Dialogo tra Sarantis Thanopulos e Ginevra Bompiani
Sarantis Thanopulos: “Ginevra, uno dei tanti meriti che ti vanno riconosciuti è la chiarezza delle tue posizioni. La ‘distruzione’ acquista significati diversi a seconda delle opposizioni linguistiche in cui si inserisce. Tu, collocandola nel campo delle forze infauste del nostro destino, denunci la confusione etica a cui ci può portare la polisemia. La tradizione psicoanalitica vede la vita come amalgama tra forze leganti, costruttive e forze sleganti, distruttive, ma io concordo con il tuo punto di vista. Il dominio di un maschile dissociato dal femminile, quindi incapace di mettersi in movimento all’interno di un processo trasformativo, distrugge il legame fondamentale della vita ed è qui che Thanatos costruisce il suo regno d’inerzia. Il potere dell’uomo, la massima espressione dell’hubris, deve, per reggersi in piedi, proiettare la necessità della propria sanzione sulla donna, trasformandola in ‘punizione’: la seconda delle ombre, come dici ne L’altra metà di Dio, che oscurano la nostra esistenza. Penso che il nucleo di ogni punizione sia la repressione del femminile dentro e fuori di noi. La ‘mistificazione’, la terza ombra, la non distinzione tra verità e menzogna, sarà, temo, il nostro destino, fino a quando alle donne sarà data un po’ di libertà in cambio della persistenza della loro sottomissione. Tu indichi tre vie d’uscita. La prima, la disattivazione della distruzione, è la ripetizione/ritornello, il ritmo dei passati che si insinua nel galoppo dei presenti. La seconda, la migrazione da un mondo di divieti, colpe e castighi, senza voltarsi all’indietro, è “la disobbedienza che fa vivere”, la vita il cui senso sta nel non avere una fine (un fine). La terza, l’antidoto alla mistificazione, è riscoprire ciò che si nasconde sotto la mitologia maschile della genesi del mondo: “il fondo, la posatura, le schegge perdute”, di un’oralità femminile tradita dalla Storia scritta.”
Ginevra Bompiani: “Caro Sarantis, questa volta sono completamente d’accordo con te: penso anch’io che il dominio dell’uomo sulla donna abbia dato via libera alla distruzione e via prigioniera alla punizione. Voglio dire che la mancanza di equilibrio fra reciproche qualità e reciproci difetti dell’uomo e della donna, potenzia la distruttività dell’uno e la cortigianeria dell’altra. E d’altra parte, almeno nella civiltà occidentale, non c’è dubbio che la colpa femminile e la sua punizione siano il mito fondativo dell’oppressione della donna da parte dell’uomo. Che la donna, da essere generativo, che dà e cura la vita, sia divenuta nel mito patriarcale la fonte del male, fa del rapporto fra i generi un legame punitivo, in cui sono insieme imprigionati. E, come tu dici, c’è un’altra conseguenza: il legame punitivo è un legame di potere, e dove c’è potere c’è potenziale violenza e distruzione. Se il legame si rovesciasse e il potere maschile si trasformasse in potere femminile, il risultato sarebbe forse diverso, ma non migliore. Il rapporto uomo-donna è ciò che rende possibile la vita, così come il rapporto umano-divino è ciò che rende pensabile la morte. Entrambi sono rapporti di potere e sottomissione. In un certo senso, il secondo è il modello del primo. Forse bisognerebbe cominciare a pensare entrambi in termini diversi. Mi domando, infatti, se non sia venuto il momento di andar togliendo dal rapporto supremo (divino-umano), via via il potere da tutti i rapporti, umani, famigliari, sociali, economici, politici, sostituendolo non con un’altra parola, ma con più parole, ciascuna scelta per la sua capacità specifica di regolare e armonizzare quel particolare rapporto; perché il molteplice protegge meglio la verità e la vita di qualsiasi monoteismo, monocrazia, monocultura.”
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