COLPO D'OCCHIO (Sergio Rubini, 2007)

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2 ottobre, 2012 - 18:16

"E senza dubbio il nostro tempo preferisce l'immagine alla cosa, la copia all'originale, la rappresentazione alla realtà, l'apparenza all'essere…Ciò che per esso è sacro non è che l'illusione, ma ciò che è profano è la verità. Anzi il sacro s'ingigantisce ai suoi occhi via via che diminuisce la verità e l'illusione aumenta, cosicchè il colmo dell'illusione è anche per esso il colmo del sacro."
(Feuerbach, prefazione di L'essenza del cristianesimo)

2008 copyright Psychiatry on line ITALIA

Il nuovo film di Sergio Rubini, noir ambientato nel mondo dell'arte (le opere viste nel film sono dello scultore romano Gianni Dessì) girato tra Roma, Berlino e Venezia, è un film bello ed estremamente complesso. La bellezza e la complessità però non derivano nè dalla sceneggiatura, troppo prevedibile nell'evoluzione (soprattutto in considerazione della struttura da thriller a cui mira l'opera), né tantomeno dai dialoghi che spesso risultano falsi, eccessivi e superflui, oltre che inappropriati alle scene. A rendere Colpo d'occhio un film profondamente interessante sono piuttosto le implicazioni psicologiche che la storia viene ad assumere, che Rubini in maniera consapevole e matura riesce a cogliere e ad evidenziare.

La trama è facile da sintetizzare: Lulli (Sergio Rubini) è un critico d'arte 50enne (secondo molti nella creazione del personaggio Rubini si sarebbe ispirato alla figura di Achille Bonito Oliva, mentre per altri il riferimento è Vittorio Sgarbi) che ha una relazione con Gloria (Vittoria Puccini), giovane studentessa d'arte, figlia di un suo amico deceduto e della quale è stato a suo tempo anche tutore. Un giorno, durante una mostra, la ragazza incontra Adrian Scala (Riccardo Scamarcio), promettente scultore in cerca di fama e successo, del quale si innamorerà perdutamemente. Tra Gloria e Adrian inizierà una relazione, con conseguente rottura tra la giovane studentessa ed il critico d'arte. Subito dopo essere stato lasciato da Gloria, Lulli ha un incidente d'auto, dal quale si riprende, e non sembra essere ferito per la rottura. Anzi, inizia ad interessarsi misteriosamente e all'improvviso ai lavori di Adrian, prendendolo sotto la propria ala protettrice, aprendogli come un moderno mecenate la propria casa, creandogli un mercato, sostenendolo su giornali e televisioni (tanto da consentirgli di presentare un'opera alla Biennale di Venezia) ma al tempo stesso insinuandosi dentro la sua vita, manipolandolo ed inducendolo ad allontanarsi dalla fidanzata. Il triangolo non è destinato a durare e Lulli cercherà in tutti i modi di vendicarsi dei due giovani. Dopo una serie di intrighi e intrecci la storia si concluderà tragicamente in una scena di sapore shakespeariano, con la morte dello scultore.

2008 copyright Psychiatry on line ITALIA

Fin qui la storia, ma il film è altro e molto di più. La complessità dell'opera si esprime già nel titolo, che assume numerosissimi significati sui più vari piani di lettura. Colpo d'occhio è nel film la rivista d'arte sulla quale Lulli esalta le opere di Scala rendendolo popolare nel mondo dell'arte, ma è anche lo sguardo fulmineo e allo stesso tempo incancellabile che Adrian e Gloria si scambiano al primo incontro. E', come molti giornalisti hanno tenuto a sottolineare, (nonostante Rubini abbia parlato di citazione non voluta o perlomeno non consapevole) la traduzione italiana del titolo kubrickiano Eyes Wide Shut, è ancora e soprattutto (secondo noi) la sintesi stessa del concetto d'arte. Il Leonardo filosofo, ancora prima del Leonardo artista, afferma che l'arte non è che l'esaltazione stessa dell'occhio: "L'occhio inganna meno di ogni altro senso, rispecchia tutte le opere della natura e soltanto mediante esso può essere goduta la bellezza del mondo". Egli aggiunge però che ciò che l'occhio vede diviene chiaro solo quando la mano lo riproduce senza limitarsi per questo all'imitazione, ma portando con armonica perfezione alla progettazione creativa. Con l'organicità del pensiero leonardesco concorda pienamente Jaspers, che nell'esprimersi sull'arte afferma l'indissolubilità della relazione occhio-mano riconoscendo all'occhio il momento fondamentale della comprensione visiva e alla mano quello operativo-demiurgico della creazione. Il concetto stesso dell'arte, quindi, e siamo ancora al titolo.

Il film ovviamente non si ferma qui e puntando sempre più in alto ci porta a navigare con un'immagine che ci permettiamo di mutuare da un maestro della psichiatria italiana, Eugenio Borgna, all'interno del nostro "Arcipelago delle emozioni": l'amore, l'odio, il bisogno di riconoscimento.

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Colpo d'occhio per tutta la prima parte non è che una storia d'amore. L'amore ossessivo di Lulli per la sua giovane studentessa (esperienza anancastica, che va intesa proprio nel senso etimologico greco di "destino" e "necessità inesorabile") ma ancora più l'amore di Adrian e Gloria. Un amore che non si può comprendere se non nella visione radicalmente fenomenologica di Binswanger che in uno dei suoi lavori più affascinanti afferma: "L'amore è incontro, in esso le qualità dell'altro si danno nella loro inscindibile coagulazione e nella loro interna reciproca articolazione". I giorni che Adrian e Gloria passano isolati nella casa di campagna sono giorni di emozioni intime e profonde al di fuori di ogni confine spazio-temporale, sono la sintesi stessa di quell'amore che in maniera esemplare Binswanger descrive: "L'amore non si storicizza: essendo al di là, e al di sopra, del tempo e dello spazio è solitudine. Ma solitudine aperta". Ben presto però il rapporto con Gloria diverrà per Adrian opprimente e limitante, alla fenomenologia dell'amore si contrapporrà quella dell'odio. Il concetto dell'odio che proprio dall'amore trae spunto e ragione è stato sviluppato da Sartre, che nell'Essere e il Nulla chiarisce: "Lo sguardo dell'altro mi può apparire come la morte della mia soggettività, si tematizza come lo sguardo che non mi accetta come soggetto e non ammette che io come soggetto progetti il mio proprio mondo". Non sono le interferenze di Lulli, ma è la paura di questa morte e dell'incombere del nulla che porteranno Adrian ad allontanarsi da Gloria.

Questo basterebbe a spiegare l'interesse per il film, ma Rubini ci stupisce ancora proponendo un tema che secondo noi è poi la sostanza stessa dell'opera e l'aspetto fondamentale del personaggio di Adrian: il bisogno di riconoscimento. Molti hanno descritto Adrian come un personaggio faustiano, disposto a tutto pur di raggiungere il successo (anche a vendersi al diavolo, in questo caso il crudele critico Lulli, o ad impossessarsi dell'opera di un amico artista morto spacciandola per propria). Ma il motore dei pensieri e delle azioni del giovane scultore è davvero la brama di successo o piuttosto la necessità di essere riconosciuto dagli altri attraverso il proprio lavoro? Hegel nella Fenomenologia dello Spirito scrive: "L'autocoscienza è in sé e per sé solo quando e in quanto è in sé e per sé per un'alta autocoscienza, cioè solo quando è qualcosa di riconosciuto (Anerkanntsein)". Il bisogno di riconoscimento connesso alla stima di sé è dunque un tratto distintivo dell'uomo, al punto che nessun individuo potrebbe diventare cosciente della propria identità e consapevole del proprio essere se stesso se non fosse riconosciuto dai propri simili.

In questo gioco di specchi e di contaminazioni fra rappresentazione e realtà, sintetizzato da Feuerbach, risiede secondo noi il senso più profondo di questa opera. Pervasa da una tristezza di fondo, dal momento che un bisogno essenziale come quello del riconoscimento (non necessariamente artistico) da parte dei propri simili viene considerato dipendente non da dinamiche di giudizio soggettive, discutibili però sul piano etico accettabili anche da chi le subisce, ma in molti casi da puri meccanismi di convenienza o di azione-reazione. Dipendenza che Rubini rende evidente quando ad ogni cambio di opinione di Lulli sul conto dello scultore o della sua ex fidanzata corrisponde anche un mutamento della percezione che ‘gli altri' hanno delle coppia e dei suoi singoli componenti, mutamento ottenuto dal critico muovendo poche ed elementari leve. Quella che ad un primo livello di lettura è una denuncia della disonestà dei meccanismi di consenso e di approvazione sociale è quindi anche qualcosa di più: è la denuncia della disonestà implicita in ogni forma di creazione, ricerca ed ottenimento del consenso stesso.

Umberto Galimberti afferma che l'uomo non è qualcosa che prescinde dal modo in cui manipola il mondo, e trascurare questa relazione significa non rendersi conto che a trasformarsi non sono solo i mezzi di comunicazione, ma l'uomo stesso.

"Il messaggio di un medium è nel mutamento di proporzioni, di ritmo e di schemi che introduce nei rapporti umani" (Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare).

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