Il neglect è una sindrome in prima battuta di pertinenza all’ambito neuropsicologico: qui un approfondimento.
Recentemente tuttavia se ne parla anche in ambito di trauma psichico. All’interno di questa rubrica abbiamo spesso considerato come l’irruzione sulla scena psichica del soggetto di un evento traumatico (o meglio, del suo ricordo), sia da considerarsi l’inizio di un periodo di stress post-traumatico speso nel tentativo di elaborare il ricordo del trauma. Parliamo quindi di un trauma “positivo”, che cioè presenta un elemento di “produzione sintomatica” attivamente presente nella scena del soggetto.
Nell’intervista sotto riportata con Benedetto Farina, viene citata una tipologia di trauma differente, che potrebbe invece configurarsi come un trauma “negativo”, assente cioè nelle sue ripercussioni “positive” in termini sintomatici, ma altrettanto potente nelle sue conseguenze psicopatologiche.
Ci si riferisce qui, è bene ricordarlo, a un trauma dello sviluppo, e non a un unico trauma singolo: il termine “neglect” viene qui a indicare un processo continuativo di “negazione” di un bambino da parte di una figura di riferimento o, in altri termini, un continuativo e grave atteggiamento “trascurante” in termini emotivi da parte di un genitore verso il proprio figlio.
Attuare un “neglect” verso un bambino nel corso del suo sviluppo, significa:
- attivamente negargli la sintonizzazione emotiva di cui necessita per regolarsi in senso emotivo, in modo più o meno volontario, più o meno cosciente. Per farsi una veloce idea di cosa succede a un bambino piccolo a cui si neghi la sintonizzazione emotiva, è sufficiente guardare gli esperimenti sulla still face di Tronick.
- non aiutarlo nei suoi bisogni primari (termoregolazione, nutrimento, bisogno di sicurezza fisica) in modo continuativo. Come Maslow ci insegna, alla base della piramide dei bisogni stanno i bisogni fisiologici, subito seguiti da quelli inerenti la sicurezza. Più volte qui abbiamo discusso di come nello stress post-traumatico sia fondamentale recuperare un senso di sicurezza, percepito come perduto. Qui sicurezza fisica è da intendersi come il senso di “non essere minacciati da qualcosa/qualcuno”
- minare le basi dell’attaccamento producendo risposte evitanti: sappiamo dalla teoria dell’attaccamento che il rapporto iniziale tra madre e bambino condizionerà la sua futura modalità di interazione con gli altri individui: un bambino allontanato attivamente dalla vita del genitore, costruirà con più difficoltà rapporti sociali adeguati. Neglect va qui inteso come “non vedere il bambino”, non osservarne o notarne i bisogni sia primari che relazionali. Una madre o un padre di questo tipo è più che probabile che induca nel bambino lo sviluppo di un attaccamento di tipo A, cioè strutturato sull’evitamento e l’investimento su aspetti “non-relazionali” dell’esistenza (qui una definizione di Teoria dell'Attaccamento)
Questi tre comportamenti da parte della madre o della figura di riferimenti affettivo, producono nel bambino una risposta psicopatologica “da compensazione”; in questi quadri è frequente riscontrabile, in età adulta, il ricorso a sostanze d’abuso con funzione di auto-regolazione emotiva. Sappiamo, come qui approfondito, che il precoce contatto fisico e la sintonizzazione emotiva, consentono di sviluppare nel bambino le funzioni auto-regolative: nel caso del neglect, non solo queste capacità non verranno insegnate, ma la stessa soglia di tolleranza allo stress, si abbasserà. La ricerca sul trauma lo evidenzia in modo certo. Se cerchiamo nelle storie di tossicodipendenza, spesso troveremo pattern di interazione di questo tipo, con un “neglect” in anamnesi.
Possiamo dunque definire il neglect come il complementare del trauma “attivo” (per esempio nei casi di violenza perpetrata o di abuso sessuale), incentrato però su una generale assenza della figura di attaccamento, con conseguenze multiple e su più piani (deprivazione affettiva, scarsa capacità di regolazione emotiva, minore tolleranza allo stress, ricadute sul corpo e sviluppo di problematiche a livello fisico).
Un autore che ne parlò in modo diffuso è stato Sandor Ferenczi (nella foto sopra), in particolare nella sua idea di un trauma non solo costituito da qualcosa di “commesso”, ma anche da qualcosa che avrebbe dovuto essere fatto e che invece non venne fatto (da qui la sua idea di trauma come “omissione di soccorso”, oggi rivisto in “neglect”).
0 commenti