo ormai, e che prima era legato alla religione greca, romana, ecc, implica una “missione”. Infatti, i termini popolari per indicare i poteri terapeutici è “virtù”. “Avere la virtù”. Perciò è la responsabilità e bisogna portarla avanti.
Un’altra forma di trasmissione dei poteri di guarigione, anzi, altre due forme, meno religiose, diciamo meno spirituali, possono essere le seguenti.
La prima è quella del guaritore che al momento di smettere di fare il guaritore passa i poteri a un altro, spesso un discendente. E’ importantissimo il fatto che il guaritore che dà i poteri ad un altro (può insegnare delle cose ad un altro) se lascia cioè i suoi poteri a un altro li perde lui, vale a dire che i poteri si trasferiscono. Infatti, molti guaritori che lasciano i poteri, li lasciano quando vanno in pensione, tanto per intenderci, oppure al momento in cui sentono che stanno per morire. Allora tenendo per la mano l’iniziando gli lasciano i poteri.
La terza forma è una forma di predisposizione a fare il guaritore e noi l’abbiamo scoperta proprio in Val Nerina. Cioè noi in Val Nerina abbiamo scoperto una cosa. Passai una notte di Natale in una casupola della val Nerina perché solo la notte di Natale si possono rivelare le formule magiche. Mi ricordo che avevo un magnetofono, un apparecchio Geloso, e in questa casa fredda c’erano tutte queste vecchie intorno al fuoco del camino per cui davanti ci si bruciava il sedere, la schiena come in genere avviene con questi sistemi di riscaldamento. Raccogliemmo una serie di formule. Una delle formule diceva…no! Ve l’accenno all’incirca perché non si può dire se non la notte di Natale… si chiama il «verme». Il «verme» è uno degli agenti fondamentali della patologia nella cultura contadina. Dunque si chiamava «il verme» e gli si diceva che doveva morire, perché il potere del guaritore c’era. Tant’è che fin da quando il guaritore era pagano, era riuscito a vincere i vermi. Questa cosa, molto, molto contorta, noi non l’avevamo capita fino a quando non abbiamo scoperto, sempre in Val Nerina, una tecnica che usavano i genitori che volevano che al bambino appena nato fossero conferiti i poteri di guarire [07], era quella di mettere nel bambino appena nato un verme (che in realtà era un bruco) nella mano e gli si faceva schiacciare nella mano il bruco. Questo prima del battesimo, cioè quando ancora era pagano. Allora la formula funziona perché secondo la classica forma dell’historiola di tipo demartiniano, come ti ho ucciso quando ero pagano, cioè prima di aver avuto l’ingresso nel cristianesimo, ma a maggior ragione oggi che sono adulto e sono cristiano ho il dominio su di te «verme». Questo è un altro modo per divenire guaritore. Sostanzialmente sono questi che vi ho enumerato. Poi queste formule possono appunto essere diffuse in alcune zone solo la vigilia di Natale, in altre mai, salvo al momento in cui il guaritore cessa di fare il guaritore.
Quindi voi capite che c’è sempre un’atmosfera mitico-rituale per cui l’essere guaritore è una responsabilità, non è soltanto un mestiere e il contadino continua a fare il contadino e fa anche il guaritore come responsabilità. Questo è, più o meno, il quadro del mondo contadino. Il guaritore urbano mutua elementi di questo genere, soltanto li mescola con tutta una serie di altri elementi.
 
La sua ricetta
Vi volevo leggere qui una ricetta, che è una “diagnosi”. L’ho raccolta molti anni fa nelle Marche da una guaritrice urbana la quale l’aveva avuta materialmente da una paziente e me l’ha data per la ricerca. Intanto è interessante perché è scritta a macchina, dunque siamo nel 1951 e un guaritore urbano scrive a macchina e fornisce una ricetta.
Questa ricetta porta in alto l’indicazione della paziente e la data: 24 gennaio 1951. Io la vedo l’anno dopo, quindi siamo poco dopo finita la seconda guerra mondiale.
Il sistema diagnostico scritto in centro è PSICANALISI. Pensiamo a tutti i fenomeni che ci sono dietro a questa calata di termini. L’idea è che attraverso questa psicoanalisi la guaritrice penetri nell’interno della paziente, scopra quello che non va nel suo cervello e, come vedrete alla fine, entri nella “memoria del momento traumatico”, potremmo dire in termini analitici, perché scrive:
«Cranio: (sentite quanto c’è di letture mediche utilizzate superficialmente) Struttura cranica normale – Apertura della calotta – Massa cerebrale vista dalla regione frontale – Volume dell’organo normale – Apparato meningeo sano – Ghiandola pineale indebolita – Ipofisi indebolita – Centro nervoso iperteso – Assopimento di buona porzione di cellule vitali».
Si potrebbe dire una specie di quadro anatomo fisiologico del cervello di questa malata, quasi una TAC o una RMN cerebrale ante litteram e sine machina, sine instrumenta, poi:
«Stato psichico: intelligenza di natura sviluppata nello stato di ottusità – Memoria labile – Ipersensibilità acuta – Pare isteromania – Non proclive alla cleptomania (si vede che la parola le era piaciuta) – Abbisognevole di affetti morbosi – Non proclive alla comprensione – Mancanza culturale – Non megalomane – Semplicità nei costumi».
Questo è il quadro psichico, dopodichè entra nel fuoco della memoria, del fatto da cui è nata la fattura e continua:
«Si denota una scena di offerta di un dolce con marmellata che il soggetto ha ingoiato e cafè con piccola ciocca di capelli a granci non del cuoio capelluto – Batuffoli imbevuti di sangue mascolino e femminino a scopo di magia nera – Una tavola di 4 persone – Due donne e due uomini – Il corrispondente marito del soggetto e marito dell’altra donna convenuta leggermente coperta di cosmetici frontali e zigomali e rossetto alle labbra violento – La suddetta magia fu fatta a scopo di portar la paziente a impedimento digestivo o strozzatura intestinale con pensiero omicida – Dopo un mese dall’ingestione di capello non di cuoio capelluto bianco riemissione – (Questo è un tema costante. Che si vomitino i capelli è un classico di tutte le pratiche delle medicine popolari) – Il caso ha prodotto alla paziente esaurimento nervoso – Perdita di memoria e forte oligoemia sanguigna – Vomito coercivo e aberrazione mentale – La rivale, amante del marito, ha gettato dietro le spalle polvere di ossa da morto a scopo di sortilegio – La scena è avvenuta in casa di essa e cioè dell’altra famiglia e risale a tre mesi circa». Questa è in pratica più che una ricetta è la diagnosi.
 
Le medicine orientali. Le medicine alternative.
Con il risultato di straordinarie vittorie, la medicina ufficiale nell’Occidente ha sbaragliato il campo ovunque. Talvolta, però, e non infrequentemente, si è segnalata una certa disaffezione nei suoi confronti per la mancanza di qualcosa come il coinvolgimento o la partecipazione o anche la semplice collaborazione tra curante e curato. Un dato che le nostre ricerche sulla medicina tradizionale e sui guaritori ha  dimostrato in tutta evidenza. La relazione di partecipazione tra chi subisce e chi somministra il trattamento è un elemento prezioso e straordinariamente funzionale per la riuscita della cura.
I successi della “biomedicina”, fortemente in attivo nel mondo intero sono invece fortemente deficitarii nel Terzo Mondo. Contemporaneamente c’è stato un processo di iperspecializzazione della medicina che si è accompagnata ad un processo di iperburocratizzazione, ormai a tutti noto per cui non vale la pena parlarne. Il primo risultato negativo è comunque una forte depersonalizzazione del rapporto medico-paziente. Il lato appunto che invece è fortemente curato dalla cosiddetta “medicina alternativa”. Qui il rapporto è molto più intenso o perché è prolungato (basta muoversi verso una medicina occidentale eterodossa come l’omeopatia per vedere quanto tempo il medico omeopata dedichi al rapporto col paziente), oppure, anche se è breve, perché come in alcune medicine sacrali di tipo magico-religioso, è intenso. Alcuni "Santoni", per esempio, che esistono ancora nel Sud e operano in questo senso, sviluppano un rapporto breve ma fortissimamente intenso dal punto di vista emozionale e dell’attesa. Questo fatto che il rapporto terapeuta/paziente non sia né prolungato né conversativo e neppure emotivamente significativo, ha diminuito diciamo il rapporto tra medico e paziente e ha aperto la strada ad una serie di risposte divergenti, diverse, diciamo, dentro un quadro ideologico che è sempre più ambivalente in cui noi abbiamo almeno due elementi abbastanza tipici, spesso stereotipi.
La crisi della cultura occidentale porta alla ipervalutazione delle culture “altre” ed in particolare di quelle “orientali”, vissute come antitetiche alla cultura occidentale. Per esempio la cultura occidentale è caotica, angosciante, troppo rapida in tutte le cose, mentre l’Oriente è tranquillo, stabile. La cultura occidentale è razionale, l’Oriente entra nell’anima, nel profondo. La cultura occidentale è convulsiva mentre il "Santone" indiano può stare fermo 15 gg. sotto la pioggia, immobile, domina la natura. La cultura occidentale è tutta esterna, le medicine orientali invece insegnano a dominare il ritmo cardiaco, il ritmo respiratorio, si cambia modo di, ecc. ecc. Fino a che uno non ci pensa sopra può funzionare nel senso che non stride tanto.
Questa dicotomia, se l’abbiamo afferrata bene, non è che l’ennesima ripetizione di una tipica risposta occidentale. L’Occidente quando è in crisi scopre l’Oriente, qualche volta l’Africa, ma soprattutto l’Oriente. E’ avvenuto sempre, e quando è in crisi lo sviluppo della ragione, cioè quando la ragione fa dei passi avanti ed evidenzia alcune contraddizioni, si scopre l’irrazionalità. Tutti gli studi, per esempio, degli ultimi 30 anni sull’altra faccia del Rinascimento, sono tipici. Il rinascimento come Alchimia, il Rinascimento come Astrologia, il Rinascimento come scoperta di cose profonde, ecc. E questo è avvenuto in pieno positivismo, pensiamo al rapporto tra spiritismo e positivismo.
Tutti i grandi antropologi positivisti hanno lavorato con la medium Eusapia Paladino (1854-1918), per esempio. Io ho avuto un antenato Giuseppe Seppilli (1851-1939) psichiatra, che ha lavorato con Augusto Tamburini (1848-1919), anche con Luigi Luciani (1840-1919), con una serie di persone che avevano lavorato sull’ipnosi e studiavano queste cose. Poi la cosa è continuata anche più tardi. E’ interessante che un positivista tipico che però non era medico come l’Autore di Sherlock Holmes, Arthur Conan Doyle (1859-1930), in periodo anziano, ha scritto un volume per accreditare il fatto che certe fotografie fatte in Inghilterra riproducevano gli gnomi di cui favoleggiava tutta la tradizione folclorica e letteraria inglese. E lui che era un tipico sostenitore della mentalità induttiva, raffinatissima nella ricerca, ha scritto questa cosa difficile da credere. Poi nell’arte, Paul Gauguin (1848-1903) che va in Oriente, in un momento di grande sviluppo industriale. Si hanno dunque di queste risposte. Karl Marx (1818-1883) per esempio, quando fa il paragone tra il colpo di stato di Napoleone Bonaparte il “Grande” del 18 Brumaio 1799 e quello di Carlo Luigi Napoleone Bonaparte III “le petit” (così detto da Victor Hugo che non lo amava n.d.s.), del 1836 a Strasburgo dice che la prima volta è una cosa seria, ossia una tragedia, la seconda è una farsa. E qui siamo proprio a questo: le medicine orientali sono una cosa seria, l’immagine occidentale delle medicine orientali molto meno.
Io, tempo fa parlavo con un Cinese che mi diceva «voi pensate che mandando un medico in Cina per 6 settimane, impara l’agopuntura? Sarebbe lo stesso che noi prendessimo un infermiere non diplomato e credessimo che fosse un grande clinico». Sono cose molto complesse e sono inserite dentro una visione del mondo. Tolta la visione del mondo, tolta la complessità, ridotto a formuletta evidentemente resta ben poco. Però è interessante che avvenga perché mette a nudo queste contraddizioni.
 
Sui poteri magici
C’è una risposta operativa che può venire da tutto questo discorso? Io credo di si, nel senso che noi dobbiamo fare tesoro di tutto, anche delle fregature e anche delle contraddizioni. Bisogna dire che c’è questa contraddizione nella medicina occidentale, questa depersonalizzazione, tutte queste cose. E noi sempre di più stiamo rivalutando il momento psichico dentro questo discorso. 
Qua c’è una rivendicazione che farebbero volentieri gli antropologi ed è che gli antropologi si sono accorti prima dei medici, ma non dei medici pratici, che lo psichismo è fondamentale. I medici pratici hanno sempre saputo che un paziente ottimista guarisce meglio di un paziente pessimista (e un credente, meglio di un miscredente, n.d.s.). E’ la teoria medica che non ha riconosciuto questo – l’ho scritto un sacco e lo ripeto spesso. Un grande antropologo francese dell’inizio del secolo,  Santive, ha scritto un breve trattatino sulle verruche in cui fa una cosa che sanno tutti quelli che lavorano nel campo della medicina popolare. Molti medici popolari curano le verruche in pochissimo tempo con una serie di formule magiche. Lui però, nel 1912, mi pare, concludesse il suo libro dicendo che doveva essere un’azione del Sistema Nervoso Centrale (SNC). Questo è il fatto interessante. Lui raccoglie i dati della medicina popolare e li interpreta ipotizzando che questo effetto di cura di una malattia che è di natura somatica, intervenga per il tramite del SNC.
Questo pensiero in Occidente si è sviluppato all’interno dell’antropologia, possiamo dire intorno al 1932-33. Un testo famoso di Marcel Mauss (1872-1950), tra i più grandi antropologi della sua epoca, analizza “la morte per suggestione” [08]. Quando si crede di dover morire, si muore. In questo saggio Mauss propone che l’effetto fisico nell’individuo dell’idea di morte possa essere suggerito dalla collettività, o che possa avvenire qualcosa di questo tipo. E porta alcuni esempi. In altri contesti etno-antropologici, la violazione di un Tabu alimentare inavvertita, per esempio, che a volte secondo la tradizione in Australia porterebbe a dover morire, non solo fa morire ma fa morire coi sintomi che la tradizione attribuisce alla morte per quel tipo di violazione di Tabu. Oppure essere colpiti da una freccia che si crede avvelenata, ma non è avvelenata, fa morire coi sintomi dell’avvelenamento di quel veleno di cui si crede che la freccia sia avvelenata (effetto placebo e nocebo n.d.s). Per allora, l’ipotesi sbalorditiva di Mauss, metteva in evidenza e rendeva attuale l’interesse che la medicina psicosomatica aveva sollevato per queste tematizzazioni. Ma anche un altro saggio, sempre di Mauss, sulle tecniche del corpo autorizzava a prospettare alleanze fra discipline dell’uomo. Segnatamente rapporti pratici e reali tra psicologia e sociologia lasciando  impregiudicato quale dei due campi dovesse essere in subordine.
Inoltre, è interessante notare il fatto, non per parlare bene degli antropologi, che uno storico il quale lavorava sullo stesso terreno, negli anni ‘20, un grande storico, dicevo, che ha rinnovato tutta la storiografia contemporanea, come Marc Bloch (1896-1944), lavorando sul potere taumaturgico dei Re di Francia e d’Inghilterra, ebbe a rilevare una enormità incredibile. Si pensava che quei monarchi avessero il potere di guarire la scrofola, malattia tubercolare, com’è lunga credenza che attraversa tutto il Medioevo fino al ‘600, l’Europa intera. Egli cerca di capire come mai una credenza di questo genere sia nata e scrive un libro magistrale, I Re taumaturghi, che è uno dei classici della nuova storiografia europea. Ma Bloch non si pone, nemmeno lontanamente l’idea che gli scrofolosi fossero curati sul serio. Cioè mentre gli antropologi avanzano l’idea che lo psichismo agisca sul corpo, per lo storico razionalista il problema è capire perché la gente creda in cose che sono evidentemente false. Due prospettive diverse.
 
Il sistema nervoso e la collettività.
Bisogna però dire che negli anni fra le due guerre mondiali del XX secolo vi sono state costanti tendenze di tipo olistico, nella medicina europea, o meglio nella riflessione medica europea. Sono apparsi una serie di testi, io ne ho trovati parecchi, di medici che avanzano l’idea che in realtà sia il SNC ad entrare in gioco anche nella risoluzione di malattie di tipo somatico. Nondimeno queste congetture vengono sommerse da una marea di altre ipotesi e, nella iperspecializzazione della medicina occidentale, spesso scompaiono le più azzardate. In Italia queste ipotesi erano prevalentemente biologistiche con l’endocrinologia, ma non dappertutto.
Per esempio c’è un testo di un certo Alexey Dmitrievich Speranskij (1887-1961), che ho trovato di grande interesse e ho sempre raccomandato [09]. Si tratta di un medico russo. Un neuropatologo, un fisiochirurgo interventista che ha lavorato negli anni ’20 e ’30 alla Facoltà di Medicina dell'Università di Kazan. Nel 1920 divenne professore del dipartimento di chirurgia operativa presso l'Università di Irkutsk, appena fondata. Dal 1923 al 1928 fu assistente di Ivan Petrovich Pavlov (1848) a Leningrado [010]. Dal 1926 organizzò e guidò un dipartimento sperimentale presso l'Istituto di Neuropatologia Chirurgica. In Italia è apparso da Einaudi dopo la II guerra mondiale un testo, il cui titolo mi pare sia Fondamenti di una teoria della Medicina. Speranskij, attraverso la ricerca rigorosa di tipo neurologico, cioè di tradizione pavloviana, dedica un intero capitolo sulle malattie infettive che aggrediscono il Sistema Nervoso. Ma le suo proposte più controverse sono l’utilizzazione della rachicentesi con aspirazione multipla di liquor testata per il trattamento delle malattie reumatiche e della schizofrenia. Oggi assolutamente improponibili (n.d..s.).
Gli studi, le osservazioni, le scoperte, le intuizioni si avvicendano. Anche le fregature, come ho detto prima, o le teorie sbagliate, ma il cammino della scienza procede. Mi pare che ci si possa aspettare molto da un campo di ricerca che noi denominiamo psiconeuroimmunologia.
È probabile che lavorando in questa direzione si aprirà uno scenario gigantesco, anche se ora siamo solo agli inizi. Perché nel momento in cui noi formuliamo una teoria in base alla quale pensiamo la malattia prodotta certamente da un agente patogeno, ma il SNC correlato al sistema immunitario sappiamo che la difesa dall’agente patogeno potrà alzarsi o abbassarsi. Se tutto ciò ha un minimo di fondatezza allora è possibile ipotizzare una correlazione tra contesto esperienziale, stato psichico, sistema nervoso e sistema immunitario, dove noi veniamo a chiudere il cerchio (olistico? n.d.s.). Credo che si possa realmente elaborare una nuova teoria della medicina in cui anche la risposta può essere una risposta farmacologica, ma è una risposta che agisce sempre attraverso il sistema nervoso.
Siamo solo agli inizi, però, questo ci permette di ipotizzare una cosa: che le medicine non occidentali, diciamo, e in parte anche la medicina dei guaritori, siano il risultato obiettivo, a parte tutto il settore erboristico, di una scienza che nasce storicamente in qualche modo senza consapevolezza di lavorare su quell’altro versante. Cioè, la medicina magico-religiosa con la medicina psichica – vale a dire con la medicina che produce certezze di guarigione attraverso il curare – e la medicina farmacologica che agisce direttamente sull’aggressione, detto molto tagliato con la mannaia.
Ma questo ci consente di avere una teoria generale e non soltanto una teoria della Biomedicina che azzera tutto il resto. Per questo ci fa capire come nella strategia di risposte che l’umanità ha elaborato nei confronti della medicina  ci siano alcune scelte possibili, una delle quali privilegia l’azione attraverso il meccanismo psichico, il sistema nervoso centrale e il sistema immunitario. Potremmo considerarla la medicina totale, la medicina globale, ivi compresa la medicina rituale, la medicina magico-religiosa. Quello che avviene nei grandi pellegrinaggi ai diversi Santuari di tutte le religioni, buddista, islamica, cattolica, ecc, è “curativo” sia pure in minima parte. L’altra medicina è quella che ha però una base fortemente scientifica per cui tenta di spiegare tutti i fenomeni medici ed è la medicina occidentale. Ma poiché la medicina occidentale è arrivata alla psiconeuroimmunologia, chiudendo per ora in qualche modo il cerchio, ci possiamo lasciare proponendo già un tema per un discorso ad un prossimo incontro.
 
Note a I Guaritori popolari in Italia. Seppilli Lezione Magistrale registrata su bobina magnetica.
(n.d.s.) Nota dello sbobinatore. Per comodità didattica dei lettori.
 
[01]. Cosa mai fatta da nessun altro prima di lui, in quel clima barricadiero sessantottino della SIP milanese, Aldo Giannini trovò la serenità la fermezza e l’umiltà di dire all’inizio della sua relazione con estrema tranquillità «Permettetemi ora di presentarvi succintamente alcuni casi, di cui non tenteremo una riduzione organicistica né una riduzione psicologica sociologica. Ritengo che essi i malati abbiano diritto di comparire in questa assise, nella loro irrepetibile singolarità al di fuori di sterili prese di posizioni aprioristiche». Molti anni dopo parlando con Giuseppe Maffei in occasione di un suo Convegno a Lucca per il numero annuale della sua Rivista «Psicoanalisi e Metodo» Edizioni ETS, Pisa, mi confermò. “Giannini? Un ganzo, ti dico! Non solo uno bravissimo, ma che era anche famoso per essere il centravanti del Solvay, Serie C, doveva andare al Genoa, ma il padre non ce lo mandò, doveva studiare“. Per ulteriori notizie biografiche su Aldo Giannini si rinvia al saggio del curatore del testo in discorso Sergio Mellina. Un ricordo di Lorenzo Calvi (1930-2017). Lo psichiatra neurologo che in Valtellina imparava ad entrare dentro i sassi di Flaubert con l’aiuto di Cargnello. POL.it Psychiatry on line Italia
[02]. Correvano pettegolezzi nelle Cliniche delle Malattie Nervose e Mentali, bene informate, e tutte a loro modo lo erano. S’immaginava che dovesse accadere qualcosa di grosso. Non si sapeva però bene, cosa, dove, quando. Qualcuno sapeva sempre l’ultima novità, ma non era così. Quando il 27 aprile 1976 uscì la notizia della Legge n. 238, la cosiddetta “Legge Cazzullo” che sanciva la separazione definitiva della Psichiatria e della Neurologia in due specialità separate e che il primo psichiatra ad essere nominato ufficialmente cattedratico in Italia era Carlo Lorenzo Cazzullo, da Gallarate, fu una sorpresa. Evidentemente fra i due schieramenti che vedevano contrapposti da un lato Padre Agostino Gemelli che poteva contare sull’OFM, il quale avrebbe visto meglio il vicentino Danilo Cargnello, che aveva visitato neurologicamente a seguito di un paio di terribili incidenti automobilistici (1940 e 1946), l’amico religioso e ne lascia fulgida testimonianza nella splendida relazione sulla corporeità al 30° Congresso SIP di Milano «Tizio va a trovare in Clinica l’amico neurologo Caio per consultarlo circa alcuni penosi disturbi che avverte alla mano destra (parestesie, algie, impacci, ecc)».  Atti, Simposi vol I pag 1291. Dall’altro l’ordine dei Gesuiti di Varese che appoggiava Cazzullo, a sua volta appoggiato dal suo vecchio direttore Carlo Maria Riquier. Prevalsero i secondi. Intanto, a sinistra risponde uno squillo – manzonianamente citando il Conte di Carmagnola – ed in autunno al Congresso SIP di Bologna Carlo Gentili tuona di guardarsi “dall’abbraccio mortale con la neurologia”.
[03]. Si fa riferimento ad una sua importante a curatissima creatura la Rivista “AM” organo ufficiale della Società Italiana di Antropologia Medica – Fondazione Angelo Celli  – per una Cultura della Salute – Perugia – Argo, alla quale sono stato abbonato molti anni e ne posseggo la collezione dei primi 28 numeri, dal 1996 al 2009.
[04]. Gioacchino Murat Maresciallo di Francia, Re di Napoli, nato a Labastide Fortuniére (l’attuale Labastide-Murat) nel 1767, morì nelle circostanze che tutti conoscono a Pizzo di Calabria nel 1815. Era figlio di un locandiere che progettava di avviarlo al sacerdozio, ma il giovane ritenne a lui più congeniale la carriera militare e si arruolò nell’esercito. Nel 1789 fu espulso per insubordinazione e per campare si adattò a fare il commesso in una Drogheria di Saint Céré. (n.d.s.).
[05]. Bibliografia di riferimento degli AA. di medicina popolare e procedure apotropaiche. Antonio De Nino. Usi e costumi abruzzesi. Feste, veglie, banchetti pregiudizi e superstizioni delle genti d'Abruzzo. I Tascabili d'Abruzzo, Cerchio 1988. Medicina popolare siciliana. Raccolta e ordinata da Giuseppe Pitrè; editore: C. Clausen, 1896 volume unico. Giuseppe Bellucci (Perugia 1844-1921 ivi) è stato ordinario di Chimica all’Università di Perugia e Rettore, antropologo, etnografo, paleontologo e storico, esperto di folklore (n.d.s.). si suggerisce anche il testo Salvatore Iannaccone. La luna, il sangue, l'incenso. Intervista sull'epilessia tra scienza e mito. Giunta, Napoli, 2000.
[06]. La cosiddetta “Storia controfattuale”, giudicata inutile da Benedetto Croce, ma ora molto in voga (n.d.s.).
[07]. Si fa qui riferimento alla pratica delle “segnature”. Tullio Seppilli (a cura di). Medicine e magie. Electa Milano, 1989.
[08]. Marcel Mauss. Teoria generale della magia e altri saggi. Einaudi, Torino, 1965.
[09]. Aleksej Dmitrijewitsch Speranskij. Fondamenti per una teoria della medicina. traduzione di Ferdinando Ormea Assistente nella Clinica Dermatologica dell’Università di Torino. In appendice una recente discussione sulla teoria di Speranskij di Enzo Arian. Assistente nella Clinica Malattie Nervose e Mentali dell’Università di Torino. Editore Einaudi, Torino, 1956.
[010]. Seguace di Charles Darwin decise di abbandonare il seminario per esplorare la fisiologia della mente. Approdò all’Università di San Pietroburgo, nel 1891, dove le sue ricerche sulla fisiologia del sistema nervoso, circolatorio e digerente rivoluzionarono il mondo della scienza. Per 45 anni lavorò alacremente all’Istituto di Medicina Sperimentale, che oggi porta il suo nome. Era molto stimato da “Ninì” Vizioli (1926-2006) mio professore di carriera accademica, persona e compagno delizioso, eccezionale costruttore di aforismi e battute. Quando ancora c’era la guerra fredda, il mondo era diviso in due blocchi i Russi e gli Americani e la gara spaziale diveniva sempre più spasmodica . «Tu pensa – mi diceva – dopo vent’anni che quelli stavano avanti con la scialorrea del cane di Pavlov e i riflessi condizionati, spedendo nello spazio un intero canile Laika, Belka, Strelka, si sono fatti raggiungere da uno che aveva lavorato per Hitler, Werner Von Braun, che ha mandato sulla luna Neil Armstrong. Pensa! Alla neurofisiologia occidentale di Fulton, Penfield, Eccles Moruzzi e Magoun, strabattuta da quella russa, ci sono voluti 20 anni per recuperare».

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