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Benjamin Rush (1746-1813), padre della psichiatria americana

5 Set 20

A cura di Luigi Benevelli

 
 Benjamin Rush, medico, filantropo, di fede presbiteriana, riformatore sociale, politico, intellettuale illuminista, fu fra i protagonisti della Rivoluzione Americana antibritannica e i firmatari della Dichiarazione di Indipendenza del1776 in qualità di delegato della Pennsylvania.  Si dichiarò e batté per l’accesso delle donne all’istruzione superiore, contro la pena capitale in caso di omicidio, contro  lo schiavismo, per una riforma del regime penitenziario che offrisse soprattutto opportunità di lavoro ai detenuti.
Rush credeva che gli Stati Uniti fossero il centro a partire dal quale il Creatore stava operando per riformare il mondo intero, come avrebbe dimostrato il fatto che il Nuovo Mondo, da subito, era diventato luogo di libertà, rifugio politico e religioso per gli Europei in fuga dalle persecuzioni. E come medico, aggiungeva che i lealisti britannici avrebbero sofferto di ipocondria, a differenza dei partigiani americani che avrebbero goduto invece, si direbbe oggi, di una buona salute mentale[1].
Nel  1965 Benjamin Rush è stato proclamato “padre” della psichiatria americana dall’American Psychiatric Association. Aveva studiato medicina in Europa, all’Università di Edinburgo; fu professore all’Università della Pennsylvania.
Secondo Rush, le patologie mentali derivavano da anomalie della irrorazione sanguigna del cervello, la sede della mente: la mania, ad esempio, sarebbe stata dovuta ad una infiammazione dei vasi. Rush coniò nuovi termini diagnostici quali manicula a indicare disturbi ipomaniacali, tristemania per stati depressivi leggeri da tenere distinti dalla melanconia; egli redasse poi un catalogo delle fobie: dello sporco, degli insetti, della casa, tipiche queste dei maschi che preferiscono trascorrere il loro tempo nelle taverne[2].
Silvano Arieti[3], così ne parla:
Il dr. Rush, con una mente acuta e la migliore formazione possibile all’epoca, affrontò il problema dei disturbi mentali, una questione tanto pervasa (allora) di superstizioni, ignoranza e pregiudizi quanto oggetto di abbandono e trattamenti brutali. Fu, a quanto risulta, il primo medico americano ad affrontare la ricerca ed i trattamenti dei disturbi mentali da un punto di vista scientifico, il primo professore americano a proporre una sistematizzazione originale della psichiatria e il primo a scrivere un trattato di psichiatria in America, pubblicato nel 1812 col titolo Medical inquiries and observations upon diseases of the mind che rimase per 70 anni l’unico testo americano in materia.
Le sue terapie principali erano purganti, emetici, salassi, la cosiddetta “trinità” psichiatrica. Lo stato della circolazione del sangue nel cervello costituiva il centro della sua elaborazione teorica e delle sue terapie. Progettò per i trattamenti due macchine: il Gyrator[4], basato sull’assunto che l’azione centrifuga avrebbe aumentato la circolazione cerebrale e “riassestato” il cervello, e il Tranquilizer [5] per produrre i benefici della coercizione. Nel suo trattato raccomandò anche il trattamento del ducking  che consisteva nel prendere il paziente di sorpresa, buttarlo in acqua, e tenercelo fino al rischio che affogasse, una primitiva terapia di shock. Queste misure di shock erano ritenute efficaci in quanto tali.
Secondo Zilboorg, “fino al 1840 nessuno regge il confronto con Benjamin Rush […] il quale, pur essendo un pioniere e un innovatore  per i suoi tempi, portò poca originalità nel campo psichiatrico americano. Il terreno era ancora vergine e a Rush va il credito di essere stato un iniziatore energico e dalle idee ben chiare. Il suo punto di vista fu conforme  a quello della tradizione europea e, anche se rivoluzionario e firmatario della Dichiarazione d’Indipendenza, in psichiatria fu un conservatore[6].
 
Molto più severo invece è il giudizio di Edward Shorter che nella sua Storia della psichiatria[7], parla di un “organicismo grossolano” di Rush,basato sull’asserzione che la causa della pazzia è sita principalmente nei vasi sanguigni cerebrali e dipende dalle medesime anomalie e dagli stessi fattori patologici che sono alla base di altre malattie arteriose. Quindi le malattie mentali non avrebbero avuto nulla di specifico, essendo semplicemente “parte della malattia, in particolar modo della febbre, di cui la pazzia è una forma cronica che colpisce quell’area del cervello che è la sede del pensiero”.
Secondo Shorter, inoltre, come fondatore della psichiatria, Rush sarebbe stato particolarmente ipocrita per lo scarto fra la teorizzazione della terapia morale e occupazionale del suo trattato e la realtà dell’assistenza nel Pennsylvania Hospital dove operava, come riscontrato dai  visitatori dell’Istituto.
 
Rush, che fu tra i primi, se non il primo, a raccomandare l’abolizione della pena di morte per il reato di omicidio, il lavoro e la detenzione in carcere, avrebbe fatto in America ciò che Pinel ed Esquirol fecero in Francia, anche se le sue indicazioni circa i trattamenti efficaci appaiono paradossali: protestava perché fossero rimosse le catene e progettava la tranquilizing chair o l’affogamento in acqua, metodi antichi per i quali essendo il folle tenacemente attaccato alle sue idee, poteva essere ricondotto a ragione  con trattamenti che producevano dolore e terrore, ossia l’intimidazione come rimedio più efficace.
 
Benjamin Rush e la questione schiavismo
Nel 1766 il giovane Rush si scandalizzò alla vista di 100 navi negriere attraccate nel porto di Liverpool. Sollecitato in particolare da Anthony Benezet, quacchero, filantropo[8], redasse An Address to the Inhabitants of the British Settlements in America, upon SlaveKeeping  che fu pubblicato nel 1773, documento che aprì una lunga campagna per l’abolizione dello schiavismo e il benessere dei Neri. In questo pamphlet Rush sosteneva che i negri non erano inferiori moralmente ed intellettivamente: tutte le imperfezioni e tutti i vizi attribuiti ai Negri del Sud e a quelli delle Indie Occidentali, quali pigrizia, slealtà, ladroneria e altri ancora, erano solo il risultato peculiare dello schiavismo. La schiavitù degli umani era un fatto mostruoso e non ne corrompeva solo i corpi ma anche le facoltà mentali; la restituzione delle menti e dei corpi al loro stato naturale di libertà avrebbe fatto scomparire i vizi conseguenti alla schiavitù e fatto emergere una nuova, più virtuosa umanità. Poiché Dio stesso aveva conferito alle donne e agli uomini di ogni colore la capacità di riconoscere il sublime e la bellezza. Di qui la considerazione che la speranza per il Negro poggiava sulla riforma morale della società dei bianchi, l’emancipazione, l’educazione, la religione.
Per favorire l’emancipazione dei Negri e la loro piena partecipazione alla vita civile Rush lavorò per la fondazione della prima Chiesa Africana in Philadelphia,  l’African Episcopal Church of St. Thomas, un punto di svolta nel perseguimento  della libertà dei Neri. Dalla sua raccolta di citazioni:
Ho immaginato di radunare la domenica molte centinaia di Negri che passano la giornata nell’ozio. È un esempio che può essere seguito da molte Chiese degli altri Stati e può essere un modo per diffondere il Vangelo in Africa, così come la Rivoluzione americana ha diffuso la libertà in Europa? Allora forse gli Africani d’America potranno dire a coloro che li deportarono come schiavi ciò che Giuseppe disse ai sui fratelli quando si condannavano per averlo venduto in Egitto:
“Ma ora non vi rattristate, e non vi rincresca di avermi venduto per essere condotto qua. Iddio mi ha mandato davanti a voi per vostra conservazione” (Gen. XLV, 5)[9].
Nell’argomentare di Rush le motivazioni e le ragioni morali e religiose prevalgono, come si può notare, su quelle politiche. Secondo Rush la mano di Dio si poteva scorgere nella stessa Dichiarazione di Indipendenza che aveva sottoscritto come delegato della Pennsylvania ed il trionfo delle armi americane nel 1783 evidenziava come Dio stesse dalla parte dei ribelli bianchi e dei neri. Egli era così certo dell’ira divina per la tenuta in schiavitù dei Negri che arrivò a ipotizzare fosse necessaria una guerra civile per “espiare le colpe”.
Quanto agli schiavisti, egli affermava fossero affetti da una forma di follia, una malattia che chiamò “negromania”, caratterizzata o da deficit o da eccessi di percezione  di ciò che è vero, reale dovere ed interesse. La “negromania” avrebbe afflitto prima della Rivoluzione gente di tutte le parti della nazione americana; dal 1783 sarebbe rimasta prevalente solo nel Sud. I negromaniaci non riuscivano a cogliere il fatto che la schiavitù violava le leggi della natura e di Dio e che benessere, salute, felicità dei bianchi sudisti affondavano le radici solo nel libero lavoro dei Negri Africani che il Creatore aveva collocato in ambienti tropicali che non comportavano lavori faticosi per trovare sostentamento, alimentazione, da vivere.
Nel 1780 lo Stato della Pennsylvania approvò la prima legge abolizionista
Il canto e il danzare dei Negri erano, secondo Rush, segni di malinconia, tristezza, quindi prove della loro condizione miserabile. A conferma che la cura vera era quindi la libertà.
Nessuna sorpresa che gli schiavi soffrissero di malattie della mente e del corpo quali la depressione, trisma (contrattura spastica dei masseteri, muscoli della mandibola, che provoca difficoltà o impossibilità ad aprire la bocca), disturbi alimentari, gravidanze a rischio.
Come riformatore sociale, Rush propose di sostituire la coltivazione della canna da zucchero nelle piantagioni con la raccolta dello zucchero dall’ acero, un progetto con il quale intendeva minare alla base i fondamenti economici dello schiavismo. Thomas Jefferson si interessò al progetto.
I Negri, una volta liberati dalla schiavitù e dalla paura avevano bisogno di cure e particolare assistenza. Nei 3000 liberati presenti in Filadelfia nel 1791, osservò uno stato di depressione imputato alla mancanza di educazione regolare e istruzione religiosa. Di qui la proposte, insieme ad altri riformatori quali Granville Sharp di fondare ancora nuove Chiese di Afroamericani e  di collocare gli schiavi liberati in fattorie modello messe a disposizione da donazioni di terre.
In conclusione, tutti i progetti di Rush sono ragionati e pianificati secondo modi tipici dell’età dell’Illuminismo nella quale la scienza è impiegata per combattere paure e superstizioni e far avanzare la civilizzazione dell’uomo. Lo schiavismo che egli combatte era fattore di corruzione non solo degli schiavi ma anche dei padroni e, per associazione, tutti gli uomini.
Per ultimo Rush in un documento scientifico redatto per l’American Philosophical Society ipotizzò, a proposito della questione razziale, che anche il colore della pelle del Negro era spiegabile come una questione naturale, come sintomo di una forma di lebbra: l’essere negri era una malattia e si poteva confidare che i progressi della medicina ne avrebbero trovato i rimedi.
Insomma, alla fine, comunque, anche per Rush, il colore della pelle era segno di una patologia.

 


[1] Mark S. Micale & Roy Porter, Discovering the history of psychiatry, Oxford università Press, 1994, p.58.
[2] Michael Stone, Healing the mind. A history of psychiatry from antiquity to the present, Norton company, New York, 1997, pp. 120-121.
[3] Silvano Arieti, American Handbook of Psychiatry, nona edizione, 1967, Basic books, vol. I, pp. 4-5.
[4] Seggiolino  girevole azionato fino a che il paziente non avesse perso i sensi. Avrebbe operato un riassestamento del cervello.
[5] Una poltrona predisposta non solo per la contenzione dei quattro arti, ma anche con la bendatura degli occhi ad assicurare il massimo isolamento sensoriale.
[6] Gregory Zilboorg e George W. Henry, Storia della psichiatria, Feltrinelli, Milano, 1973, p. 363.
[7] Edward Shorter, Storia della psichiatria, Masson, Parigi, 2000, pp. 14, 15 e 26.
 
[8] I quaccheri come Benezet e Granville Sharp erano riformatori sociali e religiosi, educatori antischiavisti. Si proponevano di testimoniare la presenza divina nel loro operare.
[9] Donald. J. D'Elia, Dr. Benjamin Rush and the Negro, «Journal of the history of ideas» (1969), 413-22.
 

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