Questo scritto nasce dai miei appunti per la relazione nel dibattito organizzato a “Quarto Pianeta”, per il Festival Teatrale dell’Acquedotto nel giugno 2019, con la partecipazione di Mirco Bonomi, Natale Calderaro e del sottoscritto. Lo ripropongo ad un anno di distanza, ricordando il piacere e l’interesse di quel dibattito tra tre persone con storie personali e professionali differenti, le cui vite si sono talvolta incrociate o ritrovate, allorché c’era da schierarsi, dalla stessa parte. Quella dei diritti dei pazienti. Ovvero, come sempre, dei diritti di tutti/e.
Possiamo dire oggi, due anni dopo la celebrazione del 40° anno dalla L.180/78, che la rivoluzione basagliana sia stata attuata?
Il 12 maggio 2019 (il giorno prima del “41° compleanno” della Legge 180) è stata usata la pistola taser per bloccare un soggetto con problemi psichiatrici degente nel reparto di psichiatria dell’ospedale Santa Maria Annunziata a Bagno a Ripoli (Firenze). Contro un 42enne pregiudicato, che aveva una ordinanza prescrittiva di ricovero in REMS.
Il Taser è stato utilizzato dai carabinieri intervenuti nel reparto (per la terza volta in due giorni) con grande soddisfazione del Ministro dell’Interno Salvini, in carica al tempo, il quale ha immediatamente dichiarato a commento del fatto che “«La pistola elettrica funziona e si dimostra uno strumento prezioso per le Forze dell’Ordine: la sperimentazione è quasi finita, da questa estate sarà nella normale disponibilità delle donne e degli uomini in divisa. Dalle parole ai fatti». (fonte Corriere della Sera/ Corriere Fiorentino https://corrierefiorentino.corriere.it/firenze/notizie/cronaca/19_maggio_12/taser-usato-paziente-psichiatrico-salvini-strumento-prezioso-05e8281a-74c5-11e9-9676-d96211275ea8.shtml). Dichiarazione intervenuta nell’assordante silenzio del resto dei ministri.
Tre interventi dei carabinieri in un reparto di psichiatria e l’uso del taser rappresentano forse un aggiornamento tecnologico di un sistema.
Di quello repressivo magari, ma certamente non del sistema sanitario.
Di un sistema non di cura, ma repressivo, poliziesco anziché sanitario.
Un simile sistema non guarda al paziente, ai suoi diritti, alla sua dignità. E’ la negazione dell’impostazione di Basaglia e della L. 180. A 42 anni dalla Legge ispirata all’opera di Basaglia, dall’affermazione che la malattia mentale non è e non può essere un problema di ordine pubblico, dal principio che la psichiatria non è e non può essere uno strumento di controllo sociale.
Siamo consapevoli che l’episodio del taser sia un caso limite, che per fortuna pare non avere avuto seguito, forse per la caduta del governo e del Ministro che lo ha esaltato, avvenuta per ben altre e diverse ragioni.
Tuttavia, il taser è solo la punta dell’iceberg delle contraddizioni che contraddistinguono da anni la tutela della salute mentale pubblica. E’ l’estremizzazione di un processo operato dalla destra più becera, consentito a volte inconsapevolmente dalle forze politiche che si sono succedute al governo e nelle amministrazioni, anche alternandosi all’opposizione.
Non da ultimo, consentito da noi tutti/e in qualche modo: ché è troppo comodo e auto assolutorio considerare la democrazia come puro e semplice esercizio del diritto di voto alle scadenze elettorali.
Lasciamo perdere per un momento i problemi, reali e certamente incisivi, del continuo definanziamento del sistema sanitario, del blocco delle assunzioni, dell’outsourcing delle prestazioni quasi sempre al ribasso, per contenere costi o non riconoscere le proprie inefficienze.
Consideriamo alcuni fatti.
I TSO, ad esempio.
Nelle grandi città vengono eseguiti abitualmente seguendo solo a livello di forma la procedura di Legge. Il provvedimento appoggiato sul paziente mentre entra nel reparto ospedaliero. O quando è già dentro.
Nelle piccole città, non di rado i TSO vengono addirittura decisi direttamente dalle autorità di pubblica sicurezza, come accaduto nella bassa padovana, dove si è verificato il caso che ha provocato la morte di Mauro Guerra, su cui abbiamo scritto in questa rubrica.
Il caso di Mauro Guerra si accompagna ad altri TSO con esito tragico: Andrea Soldi a Torino, ucciso con uno strangolamento eseguito dagli agenti di polizia municipale, sotto gli occhi di uno psichiatra. Strangolamento seguito dal caricamento di Soldi, prono e ancora privo di coscienza per lo strangolamento subito, su una barella in ambulanza, senza alcun controllo delle sue condizioni da parte del medico, nonostante le evidenti condizioni di sofferenza. Per tali fatti, nel 2018, in primo grado, gli imputati sono stati condannati dal tribunale di Torino ad un anno e otto mesi.
Prima ancora, nel 2012, Mastrogiovanni, sottoposto a TSO e a contenzione in un letto senza interruzione per giorni nel reparto psichiatrico; un T.S.O. attuato più per esigenze investigative che non psichiatriche. La Cassazione ha confermato la condanna dei responsabili.
Si potrebbe continuare con gli esempi. Sono compatibili eventi di questo tipo con l’esperienza basagliana? Con lo spirito della L. 180? Con la stessa definizione moderna di psichiatria?
Perchè la psichiatria è affrontare la sofferenza, non far isolare; è costruire una rete di relazioni; insieme, ovviamente, a molte altre cose che fanno parte dell’arte medica, esercitata nel rispetto dei diritti del paziente, primo tra tutti quello della dignità.
Se la sofferenza è compresa, se la relazione è instaurata (e instaurarla richiede grande professionalità, tempo, empatia, partecipazione, ascolto, dialogo, ai quali Carabinieri e Polizia non sono quasi mai preparati), quasi mai occorre l’esercizio della forza, meno che mai occorrono armi o tecniche di combattimento.
Ma soprattutto, occorre sempre, in psichiatria, il rispetto della dignità. Chi scrive non è un medico, svolge un’altra professione, ma crede che il perno della rivoluzione basagliana sia stata l’affermazione dei diritti del paziente, tra cui in primo luogo la sua dignità. Il diritto più difficile da rispettare, il più facile da dimenticare e da calpestare.
La scoperta, prima ancora della sua affermazione, che la tutela della dignità del paziente psichiatrico porta con sé l’affermazione della scienza medica, non la sua negazione.
La dignità non è un astratto concetto morale, è un diritto previsto, consacrato anzi, nella Costituzione, nella Carta Fondamentale dei Diritti dell’Unione Europea, nella Convenzione dei Diritti dell’Uomo; è uno dei pilastri di tutto il sistema internazionale dei Diritti Umani.
Oggi siamo per fortuna molto lontani dalla totale negazione della persona e della sua dignità, quella che si consumava nei manicomi e che era certificata nella Legge del tempo.
Certo, il caso del taser di Firenze è ancora un caso isolato. Ma la soddisfazione istituzionale per l’elettrocuzione da parte della polizia, senza nemmeno la parvenza di “scusa” terapeutica, di un paziente ricoverato in reparto psichiatrico, non è di buon auspicio per il futuro prossimo venturo e conferma da sola la parziale attuazione della Legge 180/78.
Ma l’incompiutezza della rivoluzione di Basaglia non si misura solo nelle modalità di attuazione del T.S.O.: si misura anche nell’assistenza e cura quotidiana.
L’assistenza psichiatrica per la fase sub acuta della malattia è affidata ad un sistema misto, pubblico privato, di strutture extra ospedaliere residenziali e semi residenziali unitamente ai servizi territoriali del Dipartimento di Salute Mentale.
Un sistema che è regolato dalla triade autorizzazione, accreditamento, contratto con il Servizio sanitario regionale, per l’erogazione di prestazioni remunerate a tariffa: una tariffa costruita in relazione agli standard richiesti alla struttura e che non consente, o almeno non dovrebbe consentire, un vero e proprio “libero mercato” delle strutture accreditate dalle quali il Servizio Sanitario Nazionale acquista le prestazioni sanitarie peri cittadini.
Per questo il giudice amministrativo ha detto più volte no alla salute “a tempo” in psichiatria: nel 2008 il TAR Lombardia (Sez. III, n. 2098/08), nel 2019 il Consiglio di Stato ( sez. III n. 1858/19) bocciando il limite massimo di ricovero extra ospedaliero per la salute mentale e le dipendenze previsti nei nuovi L.E.A. introdotti nel 2017.
Ebbene, nonostante ciò, oggi in Liguria si discute, con un contenzioso davanti al giudice amministrativo che si protrae per quasi tutta la presidenza Toti e che ha visto sino ad ora l’annullamento dei relativi provvedimenti l’introduzione della “salute marginale” (argomento più volte affrontato in questa rubrica, qui, e qui ).
Da parte dell’Amministrazione regionale si prendono le tariffe e il numero di posti letto assegnati dal contratto con il Servizio Sanitario Regionale alle strutture accreditate e si dice che ci sono dei costi marginali, cioè che oltrepassate un certo numero di prestazioni c’è una possibilità di risparmio sul riscaldamento, sul vitto, sulle attività, sui costi del personale, sui costi della sicurezza sul lavoro. E quindi, si riducono le tariffe oltre la soglia di prestazioni scelta.
Dal calcolo e dalla riduzione dei costi marginali, però, non può che nascere la salute marginale.
E non basta: si dice che superati 65 anni le necessità terapeutiche per i pazienti psichiatrici diminuiscono e quindi può diminuire la tariffa del 30%. Qui addirittura si teorizza che diventando giuridicamente anziani al 65° anno, la propria salute mentale migliora: il tempo cura ogni cosa, a quanto pare.
Tutto questo, per inciso, incide sul diritto all’esercizio della libera impresa (profit o del terzo settore), diritto tutelato dall’art 41 della costituzione, dal diritto dell’UE e dalla CEDU.
Ma prima ancora, tutto questo non può che incidere sul diritto alla salute dei pazienti assistiti da quelle strutture dove si pratica la “salute marginale”.
Perché se si costringono le strutture extra ospedaliere ad operare sottocosto si mette in crisi il sistema, si favoriscono gli accentramenti di proprietà, si favorisce una standardizzazione al ribasso delle cure e dell’attenzione del paziente.
Se la comunità terapeutica è l’ambiente che cura, che cosa significa ridurre al massimo i costi e quindi uniformare l’arredamento, impoverire il cibo, ridurre le attività salvando solo quelle più economiche, incidere in negativo sui costi del lavoro, sulla formazione degli operatori e via dicendo?
Significa uniformare tutti i pazienti, le loro cure per situazioni diverse; significa favorire le concentrazioni non solo della proprietà delle strutture comunitarie terapeutiche, ma dei pazienti in grande numero; significa incentivare l’uso dei farmaci per rendere più docili i pazienti e così compensare la minore capacità e professionalità degli operatori.
Significa svilire e depotenziare decenni di esperienze di terapia comunitaria, scientificamente validata.
Significa mettere in forse quarant’anni di abbandono dell’esperienza manicomiale, la cui inefficacia terapeutica ed anzi la sua funzione criminale sono scientificamente validate.
Tutto questo fa il triste paio con il costante impoverimento dei servizi territoriali, definanziati, con sempre meno operatori.
Basaglia diceva di non voler chiudere i manicomi, ma di volerli aprire.
La salute marginale, o l’affermazione (sbagliata peraltro) che concentrazioni maggiori di pazienti favoriscano la prevenzione del contagio durante le pandemie, hanno un verso preciso, che è nella direzione dell’istituzione manicomiale.
Sarebbe un errore, però, pensare che la salute marginale in Liguria nasca come un edificio nel deserto e non anche dagli errori passati.
Ho ormai una pluridecennale esperienza di impugnazione davanti al Giudice Amministrativo dei provvedimenti che riguardano l’assistenza psichiatrica, ed oltre a quelli già citati per la Lombardia, la Liguria, il Piemonte ecc., ne ricordo altri due esempi, estremamente significativi, che anch’essi mi hanno visto Avvocato in causa, riguardanti la Liguria e precedenti alla battaglia contro la salute marginale. Due esempi con due amministrazioni di colore politico opposto.
Che si sommano ad altre operazioni meno note e discutibili sull’area dell’ex Ospedale Psichiatrico di Cogoleto compiute nel corso degli anni dalle Giunte regionali liguri.
La prima operazione avvenne con la Giunta Biasotti, la quale voleva regalare, ad un prezzo simbolico, l’area dell’ex Ospedale Psichiatrico di Genova Quarto all’allora nascente Istituto Italiano di Tecnologia. “Dimenticando” però che la Legge prevedeva che i proventi di quell’area dovevano essere in parte destinati all’assistenza psichiatrica. E che regalare l’area significava sottrarre risorse all’assistenza psichiatrica.
Impugnarono le delibere della Giunta Regionale le associazioni dei pazienti psichiatrici e dei loro familiari.
Si disse allora, da parte della Giunta (e non solo) che contrastare l’operazione di assegnazione dell’area all’IIT significasse assestare un colpo mortale ad una operazione importante per la città, la regione e il paese intero.
Non fu così. I ricorsi bloccarono l’operazione. La Giunta Burlando, che seguì la Giunta Biasotti con due mandati successivi, risolse la questione trovando un’altra area per l’I.I.T., che oggi è una realtà.
Ma la stessa Giunta Burlando, oltre ad una serie di altre operazioni immobiliari sempre sull’area dell’ex Ospedale Psichiatrico di Quarto, promosse anche una incredibile gara di appalto, con “lotti di pazienti” da aggiudicare al massimo ribasso. Potevano partecipare alla gara anche soggetti con strutture private ancora da realizzare, autorizzare ed accreditare. Non mi risulta sia mai successo altrove.
Questa gara suscitò però l’indignazione delle strutture extra ospedaliere già operanti sul territorio ligure, che insieme alla loro organizzazione rappresentativa (FENASCOP) impugnarono il bando di gara.
Ma sollevò soprattutto una grande opposizione e sdegno da parte della cittadinanza e delle associazioni, degli operatori sanitari, che fu determinante ed alla fine condusse al ritiro della gara prima che il TAR arrivasse a Sentenza; con la nascita dell’esperienza di “Quarto Pianeta”, che ancora oggi sopravvive nell’area dell’ex Ospedale Psichiatrico.
Un’esperienza da coltivare e difendere.
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