A distanza di pochi mesi dalla sua uscita nell’autunno 2018, il volume Vivere con Barbablù. Violenza sulle donne e psicoanalisi – che ho scritto con Cristina Barducci e Beatrice Bessi – ha avuto la sua prima ristampa, a testimonianza del profondo interesse che l’approccio psicoanalitico alla violenza di genere riesce a suscitare. In questa occasione Ambra CUSIN, psicologa e psicoanalista triestina, membro ordinario della Società Psicoanalitica Italiana e socio didatta dell’Istituto Italiano di Psicoanalisi di Gruppo, ha voluto esprimere delle considerazioni inedite, che per il loro interesse meritano di essere riportate integralmente qui di seguito.
Recensione di Ambra CUSIN al libro di Maria Cristina BARDUCCI, Beatrice BESSI e Rita CORSA
Vivere con Barbablù. Violenza sulle donne e psicoanalisi
(Magi, Roma, 2018; I ristampa marzo 2019)
La donna è un soggetto a rischio, dichiara il retro della copertina del libro.
Frase impegnativa, non meno dell'ultima riga che conclude il medesimo, firmata da Rita Corsa: "Spetta proprio all'uomo il gesto fatale di troncare con coraggio e forza la bieca violenza che scaturisce dalla sua mente e dal suo animo. Insomma, dovremmo essere tutti femministi. Oltre ogni pregiudizio" (p. 211).
Basterebbero queste parole per presentare il libro Vivere con Barbablù. In esse è racchiuso il tesoro delle argomentazioni in cui Barducci, Bessi e Corsa si spendono per aiutarci a capire la potenza con la quale sono radicati, nella nostra cultura, nella nostra mente, nel nostro modo di essere e di credere di sapere cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, i pregiudizi relativi al difficile compito di essere donne e uomini veri. O meglio essere persone, esseri umani secondo tutte le declinazioni di genere, consapevoli delle complesse sfaccettature della nostra mente, della nostra storia individuale e transgenerazionale. Se Bessi infatti sottolinea che non corrisponde a verità l'assioma, spesso usato come luogo comune, che chi ha subito violenza diverrà violento (p. 99), Corsa, citando Merzagora, afferma che seppure ogni vicenda abbia la sua propria singolarità psicologica e vada collocata nella costellazione relazionale della persona in esame, vi è spesso nella storia di uomini brutali un'infanzia connotata da agiti aggressivi, frutto di identificazione con i tratti iracondi del genitore (p. 155). Non è difficile immaginarci, dice Merzagora, che da adulto, questo bambino sia tentato di preferire il ruolo dell'aggressore (2009, p. 62). E a scegliere come bersaglio le figure femminili più fragili e dipendenti che lo circonderanno.
Tutto questo permette così di dare spessore al testo, che non è caratterizzato da una uniformità mono-tona, ma è arricchito da una pluridimensionalità di visioni (psicoanalitica, psicologica, sociologica, antropologica, politica, culturale, ecc.), tanto che nel leggerlo mi sono posta delle questioni, che non vengono trattate, ma che mi sembrano, purtroppo, profondamente intrecciate con le argomentazioni del libro.
"Che adolescente diventerà?" – si interroga Corsa relativamente a un caso di cui parla, analizzando le conseguenze di bullismo, cyberbullismo in età pediatrica e adolescenziale.
Ma io ho iniziato a domandarmi verso che società stiamo evolvendo, o involvendo, chi noi diventeremo? L’aumento preoccupante della violenza di genere – e sottolineo aumento perché il testo porta dati statistici allarmanti dell'Istat (p. 169) – è ben riprodotto da un sempre più frequente stile di linguaggio dominato dall'agire, che rimarca l’assenza di un vero spazio per l'Altro. Pare mancare uno spazio in cui essere riconosciuti nella propria individualità emergente e ciò genera un’impossibilità strutturale a tollerare aree di separatezza, soprattutto da parte degli uomini, ma purtroppo anche molte donne non ne risultano immuni. Specialmente i partner maschili sembrano non tollerare di essere lasciati, di abitare delle aree di separatezza che vengono dunque sperimentate come voragini cariche di persecutorietà. Situazioni in cui l'agire violento può scattare come una sorta di salvavita (p. 177)! Ebbene se in casa mia, nella mia mentalità, nella mia cultura, nel mio paese (troppo spesso anche nella politica), si mette un salvavita che scatta da solo ed è fatto di violenza, a quali conseguenze si va incontro?
Citando Athens (1992 e 1994), Corsa parla di una comunità fantasma che tutti interiorizziamo e che ha a che fare con la nostra storia e non è fatta solo del portato delle relazioni passate e presenti con le figure parentali, ma di tutti i soggetti con cui abbiamo intrecciato relazioni. Ebbene, come saranno le comunità fantasma dei nostri figli, dei nostri nipoti che stanno vivendo in questa società narcisista, senza vergogna per quello che politicamente viene deciso? Come saranno queste gruppalità interne, distillato delle esperienze passate e viventi dei singoli soggetti sociali? Di questa società?
Ma ancora se, come sostiene Bessi, non è un conflitto, per cui non è una guerra, quello che caratterizza la relazione delle coppie in cui c'è un soggetto maltrattante, un “perpetratore” lo chiamerebbe Filippini (2005), e l'altro soggetto, in genere una donna, non è tale ma è unicamente un oggetto, vittima, maltrattata, allora non si tratta di due eserciti che si confrontano alla pari, come avviene nelle guerre, ma vista la disparità, si dovrebbe parlare piuttosto di una dittatura che imperversa su un soggetto divenuto oggetto inerme. E io credo che questa sia una differenza fondamentale. Ma allora, se non è una guerra ma una dittatura, penso io, cosa accade quando esiste una consistente parte di società che si tiene unita grazie ad una mentalità maltrattante, che usa dei soggetti deboli facendoli diventare oggetti, popolo inerme? In quale misura questa mentalità nutre l'aumento preoccupante di femminicidi e si intreccia con la struttura mentale del perpetratore?
Leonelli Langer in un recente lavoro afferma "(…) il respiro, prima forma di comunicazione e di trasmissione invisibile, impalpabile, silenziosa tra persone separate, le terrà per sempre unite in un primo complesso sistema di comunicazione, anzi di compenetrazione, di attraversamento e di contagio reciproco essenziale per vivere. Il respiro di ciascuno incontra quello dell'altro e tutti confluiscono mescolandosi" (2019, p. 48). Ma allora quanta forza deve avere l'uomo, nel senso completo di essere umano, per opporsi a questa violenza, per troncarla? Non solo giustamente gli uomini, i maschi devono per primi ribellarsi a tutto questo, ma – mi chiedo – noi donne come possiamo contribuire a cambiare il respiro del mondo? A rendere l'aria meno inquinata di sopraffazione, di dittature psichiche, di violenze che sembrano non avere fine? Buone leggi sono indispensabili, ma sono sufficienti a modificare la nostra interiorità?
Ecco, tutte queste, e molte di più, argomentazioni, sono introdotte dallo splendido saggio psicoanalitico/sociologico/antropologico di Barducci, che non saprei come riassumere per la ricchezza delle sue argomentazioni, che non rimandano ad un femminismo di maniera, ma sottolineano come siamo tutti vittime di una mentalità che nei secoli, nei millenni ha forgiato il nostro modo di pensare e dalla quale non è semplice sdoganarsi.
Quello che mi pare Barducci sottolinei con forza è la ricaduta del fenomeno della violenza sulla psiche degli individui (p. 16). Non è solo necessario mettere sotto protezione le donne, ma, per certi versi, anche gli stessi uomini, la cui violenza annienta tutto ciò che di buono hanno interiormente, distruggendo, facendo morire intere parti psichiche, uccise così come ammazzano le loro donne. E ancora, mi sembra indispensabile mettere sotto protezione la nostra società, alcuni valori fondamentali (penso alla solidarietà tra umani per esempio, al sentirsi coinvolti versus l’indifferenza, alla capacità di identificarsi e di sentire il dolore dell'Altro, al senso di colpa necessario e alla vergogna, emozione fondamentale, umanizzante, capace di discriminazione come ne parla l’Amati Sas in tanti suoi celebri lavori), per far fronte ad una quota di violenza, diversificata – come dice Barducci – dall'aggressività, che sta contagiando il nostro modo di essere, dominando dispoticamente la nostra "comunità interiorizzata", trasformando, quasi fosse una tremenda mutazione, il nostro essere umani.
Vogliamo vivere con Barbablù o possiamo pensare di impegnarci a contribuire, a modificare e a non nutrire, in qualche modo, questa mentalità violenta?
Questo libro, molto complesso e profondo ma al contempo di agile fruizione, mi fa ben sperare. Mi piace pensarlo come una sorta di esperienza formativa, quasi di educazione civica, così rara in questi tempi.
Bibliografia
ATHENS L. (1992). The Creation of Dangerous Violent Criminals. Urbana-Champaign, University of Illinois Press.
ATHENS L. (1994). The Self as a soliloquy. The Sociological Quarterly, 35, 3, 521-532.
BARDUCCI M.C., BESSI B, CORSA R. (2018). Vivere con Barbablù. Violenza sulle donne e psicoanalisi. Roma, Magi.
FILIPPINI S. (2005). Relazioni perverse. La violenza psicologica nella coppia. Milano, FrancoAngeli.
LANGER LEONELLI L. (2019). Vivere l’Oltre. In: Cusin A., Fattori L., Stanzione Modàfferi M. e Vandi G. (a cura di), Oltre. Il senso di infinito a partire dal “Sentimento Oceanico”. Roma, Alpes.
MERZAGORA BETSOS I. (2009). Uomini violenti. I partner abusanti e il loro trattamento. Milano, Raffaello Cortina.
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