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IN ASCOLTO

6 Nov 19

A cura di Francesca Spinozzi


di Francesca Spinozzi, psicologa psicoterapeuta, Associazione Rete Italiana Noi e le Voci

Il Movimento Internazionale degli uditori di Voci prende inizio negli anni Ottanta, grazie all’esperienza di Patsy Hage, una paziente dello psichiatra Marius Romme. A Patsy era stata diagnosticata la schizofrenia e la donna stava attraversando un periodo di particolare sconforto, assediata dalle sue voci, quando s’imbatté nel libro di Julian Janes, “L’origine della coscienza e il crollo della mente bicamerale” (1976). Le tesi sostenute da Janes affermavano che un tempo (fino a circa il 1000 a.C.) la natura umana era scissa in due parti: una parte direttiva chiamata Dio e una parte soggetta chiamata uomo, e nessuna delle due parti era cosciente. Nel libro Janes presenta indizi ricavati dall’archeologia e dai libri più antichi, Iliade, Odissea, Bibbia, in cui gli eroi agiscono sospinti dalla voce degli dei. La schizofrenia, dunque, sarebbe un residuo vestigiale dell’antica struttura della mente. Le teorie di Janes sulla struttura e la storia della coscienza non sono state accettate dalla psicologia ufficiale, ma diedero a Patsy la possibilità di vedere le cose diversamente: anche lei, come gli eroi dell’antica Grecia, aveva il privilegio di udire la voce degli dei. Inizia la possibilità di un contro-discorso alla concezione tradizionale della voce come patologizzante (e, di conseguenza, stigmatizzante). Contro: la negazione del senso delle voci, lo sradicamento dell’esperienza delle voci dalla biografia dell’uditore, la raffigurazione delle voci esclusivamente come compromissione del funzionamento sociale, nel costante riconoscimento della sofferenza che comunque accompagna l’esperienza delle voci.

Il dottor Romme incoraggia Patsy a condividere con gli altri pazienti la propria esperienza e lo stesso psichiatra è “colpito dalla vivacità con la quale queste persone mostravano di riconoscere le loro reciproche esperienze” (Romme, Escher, a cura di, 1997, Accettare le voci. Le allucinazioni uditive: capirle e conviverci, Milano, Giuffrè Editore, ed. orig. 1993). Nasce così il primo nucleo dei gruppi di auto-mutuo-aiuto. Patsy è la prima persona in cui Romme riconosce le voci in quanto realtà, grazie a lei partirà il movimento di accettazione delle voci.

Si avvia il cambio di approccio alle voci, la de-medicalizzazione dell’esperienza, non più sintomo patologico, che va eliminato, ma normale variante del comportamento (simile all’essere mancini), con un senso proprio, radicato nella biografia dell’uditore.

L’ascolto coinvolge tutti, l’uditore ascolta le sue voci ed è in contatto con la sua sofferenza, gli altri uditori ascoltano le loro voci e nel contempo prestano ascolto agli altri uditori, i professionisti, i familiari e tutti coloro che entrano in relazione con gli uditori offrono un ascolto partecipato, alla ricerca del significato dell’esperienza, per spogliarla della sofferenza ed integrarla nella vita della persona, affinché quest’ultima possa gestirla e non subirla.

Questo è l’obiettivo dei gruppi; il gruppo richiede un grande lavoro su di sé, in ascolto della propria interiorità e della propria sofferenza e di quelle degli altri.

Nel gruppo Noi Due Luciana mette a dura prova la capacità di ascolto degli altri componenti. Lei è un fiume in piena, riferisce innumerevoli voci che hanno a che fare con l’ostilità che sente intorno a sé. La sua storia è segnata da mancati riconoscimenti e perdite importanti, la sua rabbia e il suo dolore sono straripanti e la portano a sfogarsi di continuo, verbalmente, contro tutti. Luciana fa ancora fatica a distinguere ciò che le viene detto dalle persone reali da ciò che le stesse persone secondo lei le comunicano attraverso le voci, e a collegare ciò che le viene detto attraverso le voci a suoi vissuti ed emozioni.

Vittoria, invece, ha già lavorato sulle sue voci e riesce a collegarle ai suoi stati d’animo, ai suoi desideri, alle sue paure, ma si mostra fragile e cerca di continuo il confronto con gli altri, fa domande e accoglie sempre le risposte che le arrivano, trovando nuovi spunti di ulteriore riflessione.

Federico è assediato dalle voci quotidianamente e continuamente, inerme di fronte alle loro affermazioni svalutanti e ai loro impulsi negativi. Preda di sensi di colpa, sente di meritare tali denigrazioni e non riesce ad interagire con le voci, prova solo a scacciarle, senza successo. Il gruppo è incuriosito e sorpreso di alcune caratteristiche buffe delle voci, e ascolta con attenzione per cercare di dare una mano a Federico, affinché lui possa comprendere il significato della sua esperienza e vivere con più serenità.

Quando Rosa parla delle sue voci buone, Paolo non riesce a capire…come può una voce essere definita buona? Se una persona sente le voci, buone o cattive che siano, quella persona comunque sta male. “Anche che senti la voce buona, tu stai male”. Queste affermazioni di Paolo ci colgono di sorpresa e spazzano via in un attimo i principi del movimento degli uditori di voci, riportandoci alla vecchia concezione “patologizzante”. In risposta, nel gruppo si è allora dibattuto sul concetto di voce e sulla sua gestione, perché, al di là che la voce sia positiva o negativa, ciò che fa la differenza è che l’uditore abbia il controllo e il potere decisionale sulla sua vita.
 

P.S. La parte introduttiva dell’articolo fa riferimento alla presentazione del professor Mario Cardano al convegno “Il male mentale – Strategie di fronteggiamento”, che si è tenuto a Torino dal 16 al 18 ottobre scorsi. La storia di Patsy Hage può essere letta nel libro “Vivere con le voci – 50 storie di guarigione”, a cura di M. Romme, S. Escher et al., ed. Mimesis, 2010.

 

 

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