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PANDEMIA COVID-19: A CASA, IN EQUILIBRIO TRA PAURA E RESILIENZA

24 Mar 20

A cura di AISTED - Associazione Italiana Studio Trauma e Dissociazione

di Camilla Marzocchi, psicoterapeuta Bologna, AISTED, ESTD, Raffaele Avico, psicoterapeuta Torino, AISTED, ESTD

 

Dal 21 febbraio 2020 il nostro orizzonte quotidiano e di vita è cambiato: c’è una epidemia che coinvolge improvvisamente e inaspettatamente tutti nello stesso momento e (ora) in tutto il mondo. Come stiamo vivendo questo radicale cambiamento di prospettiva? Che segni lascerà questa esperienza sul piano personale, emotivo, psicologico, etico, sociale, economico, politico, umano?

Il Coronavirus ha invaso i nostri corpi, ma anche le nostre menti e ogni azione e ambito del quotidiano ne risulta inevitabilmente interconnesso; la stanza della terapia, nostro osservatorio privilegiato, certamente ne ha visto l’ingresso sin dai primissimi giorni di emergenza, entrando certamente tra i temi più affrontati per i vissuti complessi che ha generato: sfide emotive nell'affrontare i faticosi cambiamenti delle molte abitudini quotidiane, ma anche l’affiorare di ricordi di un passato più antico in cui ci si è sentiti per infiniti altri motivi proprio così: costretti, isolati, impotenti, vulnerabili, in balia di eventi nuovi e sconosciuti. Ma se siamo tutti vergini di fronte a questo nuova minaccia, a chi affidarsi per fronteggiarla al meglio e mettersi al sicuro?

Il senso di sicurezza, appunto, per noi esseri umani è un tema che resta sempre sul confine di un difficile equilibrio tra una percezione soggettiva, costruita nell’arco di tutta la propria vita emotiva e relazionale, e un necessario calcolo oggettivo dei rischi esterni, che pure abbiamo bisogno di considerare per proteggerci. Tutti – cittadini, governanti, scienziati – ci siamo improvvisati funamboli in questi giorni difficili: desiderosi di tenerci in vita nell’imminente pericolo, ma attenti a conservare le energie per tollerare un’emergenza che potrebbe prolungarsi, magari tenendo in tasca un po’ di forze per poter festeggiare alla fine del filo e iniziare la risalita una volta che il pericolo sarà passato.

Primo elemento destabilizzante: il nostro interfacciarci quotidiano con le notizie. All’inizio molto allarme. Seguito da troppo poco allarme per recuperare gli aperitivi persi. Milano non si ferma. Bologna non si ferma. Tutti di nuovo fuori a lottare a viso aperto. Ma contro chi?

Poi finalmente una indicazione concreta dall’OMS: non serve tenersi aggiornati minuto per minuto, se non a creare stati di ansia, panico e sopraffazione. Una volta al giorno e sui canali ufficiali è sufficiente per restare informati e proteggersi. E comunque: è meglio restare in casa per attività non necessarie.

Ma dopo quel primo allarme è duro il ritorno alla calma.

E non si tratta solo di una difficoltà individuale, di una incapacità soggettiva e auto-regolante, ma di una difficoltà che abbiamo avuto tutti come specie nel far rientrare un allarme che da esterno è diventato interno e continuo, rendendo evidente uno scenario neurobiologico più complesso cui siamo tutti assoggettati.

Da una prospettiva psicotraumatologica è impossibile non notare gli effetti emotivi di questa improvvisa perdita del senso di protezione e sicurezza: il nostro sistema di difesa primitivo (Porges, 2001) è entrato subito in azione e per tutti ha funzionato sulla base delle informazione (e delle notizie!) captate nell’ambiente circostante.

Quando ci sentiamo davvero minacciati infatti, la Neurocezione (Porges, 2004) – capacità innata del sistema nervoso autonoma di intercettare pericoli nell'ambiente – attiva il sistema di difesa che taglia le attività corticali, la razionalità e il ragionamento, per farci agire velocemente a protezione della nostra vita. Ma cosa succede se questo sistema di difesa viene sollecitato in modo eccessivo, continuativo e incoerente?

Le normali difese di richiesta di aiuto (attacchment-cry-for-help), attacco (fight), fuga (flight), congelamento (freeze), resa/sottomissione (submission/collapse) entrano in crisi perchè non sono fatte per reggere segnali minacciosi, incoerenti e imprevedibili troppo a lungo, soprattutto quando ci vengono “dall’alto”, da chi ha la responsabilità di proteggerci.

Gli effetti li abbiamo visti insieme: rientri al Sud per sentirsi di nuovo al sicuro in famiglia (pianto di attaccamento).  Esplosioni di rabbia e violenza verso i cinesi, i lombardi, il paziente zero, il vicino che non si lava le mani, il governo, il sistema economico, il capitalismo (attacco/fight). Fuga dalle città del nord, fuga dagli ospedali, fuga sulle piste da sci, minimizzazione (flight/evitamento). Seguire minuto per minuto le statistiche del contagio con ansia, panico, terrore, non riuscire a fare altro che pensare al Coronavirus, smettere di mangiare, dormire, lavarsi, restare bloccati più di quanto richiesto (freeze/congelamento). Fatalismo, negazione, rinuncia alla protezione (collapse).

Ma adesso finalmente la situazione è più chiara: c'è una pandemia da fermare, o almeno da rallentare, in cui tutti siamo chiamati a collaborare.

Certamente non una bella notizia, ma almeno un’informazione che il cervello può iniziare ad elaborare.

SINTOMI

Cerchiamo di comprendere, in punti, cosa sta succedendo alla mente delle persone in questi giorni. Come prima accennato, la lente della psicotraumatologia ci può aiutare a meglio inquadrare i sintomi, o le manifestazioni psicologiche di un sistema di difesa alterato in modo protratto.

É importante leggere quello che sta succedendo per comprendere come le risposte disadattative e che potrebbero essere definite “psicopatologiche”, sono già presenti in noi in forma minimale: alcuni eventi esterni (come quello che viviamo) possono produrne una manifestazione più acuta.

In questi giorni l’attenzione mediatica e l'energia mentale degli individui sembrano giustamente polarizzate sul tema “coronavirus”, con alcune manifestazioni peculiari, che potremmo osservare usando come cornice teorica la teoria psicotraumatologica:

Che fare, quindi?

Come osservato, il nostro cervello è fatto per rispondere a situazioni emergenziali in modo immediato ed eccellente: quando però l'emergenza si prolunga è necessario per tutti noi iniziare a sviluppare risorse più complesse delle difese animali, e riuscire ad orientarci nel presente cercando le risorse ancora accessibili e utili a navigare dentro l'urgenza, con crescenti capacità e fiducia verso un ritorno alla sicurezza.

Una buona notizia: il cervello umano è capace di adattarsi a situazioni inimmaginabili e questo processo di adattamento è di solito naturale: abbiamo un picco di terrore e smarrimento (trauma), poi -se abbiamo sufficiente supporto intorno, una cornice chiara in cui muoverci, adeguate risorse interne ed esterne-, gradualmente iniziamo a costruire nuove prospettive e possibilità, imparando e traendo forza proprio dall’esperienza negativa vissuta (crescita post-traumatica). In una parola: Resilienza.

Ma cosa succede se la paura del Covid-19 arriva a colpire chi sta già vivendo una situazione di sofferenza emotiva? Come può manifestarsi la paura nella mente di una persona che ha vissuto traumi e trascuratezza importanti nella sua vita, sopraggiunta questa ennesima emergenza?

Proviamo ad esplorare alcuni aspetti emotivi che potrebbero riguardare questi ultimi individui, coinvolti nella gestione dell'emergenza.

Fattori di rischio: trigger presenti, paure antiche.

Alcune situazioni specifiche e quotidiane legate alle condizione di “quarantena forzata”, cui tutti siamo sottoposti, potrebbero diventare trigger molto potenti di antichi traumi. I trigger sono stimoli attuali e contingenti capaci di ri-attivare memorie implicite di situazioni, emozioni, pensieri o azioni del passato: essi sono capaci di ri-attivare emozioni negative proprio in virtù del della immediata associazione con quelle esperienze.

Alcuni trigger possibili:

Possibili fattori protettivi: il trauma come risorsa.

Chi ha vissuto traumi importanti, nella sua vita e soprattutto nella prima infanzia, è abituato a vivere in guerra e come tale ha molte armi e risorse pronte all’uso che altri potrebbero non avere così allenate. Le condizioni di stress post traumatico o trauma complesso preparano necessariamente alla condizione di gestire continuamente stati di paura, spesso incontrollati, e questo potrebbe rendere più familiare e gestibile, per alcuni individui, la situazione attuale.

Per tutti, nessuno escluso, sarà importante tenersi in salute fisica e emotiva, con tutto quello che abbiamo usato nei momenti difficili e che ci è stato utile, recuperando gradualmente terreno dall’impotenza delle settimane trascorse, per fare semplicemente il meglio con quello che abbiamo.

Per i più coraggiosi, fermarsi e lasciar emergere quello che affiora nei momenti di vuoto potrebbe rivelare belle sorprese e magari rendere l’attesa un momento di riflessione e ricerca compassionevole per se stessi e il mondo intorno.
 

Bibliografia:

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