Perchè il teatro è anche psichiatria. La psicologia e la psicopatologia di Stanislawskij e di Brecht.

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30 luglio, 2019 - 12:59
 
... en essayant de penser, c'est-à-dire
de faire sortir de la pénombre ce que j'avais senti...
Proust, Temps retr., 1922, p. 878
 
 
Dedica
Questo non è un saggio sul teatro. Più semplicemente, vuole essere una specie di racconto, infilando nella trama che lo tiene insieme, una serie di souvenirs tres faibles, memorie lontane, lampi d’immagini che s’accendono rammentandoli. Non propriamente reminiscenze, qualcosa di più. Ricordi di chi, nel e per il teatro, in gioventù, ha studiato, imparato, lavorato e conosciuto la compagna della sua vita, con la quale ha fatto la medesima esperienza. Non sono romantico, non amo il romanticismo, detesto il miele. Amo il salato, mi piacciono la realtà, la fantasia e la semplicità.

A Silvia Grillo – 29 gennaio 1934  -  24 giugno 2019 – radici genovesi, mente bellissima, intuizione e sensibilità inimmaginabili è dedicato questo scritto. A lei che ha accettato di divenire mia moglie, donarmi cinque figli e condividere tutta la vita. A lei ,... per ringraziarla dell’amore ricevuto.
 
 
“Noi moriamo soltanto quando
non riusciamo a mettere radice in altri.”
Lev Nikolàevič Tolstòj
 
Ho già raccontato per POL.IT [01] come, a mio avviso. a sceglere psichiatria, si giunga per vie traverse, tortuose, inimmaginabili e dopo molte incertezze. Come se nella personalità di ogni “psi” albergasse una “doppia vita”, per dirla forzando un po’ il discorso. Infatti, ci fu un tempo in cui il teatro, anzi, tutte le forme di recitazione, mi appassionarono in maniera preponderante. A dire il vero, fin da bambino questo indirizzo era una specie di idea prevalente, che coabitava perfettamente con la mia passione per il calcio giocato, il tifo per il Bologna, il “Dall’Ara”, quando si chiamava pomposamente “Littoriale” [02], l’inconfondibile profilo della “Torre di Maratona”, e quello del portico di San Luca, che s’inerpica alla sommità del santuario.
Anche questa faccenda del teatro è saltata fuori dagli scatoloni famosi [03] per coloro che trovano il tempo di leggermi. Copioni con note di regia, testi introvabili, riviste particolari (SIPARIO), ritagli di critiche teatrali di vari giornali, locandine, foto di scena ed altro materiale di oltre mezzo secolo fa e mi si è spalancato il mondo della memoria.
 
Correva il penultimo anno di liceo (1949-1950) e un gruppo intraprendente di mie compagni, capitanati da Marcello Aliprandi [04], molto interessati alle arti dello spettacolo, ma soprattutto al modo di rimediare le ragazze, mi arruolò in un progetto di “Rivista”. Spettacolo d’arte varia, orchestrina, canzoncine, corpo di ballo, suobrette, presentatore, ecc. tal quale una forma di esibizione molto in voga nel secondo dopoguerra e ancora agli inizi degli anni ‘50. Lo Spettacolo di varietà, l’Avanspettacolo, nelle forme più povere, l’intrattenimento con attori in carne ed ossa e l’orchestrina in buca, che si teneva prima di mandare il pezzo forte che naturalmente era la proiezione del film. Le forme più ricche, quelle senza film, erano le Riviste [05] col capocomico famoso: Wanda Osiris, Totò, Macario, Dapporto, ecc.
Come dicevo, mancava il comico, figura centrale, la spina dorsale, di quel genere di spettacoli. Mi feci avanti e fui scelto. Non è che fossi proprio un attor comico, ma me la cavavo abbastanza bene con le imitazioni sia vocali che somatiche, inoltre suonavo la mundarmonica. Il mio pezzo forte era Tino Scotti [06], allora notissimo per il suo parlare sveltissimo con frequenti calambour, parole paraprassiche, assonanze ecolaliche, giochetti verbali e storpiature senza senso, molto divertenti, tipo arcivicerci, al posto di arrivederci, concluse con l’immancabile finale “Ghe pensi mi!, Ghe, nome; Pensi, cognome; MI, targa, Milano”.  Ma mi veniva benissimo rifare il verso al nostro Professore di scienze (napoletano) e al Preside (genovese).
Ci voleva però una “spalla”. Chiesi a Corrado Montemaggiori [07], mio compagno di banco, che rifaceva il verso a Renato Rascel e lui fu ben felice di associarsi alla combriccola. Le prove si tenevano negli scantinati del liceo dove abitava anche il bidello-portinaio, col quale strinsi amicizia. Il debutto avvenne a primavera inoltrata del 1950, al Cine-teatro “Volturno”, progettato nel 1922 da Arnaldo Foschini, un altro architetto del ventennio, ora abbandonato dal 1997, dopo una bruttissima deriva. Ci fu una replica il giorno successivo. Inutile dire che fu un gran successo, tanto che decisi di studiare tutta l’estate per “saltare” l’ultimo anno e presentarmi alla “maturità” a settembre, con una sola chanse, senza alternativa, o la va o la spacca. C’era la grande ambiguità che ero “un privatista esterno”, mentre tanto “interno alla scuola” che mi conoscevano tutti. Perfino il bidello faceva il tifo per me. Superai anche quella prova e incontrai Silvia, mia moglie. Frequentava lo stesso liceo di Via Buoncompagni, ma nel turno contrario al mio. Allora l’Italia, quella del “boom” era molto prolifica e bisognava istituire i “doppi turni”. Furono le compagne a dirle «Vieni che  ti facciamo conoscere Mellina!», «E chi è Mellina?» fu la risposta. «Ma come, non lo conosci? Quello che fa le imitazioni, Tino Scotti il “Cavaliere”, tutta la scuola ne parla
Vinsi la sua ritrosia astenendomi dal recitare l’incipit leopardiano ... rimembri ancor quel tempo... come facevan gli altri ragazzi, ad ogni presentazione, e l’intesa fu immediata, un coup de foudre. La comune passione per la letteratura russa, fece il resto. Silvia la conosceva a menadito, perchè l’andava a leggere di nascosto in un sottotetto mansardato con affaccio in Piazza Salerno, dove il padre suo [08] teneva una succursale di biblioteca. Le novelle di Checov ce le leggevamo di notte per telefono, quando tutti dormivano, una volta io, una volta lei. Io, però, non potei esentarmi dal leggerle Le anime morte di Gogol: le voleva sentire solo da me. Ma fu soprattutto la grande passione per il teatro, quello di prosa, il teatro “di parola” che, alla fine, risultò “galeotta”; come nel “libro” di cui parla Dante (forse ispirato da Lancillotto e Ginevra di Re Artù) nel V dell’inferno, la cantica di Paolo e Francesca, uccisi da Gianciotto Malatesta. Noi invece uscimmo rafforzati dalle nostre letture e le prime due  nipoti si chiamano una Ginevra e una Francesca.
La comune caccia alle esibizioni di attori e spettacoli teatrali di qualità, iniziò negli anni Cinquanta e durò praticamente tutta la vita [09]. L’ultimo spettacolo al quale partecipammo con quasi tutta la famiglia, nel 1999, fu un’esibizione dello strordinario macchiettista napoletano Vittorio Marsiglia, perchè l’ultima delle nostre figlie Alba Silvia, aveva un fidanzatino partenopeo che era venuto a trovarla.
 
All’epoca, di cui sto raccontando, le più importanti scuole di formazione per attori e registi, erano fondamentalmente tre. “L’accademia nazionale d’Arte Drammatica” di Piazza della Croce Rossa, a Roma, poi intitolata a Silvio D’amico, suo fondatore nel 1936. “Il Piccolo Teatro della città di Milano”, fondata da Giorgio Strheler e Paolo Grassi il 14 maggio 1947. La “Libera Accademia di Teatro”, poi “Accademia Sharoff”, fondata da Aldo Rendine nel 1946 e diretta da Pietro Sharoff, già famoso regista per spettacoli allestiti al Teatro Eliseo di Roma. La sede fu dapprima a Piazza Santa Maria in Trastevere, poi in Via Paganini.
Entrambi frequentammo la stessa scuola di recitazione, l’Accademia di Pietro Sharoff [10], attore e regista del Teatro d’arte di Mosca [11], fuoruscito dopo la Rivoluzione d’ottobre del 1917. Allievo diretto di Konstantin Sergeevič Stanislawskij, insegnava il suo “metodo”, di cui diremo più avanti.
Per la verità, mi avvicinai per primo alle scuole di recitazione, in maniera avventurosa e anche scorretta. Non essendo maggiorenne, falsificai la firma dei miei genitori e presentai la domanda d’iscrizione all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica di Piazza della Croce Rossa. Tra l’altro, nella stessa piazza, c’era anche il Ministero dei Trasporti, dove mio padre, alto dirigente col grado di Capo Servizio, presiedeva il “Consiglio di Disciplina” dei Ferrovieri italiani. Fui scoperto quando mia madre ricevette la telefonata di convocazione per la prova di ammissione alla D’Amico e inutile anche aggiungere che fui severamente punito. Mio padre, però, da saggio “giudice”, mi torna in mente oggi, ripensandoci sopra, forse anche per abitudine professionale, mi disse che avrebbe mai dato il suo consenso perchè io facessi l’attore, amenoché io non mi fossi fatto persuaso che prima avrei dovuto laurearmi. Ma non una laurea così, una da 4 anni, facile facile, come quella in Legge. No! Una di quelle difficili, da 5 o da 6, praticamente ingegneria o medicina. Solo allora, se io mi fossi convinto e impegnato seriamente a frequentare una di quelle due Facoltà, mi avrebbe lasciato una via d’uscita. Nelle ore libere, dell’università, avrebbe tollerato che m’iscrivessi ad una scuola di recitazione meno impegnativa dell’Accademia Nazionale “Silvio D’Amico”.
 
Fu così che andai da Sharoff, quando ancora stava a Trastevere ed era già ben frequentata: Franca Valeri, Valeria Valeri, Lina Wertmuller, Scilla Gabel, Silvano Tranquilli, Ennio Balbo, erano passati da lì e, al “Centro Sperimentale di Cinematografia” (CSC), Sharoff, ebbe come allievi Luigi Zampa, Pietro Germi, Romolo Valli, Elena Zareschi, Arnoldo Foà. Rammento che una volta, Silvia (stavamo molto insieme, io ero più grande ma ci separavano solo 2 anni), trovò modo di polemizzare con Lino Troisi [12], entrambi fumantini, come si dice a Roma, a proposito dell’interpretazione di Anna Miserocchi (per la verità superba) ne I dialoghi delle Carmelitane di Jacques Bernanos, per la regia di Orazio Costa Giovangigli, al “Teatro delle Arti” in Via Sicilia [13]. Il pomo della discordia verteva su un dettaglio: il tono della voce della Miserocchi era troppo “portato” per Troisi, mentre per Silvia era semplicemente perfetto. Si noti che la voce della Miserocchi, inconfondibile, per il timbro caldo e pastoso, la rendeva famosa per queste sue caratteristiche. Anche Silvia, in quanto a voce, stava messa molto bene, emissione naturale, impostata, di petto, lievemente scura, al contrario della mia che era costruita, intenzionale, adattata alle circostanze. Fin dalle “medie” e poi al liceo i professori d’Italiano la chiamavano spesso in cattedra per recitare Leopardi, Pascoli, Giusti, ma anche i classici più difficili come il Manzoni de Il cinque maggio. Questa particolarità, le sarebbe tornata utile da madre di cinque figli. Essendo di radice genovese, li addormentava con cantilene, sciolilinga e poesiole zeneizi. Quella che tutti ricordiamo meglio è
 
Cieuve, bagneuve / e gallinn-e fan e euve / de ciongio, de bronzo, / de ciumme de colombo. / L’angio o pescava, / a Madonna a se bagnava: / Perchè ti te bagni? / Pe fà cessà quest’aegua, / aegua e vento, / doman faià bon tempo. / Anniemo da-o Segnò, / dove luxe sempre o sò! [14]
 
Tuttavia era veramente imbattibile quando nell’ora di dizione, vocalizi e articolazione del linguaggio, all’Accademia, sfidava i colleghi a ripetere uno scilinguagnolo genovese molto difficile
 
A-o meu neuo gh’è neue nae noe un-na de neue nae noe n’o veu ana [15]
 
Tornando all’accademia Sharoff, io, dopo una prima infarinatura, mi allontanai, oltre che per studiare medicina, con Nino Lo Cascio, anche per buttarmi nel “mestiere” di attore. Radio, doppiaggio, televisione. Silvia, invece, compì i tre anni regolari di studio a Via Paganini e si diplomò col massimo dei voti e una tesi sulla storia del teatro russo, assistita da Achille Fiocco insegnante dell’accademia Sharoff, direttore della Biblioteca e del museo teatrale del Burcardo di Via del Sudario [16].
Ormai mi ero laureato in medicina senza troppe difficoltà, ma con molti rimpianti. Ogni volta che passavo da Piazza della Croce Rossa, avevo delle esitazioni, prima di proseguire per il Viale del Policlinico, sede del “Policlinico Umberto I”, complesso fortemente voluto da Guido Baccelli (1830-1916), clinico medico famoso, sette volte Ministro della Pubblica Istruzione. Come che sia, era giunta l’ora di scegliere o di quà o di là!  La mia decisione, però, l’avevo già presa con Marcello Aliprandi a proposito del rifiuto del provino con Giuseppe Patroni Griffi, come ho detto nella nota 04. Trovai la soluzione dove non si vedeva il volto [17]: la radio e soprattutto il doppiaggio. Alla prima provvide Paolo Pacetti (speaker radiofonico Rai di Via Asiago, conosciuto per la sua rubrica serale “Siparietto”), preparandomi su una novella di Cechov: Morte di un impiegato. Fui  dunque ammesso alla lista degli attori scritturabili a caché per la “Compagnia di prosa di Radio Roma”. Fu lì che conobbi due persone determinanti per la mia carriera di attore.
La prima era Giovanni Gigliozzi [18] – autore, regista e conduttore radiofonico nonchè scrittore di testi religiosi, figlio spirituale di Padre Pio da Pietralcina, severamente giudicato da Agostino Gemelli – ad ogni “giovedì santo”, chiamava Rina Franchetti per recitare Donna de Paradiso di Jacopone da Todi, XIII secolo, e me, per fare la turba «Crucifige, crucifige! / Omo che se fa rege, / secondo la nostra lege / contradice al senato». Il luogo della recita era nientedimeno che la concattedrale della Santissima Annunziata, cui si accedeva da una scalinata imponente, praticamente il Duomo di Todi, nella bellissima Piazza del Popolo, il maggior luogo di culto cattolico dell’Umbria. Lo spettacolo, molto suggestivo e molto frequentato, aveva inizio al tramontar del pomeriggio.
La seconda, era Renato Cominetti, la voce di Tiberio Murgia ('ferribotte') ne I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli. Conoscendomi meglio, sapendo dei miei studi di medicina e stimandomi anche come “attore” mi propose di fare del doppiaggio e accettai.
 
Doppiaggio, istruzioni per l’uso ... per chi vuole continuare è necessaria una piccola chiosa a parte che comprende una ministoria, almeno quella che io ricordo, e un tentativo di illustrazione tecnica. Cominciamo con la storia. Si racconta che un tempo fior di attori di teatro avessero rinunciato al palcoscenico per dedicarsi al doppiaggio. Subito dopo la seconda guerra mondiale, infatti,  l’industria holliwoodiana invase l’Italia e in un certo senso la colonizzò. Durante l’autarchia e la fascistizzazione della lingua italiana il «filmo» (testuale) straniero, era boicottato. Poi se si pensa che prima delle ostilità, gli americani, i film da mandare in Italia se li doppiavano “da per loro”, come dicono a Bologna, con voci ridicole che parlavano con forte accento americano. Col nuovo corso, invece, bisognava inventarsi le voci dei nuovi attori americani, spendibili sul mercato italiano. Nel 1945, Giulio Panicali, Lauro Gazzolo, Carlo Romano fondarono la CDC acronimo della Compagnia Doppiatori Cinematografici. Era piuttorto difficile accedervi, ma entrano molti altri soci come Emilio Cigoli, Stefano Sibaldi, Gualtiero De Angelis, Tina Lattanzi, Lydia Simoneschi, Miranda Bonansea ed altri ancora per fronteggiare le numerose richieste. Praticamente monopolizzarono il mercato. Carletto Romano rese famoso e popolare Jerry Lewis altrimenti rifiutato dai “distributori”. Giulio Panicali prestò la sua voce suadente a tutti quelli che in teatro facevano i “primi amorosi” o  i “fascinosi”, da Tyrone Power a Ray Milland a Robert Taylor, a Bing Crosby, Robert Mitchum, Kirk Douglas, Ronald Reagan, Charles Boyer, Henry Fonda, Glenn Ford, Fred MacMurray. Tanto che si diceva in giro “Come mai st’attori americani c’hanno tutti ‘a stessa voce?” A Walter Brennan, “il vecchietto del West”, gli costruì una voce tutta particolare Lauro Gazzolo. Io lo sostituirò in un ridoppiaggio, sotto la direzione di Mimmo Palmara, nella serie televisiva statunitense di genere western, trasmessa dalla ABC per 2 stagioni, dal 1967 al 1969, s’intitolava Il grande teatro del West (The Guns of Will Sonnett), 45 episodi. Walter Brennan nella parte del nonno Will Sonnett aveva la voce di Luca Ernesto Mellina. In realtà trattavasi del padre, sotto mentite spoglie, ma era “il grande teatro dei suoi genitori” Sergio e Silvia Grillo. Nondimeno, in quel periodo, tanto per dire, tutti gli altri primi attori protagonisti eroici americani tipo John Wayne parlavano con la voce di Emilio Cigoli. Jak Lemmon, Paul Newman, Marlon Brando, Peter Sellers, usavano la voce di Peppino Rinaldi. Charles Laughton vocalizzava con quella di Olinto Cristina. Frank Sinatra Fred Astaire, Danny Kaye con quella di Stefano Sibaldi. A proposito di Sibaldi avevo un “turno” con  lui al mitico stabilimento CDC-SEFIT di Via dei Villini. Ebbene era talmente bravo che rimasi estasiato a guardarlo, dimenticandomi di attaccare la mia parte, finchè dalla regia arrivò il richiamo: «Mellinaa!! Che fai dormi
Per quanto concerne la tecnica, siccome oggi non è più come una volta, cercherò di spiegare quello che hanno tentato di spiegarmi. Una volta, c’erano gli “anelli” che giravano in camera di proiezione (cioè la pellicola tagliata a pezzetti), la pista sonora dove veniva registrata la voce o il rumore, il leggìo, il copione, il microfono e gli attori che vi si alternavano. Il tutto veniva accordato in sala mixage. Adesso, invece, fermo restando il fatto che ci sono sempre gli attori, i copioni i leggìi e i microfoni, si adoperano macchine modernissime, il “P 5” e il “P 7”. Strumenti sofisticati di sonorizzazione e di montaggio della musica e del doppiaggio su piste separate dove sono incise le “tracce” delle voci degli attori che doppiano da soli. Come hanno cercato di spiegarmi, fin che ho potuto seguirli, il tecnico che mette insieme queste varie “tracce” è praticamente un ibrido tra un direttore d’orchestra e un ingegnere acustico che lavora su “Pro Tools”, un sistema di “Digital Audio”. In parole povere con un monitor che segue con la coda dell’occhio, perché deve guardare tutto il resto, ossia l’insieme, per poterlo modulare e calibrare, chiaro?
Per quanto riguarda, il mio contributo alla sincronizzazione cinematografica, è quello che risulta documentato nella rubrica di Antonio Genna  Il mondo dei doppiatori, così come sono catalogati per settori “Film cinema. Film d’animazione. Film tv e miniserie. Telefilm. Cartoni animati”  [19]. Vorrei aggiungere una piccola notazione neurofisiologica, sul doppiaggio dei film e dei cartoni animati giapponesi, per me particolarmente difficile. Non era possibile contare nè sul sonoro, nè sulle labiali. Guai ad ascoltarli! Rischiavi di cadere nelle loro intonazioni atalenanti tra il grave e l’acuto, in battere o in levare. L’imitazione era quasi automatica, dato che il loro linguaggio è lontanissimo da quello occidentale, l’intonazione, la cadenza e la costruzione della parola, ancor più incomprensibili. Sono ricorso, allora ad un piccolo artifizio. Almeno nelle intenzioni, mi son detto: «E tu “stacca” l’emisfero dominante! “Epochizzalo!” Pensa di fare tutto con quello minore», che per me è il sinistro, come per la maggioranza. Così ho fatto quand’ero al leggio per il doppiaggio in italiano delle voci giapponesi e così ne sono venuto a capo con successo.
 
Tutto scorreva velocemente, nel frattempo. Quando andavo a trovare Silvia, in Via Paganini, conobbi diversi suoi colleghi che frequentavano l’Accademia nel medesimo corso triennale. C’era Andrea Barbato, per esempio, che frequentava un corso di regia. Un Carmelo Bene alle prime armi. Una sua amica carissima nata a Bologna per caso, Liana Trouchè (1938+1981) attrice, figlia d’arte, che aveva iniziato con Eduardo ed era venuta a perfezionarsi. Conobbi anche suo marito Aldo Giuffrè, attore già famoso, sulla cresta dell’onda, che rifaceva benissimo il verso a Pasquale Silipo, docente di neuro-radiologia ai tempi di Gozzano. Lei, purtroppo, scomparve tragicamente, ancor giovane, in un incidente automobilistico con la macchina condotta da Gino Bramieri.
 
Facevamo le nostre prime esperienze teatrali. Dopo aver recitato al “Teatro dei Satiri” in Tutti i figli di dio hanno le ali, di Eugene O'Neill, per la regia di Vinilio Di Pietro, inaugurammo “Il Millimetro” un piccolo teatro da 50 posti, a Roma, in Via Marsala nel 1953.
Lo spettacolo d’apertura fu una favola nordica intitolatala L’incanto del cielo (La folle du ciel) di Henri René Lenormand [20] un personaggio dell’avanguardia parigina per cui fu laborioso ottenere i diritti d’autore [21], anche perchè il lavoro era già stato messo in scena a Parigi dai Pitöeff, Ludmila (1896-1951) e George (1884-1939), la celebre coppia di artisti georgiani di Tbilisi che rinnovarono completamente il teatro francese del primo Novecento. [22]. La regia era di Vinilio Di Pietro che aveva scelto questo testo, assolutamente nuovo, per cimentarsi con temi del simbolismo e della psicoanalisi. A me affidò la parte del cacciatore (metafisico) del pack artico che parlava con le procellarie, a Elena Bellasina quella della procellaria, a Silvia Grillo quella di una caratterista comica che non credeva nelle procellarie e motteggiava quelli che ci parlavano. Di grande aiuto mi fu il Collega Nino Lo Cascio, con cui passavo molto tempo per via dello studio di medicina, il quale seguiva con interesse le mie esibizioni teatrali. Era sempre lì, in prima fila, sia alle prove che agli spettacoli, proprio davanti “la buca”, pronto a suggerirmi le battute del copione che conosceva meglio di me, ma soprattutto il “preambolo” dell’avv. Nino Bolla, temendo che non l’avessi potuto mandare a memoria dopo la convocazione urgente e serale a poche ore dalla “prima”. Ancora oggi, a oltre ottant’anni di distanza, qualdo ci sentiamo al telefono, mi ricorda ... Ludmila e George Pitöeff ...  
 
Due anni più tardi, nel 1955, seguirono, sempre a “Il Millimetro”, La morte lieta di Evreinov e Gente magnifica di Saroyan [23], due testi nuovi per l’Italia e di sperimentazione, entrambi firmati da Italo Alfaro regista fiorentino [24].  Egli inizia a lavorare in teatro, fondando a Roma la “Compagnia italiana di prosa del Teatro d'arte dei giovani” (di cui io e Silvia facciamo parte). Si badi bene, da non confondersi con “La Compagnia dei Giovani. De Lullo-Falk-Guarnieri-Valli-Albani”. Nel progetto di Alfaro, ispirato vagamente alla “Comune” di Parigi del 1871, la sua nuova compagnia scritturava “attori-operai” dove non c’era il capocomico, nè la consueta gerarchia che vigeva in tutte le altre compagnie. Il suo motto era: «Nella nostra compagnia di prosa d’arte dei giovani, siamo tutti uguali. Oggi fai la comparsa, domani il protagonista». Come già detto, al “Teatro Il millimetro”, allestisce due spettacoli teatrali di cui cura la regia. Il primo, che inaugura la stagione estiva ‘55, s’intitola La morte lieta. Arlecchinata in un atto di Nikolaj Nicolaievic Evreinov, traduzione di Lorenzo Gigli. Mimo Billi si esibisce nella parte del “Dottor Balanzone” e io in quella di “Pierrot”. Per la stagione invernale ‘55, la compagnia, presenta Gente magnifica. Due tempi di William Saroyan. Traduzione di Bruno Arcangeli. Vi prendono parte Enzo Cerusico [25], Cesira Sainati, Elena De Merik, Mario Besesti, Vinilio Di Pietro, Mimo Billi, Alfredo Censi. I testi si possono trovare a Genova al “Civico museo-biblioteca dell'attore del Teatro stabile di Genova”.
 
Silvia dopo queste esperienze teatrali, nella parte di Angelica, girò un Orlando furioso alla “De Paolis” per la regia di Roberto De Robertis, allievo di Sharoff. Io invece, in uno sceneggiato televisivo del 1956, la miniserie intitolata L’alfiere di Carlo Alianello, diretta da Anton Giulio Majano, interpretai un garibaldino morente cui somministrava l’unzione degl’infermi Aroldo Tieri nelle vesti di Fra' Carmelo, un monaco in odore di santità.
 
Tornando al discorso iniziale, cioè al tema dal quale siamo partiti, ossia perchè “il teatro è anche psichiatria” e perchè tanto Stanislawskij quanto Brecht siano stati degli ottimi maestri di “psicologia e di psicopatologia”, rispettivamente attraverso la pratica del “metodo” e dello “straniamento”, possiamo riassumere brevemente le loro psico-tecniche, le loro lezioni, i loro insegnamenti, le loro dispense che possono a buon diritto essere considerate anche le “note di regia” segnate sui copioni.
 
Il metodo (anche sistema) Stanislawskij, quello che veniva indicato come “naturalismo psicologico” è una tecnica mentale di stimolazione della psiche, un lavoro d’introspezione, di richiami associativi e di riflessioni personali su traumi subiti precedentemente (Il lavoro dell’attore su sé stesso), nè più nè meno che la psicoanalisi, fatte le debite proporzioni. Insomma, un metodo di lavoro, non un sistema di cura, sul quale esiste una letteratura sterminata alla quale si rimanda. Non senza dimenticare la voce lontanissima di Pietro Sharoff: «Cosa significa fare teatro?» «Recitare una parte, rivestire un ruolo, interpretare un personaggio in una storia» gli rispondevamo, e lui «E cosa significa fare la Storia?» e noi «Comprenderla, narrarla, interpretare il proprio ruolo sociale o sconvolgerlo?». E con questo gioco dei perché si andava all’infinito mentre s’imparava a riflettere sulle cose della vita, su quello che facevi, che pensavi, che avresti voluto ancora sapere, fare ...
Vivere la Storia, pensavamo noi, come una narrazione che può essere modificata, ma solo a patto che il dramma – nella migliore tradizione brechtiana – sia dichiarato esplicitamente. Che lo spettatore, insomma, sia consapevole, cosciente, informato su ciò che si rappresenta, anche metaforicamente. Stanislawskij raccomandava all’attore di far sì che con la sua sola presenza fosse parte integrante del racconto dell’autore, si materializzasse autenticamente nel personaggio descritto con quelle caratteristiche. E noi inesausti, ancora insoddisfatti «Che ruolo ha lo spettatore?». «È la quarta parete!», diceva Sharoff.
Posso aggiungere brevemente che fin da quando il “metodo” fu proposto, preparando il testo da mettere in scena, si passavano molti giorni insieme, ma questa non era certo una novità, solo che il regista del Teatro d’Arte di Mosca, era anche un supervisore di una terapia di gruppo. Ciascuno degli interpreti doveva scrivere la “storia del personaggio” inventandosela secondo le indicazioni dell’autore. Quanto al testo della pièce doveva conoscerlo interamente e sapere anche tutte le parti degli altri. So per certo, da Rina Franchetti (1907-2010), che lei si ritrascriveva a mano la sua parte, ma anche quella degli attori che entravano in scena con lei. Mi disse anche che Emma Gramatica (1874-1965) faceva altrettanto e di aver sentito dire che Eleonora Duse (1858-1924) ricopiava a mano i copioni.
 
Lo straniamento. Bertolt Brect [26] raccomandava, invece, nella recitazione, una tecnica basata sullo straniamento, gia conosciuta e applicata dalle correnti letterarie “veriste” “naturaliste”, ma non “positiviste”. Il termine fu introdotto nel 1916, dal critico letterario Viktor Borisovič Šklovskij (1893-1984). Lo straniamento è un artificio letterario che ha lo scopo di allontanare il lettore dall'automatismo percettivo di ciò che gli suggeriscono emotivamente le parole che legge e i rimandi eidetici che gli suscitano quelle parole [27].
Si può indicare qualche autore, in ordine cronologico, per rendere più chiaro il discorso. Lev Nikolàevič Tolstòj 1828+1910, Giovanni Verga 1840-1922, Émile Zola (1840-1902). Ma in concreto possiamo citare anche qualche esempio. La tecnica narrativa dello straniamento, che troviamo nel verismo di Giovanni Verga per esempio, «consiste nell'adottare, per narrare un fatto e descrivere una persona, un punto di vista completamente estraneo all'oggetto», si veda La roba. Anche Lev Tolstoi nella novella «Fransuaza», tradotta dal racconto, di Guy de Maupassant La main gauche e molto censurata nella Russia zarista, rende narrabile la cruda realtà, semplicemente omettendo i pronomi possessivi miei, mie, mio, a vantaggio della descrizioni dei fatti così come accadono, husserlianamente parlando. Come si potrà facilmente comprendere, un conto è scrivere che in quel tale porto trovai mia sorella che si prostituiva coi marinai di passaggio, altro è scrivere trovai un gruppo di giovani donne che si prostituivano coi marinai di passaggio, per necessità.
Bertolt Brecht, che probabilmente era a conoscenza delle opere di Šklovskij, elaborò il concetto di «Verfremdung» (di solito tradotto come "alienazione"). I critici che ignoravano la paternità di questo termine e quando Brecht principiò ad usarlo, accettarono il termine Verfremdung come originale e, al posto del termine di Šklovskij "straniamento", usarono la traduzione russa di Verfremdung: «Otčuždenie». Peggio il tacòn del buso! Avrebbe detto Brighella. Il termine alienazione, usato in questo caso, portò alla confusione col significato della nozione filosofica di Entfremdung.
 
Tutto questo per dire che infiniti sono i percorsi diretti alla psicologia e alla psichiatria. La  scuola di recitazione e il teatro non sono tra quelli più remoti, anzi. Mi rendo conto di aver escluso da questo saggio in ricordo di Silvia Grillo, l’autore rumeno Jacob Levi Moreno (1889-1974), psichiatra e inventore dello psicodramma, un gioco terapeutico sull’inversione dei ruoli, ma non l’ho studiato e non è mai entrato nella nostra esperenza formativa giovanile. Semmai la sua biografia dimostra palesemente come la mia tesi che diverse siano le strade per giugere alla psichiatria, sia autorevolmente sostenuta.  
Poichè dagli “scatoloni” famosi, per chi mi segue, sono affiorati, come dicevo, fior di copioni [28], concluderei con La lode del dubbio, un testo potente, significativo, “non eroico” ma perenne, di Bertolt Brecht [29] .
 
La lode al dubbio di Bertolt Brecht
«Lodate il dubbio! Salutate, serenamente e con rispetto, chi come moneta infida pesa la vostra parola. Siate accorti. Non date mai troppa fiducia alle vostre parole. Com’è bello scuotere il capo su verità incontestabili. Come è coraggioso il medico che cura un ammalato senza più speranza. Il dubbio più bello però è quello di coloro che sono senza fede, che sono senza forza e che alzano il capo e dalla forza dei loro oppressori, non credono più! Quanta fatica occorse, per contestare questo principio, e quante vittime costò. Com’era difficile accorgersi, che le cose stavano così! E non altrimenti! Ecco un giorno, un uomo, scrisse queste verità con un sospiro di sollievo! Quel grande libro del sapere del mondo. E là, nel libro, a lungo starà dentro, e più generazioni, di quelle verità vivranno, quasi vedendo in esse, una sapienza eterna. Oppure, potrebbe avvenire che spunti un sospetto, che nasca una nuova esperienza, che quelle tesi scuotano, e allora? Il dubbio si desterà! E forse un altro giorno, un altro uomo, gravemente, nel grande libro del sapere del mondo, anche quelle parole, cancellerà. Veramente al povero è difficile mettere in dubbio questo mondo. Madido di sudore si curva, l’uomo che costruisce la casa dove non potrà mai abitare, però, madido di sudore è anche l’uomo che costruisce la propria casa, quella che invece abiterà. Solo coloro che non pensano, non dubitano mai. Splendida è la loro digestione, infallibile il loro giudizio, non credono ai fatti credono solo a sé stessi, se occorre, tanto peggio per i fatti! Una  pazienza sconfinata, l’hanno, ma soltanto per sé stessi. E con costoro che non pensano, e quindi mai dubitano, s’incontrano coloro che invece riflettono sempre e non agiscono mai. Se dubitano questi, dubitano non per arrivare ad una decisione, ma piuttosto per schivare ogni decisione. Con aria grave mettono in guardia dall’acqua i passeggeri delle navi che affondano. Sotto l’ascia di un assassino si chiedono se anche lui, in fondo, non sia un uomo, e dopo avere rilevato che, la questione non è chiara del tutto... vanno a letto. tranquilli, a dormire. Tutta la loro faticosissima, attività, consiste soltanto non nel dubitare, ma, nell’oscillare. Il loro motto preferito è, il caso... resta aperto. Col tempo, molto tempo, si vedrà. Dunque, se il dubbio lodate, non lodate però quel dubbio, che è soltanto disperazione. A che serve allora, potere dubitare a colui che non riesce a decidersi mai. Certo, può sbagliare ad agire chi si contenta di motivi troppo scarsi, ma inattivo rimane nel pericolo anche chi di troppi motivi ha bisogno. Lodate, dunque, il giusto dubbio. Salutate serenamente, e con rispetto, chi come moneta infida pesa la vostra parola per sapere agire meglio. Poi... E tu? Tu che sei ora diventato una guida, non dimenticare mai, che sei diventato una guida, proprio perchè un giorno, anche tu, hai dubitato delle guide. E dunque? Lascia il suo dubbio, anche a chi ha guidato».
 
Note.
01. Si veda su POL.IT Psychiatry on line di Sergio Mellina. Vite provvisorie, spezzate, estranee. Le solitudini del migrante. 27 luglio 2018.
02. Opera del 1926, di Giulio Ulisse Arata, architetto del ventennio.
03. Si veda su POL.IT Psychiatry on line di Sergio Mellina. Scatoloni e badanti. Una biblioteca molto colorata ma inutilizzabile. 13 maggio, 2019.
04. Marcello Aliprandi (1934-1997). Carissimo amico e compagno di liceo. Lasciata l’università dove studiava Economia, nel 1955, s’iscrive alla ai corsi di regia dell'accademia d'arte drammatica "Silvio D'Amico". Diplomato, si dedica al teatro di divenendo assistente di Luchino Visconti sia nella prosa che nella lirica. Lo segue nel cinema (Il Gattopardo). È assorbito dal teatro anche negli anni Sessanta. Entra nella "Compagnia dei giovani" e dirige in proprio drammi e opere liriche. A primavera inoltrata del 1958, avevo appena vinto la selezione per la scuola di specializzazione in Clinica delle Malattie Nervose e Mentali da Gozzano mi chiama al telefono entusiasta, come al solito, era il suo carattere. “Sergio, c’è una bellissima occasione per te. Qui all’Eliseo, dai “Giovani”, c’è Giuseppe Patroni Griffi che sta preparando una sua opera, un debutto, una prima assoluta, una bomba! S’intitola D’amore si muore, potrebbe esserci una parte per te. Il regista è De Lullo, gliene ho parlato, devi assolutamente venire a fare il provino ... Sai, poi si dovrebbe andare a Venezia alla Biennale e poi anche a Spoleto al Festival internazionale dei due mondi ... Lo ringraziai moltissimo ma rifiutai e gli spiegai anche perchè. La passionaccia c’era ancora, tutta intera e mi sarebbe anche servita, eccome, per il mio nuovo indirizzo, ma ormai “avevo preso gli ordini” e, come diceva Bruno Callieri “mi ero fatto psichiatra”. Il buon Marcello, nel 1968, è di nuovo al cinema come aiuto di Alberto Lattuada, ma esordisce in proprio nel 1970 con La ragazza di latta, ambientata a Cervia. Segue Corruzione al palazzo di giustizia del 1974 tratto da un’opera di Ugo Betti. Del 1975 è un thriller psicoanalitico Un sussurro nel buio. Nel frattempo trova il tempo per sposarsi (1972) con la bolognese Grazia Zanotti Cavazzoni, anche lei di ceppo cervese che le da tre figli.  Un passaggio in TV - La mano indemoniata di Massimo Bontempelli e Zoo di vetro di Tennessee Williams. e poi va negli USA, dove dirige Bob Fosse. Tornato in Italia gira Morte in Vaticano (1982). Nel 1984 torna in TV con una serie I ragazzi della valle misteriosa. Nuovamente al grande cinema con Prova di memoria (1992) e Soldato ignoto (1995). Premiato in vari festival. Muore a Roma nel 1997 a 63 anni, è sepolto a Cervia, la patria del nonno paterno, ingegnere delle saline dolci.
05. Ritenuto, a torto, il "fratello povero" dello sfolgorante “Teatro di rivista”, l’Avanspettacolo è stato un genere di spettacolo comico teatrale “povero”, come s’è detto, per la brevità dei suoi numeri e la scarsità di mezzi, si diffuse in Italia nel  ventennio tra gli anni trenta e cinquanta del Novecento. Epigono del “Varietà”, del “Café-chantant” e dell’”Operetta”, si sviluppò quando il regime fascista per favorire il cinema (e i Cinegiornali dell’”Istituto Luce”), la forma “moderna” di spettacolo e propaganda, promulgò sgravi fiscali per quei teatri che si fossero converti al cinematografo. L'Avanspettacolo fu un ottimo trampolino di lancio per molti attori poi divenuti famosi come Anna Magnani, Alberto Sordi, Eduardo De Filippo, Totò, Aldo Fabrizi, Erminio Macario, Monica Vitti e molti altri. L’autarchia mussoliniana colpì anche l’Avanspettacolo. Le compagnie (autori, attori, impresari, capocomici, ballerine, soubrette) furono costrette a restringere lo spettacolo e l’intrattenimento del pubblico in sala anche con scambio di battute salaci in attesa del “filmo” che sarebbe il film dopo le incursioni mussoliniane sulla lingua italiana per “la purezza dell’idioma patrio”, com’ebbe a dire il “Duce” stesso in un discorso del 1931. Passata la guerra, ma non completamente il fascismo, vennero le “Compagnie di Rivista”. Il genere consisteva in un melange leggero di canto, musica, danza, prosa, brevi scenette di contenuto leggero (sketch), interpretate, per lo più, dall’attor comico e dalla “spalla”, tutte legate fra loro dal nome della suobrette di cartello, o della coppia che aveva “il nome in ditta”, come si soleva dire. Con l’avvento della “commedia musicale” moderna italiana, che rivaleggiava con Broadway, Pietro Garinei e Sandro Giovannini, gia attivi nel 1943, giungono al successo pieno e unanimemente riconosciuto nel 1952 con Attanasio cavallo vanesio, interpretato da Renato Rascel e Lauretta Masiero. Le musiche sono di Gorni Kramer.
06. Ernesto Scotti detto Tino (1905-1984), milanese, attore versatile, prevalentemente comico, che da ragazzo aveva fatto il calciatore semiprofessionista, nel ruolo di attaccante. Cresciuto nell’Inter aveva militato nell'Arona, nella Trevigliese e nel Fanfulla. In teatro si affermò nel varietà e nella rivista del secondo dopoguerra per la sua maschera bizzarra. Caratterista, con folti baffi curati e rilevanti, aveva una memoria eccezionale e una loquela affabulatoria fantastica. Si scriveva i copioni. Parlava con estrema velocità, i suoi discorsi erano concitati, frenetici, una filastrocca di non sense comprensibilissimi. Creò due personaggi popolari milanesi agli opposti, di gran successo in tutta Italia: Il cavaliere dal motto "ghe pensi mi" e Il bauscia. Fu anche sceneggiatore e fece teatro di prosa, cinema e televisione, sempre con grande professionalità e con registi importanti.
07. Divenne medico e fu consigliere comunale per la DC a Roma. Alla sua memoria è istituita la borsa di studio “ Corrado Montemaggiori “.
08. Vittorio Grillo (1902-1974), genovese da “Muë'” e “Puë'” (la madre e il padre, non papà, a Caricamento), chimico sapiente con altre due lauree, in Farmacia e in Medicina. All’epoca, per accedere al triennio di Chimica Generale e Inorganica bisognava superare un biennio propedeutico della Facoltà di Scienze. Ebbene, gli fu Compagno di corso, Giulio Natta (1903-1979), Nobel per la Chimica nel 1963. Assistente alla Facoltà di Chimica dell’università di Genova, decise di abbandonarla perchè aveva vinto il concorso nazionale per dirigere la Sezione chimico-merceologica dell’Istituto Sperimentale delle Ferrovie dello Stato a Roma-Trastevere, nel 1931. Adorava le camice in materia plastica, il polipropilene isotattico, perché non si dovevano stirare. Parlava in genovese con la moglie, la marchesa Alba Griffi, ma in italiano con le due figlie, che il zeneise lo avevano imparato benissimo. “U pan possu” è il pane di ieri. “La” Silvia mi raccontava che la prima cosa che faceva il padre quando stava a Genova era andare a comprare il pane fresco. E la madre, «Vittoriu, cossa ti te va’ a acatà ‘u pan, tantu mangemmu sempre ‘u pan possu», il pane di ieri, appunto. Pensa tu il caso! Eravamo figli di “Ferrovieri”, vicini di casa, Case di Ferrovieri, compagni di scuola e l’abbiamo ignorato fino a che non ci siamo franati addosso, poco prima della licenza liceale. Pensa tu! Jacques Monod. Il caso e la necessità, c’est-à-dire, Le hasard et la nécessité. Essai sur la philosophie naturelle de la biologie moderne, appunto!
09. Rammento, lontanissimi nel tempo, di aver visto con lei, all’Eliseo, nel 1952, Le Tre sorelle di Cechov per la regia di Luchino Visconti, uno spettacolo sontuoso con la Ferrati, la Morelli, la Falk, Stoppa, Mastroianni, De Lullo, Benassi, Aldo Giuffrè. Sempre nel 1952, Vittorio Gassman, in un Amleto stupendo, per la regia di Luigi Squarzina, al Quirino e poi ancora, nel 1953, quand’era già in fama di “mattatore”, in Kean genio e sregolatezza nello stesso teatro, che oggi porta il suo nome. La compagnia di Jean Louis Barrault e Madeleine Renaud al teatro Eliseo, presentare nel 1958 Le Misanthrope di Molière. Una versione di Arlecchino servitore di due padroni, lo spettacolo inventato da Strehler nel 1947, con Ferruccio Soleri al Piccolo di Milano nel 1961. Ci fu anche una trasferta eccezionale. Il diavolo e il buon Dio, di Sartre, tre atti e undici quadri, tradotto da Giacomo Debenedetti, per la regia di Luigi Squarzina, con Alberto Lionello, nelle vesti di un Goetz double face cattivissimo e buonissimo, lo vedemmo addirittura al “Teatro Stabile” di Genova nel dicembre del 1962. Silvia era incinta di Luca Ernesto, il primo, ed eravamo andati a trovare la zia Pia e la Grazia, la cugina, quando abitavano a Pegli. La “Compagnia dei Giovani” in un Sei personaggi del 1963 per la regia di De Lullo. Chi ruba un piede è fortunato in amore, una commedia in due atti del 1961, di e con Dario Fo e Franca Rame che, chissà come, era approdata all’Eliseo ma forse la coppia non aveva ancora avuto l’ostracismo politico tanto è vero che assistemmo nello stesso teatro, un paio d’anni dopo, a un’altra fortunata commedia leggera di un Fo straripante: Isabella, tre caravelle e un cacciaballe (1963). La fastidiosa di Brusati, per la regia di Jose Quaglio al Quirino di Roma, con Renzo Ricci, Eva Magni, Giorgio Albertazzi, Scilla Gabel, Carlo Hintermann, nel 1963. Il giardino dei ciliegi di Cechov, per la regia di Visconti con Sergio Tofano, Rina Morelli, Lucilla Morlacchi, Tino Carraro, Massimo Girotti, Paolo Stoppa, Ottavia Piccolo, del 1965 al teatro Valle. Marcel Marceau il celebre mimo francese al teatro Olimpico, molti anni dopo, non più soli e da fidanzatini, ma da genitori, con due dei nostri 5 figli, Chiara e Giovanna.
10. Pietro Sharoff, regista e attore drammatico russo (anche cinematografico), era nato a Perm', una città della Russia europea, attraversata dal fiume Kama, ai piedi degli Urali centrali, il 12 Maggio 1886. Nel 1938 fu naturalizzato italiano e dopo una lunga carriera e un grande magistero in tutta Europa, particolarmente a Vienna e in Olanda, è scomparso a Roma il 18 Aprile 1969. È  sepolto nel cimitero acattolico, come Alfonso Maria Di Nola (Si veda su POL.IT Psychiatry on line di Alfonso Maria Di Nola, Sergio Mellina. Il senso del pudore e dell’osceno nelle varie culture. 11 luglio, 2019). Nel 1904 diviene allievo al Teatro d'Arte di Mosca e nel 1905 è già l’attor giovane di Vladimir Mejerchol'd, che segue a San Pietroburgo. Dopo essersi laureato in legge torna a Mosca dov’è scritturato al celebre Teatro Maly nel 1913. L’anno dopo è di nuovo al Teatro d'Arte, divenendo membro del consiglio direttivo e insegnando recitazione con Evgenij Vachtangov e  Stanislavskij. Non rinuncia alla recitazione. È Klechtch nell’Albergo dei poveri (nei bassifondi) di Gorkij. È Piščik, nel Giardino dei ciliegi e Kuligin ne Le tre sorelle di Cechov. Diviene aiuto regista e segretario di Stanislavskij. Fonda e dirige nuove iniziative teatrali popolari, collaterali al Teatro d’Arte, vicine a Stanislavskij, come la sezione praghese del Teatro di Mosca, il "Gruppo di Praga", dove dirige e recita Ostrovskij, Gogol, Tolstoj, Cechov. In Italia dal 1933 possiamo distinguere la sua attività di regia in due periodi: prima della guerra e dopo. Nel periodo prima dirige varie compagnie (Pavlova/Ruggeri/Gramatica, Merlini/Cialente), ma nel 1938 fondò e diresse la “Compagnia dell'Eliseo”, per allestire La Dodicesima notte, Le Allegre comari di Windsor, Otello. Furono protagonisti di quella felice e nuova stagione teatrale Andreina Pagnani, Gino Cervi, Rina Morelli, Paolo Stoppa, Carlo Ninchi, Alessandro Ruffini, Camillo Pilotto, Laura Adani e molti altri. Dopo la guerra accetta l’invito di Aldo Rendine e nasce L’accademia Sharoff. Nascono altri allestimenti come un Albergo dei poveri al “Teatro Ateneo” che, rammento ora, c’era il primo Festival della canzone italiana di Sanremo (1951). È chiamato a dirigere Checov al Burgtheater (teatro di corte), di Vienna e anche al Teatro Carré (Koninklijk Theater) di Amsterdam. Insegna fino alla fine. Mi ricordo di essere andato a trovarlo in Via Morgagni quando era malato. Gli fece molto piacere e mi disse che come medico (vero) ero molto più spontaneo e veristico “nella parte”.
11. Con il progetto di combattere la finzione e l’enfasi teatrale allora dilagante in Russia e per applicare anche in quel settore dell’arte il verismo e il naturalismo che le correnti letterarie fin de siècle spargevano ormai in tutta Europa, dall’Italia alla Francia, all’Inghilterra, all’Impero degli Zar, tralasciamo gli Stati Uniti d’America, toppo impegnati nella guerra civile,  Konstantin Sergeevič Stanislavskij e Vladimir Nemirovič-Dančenko decisero di fondare, a Mosca, un teatro nuovo. Si dice che l’incontro avvenne sul far della sera del 22 giugno del 1897 e si protrasse fino al giorno successivo per ben 18 ore. L’imperativo categorico, il fil ruoge, il “seme di battuta” – come amava dire Sharoff – non solo della “battuta”, ma dell’intera pièce e soprattutto della funzione che in essa vi svolgeva l’attore, tramite l’opera del regista, ebbene il primum movens, doveva essere la ricerca della “verità” nel gesto e nella parola. Bisognava lavorarci sopra, molto e sodo, sul ruolo, sulla parte, per renderla così come l’autore aveva immaginato e descritto quella figura, quei personaggi e le loro dinamiche intersoggettive. Come che sia, i dati storici attestano che “Il Teatro d'arte di Mosca”, fondato nel 1898, fu inaugurato il 14 ottobre 1898 con Lo zar Fëdor Ioannovič, di Tolstoij. Seguì, al 17 dicembre la prima de Il gabbiano di Checov, che divenne il simbolo del teatro.
12. Lino Troisi (1932-1998) romano d’adozione di origini casertane (Maddaloni) è stato un ottimo attore e un valente doppiatore, morto precocemente a Roma di cancro a 62 anni. Dette voce al pelatissimo tenente "Kojak" (Telly Savalas). In teatro ha lavorato, al “Piccolo” di Milano, con Klaus Michael Grüber, Giorgio Strehler e Luca Ronconi. Il primo e l’ultimo entrambi allievi del secondo. Importanti pure le sue presenze in cinema e televisione, dove veniva sfruttata la sua presenza fisica corpulenta e il suo volto risoluto per ruoli di “cattivo”.
13. Costruito dall’architetto e ingegnere Carlo Broggi su richiesta della Confederazione nazionale dei sindacati fascisti, il “Teatro delle Arti” di Via Sicilia, fu inaugurato il 21 aprile 1937. Abbandonato da anni è rientrato in un programma di recupero degli studenti dell’attuale Facoltà di Architettura denominato “Progetto di riuso del teatro delle Arti” che, come linea guida, deve tener conto della storia dell’edificio per proporre un uso polivalente che sia compatibile con le strutture esistenti e con la ‘vocazione’ del fabbricato.
14. Traduzione. Piove, ripiove / le galline fan le uova / di piombo, di bronzo, / di piume di colombo. / L’angelo pescava, / la Madonna si bagnava: / Perchè tu ti bagni? / Per far cessar ‘sta pioggia, / pioggia e vento, / domani farà buon tempo. / Andremo dal Signore, / dove splende sempre il sole.
15. Traduzione. Al molo nuovo ci son nove navi nuove, una delle nove navi nuove non vuole navigare.
16. Per sommi capi, in Via del Sudario, a Roma, dietro il teatro Argentina, in un palazzetto tardo-gotico, fine ‘400, c’erano fin dal 1932, nella disponibilità del Comune di Roma, due raccolte specializzate in storia del teatro e dello spettacolo. La Biblioteca Teatrale della SIAE (acronimo di Società Italiana degli Autori ed Editori) e il Museo Teatrale. È intitolato a Johannes Burckardt, vescovo cattolico tedesco, maestro di cerimonie e protonotario pontificio,tra il ‘400 e il ‘500, nome poi corrotto in Burcardo. Ebbene, negli anni Cinquanta, il direttore è stato Achille Fiocco (1905-1988), critico e studioso del teatro e Silvia vi ha compilato la sua tesi sul teatro russo. Ora, sono andati all’EUR.
17. “Voce volto” fu una delle lotte sindacali degli attori sincronizzatori di molti anni fa. Infatti c’erano volti belli con voci brutte e volti non proprio fotogenici, diciamo non da fotoromanzo, con voci bellissime. Ma tutto è relativo, una questione di lana caprina. Gli attori che venivano dall’Accademia erano infastiditi dal discreto numero di annunciatori Rai che frequentavano il leggio delle sale doppiaggio, peraltro gente simpatica e tutte voci da primattore. Ne ho conosciuti parecchi e siamo diventati amici. Il più antico, fatta eccezione per Vittorio Cramer e Francesco Sormano, fu Corrado Mantoni. Lo conobbi fin dai tempi di “Rosso e Nero”, il panorama di varietà radiofonico del giovedì sera da Via Asiago con molti ospiti, l’orchestra Rai diretta o da Barzizza, o da Strappini, o da Trovajoli e la compagnia del Teatro comico di Radio Roma. Riccardo Mantoni, il fratello, era il regista. Bravissimo nel suo ruolo, Corrado, al doppiaggio non era una cima. Lui stesso, la battuta non gli mancava, era il primo a dire spiritosamente «Pe’ fa ste cose, nun me dovete chiama’ a me. Quì ce vo’ Mario Pisu!». Poi venne la schiera degli speaker radiofonici del Giornale Radio, con l’esclusiva Rai, da Riccardo Paladini a Ennio Libralesso a Giulio Cesare Pirarba a Sergio Matteucci. Feci amicizia con loro, lavorandoci spesso insieme, così venni a scoprire che alcuni di loro avevano fatto scuole di recitazione, come Libralesso che, licenziatosi dalla Rai, aveva formato una compagnia per mettere in scena Checov. Ricordo Piero Leri, bella voce, bella presenza, buona dizione, veniva dai fotoromanzi e dalla televisione, aveva fatto Sharoff. Un’esperienza incredibile, ma vera, che mi è capitata, è stata quella volta che doppiammo un western italiano di serie B, dove gli attori di presa diretta non dicevano le battute ma dei numeri perchè il copione non c’era. Alla fine del doppiaggio il regista ci chiese di incidere delle battute sulla colonna sonora che poi lui ci avrebbe girato sopra la scena!
18. Giovanni Gigliozzi (1919-2007) è stato uno scrittore, giornalista e regista radiofonico italiano, presidente dell'ANFIM, Associazione nazionale famiglie italiane martiri caduti alle fosse ardeatine. Romano de Roma, fu assunto presso la sede radiofonica dell'EIAR di Roma nel 1938 come giornalista e critico. Autore e regista di popolari trasmissioni regionali, come Radio Campidoglio, (1947-1952) e Campo de' Fiori (1956-1974) cui parteciparono attori molto conosciuti della rivista e del teatro romano, tra cui Fiorenzo Fiorentini (er sor Du' Fodere), Checco Durante, Elio Pandolfi, Antonella Steni, Gisella Monaldi (la sora Tuta), Isa Di Marzio (Orazio Pennacchioni).
19. Per quanto mi riguarda posso dire di aver dato la voce a: Rod Steiger in "Specchio per le allodole" (Gen. Webster); Dirk Bogarde in "C.I.A. Criminal International Agency. Sezione Sterminio" (Alan D. Curtis, capo degli agenti segreti); Trevor Howard in "Gli anni luce" (Yoshka Poliakeff); Michael Riddall in "Family Life" (Dott. Mike Donaldson); Jean Dasté in "La camera verde" (Bernand Humbert, caporedattore del Globe); Sam Levene in "Dopo l'uomo ombra" e "L’ombra dell’uomo ombra" (Tenente Abrams, ridopp.); Leslie Howard in "La foresta pietrificata" (Alan Squier, ridopp.); Claude Rains in "Perdutamente tua" (Dr. Jaquith, ridopp.); Charles Granval in "Boudu salvato dalle acque" (Edouard Lestingois il salvatore, ridopp.); Stig Olin in "Prigione" (Peter) di Ingmar Bergman; Seiji Miyaguchi in "I sette samurai" (Kyuzo, 2^ ediz.); Kamatari Fujiwara in "La fortezza nascosta" (Matakishi, ridopp.); Eijiro Tono in "La sfida del samurai" (Gonji, ridopp.); Kenzo Tabu in "Watang! Nel favoloso impero dei mostri" (Sindaco); Hiroshi Tachikawa in "Matango il mostro" (Etsuro Toshida); Kazuo Kato in "Distruggete D.C. 59, da base spaziale a Hong Kong" (Dott. Momotake); Shinichi Yanagisawa in "Odissea sulla Terra"; Kon Omura in "Kinkong, l'impero dei draghi"; Tak Kubota in "In trappola" (Oshima); Wei Pingao in "The organization - Colpo di morte";Tien Feng in "Sex and Zen – Il tappeto da preghiera di carne" (Maestro); Michael Dunn in "Terror! Il castello delle donne maledette"; Salvatore Furnari in "Vulcano, figlio di Giove", "La rivolta dei gladiatori" (Il nano), "La vendetta di Ercole" (Il nano), "Ercole alla conquista di Atlantide" (Timoteo il nanetto); Jimmy Fontana in "Io bacio... tu baci" (Il cantante); Laurence Olivier in "Un omicidio programmato" (Dott. Anthony Wainwright); Eli Wallach in "L'onore della famiglia" (Vincent Danzig); Richard A. Dysart in "L.A. Law - Avvocati a Los Angeles" (Leland McKenzie); Terence Alexander in "L'asso della Manica" (Charlie Hungerford); Geoffrey Palmer in "Butterflies" (Ben Parkinson); Chicco (George) Jetson (1^ voce) in "I Pronipoti"; Lord Camembert in "Biker Mice da Marte"; Prof. Tornasole in "Le avventure di Tin Tin" (1^ serie); Duca di Melville in "Charlotte"; Professore in "Starzinger". Questo è un quadro abbastanza sommario fino ai primi anni Novanta. Ora non saprei dire come le cose siano evolute.
20. L’autore francese, Henry René Lenormand, influenzato da Dostoevskij, Tolstoj, Poe, Nietzsche, durante gli studi universitari e, successivamente durante il soggiorno in Svizzera, dalla psicoanalisi e dai testi di Sigmund Freud, si proponeva come novità assoluta sulle scene parigine. Le sue opere, intrise di simbolismo, si distinsero per l'esplorazione dell’inconscio, le dinamiche psicologiche  e le teorie freudiane sulla psicopatologia delle nevrosi. Elementi teatrali di rilievo, nelle sue opere erano altresì spruzzi sapienti di esotismo, satira politica e verismo sociologico, insaporiti di esoterismo e occultismo. Ad un certo punto fu l’autore preferito dal “Cartel des quatre” Georges Pitoëff, Charles Dullin, Gaston Baty, Louis Jouvet. I più sperimentatori e prestigiosi registi francesi, suoi contemporanei, che si fossero visti nel secondo ventennio del Novecento.
21. Ricordo nitidamente, come fosse ieri, che il regista e tutti gli attori interpreti dell’opera drammatica di Lenormand, furono convocati ufficialmente d’urgenza, una sera del 1953, nella hall del “Baglioni Hotel Regina” in Via Veneto 72, dall’avvocato milanese Nino Bolla che aveva firmato e depositato la traduzione ufficiale alla SIAE per conto dell’autore e del traduttore. Anche noi dovevamo firmare qualcosa. Ma c’era soprattutto una clausola particolare. Io, prima dell’inizio, ogni sera, a sipario chiuso, avrei dovuto farmi sul proscenio per declamare che l’opera era già stata rappresentata a Parigi dai Pitöeff. Seppi poi da Vinilio Di Pietro che lui era venuto a conoscenza dell’autore francese tramite Achille Fiocco, al “Burcardo”, aveva letto la traduzione di una poetessa russa, la signora Raissa Naldi (1886-1951) e gli era molto piaciuta.  
22. Decisivo è l’incontro di George Pitöeff con il drammaturgo Henri-René Lenormand, che gli permette di andare in tournée al “Théâtre des Arts” di Parigi, nel 1919 e nel 1920, con La folle du ciel. È un successo strepitoso, soprattutto della moglie, Ludmila, figura esile e minuta, volto estremamente espressivo, riesce a dare accenti di stupefatto lirismo, grazia e purezza a figure naturalistiche. Attinge incantamenti religiosi in commedie romantiche. Circonfonde di mistero personaggi ambigui quando interpreta Pirandello, apprezzata anche nelle vesti di Giovanna d’Arco in tournée in Italia. Poichè risiedono ancora in Svizzera, tornano nella capitale francese nel 1921, ampliando il repertorio e realizzando spettacoli anche al “Théâtre Moncey” e al “Vieux-Colombier”.
23. A chi fosse interessato, può trovare i due testi al “Civico museo-biblioteca dell'attore del Teatro stabile di Genova” costituitosi in fondazione nel 1971.
24. Italo Alfaro, sceneggiatore, regista attore italiano, nasce a Firenze nel 1928 e muore precocemente in Svizzera, a Losanna, nel 1979, a soli 51 anni. Abbandona presto il teatro per lavorare in televisione e nel cinema dove ha diretto un numero limitato di film. Attivo prevalentemente negli anni settanta.
25. Enzo Cerusico (1937-1991), che raggiunse una certa popolarità cinematografica e televisiva, aveva 18 anni quando recitò con noi a “Il Millimetro”. Anche lui mori precocemente. Abitava in zona Università “La Sapienza”, vicino a me e a Silvia. Lei lo chiamava affettuosamente “Cosetto”, per la sua simpatia e perchè conoscendoci e sapendo che avevamo “fatto” l’Accademia Sharoff ci chiedeva consigli sulla dizione. Nell’archivio di Repubblica la sua scomparsa il 26 novembre 1991, a 54 anni, venne ricordata con un lungo articolo redazionale, da cui citiamo un breve passo «Cerusico aveva cominciato a recitare da ragazzo, nella pièce Gente magnifica di William Saroyan, assieme ad alcuni compagni dell'Accademia diretta da Pietro Sharoff. Frequentò, quindi, i corsi di Alessandro Fersen e, sebbene catturato dal cinema e dalla tv, riuscì sempre a tornare ogni tanto in teatro».
26. Eugen Bertolt Brecht nasce ad Augusta, il 10 febbraio 1898 e muore a Berlino Est il 14 agosto 1956. È stato drammaturgo, poeta, regista teatrale e saggista tedesco naturalizzato austriaco.
27. Šklovskij ebbe a definire il "dispositivo dello straniamento" come una modalità circonlocutoria di evitamento del lettore dal vero significato della situazione narrata per indirizzarlo verso una speciale percezione dell'oggetto in tutt’altra atmosfera. Il lettore, creava dunque una sua “nuova visione” del fatto o comunque non riconosceva il crudo realismo della realtà di quello rappresentato. In altre parole, quando è straniata, la vicenda o il racconto, basta solo cambiare qualche dettaglio, come un  pronome (mio, suo, tuo) rispetto all’Io narrante e il gioco è fatto. L’autore descrive un fatto antico, che è sempre accaduto, come se fosse la prima volta che accade, proprio quella lui vede e racconta.
28. Quelli distribuiti agli attori scritturati dalla Rai per la trasmissione. Ciascuno ne aveva uno per prendere appunti, segnare le pause, guardare la pronuncia. Erano personali. Io me li ero portati a casa per studiarli con comodo perchè per me erano novità assolute, anche per la psicologia, la psicopatologia e soprattutto per la clinica. Erano miei per forza perchè portavano la mia firma. Erano lì da chissà quanto tempo. Me l’ero dimenticato. Ho intravisto anche L'anima buona di Sezuan (Der Gute Mensch von Sezuan) e L'opera da tre soldi (Die Dreigroschenoper).
29. Per chi volesse ascoltarlo dalla viva voce di Giorgio Strehler, può farlo cliccando Rai-Radio-3
 
Bibliogafia minima. Con un’aggiunta sull’espressionismo drammatico francese.
Bertolt Brecht. Diario di lavoro. Traduttore Bianca Zagari. Curatore Werner Hecht. Editore Einaudi Torino, 1976.
Tomasz Kaczmarek. Le personnage dans le drame français du XXe siècle face à la tradition de l'expressionnisme européen. Łódź, Wydawnictwo Uniwersytetu Łódzkiego, 2010.
Bella Merlin. Il Sistema Stanislavskij come cassetta degli attrezzi. Gli strumenti del più famoso metodo di recitazione spiegati a tutti in modo chiaro ed efficace. Traduzione di Gabriele Zobele. Dino Audino Editore. Manuali, n. 179, 2016.
Serge Radine. Anouilh, Lenormand, Salacrou : 3 dramaturges à la recherche de leur vérité. Ginevra, Édition des Trois Collines, 1951.
Konstantin S. Stanislavskij. Il lavoro dell’attore su se stesso. Traduttore Elena Povoledo Curatore Gerardo Guerrieri. Editore Laterza, 2008
Konstantin S. Stanislavskij. Il lavoro dell’attore sul personaggio. Traduttori A. Morpurgo e M.R. Fasanelli. Curatore F. Malcovati, pref. di G. Strehler Editore Laterza 2018.
Lee Strasberg. Lezioni all'Actors Studio. Il racconto di un'esperienza mitica. Traduttore Paolo Asso. Dino Audino Editore. Voci e volti dello spettacolo, n. 3. 2004.

 
 
 

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