Qual è il senso di questo “Oxford Handbook” di Psicopatologia fenomenologica per la psichiatria, per la psicologia clinica e per la psicoterapia? Come è conciliabile il percorso concettuale che questo “Handbook” dipana, con la piattezza monodimensionale della psichiatria attuale (biologico-nosografica)? Che voragine scopre nell’edificio della psichiatria medica il paradigma fenomenologico proposto, per la prima volta in Europa, in una veste così completa e sistematica, da questo “Handbook”? Come è possibile che nessuno dei topic esplorati in questo ponderoso “Handbook” sia oggi materia oggetto di formazione degli specializzandi in psichiatria? Quale desertificazione culturale è avvenuta nelle nostre accademie perché del gruppo dei circa cento estensori di questo Handbook molto pochi provengono da una cattedra di psichiatria?
La psichiatria è, di fatto, una branca della medicina. Ma di cosa si occupa realmente la psichiatria? Sarebbe facile rispondere che la psichiatria si occupa della cura delle malattie mentali. Ma avrebbe un senso se io mi chiedessi, adesso, a bruciapelo : di cosa si occupa la cardiologia? Forse anche lo avrebbe, ma non sarebbe lo stesso senso.
Non voglio intavolare qui una disquisizione intellettuale. Sono un medico psichiatra che lavora in un SPDC. Ricordo che Dario De Martis, nel panorama della rinnovata salute mentale italiana, chiamava l’ SPDC “l’ultima Thule”, alludendo all’isola leggendaria, di cui dall’antichità hanno parlato Strabone, Tacito e Virgilio. Una terra al di là dei confini del mondo, proprio dall’etrusco Tular (confine), fatta di ghiacci eterni e di fuochi inestinguibili, dove il sole non tramonta mai. Fuor di metafora, l’SPDC, è quel luogo oltre i confini dell’ovvio che ci circonda, che non può rimandare a nessun altro luogo, dove la follia, fuori dallo sguardo di tutti, viene portata ad esplodere. Dove le destrutturazioni allucinatorie e deliranti del campo di coscienza non hanno alcun paragone con quelli che chiamiamo, a volte, tra psicoterapeuti, “stati psicotici della mente”. E dunque questo per dire che io faccio il medico psichiatra con utilizzando tutte le risorse a mia disposizione, di giorno e di notte, per far fronte alle esistenze umane che si fratturano. Ma questo per dire anche che, se non avessi coltivato le dimensioni metodologiche e culturali tracciate in questo “Oxford Handbook”, forse non sarei sopravvissuto, e non sarei riuscito a fare quello che sono riuscito a fare per i pazienti che ho incontrato.
Certamente, la domanda “di cosa si occupa la cardiologia” susciterebbe maggiore ilarità e senso di aria fritta. Invece “di cosa si occupa la psichiatria?” non sembra poi una domanda così assurda, anche se apparentemente si dà per scontata la risposta. La riprova è il fatto che, in pronto soccorso come nella vita comune, sui giornali, la domanda continua è : ma è questo un caso psichiatrico o no? Ad esempio: il killer dei poliziotti a Trieste è “psichiatrico” o no? Come se il confine della patologia potesse essere continuamente spostato, in mancanza di limiti oggettivi, oppure non fosse evidente a tutti, come può essere un grave problema fisico.
I due testi di riferimento che adesso mi vengono subito in mente, a proposito del modo in cui la psichiatria questiona se stessa, sono “Che cos’è la psichiatria” di Franco Basaglia, del 1967, in cui Basaglia sferra un attacco al dogmatismo vuoto e carcerario della psichiatria positivista e manicomiale; e “La psichiatria come scienza dell’uomo” di Ludwig Binswanger, raccolta di saggi del 2013 ad opera di Bianca Maria d’Ippolito, in cui Binswanger richiama l’importanza di una scienza, che partendo dal piano empirico-organicista, si spinga a riconoscere la struttura fondamentale dell’essere uomo nel mondo. Ma già sono titoli diversi. Nella domanda : di cosa si occupa la psichiatria, l’attenzione è invece tutta sull’oggetto. Qual è, in definitiva, l’oggetto della psichiatria? Allora ritorno alla medicina, qual è l’oggetto della medicina? L’oggetto della medicina è evidentemente il corpo fisico. Dunque la medicina e tutte le sue branche si occupano di oggetti fisici, quelli che Cartesio, nel Seicento, definiva res extensae. Si tratta di oggetti fisici, di organi, di apparati, di oggetti misurabili. tutte le macchine della biotecnologia medica trasmettono immagini a varia risoluzione degli oggetti fisici di cui si occupa la medicina. Sono questi gli stessi oggetti di cui si occupa la psichiatria? Evidentemente no. Ma allora come possiamo definirli gli oggetti di cui si occupa la psichiatria : dobbiamo definirli per forza di cose oggetti concettuali, poiché essi rimangono astratti, sine materia.
La psichiatria, a rigor di termini, si occupa di disturbi che vengono concettualizzati in un modo o in altro a seconda delle scuole o delle epoche storiche. E questo è evidente a tutti. Nonostante i grandi progressi delle neuroscienze e della genetica, nell’applicazione pratica non ci sono state ancora vere svolte nella cura dei disturbi mentali, paragonabili all’introduzione del primo farmaco antipsicotico negli anni Cinquanta del secolo scorso. Visto che invece in altri campi della medicina i risultati sono stati vertiginosi, verrebbe da pensare che la caccia all’etiopatogenesi dei disturbi mentali e ai loro markers biologici sia una caccia al fantasma. Ma speriamo che non sia così. Questo è un primo punto.
Ma come mai una branca della medicina si occupa di oggetti concettuali? Questo è un vero scandalo epistemologico. Quali sono i fondamenti teorici, le metodologie di una branca della medicina che si occupa di oggetti concettuali, cioè di entità invisibili e intangibili? Qual è l’applicazione clinica di queste teorie? Come viene curata la formazione “concettuale” di un medico che incontrerà per tutte la vita “ammalati concettuali”? E’ pensabile che un medico che si specializza in una branca che tratta oggetti concettuali non riceva un’educazione specificamente formata, cioè atta ad aiutarlo a concettualizzare gli oggetti di cui si deve occupare, a riconoscerli,a distinguerli, a definirli, a metterli in relazione tra di loro, a sfumarne i confini? E’ giusto che uno specializzando in psichiatria si formi senza un metodo che lo guidi nel cogliere, nel collegare, nello strutturare questi concetti che, di fatto, sono le malattie mentali e le esperienze che vivono i pazienti, utilizzando solo una banale e grossolana semeiotica medica ed una nosografia numerologica (DSM-5, ICD-10) surrettiziamente applicata? Di fatto sempre meno psichiatri riescono a distinguere una pseudo-allucinazione da un’allucinazione vera, un deliroide da un delirio, il reale ruoo giocato da una condizione affettiva nell’esperienza psicopatologica di un paziente, tanto per dire cose macroscopiche. In una branca specialistica della medicina che, per effettuare le proprie diagnosi, manca completamente di riscontri strumentali e di laboratorio (markers biologici) non si capisce come le stesse diagnosi stiano in piedi, o siano credibili, visto che il rilevamento delle esperienze sintomatologiche è lasciato al buon senso di ognuno (è evidente la variabilità delle diagnosi con la variabilità dei clinici). Tra questi pochi psichiatri ancora più pochi si rendono conto che le allucinazioni psicotiche forse non sono affatto (semplicisticamente) disturbi delle percezioni, e che i deliri psicotici non sono (semplicisticamente) disturbi del giudizio. Ma non voglio entrare nello specifico.
Cerchiamo di capire allora, brevemente, come si sia potuti arrivare a questo scandalo epistemologico, nel quale una categoria di medici specialisti formati a fare fondamentalmente i medici-chirurghi (del corpo), poi, autorizzati da una specializzazione in psichiatria, si ritrovano a pattinare tra le nuvole o sui ghiacciai dell’esperienze alterate, utilizzando, purtroppo in molti casi alla rinfusa, cioè senza un metodo, le loro abilità umane, cioè l’intuizione psicologica, il buon senso, le impressioni, le equazioni personali, perché, al netto delle scale e dei lavori su sui si basano le metanalisi, è ancora così che oggi si fanno le diagnosi. Senza ancora aver capito, come diceva Perris, se le malattie mentali siano un’arancia con i sepimenti naturali che separano gli spicchi, o siano una mela che ognuno taglia come vuole. Tant’è che uno dei motivi, secondo i ricercatori più avvertiti, per cui i dati sugli esiti dei trattamenti farmacologici non trovano spesso riscontro nella pratica clinica, è perché i campioni eterogenei di pazienti ricevono diagnosi convenzionali con basso grado di coerenza.
Tutto questo pasticcio comincia con Cartesio che ci lascia mente e corpo separati. La medicina, poi, forte del modello anatomo-clinico di Morgagni e del modello fisiopatologico di Bernard, fa passi da gigante, potenziata da una tecnologia biomedica di eccezione. Alla psichiatria rimane il cerino la res cogitans, l’invisibile psiche, rispetto alla quale, storicamente, l’approccio si declina in tre modi diversi.
Il primo passo è quello di Pinel. Pinel passa alla storia per aver liberato un alienato dalle catene. Scriverà Henri Ey : la psichiatria nasce il giorno in cui un medico libera un uomo. Questo è molto bello, anche romantico, come mito fondatore, ma poco credibile. Pinel sostituisce le catene di ferro gotiche con il gilet de force. Ma non è questo il punto. Il punto cruciale, che è anche la ragione per la quale stasera siamo qui, è quello indicato dalla grande psichiatra francese Gladys Swain, prematuramente scomparsa, la quale dice: Pinel pubblica, nel 1800, un trattato medico-filosofico delle malattie mentali. Questa è la vera rivoluzionaria grandezza di Pinel. Pinel riconoscendo nello squilibrio dinamico tra la ragione e le passioni l’etiopatogenesi dei disturbi mentali, restituisce al mondo del cuore una titolarità rispetto al mondo dell’intelletto. Il dogma razionalista trova, nella follia umana, un suo limite invalicabile : c’è un irriducibile patico che non è travasabile nella ragione, ma che è, pur non razionalizzabile, cionondimeno umano.
A metà dell’ottocento il modello di Pinel viene sostituito dal modello neurologico. Golgi, Sherrington, Cajal, Broca, Wernicke, fino all’aforisma di Griesinger : Le malattie mentali sono malattie del cervello. Su questo assioma Kraepelin costruirà la sua nosografia che, mutatis mutandis, farà da scheletro alla fioritura dei vari manuali DSM.
Il modello psicodinamico, da Freud in avanti prende quota nel corso del Novecento, e anima il concetto di psiche come luogo dello scontro di forze sorgenti dall’inconscio. Ad un tratto il modello neurologico e quello psicodinamico sembrano contrapporsi e lacerare la psichiatria, ma, di fatto, finiscono per accettare entrambi il dualismo cartesiano.
La prospettiva fenomenologica esposta capillarmente in questo “Oxford Handbook”, che prende corpo negli ultimi 100 anni, non è un modello accanto agli altri di funzionamento della mente umana. La fenomenologia, infatti, non entra nella questione mente/cervello. Infatti la fenomenologia scarta di lato, superandolo, il cancro della distinzione cartesiana tra mente e corpo, o tra mente e cervello. Il focus della fenomenologia si colloca nel contatto tra uomo e mondo, non tra mente e cervello. La fenomenologia coglie l’uomo come esistenza incarnata nel mondo, coglie l’esistenza umana come una situazione fatta di corpo e mondo. La dimensione corpomondana del Leib, attraversata dalla paticità, nella prospettiva dell’ embodiment svelano un mondo proprio e comune, un mondo della vita, che accade prima della parola, del linguaggio, prima della riflessione, prima della mente. Attraverso la prospettiva della carne, la chair, il Leib, il corpo che sono, il corpo vivo, il corpo che sento, il corpo che mi appartiene, il corpo che sono la fenomenologia clinica affonda definitivamente il trascendentalismo idealistico husserliano, di matrice kantiana e cartesiana. Gli apriori della psichiatria fenomenologica, ovvero le condizioni di possibilità della nostra esistenza nel mondo, si situano immanentemente, nella carne stessa di questo corpo- mondo. Gli apriori della psichiatria fenomenologica sono, con un’operazione corsara, strappati ad un trascendentale asintotico, come un punto archimedeo fuori dal mondo e sono incarnati, affossati nelle viscere, nelle fibre muscolari, nei recettori cutanei, olfattivi, uditivi. questo percorso avviene a partire da Husserl, Heidegger, attraverso Merleau-Ponty, Straus, von Weizsaecker, Henry. E’ solo così che possiamo cogliere,immediatamente, nell’incontro con l’altro, un sorriso accennato, la delicatezza di un contatto fisico, di una carezza, per esempio, uno sguardo di traverso, un’ombra sul volto, una rabbia paurosa, una rabbia coartata. E’ così che sentiamo e comprendiamo uno stomaco chiuso o sottosopra, il fegato a pezzi, la vita dolente, la testa pensante, il cuore che va vento, la stretta della malattia mortale, l’angoscia, tra lo sterno e le coste. I cardini di questa fenomenologia, ben evidenziati tra i percorsi concettuali dell’”Oxford Handbook”, e che è diventata il viatico della nostra clinica sono:
immediatezza e originarietà dell’esperire;
superamento del dualismo mente/corpo o mente/cervello;
spostamento del baricentro dal dentro al fuori, ovvero dall’ “io” al “tra”;
valorizzazione del piano del “sentire”;
reciproco incrocio di attività e passività, di movimento e percezione;
superamento del trascendentalismo idealistico;
recupero della dimensione empirica, contro l’empirismo.
In questo primato dell’empiria contro l’emprismo si intravede la linea di pensiero di Locke e di Condillac, cioè dei pensatori che stavano dietro Pinel, piuttosto che di Cartesio e di Kant, che erano i pensatori che stavano dietro Husserl, ma anche dietro Griesinger. E’ in questo modo, anche, che dal “Trattato medico-filosofico delle alienazioni mentali” all’ “Oxford Handbook” il cerchio si chiude. La struttura del trattato è articolata nelle seguenti sezioni:
Storia;
Fondamenti e metodi;
Concetti chiave;
Psicopatologia descrittiva;
Mondi della vita;
Psicopatologia clinica;
Psicopatologia fenomenologica.
Quello trattato da questa dimensione fenomenologica, dunque, è lo stesso oggetto che ci portano i nostri pazienti, il corpo vissuto. Il corpo vissuto, i cui confini non coincidono con i corpo anatomico, è un oggetto immaginario, lo stesso oggetto che si turba nell’immaginario del paziente. Scriveva Sartre nel 1943 “Esiste un unico oggetto psichico, E’ il corpo. Il corpo è il vero oggetto psichico”. L’immaginario affonda in questo vivente incarnato che comprende il mondo e l’altro, i cui disturbi sono tutte alterazioni, a vario grado di questo vivente incarnato che comprende il mondo e l’altro. Dunque i confini del corpo proprio non sono interni, ma abbracciano quelli del corpo dell’altro e del mondo che si fa carne nella percezione che abbiamo di lui.
Dunque da Pinel, che da solo, come un titano, di fronte alla nascita della clinica medica scrive il suo “Trattato medico-filosofico dell’alienazione mentale”, ai circa centro autori, misti tra psichiatri e filosofi, che sulla linea di Pinel portano a termine la fatica erculea di questo “Handbook”, la psichiatria riprende per la prima volta in maniera sistematica, nella storia europea la sua via, che è quella di una scienza empirica, di una scienza umana, di una scienza vissuta che si occupa delle alterazioni di un oggetto immaginario, che è il corpo che il paziente e delle sue articolazioni o disarticolazioni con il mondo e con l’altro.
Noi psichiatri che incontriamo tutti i giorni la carne ferita della clinica non possiamo non riconoscerci appieno nella magna charta di questo trattato, e sappiamo anche che siamo medici che non ci occupiamo più di psiche. Noi non sappiamo che cosa sia la psiche. Psiche è un termine che, oggi, non ci rappresenta più. Ci occupiamo di un livello più basico dell’esperienza, di quel “fremito della carne”, lo chiamava Lorenzo Calvi, di qualcosa che ha che vedere con il fondo della vita, con il vivente nel suo darsi intercorporeo e intersoggettivo, preriflessivo e prelinguistico. Siamo qui, del tutto spostati su un terreno germinativo o patico, dove l’intesa con il mondo e con gli altri poggia su basi immediate, silenziose, incontrovertibili fino all’arrivo di una frattura. Ed su quella frattura che noi interveniamo, su quello sfondamento che si ha nel senso di familiarità e di abitabilità del mondo, quando il mondo non è più la patria del mio abitare, con il corpo che io sono, con l’altro che io sono, con l’altro che è me. Ed interveniamo con degli strumenti concettuali che solo la nostra sensibilità formata da questo tipo di cultura può esplicitare.
In questo senso questa fenomenologia clinica, tagliando le categorizzazioni della nosografia, dà alla mente il suo corpo, e dà al corpo la sua mente. Non più una clinica che è Mind-less nella medicna e Body-less nella psichiatria. Ma una clinica che sappia cogliere, con la pupilla viva, le alterazioni dell’esperienza vissuta nel mondo con gli altri.
Ecco perché questo trattato, che è medico-filosofico, poiché scritto a quattro mani da medici e da filosofi, poiché frutto della potente contaminazione avvenuta 100 anni fa tra fenomenologia filosofica e clinica medica, ridà slancio al nostro essere psichiatri, riafferma nella comunità scientifica internazionale, poichè è scritto in lingua inglese ed è pubblicato ad Oxford, la carta costituzionale di una psichiatria autentica che, nata con Pinel, ovvero in modo medico-filosofico, e poi è errata nei riduzionismi cerebrale o psicologistico.
E da qui in avanti il mio auspicio di clinico che si imbatte tutti i giorni nella follia, è quello di proseguire per una strada diversa, prima di sparire noi, e di far sparire con noi la follia, la quale in quanto patologia della libertà, è anche garanzia della libertà. Perché, non dimentichiamolo, proprio perché può impazzire l’uomo è un animale che può essere libero.
Questa psichiatria fenomenologica, dopo aver preso tanto dalla filosofia, dalla medicina, dalla psicoterapia, oggi, attraverso la ponderosità di questo trattato, restituisce alla filosofia il mondo-della-vita, attraversato dalla bellezza e dal dolore, alla medicina il corpo vissuto che essa ha perduto, alla psicoterapia l’incontro in carne ed ossa di due esistenze, al di là di ogni astratta metapsicologia.
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