LO SPIRITO E L'OSSO
Scritti a futura memoria
di Fabio Milazzo

Asperger: il successo di una sindrome, l’oblio di una storia.

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12 gennaio, 2020 - 19:24
di Fabio Milazzo
Recensione di: Edith Sheffer,  I bambini di Asperger. La scoperta dell'autismo nella Vienna nazista, trad.it. di Anita Taroni e Stefano Travagli, Marsilio, Venezia 2018, pagg. 324, 18 euro.

Quella di Asperger è una delle sindromi più celebri della storia della psichiatria novecentesca. Il suo successo è stato tale da oltrepassare i confini della clinica, tanto da essere oggi nota presso il grande pubblico come una variante dello “spettro autistico”. Molto meno conosciuta è la vicenda di Hans Asperger, medico, cattolico e convinto uomo di destra, che formulò la diagnosi di «psicopatia autistica» per descrivere quei bambini con un profilo comportamentale caratteristico, in cui l’autismo era presente senza associarsi a ritardo mentale marcato. Asperger definì la sua diagnosi attraverso una serie di osservazioni compiute su bambini ricoverati presso la clinica pediatrica dell’università di Vienna. Qui venivano internati minori con problemi psichici e di integrazione sociale e fu su di essi che si appuntò l’attenzione di Asperger. In particolare egli cercò di distinguere i bambini con un comportamento compatibile con quello dello spettro autistico, ma con un rendimento cognitivo normale o addirittura sopra la media, distinguendoli dai bambini con autismo classico del tipo già evidenziato da Leo Kanner. Quest’ultimo, padre della pedopsichiatria americana, si era occupato dei soggetti con marcati disturbi relazionali e grave compromissione cognitiva e aveva elaborato una diagnosi che rappresentava un punto furmo sulla questione. Sia la prospettiva di Asperger, che quella di Kanner, traevano spunto dalle osservazioni compiute nel 1911 da Eugen Bleuler che, nel corso dei suoi studi sulla schizofrenia, notò un fenomeno patologico di chiusura e di regressione relazionale in alcuni pazienti. Tuttavia la condizione notata da Bleuler, e studiata sia da Asperger che da Kanner, restò circoscritta agli studi specialistici almeno fino agli anni Ottanta del Novecento, quando una psichiatra infantile inglese, Lorna Wing, madre di un bambino con autismo, la portò alla ribalta della comunità scientifica e non solo. Ella diede nuova luce ai lavori di Aperger  e propose di chiamare col suo nome, sindrome di Asperger appunto, ciò che il medico aveva chiamato “psicopatia autistica”. Lorna Wing in particolare voleva sottolineare la condizione specifica dei bambini con un comportamento compatibile con quello dello spettro autistico, in assenza di ritardo mentale, distinguendoli dai bambini con autismo classico di Kanner. Da allora la diagnosi di Asperger è diventata sempre più celebre, fino a travalicare i confini della diagnostica psichiatrica e a diventare un fenomeno sociale. Parallelamente è stato riconosciuto in maniera condivisa il suo valore medico e ratificato attraverso l’inserimento nell’ICD nel 1992 e, successivamente, nel DSM 4 nel 1994. Tale traguardo è coinciso con il momento di maggiore successo della sindrome di Asperger che, da oscura patologia psichiatrica, riuscì a guadagnare le luci della ribalta e a diventare celebre anche presso il grande pubblico.



 
Non è semplice spiegare il successo e la visibilità sociale raggiunta dalla diagnosi di Asperger; di certo un ruolo non secondario, almeno per ciò che riguarda la penetrazione nell’immaginario collettivo, lo hanno avuto i film e i libri, alcuni dei quali, come il celebre Il mistero del cane ucciso a mezzanotte [Einaudi] di Marc Addon, hanno offerto una rappresentazione ricca e sfaccettata di questo disturbo, delle sue potenzialità e delle risorse celate dietro la condizione di ritiro sociale che lo contraddistingue. Così gli Asperger diventarono per il grande pubblico una delle varianti di quello sfaccettato universo di persone chiuse in se stesse, ma con delle risorse cognitive spesso eccezionali. Sul piano medico, invece, il successo di questa variante dell’autismo durò non molto, tanto che, nel 2013,  l’Associazione degli psichiatri americani decise di non inserirla nella quinta edizione del DSM e di diluirla nella più ampia galassia degli autismi. Parallelamente venne ridimensionato il suo ruolo anche nell’ICD-11 (OMS). Adesso si preferisce parlare di disturbi dello spettro autistico, con livelli differenti di gravità e funzionamento cognitivo.
Gli elementi che caratterizzano l’autismo, di cui l’Asperger è una declinazione, riguardano il ritiro sociale e le marcate difficoltà relazionali; il deficit nell’area del linguaggio e della comunicazione e gli atteggiamenti rigidi, ripetuti e stereotipati. Le caratteristiche rimandano tutte, anche se in maniera diversa, alla chiusura e al ripiegamento su se stessi dei soggetti autistici che, in qualche modo, vivono un fenomeno di esclusione sociale autoindotto. Ed è proprio questo l’aspetto che più ha interessato Asperger – il medico – durante i suoi studi. Infatti, come ricostruisce Edith Sheffer, il medico pur non essendosi mai iscritto al partito nazista, tra gli anni Trenta e i Quaranta, da responsabile del Reparto di pedagogia curativa alla Clinica pediatrica dell'università di Vienna, si è occupato di distinguere tra i bambini con problemi mentali quelli che potevano essere recuperati e inclusi in un programma di reinserimento sociale, da quelli ritenuti irrecuperabili, poiché gravemente disturbati e con problemi cognitivi, e per questo destinati alla soppressione secondo quanto previsto dall’Aktion T4, il programma di eliminazione nazista delle persone disabili. Erano soprattutto i bambini ritenuti privi di Gemüt, vale a dire la capacità di subordinare le istanze individuali agli interessi della nazione a rientrare in questo secondo gruppo e a essere ritenuti inutili in vista delle esigenze della collettività. Il processo discriminatorio operato da Asperger si abbattè soprattutto sui bambini poveri, provenienti da famiglie con ridotti strumenti culturali o appartenenti a minoranze religiose e linguistiche e, in questo senso, la condivisione dell’orizzonte culturale e ideologico nazista fu piena e, in larga parte, rispondente a esigenze di bonifica sociale.
Le tesi di Sheffer sono già state presentate da un altro storico, Herwig Czech, in Hans Asperger, National Socialism, and “race hygiene” in Nazi-era Vienna, pubblicato sulla celebre rivista Molecular Autism[1], e questo ha fatto sostenere a diversi critici che il libro della storica sia nulla di più che una volgarizzazione dello studio di Czech. Eppure questa critica appare spuntata e, comunque, non in grado di mettere in discussione le tesi sostenute  nello studio che, sicuramente, si fa leggere bene, tanto da poter passare quasi per un testo divulgativo, ma che è basato su una solida ricerca d’archivio e su una documentazione copiosa. Sulla base di ciò Asperger emerge come un esponente di quella vasta galassia di individui che, pur non aderendo formalmente al nazismo, ne hanno condiviso lo spirito e incarnato le istanze più brutali in merito alle politiche razziali. Un anonimo – ma fino a un certo punto – pezzo dell’ingranaggio che ha consentito alla macchina nazista di funzionare così bene per tanti anni e di mantenere in vita politiche discriminatorie che, senza il sostegno di tanti individui come lui, non avrebbero raggiunto i terribili livelli che oggi conosciamo. Un opportunista che aderendo a un ben preciso clima culturale ha stabilito una distinzione tra bambini utili alla causa, e per questo salvabili, e minori inutili, perché asociali e gravemente compromessi da destinare all’annientamento.
Resta probabilmente senza risposta la domanda se tale distinzione sarebbe stata elaborata al di fuori dell’orizzonte nazista e forse non ha nemmeno senso porsela, come non lo hanno la quasi totalità delle ipotesi in storia controfattuale. Parimenti non è semplice individuare quanto il successo della diagnosi di Asperger, legato alla centralità delle questioni comunicative  e relazionali nella tarda contemporaneità, abbia contribuito a generare un’attenzione interessata da parte dell’opinione pubblica sui malati di autismo. Ciò che sembra difficilmente contestabile è il ruolo storicamente rivestito da Asperger nella realizzazione delle politiche eugenetiche naziste. Se da ciò, per quelle molteplici e quasi sempre imprevedibili contingenze della storia, si è poi sviluppato un fenomeno culturale in grado di operare all’interno della galassia autistica delle distinzioni che possono servire a valorizzare le porenzialità di alcuni malati, questo è un altro discorso che, con Asperger medico e con il suo ruolo di zelante servitore della causa del Volk tedesco, c’entra poco. Il libro della Sheffer, al di là di qualche approssimazione e di qualche forzatura, ha il grande, e paradossale, merito di aver contribuito a portare alla luce proprio questa storia.
 

 

[1] Cfr. H.Czech, Hans Asperger, National Socialism, and “race hygiene” in Nazi-era Vienna, in «Molecular Autism», 2018, pp.9-29.
 


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