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FILO DA TORCERE

5 Apr 19

A cura di Maria Ferretti

SANGUE E PRIMAVERA
Mattia Tarantino
 
C’è qualcosa nel sangue che rende
 chi lo tocca martire di primavera,
 qualcosa che conosce soltanto
 chi ha perso le vene nelle vene degli altri.
 Forse gli amanti intuiscono
 che unti dalla stessa rovina
 tradiscono un vecchio proverbio:
 è il sangue che interrompe
 la polvere prima che sia polvere.
 
C’è una chiazza sul letto e vorrei
 mi bucasse la lingua e lasciasse
 entrare una parola usurata;
 vorrei bere tutto quello che sgorga
 dalle tue cosce e corrodermi i denti;
 insegnare alla gola che il verbo
 si attacca agli umori si infrange.

Ora conosci la stanza,
 sai dove i poeti partecipano
 all’orgia dei morti, e quanto
 alta sia la torre da cui un giorno
 ho provato a saltare.
Allora dimmi, cosa serve
 per fare primavera e non morire?

 
 

Devo perderti Dottore!
Perderti e' un' arte.
Petit mort una dolce scarica d'amore.
Ma come si vive senza questo amore?
Dove lo ritrovo, se non nella scarica motoria della parola.
Credo d'aver già scritto nelle mie note che l'amore è molto simile a una tortura o a un'operazione chirurgica.
E l'uomo e la donna sanno fin dalla nascita che nel male si trova ogni voluttà. (Charles Baudelaire)
 Torturare significa torcere.
La psicoanalisi e' il metodo per torcere un movimento inconscio a favore di una postura che permetta il movimento nella direzione del desiderio.
Da Dottore devo torcere quel meccanismo che muove nella direzione opposta a quella desiderata.
Da Paziente devo oppormi ad un movimento ad una scarica su binario familiare ad alta velocità .
 Il vero match dopo la cura non è il sintomo che si sconfigge ma la sua carica che vive di un automatismo proprio che ha la funzione di rendere il movimento apparentemente più fluido e funzionale. La carica rimane libera e al servizio di vie brevi ,scorciatoie che riportano ad uno stato di apparente quiete.
Quando il sintomo e' smascherato appare il dolore da torsione.
Il movimento verso la direzione che abbiamo conosciuto nella cura prima che sia naturale passa attraverso un dolore di uscita che si nutre di memoria.
Ogni tendine reciso può rivivere solo attraverso una scarica di elettricità ed un movimento che lo riprogramma alla vita. Elettricità e memoria ricostruiscono le vie tranciate.
Una sensazione di sconfitta si alterna ad una sensazione di nascita, dopo la cura.

E' il dolore del movimento che ricorda che la strada e' quella giusta, dove questo dolore sia presente c'è in atto una nascita. Nascono nuove connessioni per nuove posizioni.
Fatica e' sentire il movimento da desiderio che contrasta con quello da scarica.
La vita dopo la cura nasce dal torcere quel movimento.
Tenere la postura dopo lo smantellamento del gesso è all'inizio percepito come  un impossibile da sostenere.
Sei molle, atrofico.
Poco dopo inizia la distonia:  movimento incontrollato.
Scariche di correnti devono ridare impulso e tu reggere il dolore. Tutti i giorni devi ripetere le stesse azioni per poter ritornare nella posizione opposta a quella del movimento automatico che garantisce un certo piacere e risparmio di forze.
Quasi Insopportabile è aggettivo unico per descrivere il dolore provocato  da quello che alcuni analisti ritengono sia la via di uscita dalla ripetizione mortifera ovvero torcere la tensione lasciata dalla sparizione del sintomo che alimenta solite posture esistenziali in assenza di colui che si prende cura di te.
Lo zoccolo duro dopo la cura non è il sintomo ma cio che lo alimenta, un eccesso che rimane fluttuante,sospeso. Un gas , una corrente senza argine che cerca sbarramento .
Nostalgia.
Un richiamo alla via meno dispendiosa un certo piacere da scarica.
Si vuole cedere alla tentazione dell'automatismo.
Automatismo e' risparmio energetico e analgesia.
Dispendio  e dolore invece sono della cura, assenza di sintomo.
Sforzarsi di scegliere ciò che sappiamo ed abbiamo conosciuto sul lettino.
Lo sforzo e' ricordare sempre ciò che abbiamo vissuto.
Se cedi cadi. Esser giusti con se stessi è possibilità di camminare.
Sotto il peso della stanchezza tornare all'automatismo e' oasi, ma appena ne esci e' deserto .
Mi fa male il luogo del subire, dentro sabbia fine potrebbe rendermi tomba.
Il luogo della sopportazione l'organo bersaglio se ne sta andando.
Sfilare l'organo che scioglie ciò che hai subito sembra alleggerire e chiudere con la ferita.
Ci sarà un buco tra fegato e stomaco.
E il cuore?
Il cuore dove e' finito?
La dentro c'è tutto l' elettrico, la spinta.
Scegliere la via della salute e' atto amaro, ho finito la bile.
Meglio un buco che un dolore nel fianco che non permette di attraversare grandi distanze .
Spossatezza da impossibilità di espellere sabbia di te.
Il granello dice impossibilità di avanzare.
Non esiste pastiglia per sciogliere ciò che e' già polvere. La polvere invece può riempire tuttoil corpo e portarti a morte certa.
La resezione allora e' unica possibilità un " taglio" a ciò che non funziona più una perdita per sempre. Opporsi.Ostinarsi.
Un funerale all'organo che ha difeso per anni la vita, una rieducazione alla vita.
Ho perso un pezzo di me, la necrosi dell'organo dice "basta" . Taglio netto.

Stare il verbo.
Stare in quella posa congeniale di osservazione dove lo sguardo ammira ciò che davanti ci appare.
Lo stupore del normale lacrima sangue. Qui la ferita.
Ma un buco e' solo segno di un passaggio. Un avvallamento che ricorda e contiene.
Quattro buchi nella pancia per sfilare ciò che hai subito.
Quattro segni per ricordare che c'è un prezzo da pagare se si vuole stare bene.
Ho pagato con la carne l'eccesso della pulsione.
Ed e' il ricordo di cose giuste che torce il movimento malato.
Non è giusto soffrire.
Si lotta, ancora.
 Si combatte una via neuronale che permetta al corpo di stare fermo e affrontare quel che di giusto ci rimane.
Tenere la posizione senza l'altro della cura e' l'altro pezzo della cura.
 Una fase di rodaggio di messa in atto di ciò che si e' conosciuto attraverso quel dispositivo eccezionale dell' amore di transfert.
La  memoria della  cura e' cura. Ricordare ripetere ed elaborare e … torcere.
La grande alleata della morte : la memoria , dove meglio dissimula i suoi moscerini. E al tempo stesso persecutrice della nostra odissea, che va da una vigilia al roseo domani .( Rene Char )
Il roseo domani e' in mano al ricordo di come abbiamo torturato il cervello io e te.
"Non voglio torturare il tuo corpo ma il tuo cervello"  dice il Dott. Joaquin Farias ad un suo paziente che presenta una distonia focale ovvero un movimento involontario che non permette il controllo della postura.
 Lo neuropsicologo lavora  sul corpo attraverso sedute individuali in relazione stetta col suo paziente per torcere il cervello attraverso il corpo. Far ricordare movimenti oramai persi attraverso il recupero di memorie di movimento tramite memorie emotive.
 Noi analisti lavoriamo sul pensiero  fatto di parole che si muovono e che si traducono in atti: le parole hanno scariche motorie. Le parole si traducono in atti.
   Per Farias è  possibile contrastare  il movimento distonico che e' movimento involontario incontrollabile attraverso una cura atta a  far nascere nel cervello le connessioni neuronali parallele a quelle tranciate attraverso dei  movimenti,emozioni e memorie dimenticate.
 Torsione del corpo e torsione della parola.
 Corpo e parola si ammalano ed hanno in comune un movimento involontario patologico.
Nella coazione c'è una spinta in opposizione alla giusta direzione della tua vita.
Nella distonia focale la spinta del corpo ti porta nella direzione opposta al movimento che ti permette la postura giusta. Non puoi più fare nulla se non ti opponi a quel movimento.
Il movimento involontario patologico corporeo (distonia focale) e movimento psichico involontario- inconscio della coazione a ripetere del pensiero  hanno in comune la patologia : non permettono di vivere.
La cura della distonia consiste nella torsione di questi movimenti per ricordare al cervello i movimenti giusti, la cura di parola consiste in una torsione del movimento di opposizione alla coazione attraverso il recupero di ciò che nella cura si è compreso ma soprattutto " vissuto".
La cura di parola deve far vivere appieno il movimento della coazione e della sua uscita.
 

 
Il dopo cura  e' un filo da torcere.
Far ruotare il filo (torcere appunto) su se stesso per dargli una consistenza maggiore onde evitare strappi e rotture. Questa operazione si realizza con l’ausilio di un bastone attorno al quale il filo torto è avvolto. All’estremità del filo viene poi fissato un peso.
Torcere il filo e' complicato perché i fili sono irregolari e ci vogliono movimenti fini e mani delicate per ottenere la sua robustezza.
Torcere verbo e' faticoso.
La torsione della carica del movimento a ripetere avviene attraverso i pensieri, i fili. Si torcono i pensieri su un bastone ovvero quel che siamo stati io e te, ed il peso e' l'amore che mi ha tenuta legata a te.
Dopo la cura la memoria di me e te combatte la guerra della dimenticanza.
Il ricordo di chi ero e' in funzione dell'altro.
Devo ricordarti per non dimenticarmi.
Pensare, pensarmi, pensarci e pensarti, ancora.
 
 
 
 
UN'ARTE
 
L’arte di perdere non è una disciplina dura
tante cose sembrano volersi perdere
che la loro perdita non è una sciagura.
 
Perdi qualcosa ogni giorno. Accetta la tortura
delle chiavi di casa perse, delle ore spese male.
L’arte di perdere non è una disciplina dura.
 
Esercitati a perdere di più, senza paura:
luoghi, e nomi, e destinazioni di viaggio.
Nessuna di queste perdite sarà mai una sciagura.
 
Ho perso l’orologio di mia madre. Era
mia ed è svanita – ops! – l’ultima di tre case amate.
L’arte di perdere non è una disciplina dura.
 
Ho perso due vasti regni, due città amate,
due fiumi, un continente. Mi mancano,
ma non è mica un disastro averle perdute.
 
Nemmeno perdere te (la figura, la voce allegra
il gesto che amo) mi smentirà. È chiaro, ormai:
l’arte di perdere non è una disciplina dura,
benché possa sembrare (scrivilo!) una sciagura.

 
Elizabeth Bishop

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1 commento

  1. admin

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