COVID-19: L’epidemia del coronavirus e la sua profilassi: désaffectation collettiva e accesso al lutto

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23 marzo, 2020 - 18:10
Le brevi note che seguono non hanno l’obiettivo di criticare alcuno, né di sostituirsi ad alcuno. Vorrebbero invece costituire un elemento di pensabilità, uno dei tanti possibili, della tragica situazione che noi tutti stiamo vivendo al tempo del coronavirus.
La narrazione dominante descrive quanto sta accadendo nella seguente modalità: il virus costituisce un oggetto proveniente dal mondo animale, invisibile ma concreto, il quale entra nel corpo umano attuando una potente azione distruttiva. Mediante una serie di prassi (derivato di πράσσω, “fare”) sanitarie è possibile ridurre, se non evitare, le possibilità di contagio.
Tale narrazione che certamente appartiene, prima che alla gran parte della comunità scientifica internazionale, al buon senso di noi tutti, al banale quale rappresentante del «grado di partecipazione al modo di intendere della collettività» (Rorschach, 1932, tr. it. p. 147), racchiude però in sé alcune caratteristiche che forse meritano attenzione, soprattutto alla luce del primato che questa narrazione ha ottenuto a scapito di altre. È una narrazione secca, asciutta, semplice e tecnica al contempo. Essa riduce l’intera esperienza del contagio e della conseguente profilassi ad una questione concreta, fisica, risolvibile mediante un fare immediato. Il primato dei bisogni biologici immediati di un’intera comunità. In una condizione di attesa passiva, viviamo un tempo sospeso, tutti i riti collettivi - persino quelli religiosi - sono annullati: un uomo ormai privo di riti si accinge ad attuare la profilassi. Le tonnellate di amuchina aiutano ad eliminare persino le tracce dell’umano. Ogni rapporto in vivo, ogni scambio è sospeso poiché possibile fonte di contagio.
 

12/03/2020. In basso a sinistra una giovane famiglia con un piccolo bambino passeggia sui tetti di una Padova deserta.
 
Al vuoto dell’umano nelle città deserte sembra corrispondere un altro vuoto: nessuna elaborazione culturale collettiva, nessun tentativo collettivo di dare un significato psichico a quanto sta accadendo. Persino la paranoia e la persecutorità non sembrano assumere la dignità di elaborazione culturale; esse rimangono relegate alla stretta di mano e, in un’epoca di sdoganamento dell’idea di complotto, il complottismo stesso è sorprendentemente ridotto ai minimi termini. Nessun Edipo Re pronto ad assumersi pienamente la colpa della tragedia collettiva, come invece accadde nella Tebe infestata: «Egri giacete tutti, il so; ma fra voi pur un non havvi egro quanto son io. Ciascun di voi sol del suo mal, non dell’altrui s’accora; ma l’alma mia per me, per voi, per tutta la città si travaglia» (Sofocle, v. 61-65, tr. it. p. 199). L’intera esperienza è ridotta ad un dato sanitario, nudo e crudo, si rinuncia a qualsiasi forma di pensabilità e di elaborazione collettiva, siamo indotti ad affidarci passivamente alla speranza che il contenimento e le limitazioni funzionino nel loro intento.   
Ipotizzo che tale modalità concreta, asciutta e pulita, igienica, di vivere collettivamente l’esperienza attuale possa equivalere all’espellere l’intera esperienza che stiamo vivendo dalla vita psichica, inibendone le possibilità di pensabilità, quindi di elaborazione. Una potente contrazione psichica collettiva, un insieme di atti che, al netto dell’angoscia, assumono una tonalità désaffecté e non aprono ad alcuna possibilità di generare un discorso associativo collettivo. Una modalità di funzionamento collettivo che assomiglia, a mio parere, al carattere psicosomatico, inteso come assenza di simbolizzazione, uso di un pensiero operatorio e riduzione dell’attività fantasmatica (Bergeret, 1996). La caratteristica del carattere psicosomatico è «il modo di funzionamento meccanizzato del pensiero, la razionalizzazione dei comportamenti attraverso cause esterne – esse stesse meccaniche e anaffettivizzanti – , la scarsità d’impatto degli affetti» (Bergeret, 1996, p. 218). McDougall (1989, p. 100) utilizzando il termine désaffectation anziché quello di pensiero operatorio, segnala che le persone che vanno incontro a questo grave scompenso dell’economia affettiva «hanno fatto precocemente l’esperienza di emozioni intense che minacciano il loro sentimento di integrità e di identità, e che è stato loro necessario, per sopravvivere psichicamente, innalzare un sistema molto solido per prevenire il ritorno del loro vissuto traumatico, portatore di una minaccia di annientamento». La grave minaccia che il contagio del virus rappresenta per ciascuno di noi, oltre a rappresentare di per sé un’esperienza grandemente traumatica, ci costringe a considerarci improvvisamente fragili e in balia di un nemico invisibile. Inoltre, siamo costretti a ridimensionare la portata spesso considerata salvifica di istituzioni sanitarie che costituiscono l’eccellenza della sanità italiana e non solo. Scopriamo, forse con terrore, che discipline dalla solida e antica tradizione, che negli ultimi due secoli hanno garantito il rapido addomesticamento di condizioni morbose prima considerate generatrici di morte, sembrano vacillare. La diffusa concezione, o sarebbe meglio dire speranza, secondo la quale gli scienziati debbano dare risposte definitive e infallibili alle nostre paure viene miseramente distrutta. Persino la consueta solidità emotiva dei professionisti abituati a lavorare in situazioni di grande intensità, come le rianimazioni, appare fortemente scossa dalla portata di quanto sta accadendo (ha avuto una certa risonanza l’intervista di un anestesista il quale, divenuto improvvisamente paziente, con profonda angoscia descrive il meccanico rumore del respiratore, improvvisamente udito da una inedita prospettiva). Un numero davvero rilevante di lutti. Tutto ciò sta forse conducendo ad un meccanismo difensivo di désaffectation collettiva, con l’espulsione dalla psiche di percezioni, pensieri, fantasie e altri eventi di natura psicologica. Il primato assoluto dei bisogni biologici: il vivere per sopravvivere. Ciò che sembra restare è il puro dato concreto della profilassi e l’angoscia, la stessa presente nei pazienti désaffecté. Riguardo a ciò la McDougal sottolinea come l’angoscia perda il suo connotato psichico: «Si ha una dissociazione tra la rappresentazione di parola e la rappresentazione di cosa, e ciò fa sì che i segnali d’angoscia divengano l’equivalente di una rappresentazione di cosa, separata dalla rappresentazione di parola che darebbe senso all’esperienza» (McDougal, 1989, tr. it p. 109). La désaffectation collettiva sembra rendere impossibile l’accesso e l’elaborazione dei numerosi lutti resi evidenti dalla situazione attuale.    
Thanopulos (2020) in un suo interessante lavoro associando l’infezione virale al degrado ambientale scrive: «Siamo di fatto dissociati: la nostra attenzione è rivolta alla possibilità di ammalarsi e non all’incuranza di cui siamo già ammalati che mette a repentaglio, in modo altrettanto reale e ben più grave, la nostra sopravvivenza fisica». La dissociazione di cui scrive Thanopulos appare a mio parere evidente nel mancato accesso alla narrazione dominante dei numerosi studi di medicina ambientale che stanno ipotizzando un collegamento tra l’incremento dei casi di contagio nelle zone del nord Italia e le condizioni di inquinamento da particolato atmosferico[1]. Nessun accesso psichico a ciò che esula dalla immediatezza del tragico dato epidemico, a ciò che esula dal primato del biologico, della sopravvivenza.
Romano (2020) tenta di dare un interessante significato gruppale al fenomeno del contagio, mediante la teoria degli assunti di base di Bion, da egli stesso ampliata. Senza entrare nel dettaglio dell’interessante lavoro di Romano, è forse utile sottolineare come secondo l’autore in Lombardia, la regione più tragicamente colpita, venga distrutta la diffusa concezione gruppale (assunto di base dominante di simulazione) secondo la quale il popolo crede che i propri miti siano veri e attuali: il mito dell’efficienza, il mito della perfetta organizzazione, il mito del genio economico. La portata traumatica della distruzione di questi miti collettivi, creduti reali e attuali, deve essere enorme e sembra condurre alla necessità di estromettere qualsiasi significato psichico all’esperienza, divenuta unicamente un dato sanitario.
Anzieu (1976) studiando il processo che avviene nella vita di un gruppo, che include dentro di sé diversi elementi che conservano distinzione e individualità, ma che funziona anche come unità autonoma, attribuisce a tale processo gruppale una parte della funzione di pelle mentale che gli individui esercitano per loro conto. Quello che permette lo svolgersi di tale funzione è la dimensione dello spazio psichico tra gli individui che ne fanno parte, che istituisce un sentimento di libertà favorevole agli scambi e alla costituzione di una temporalità storica. Occorrono spazio e tempo psichico per rappresentare e permettere a forme in trasformazione di rendere figurabile e digeribile la nuova esperienza. Come acutamente descritto da Thanopulos (2020/2), «il potere psicologico/ideologico dei bisogni biologici […], la mentalità collettiva anonima, l’assetto psichico antrophofobico dell’individuo desolato», il funzionamento collettivo désaffecté, costituiscono grave impedimento al processo gruppale descritto da Anzieu, e costituiscono un grave impedimento ad accettare, obtorto collo, come afferma Bolognini (2020), di sentirsi tristi e impauriti.

 
Bibliografia
Anzieu D. 1976, Il gruppo e l’inconscio, Borla, Roma 1990.
Bergeret J. 1996 La personnalité normale et pathologique, Dunod, Paris. Tr. it Bertelli G. e Finazzi A. “La personalità normale e patologica”, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2002.
Bolognini S. 2020, La paura del contagio. La Repubblica del 13/03/2020.
McDougall J. 1989 Theaters of the body, Free Association Books, London. Tr. it. Serra A. “Teatri del corpo”, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1990.
Romano R. 2020, L’epidemia del coronavirus. Spiweb, sito ufficiale della Società Psicoanalitica Italiana, sezione psicoanalisi e cultura. https://www.spiweb.it/cultura/lepidemia-del-coronavirus-r-romano (ultimo accesso 22/03/2020).
Rorschach H. 1932 Psychodiagnostik, hans Huber, Bern. Tr. it. “Psicodiagnostica”, Kappa, Roma, 1981.
Sofocle Edipo Re. Tr. it. (a cura di) Bellotti F. “Sofocle. Tutte le tragedie”. Rusconi, Rimini, 2007. 
Thanopulos S. 2020, Coronavirus e l’Amichina come sindrome, ovvero la paura di vivere. Rivista Pol.it Psychiatry on line Italia. http://www.psychiatryonline.it/node/8448 (ultimo accesso 22/02/2020).
Thanopulos S. 2020/2, L’epidemia, la «città» e il vivere e filosofar. Il Manifesto del 21/03/2020, Sezione Rubriche.
 
 
 
 
 
 
 
    
 



[1] Ad esempio paper della SISMA di marzo 2020 (Società di Medicina Ambientale).
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