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“Sfrimma” (apri): la ferita come presagio della poesia

8 Set 19

A cura di Sarantis Thanopulos

Dialogo tra SarantisThanopulos e Enzo Mancuso
 
Sarantis Thanopulos: “Caro Enzo, le tue poesie raccolte in “Sfrimma” (Ed. Mesogea) sono intensamente, profondamene erotiche. Sanno dell’odore della terra e delle foglie bagnate d’acqua piovana. Assaporano il sale della breccia marina. Sognano il corpo della donna carezzandone l’ombra. Affondano nel travaglio delle madri partorienti e  respirano con i loro sospiri silenti. Amano viaggiare in compagnia del canto degli uccelli. Si addentrano nei vicoli dei villaggi sperduti. Pescano nel fondo dell’anima, negli occhi incantati dalle favole, salgono indomite dall’alba alla notte, impenitenti.
Il loro eros non teme la fatica, i sentieri  impervi, le lande desolate, non prende scorciatoie, non accelera i passi. Conosce la delusione, ma non si fa esperto di tattiche e strategie. Non impara e non insegna, rifugge  le parole accattivanti e i bei sentimenti. Tu canti l’amore della vita con la sofferenza che intuisce, la passione discreta che non demorde. Che pensi di questo mondo aspro, inospitale  sul quale il tuo inchiostro sonoro incide parole vive?

Enzo Mancuso: “Caro Saradis, parli di mondo aspro e inospitale e la mente immancabilmente si accende nel ricordare il paesaggio che ha accompagnato il mio sguardo, in quelle terre di argilla e di gesso e  lingue di sale che affiorano e sembrano sanguinare sotto il sole implacabile dell’isola. Mi sono sempre chiesto se quello che si è disvelato ai miei occhi nei primi anni dell’infanzia non abbia per certi versi  influito sulla formazione del carattere o suggerito un certa disposizione a guardare il mondo, favorendo un gesto, una postura più incline alle sinuosità o asprezze di quella natura. Mi piace pensare che l’intimità che si è creata con quel paesaggio si sia trovata, ad un certo punto, in qualche snodo del mio cammino, che con la sua lingua muta abbia detto la sua e che io l’abbia sentita quella sua non voce e in qualche modo ne abbia tenuto conto. Mi piace, ancora, pensare che quel paesaggio mi è parente, inciso nella carne viva del mio stato di famiglia, che quel suo bianco sanguinamento, quella ferita, sia presagio avverato della mia che  porto con me nel mondo.

Sarantis Thanopulos: “Il tuo è un dire politico, fondato sul sentimento erotico, che incede senza arroganza. Il suo senso si rivela di più quando le tue poesie le leggi. Le pause, le esitazioni lo scandiscono, le virgole e i punti lo chiariscono, il tono della voce misura la sua estensione, senza racchiuderlo in uno spazio definito. Non è un discorso che persuade: ascolta e, interrogandosi, interroga, ha la natura dell’aporia rivelatrice. Mi piace la sua costruzione civica, il suo intrecciare la poesia tragica e l’insegnamento di Socrate, la verità che vive nel dialogo, mai convinta di sé, perché conosce la solitudine ma non ne fa uno scudo. “Sfrimma” in siciliano significa “apri”. L’asprezza del mondo ferisce il sentimento, ma il sangue bianco della ferita non acceca il tuo sguardo aperto sulla vita.”

Enzo Mancuso: “Si, è nella voce che il mondo si avvera. Le immagini, i pensieri  superano la soglia di astrattezza, si fanno respiro e così vita. Leggendo e mettendoci la voce riesco a sentire quanto lontano o vicino io mi trovi, in quel momento, dall’intimità del vero tra me e l’altro me che ascolta. Ho passato la mia vita cantando, il canto è stato ed è ancora per me una semina che non conosce buona o  cattiva stagione, lo devo fare, anche se fuori tira vento o piove, sotto la neve e sotto il sole e quella voce deve resistere a ogni tentazione di avvolgere nel damasco del virtuosismo l’autocompiacimento e il vuoto. Per tornare alla lettura  io trovo nelle pause, nelle virgole, in quelle che tu chiami estensioni della voce, una benedizione attraverso cui la mia introspezione affiora e si fa visibile.

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