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L’abbici della topologia per la psicoanalisi

5 Nov 20

Di Antonello Schiacchitano

 

Parlare di quantità in termini qualitativi è la scusa per parlare di topologia, la cosiddetta – male – “geometria di gomma”. Il discorso ha qualche attinenza con la psicanalisi.

 

0. Prima ricorrenza del concetto di “quantità” in Freud

Si trova nelle Neuropsicosi di difesa del 1894:

Si tratta di distinguere nelle funzioni psichiche qualcosa come un ammontare affettivo,1 una somma di eccitamento, che ha tutte le proprietà della quantità (anche se non abbiamo alcun mezzo per misurarla), cioè è qualcosa in grado di aumentare, diminuire, spostarsi, scaricarsi, estesa alle tracce mnestiche delle rappresentazioni quasi come una carica elettrica alla superficie dei corpi.2

Senza nominarla è la prima formulazione freudiana di libido.3 Bleuler, psichiatra scolastico, irrise Freud per aver proposto una quantità senza unità di misura; non sospettava che potesse trattarsi d’infinito. Lo sforzo teorico di Freud, accademicamente anomalo, va preso sul serio, perché tenta di concepire una topologia qualitativa per lo psichico. Avvia un progetto di ricerca non metrica sulla res extensa che i freudiani potrebbero sviluppare.

In generale, per trattare l’estensione vanno ammesse relazioni di vicinanza non solo quantitative, cioè misurate in centimetri, grammi, secondi come in fisica. Affrontare la quantità in modo qualitativo, per esempio ordinale, apre un campo di ricerca lontano dalla formazione letteraria di Freud: la topologia;4 Freud l’affrontò ingenuamente attraverso le cosiddette topiche. Il fatto notevole è che, pur ignorandone la filosofia,5 Freud abbia rovesciato Cartesio: estesa non è la res extensa ma la cogitans. Alla fine della sua parabola intellettuale Freud affermò che “la psiche è estesa (ausgedehnt); di ciò non sa nulla”.6

Per rimanere fedeli allo spirito di Freud, anche smontandolo, è meglio conoscere i principi base della topologia generale. È vero che il vero freudiano non può leggere solo Freud. Un po’ di Bourbaki non guasta; aiuta ad assimilare l’innovazione freudiana, ostica allo stesso Freud, il quale non seppe far di meglio che tradurla nello schematismo classico di causa ed effetto, l’aristotelico scire per causas. La metapsicologia pulsionale è un costrutto prescientifico che assume come cause psichiche le pulsioni; avvicina la psicanalisi alla filosofia e l’allontana dalla scienza moderna. Oggi vanno in onda dibattiti su psicanalisi e filosofia, non su psicanalisi e scienza. Mancano uomini di scienza in psicanalisi, non filosofi.

 

1. Rudimenti di topologia

Questo capitolo mostra quanto la topologia qualitativa sia pertinente alle scienze umane. Lo sapeva bene Queneau che ai tempi degli Esercizi di stile (1947) frequentava i seminari matematici del gruppo Bourbaki e nel 1960 fondò OuLiPo (Ouvroir de Littérature Potentielle, “officina di letteratura potenziale”), gruppo di scrittori e matematici di lingua francese e non solo. In particolare, l’approccio topologico abbatte l’assunto epistemologico freudiano “scientifico = quantitativo”, pregiudizio umanistico che condannò Freud come positivista.

Una topologia o struttura topologica trasforma l’insieme sostegno X in spazio topologico X. Una topologia sull’insieme sostegno X è una famiglia T di sottoinsiemi di X, detti aperti, chiusa rispetto alla loro unione e intersezione finita; significa che l’unione di aperti e l’intersezione di due aperti di T sono aperti della famiglia T. Uno spazio topologico è la coppia ordinata (X, T).

Nella retta dei numeri reali la famiglia degli intervalli aperti con estremi esclusi (a < x < b) forma la topologia euclidea, paradigma di tutte le topologie. La topologia euclidea si estende a spazi a più dimensioni generalizzando il teorema di Pitagora. Il riferimento alla retta dei numeri reali con topologia euclidea sarà costante in tutto questo sillabario topologico. In realtà tutta la topologia è l’estesa diffrazione di proprietà della retta reale.

L’insieme complementare di un aperto è chiuso. La stessa topologia si può definire mediante la famiglia T’ dei chiusi, soddisfacente gli assiomi duali degli aperti: l’intersezione di chiusi e l’unione di due chiusi sono chiuse. Nella topologia euclidea della retta reale gli intervalli con estremi inclusi [ax ≤ b] sono una famiglia di chiusi.

Per convenzione in ogni topologia il sostegno X e l’insieme vuoto sono aperti e chiusi (clopen).

Tradotta in termini qualitativi, cioè a prescindere dalla misura, vicinanza vuol dire che due punti sono vicini se appartengono allo stesso aperto o chiuso; più l’intorno è piccolo, più i punti sono vicini. In tempi di pandemia questa nozione di distanza è familiare. Oggi in Italia in tempi di Covid la massima distanza qualitativa in casa è un insieme di 6 persone.

Sullo stesso insieme di sostegno X si possono definire più topologie T, che introducono in X strutture topologiche diverse con differenti rapporti di vicinanza. Il loro numero cresce esponenzialmente con il numero di elementi di X. La topologia più grossolana, o minimale, ha solo due aperti: X e l’insieme vuoto. La topologia più fine, o massimale, detta anche topologia discreta, ammette come aperti tutti i sottoinsiemi di X. Sono topologie banali. La minimale non distingue tra vicinanze più o meno strette: tutti gli elementi sono vicini a tutti gli elementi. Per la massimale tutti gli elementi sono lontani da tutti gli altri.

Due topologie sullo stesso insieme sono confrontabili se la famiglia di aperti dell’una è contenuta in quella dell’altra. La famiglia con più aperti è la topologia più fine, quella con meno aperti è la meno fine. La topologia più fine dà più dettagli della meno fine sui rapporti di contiguità. La minimale è contenuta in tutte le topologie; la massimale le contiene tutte.

La contiguità topologica è anche una caratteristica degli operatori del processo inconscio primario: la sostituzione e lo spostamento. La sostituzione agisce “alla lontana”, lo spostamento “nelle vicinanze”; la prima avvicina il discorso a rappresentazioni psichiche estranee: “la vecchiaia è la sera della vita”; la seconda lo approssima alle familiari: le vele alle navi. I due operatori agiscono come metafore e metonimie nel corredo linguistico inconscio, come giustamente vide Lacan. Esse sono attrezzi per narrare la vita. La topologia, però, astrae largamente dalle narrazioni e dalla vita. Si muove in quello che Lacan chiamava campo freudiano, il luogo trascendentale dove si forma il desiderio del soggetto.7

Non si sbaglia a ritenere la topologia un algoritmo per approssimare. L’approssimazione è una novità della scienza moderna; gli antichi o non la conoscevano o non la ritenevano scientifica. Per esempio, non avevano il concetto moderno di limite. Per gli antichi greci peras era il confine che delimita una regione dall’esterno, là dove abitano i “barbari”. Non sapevano avvicinare il confine dall’interno. I paradossi di Zenone, ingiustamente famosi, testimoniano l’ignoranza della topologia. Achille raggiunge la tartaruga, perché il piè-veloce mette piede in ogni intorno della tartaruga per quanto piccolo sia in tempi sempre più brevi, che sommati danno un tempo finito.

Da umanista di formazione classica, Freud ereditò l’antica ignoranza, che tuttora attribuisce ad “approssimativo” un senso peggiorativo; ignorava che i numeri reali separano classi di numeri razionali approssimati per eccesso e per difetto al numero reale (Dedekind, 1872). Nella matematica moderna approssimare equivale a trattare la continuità: intuitivamente un’applicazione è continua se assume i valori cui si approssima a piacere (v. avanti).

La topologia che trasforma un sottoinsieme S di X in sottospazio S dello spazio X ha come aperti le intersezioni di S con gli aperti di X. La topologia di sottospazio è la meno fine tra tutte le topologie di S che rendono continua (v. avanti) l’inclusione di S in X.8 L’inclusione continua si chiama anche incorporazione (embedding). In teoria delle categorie quella di sottospazio è una topologia iniziale.

Seguono alcune definizioni sui rapporti tra punti e insiemi.

La nozione cerniera tra punti e insiemi è quella già citata d’intorno, l’insieme di punti vicini al punto dato. Un insieme V è intorno di un punto p se e solo se (d’ora in avanti abbreviato sse) in T esiste l’aperto che contiene p contenuto in V. Si considerano vicini punti contenuti nello stesso intorno. Sulla retta dei numeri reali con la topologia euclidea gli intorni del punto p contengono intervalli aperti (x, y), estremi esclusi, che contengono p; gli intervalli (x < p < y) contengono punti vicini al punto p; più l’intervallo è piccolo, cioè più la differenza tra x e y è piccola, più i punti sono vicini a p. Un punto non è in generale vicino a sé stesso; è come il significante lacaniano che non significa sé stesso ma il soggetto per un altro significante. Si dice che il punto p è vicino a sé stesso sse il singoletto p è chiuso in spazi T1 (v. avanti).

Con opportuni assiomi di filtro, che non riferisco, si può definire la topologia in termini di intorni. Il punto da ritenere è che la definizione locale, basata su intorni, equivale alla definizione globale, basata su aperti o chiusi; la stessa topologia si può definire in termini o di aperti (o chiusi) o di intorni. Una famiglia W di intorni di p è fondamentale sse ogni intorno di p contiene un intorno in W.

La nozione di intorno localizza proprietà dello spazio topologico che magari non valgono per lo spazio in generale ma solo per sue parti. Così si parla di connessione locale, di compattezza locale ecc. sse sono connessi o compatti gli intorni di ogni suo punto (v. avanti).

Una famiglia di sottoinsiemi dello spazio topologico X è localmente finita sse per ogni punto dello spazio esiste un intorno che interseca solo un numero finito di insiemi della famiglia; in alternativa, per ogni punto dello spazio esiste un intorno che ha intersezione vuota con gli insiemi della famiglia, eccetto un numero finito. In generale, l’unione di una famiglia di chiusi non è chiusa, ma l’unione di una famiglia localmente finita di chiusi è chiusa.

Gli spazi topologici localmente euclidei a n dimensioni sono varietà topologiche n-dimensionali. Lacan ha giocato una vita con le varietà topologiche bidimensionali – le superfici – prima di passare alle catene borromee.

Un punto è interno a un insieme sse ha un intorno contenuto nell’insieme. Un insieme è aperto sse tutti i suoi punti sono interni; alternativamente, un aperto è intorno di ogni suo punto. L’insieme dei punti interni all’insieme X è l’interno di X, a volte indicato con . Un punto è esterno a un insieme se è interno all’insieme complementare.9

Un punto è di frontiera per un insieme se non è né interno né esterno all’insieme. La frontiera realizza il principio non aristotelico tertium datur. Ogni intorno di un punto di frontiera contiene punti sia dell’insieme sia dell’insieme complementare. L’insieme dei punti di frontiera di un insieme forma la sua frontiera. Nella retta dei numeri reali con topologia euclidea l’insieme x, y è la frontiera dell’intervallo (x, y). Come si vede dalla scrittura, non contiene intervalli aperti. In seguito, per definire gli insiemi soggettivi, adotterò il teorema che la frontiera di un insieme non contiene punti interni. Un insieme è chiuso sse contiene la propria frontiera. Un insieme aperto non contiene la propria frontiera. La frontiera è un insieme chiuso.

Il paragone di Freud con la distribuzione delle cariche elettriche alla superficie di un corpo fa giocare la nozione di frontiera senza nominarla. Federn svilupperà la nozione di frontiere dell’Io (Ichgrenze). Per Freud le pulsioni sessuali operano alla frontiera tra somatico e psichico, una nozione analogica mal definita su cui si basa la medicina psicosomatica, buona solo a medicalizzare la psicologia, trasformandola in “astrologia giudiziaria”.10

Un punto, non necessariamente appartenente a un insieme, è aderente all’insieme sse ogni suo intorno contiene un elemento dell’insieme; un punto di frontiera è aderente sia all’insieme sia al suo complementare. Un punto è punto di accumulazione o punto limite dell’insieme sse ogni suo intorno contiene un punto dell’insieme diverso da quel punto. Lo 0 è punto di aderenza e di accumulazione dell’intervallo aperto (0, p) dei numeri reali perché ogni intervallo aperto che contiene lo 0 contiene un punto dell’intervallo (0, p) diverso da 0. Un insieme è chiuso sse contiene tutti i propri punti limite. L’intervallo [0, p] è chiuso. Il contrario di punto di accumulazione è punto isolato. Un punto p di un sottoinsieme S dello spazio topologico X è un punto isolato di S sse esiste un intorno di p che non contiene punti di S.

Uno spazio topologico è connesso sse non è l’unione di due o più aperti non vuoti disgiunti (a intersezione vuota). In alternativa, uno spazio topologico è connesso sse gli unici insiemi clopen sono lo spazio stesso e l’insieme vuoto. Nella topologia euclidea la retta dei numeri reali è connessa; la retta dei numeri razionali non è connessa. Le topologie discrete non sono connesse.

Uno spazio topologico è separato (o di Hausdorff o T2, T da Trennung, “separazione”) sse per ogni coppia di punti distinti esistono due intorni disgiunti che li contengono. La retta dei numeri reali con la topologia euclidea è T2. Se è infinito, lo spazio cofinito, con aperti complementari degli insiemi finiti, non è T2.

Uno spazio topologico X è compatto sse ogni ricoprimento di aperti contiene un sottoricoprimento finito. Un ricoprimento di un insieme è una famiglia di sottoinsiemi di X sse per ogni elemento dell’insieme esiste almeno un insieme del ricoprimento che lo contiene. La topologia T è un ricoprimento aperto di X. La retta dei numeri reali non è compatta nella topologia euclidea. Nella topologia euclidea della retta reale gli intervalli chiusi e limitati [x, y] sono compatti (teorema di Heine-Borel-Lebesgue). La topologia discreta è compatta sse è finita. La compattezza permette di trattare l’infinito in termini finiti.

Una nozione più debole di compattezza è la compattezza di Lindelöf sse ogni ricoprimento aperto contiene un sottoricoprimento infinito numerabile. Una generalizzazione di compattezza è la paracompattezza: uno spazio è paracompatto sse ogni ricoprimento aperto contiene un sottoricoprimento aperto più fine localmente finito. Un ricoprimento è più fine di un altro sse per ogni insieme del primo esiste un insieme del secondo che lo contiene. Nella topologia euclidea la retta reale, che non è compatta, è paracompatta. Bourbaki richiede in più la separazione T2, affinché ogni spazio T2 paracompatto sia normale, cioè per ogni coppia di chiusi disgiunti esista una coppia di aperti disgiunti che li contengono.

Uno spazio topologico è metrico sse esiste una funzione d, detta distanza, che a ogni coppia x, y di punti associa il numero reale d(x, y) tale che:

a) d(x, y) ≥ 0 (positività);

b) d(x, y) = d(y, x) (simmetria);

c) se x = y allora d(x, y) = 0 (identità debole);

c’) se d(x, y) = 0 allora x = y (identità forte);

d) d(x, y) + d(y, z) ≥ d(x, z) (diseguaglianza triangolare).

Uno spazio metrico è la coppia ordinata (X, d). Uno spazio metrico è uno spazio topologico. Gli aperti di una topologia metrica sono le bolle aperte, cioè le sfere di punti che distano dal centro p meno di una distanza prefissata r. Ogni metrica definisce una topologia T2. Una topologia è metrizzabile sse è omeomorfa (v. avanti) a uno spazio metrico, cioè sse esiste una distanza d che induca su X la topologia assegnata.

La retta reale con la distanza tra i due punti x e y data dal valore assoluto della differenza (x–y) è uno spazio metrico, detto euclideo. Il piano ordinario con la distanza tra due punti data dal teorema di Pitagora rispetto alla differenza delle coordinate è uno spazio metrico. Ogni topologia discreta è metrica, posto d(x, y) = 0 se x = y e d(x, y) = 1 se x ≠ y. Se è infinito, lo spazio cofinito non è metrico.11

La pseudometrica fa decadere la condizione c’) di identità forte; non vieta che punti distinti coincidano (entanglement). Uno spazio di funzioni, con distanza la differenza minima tra due funzioni, è uno spazio pseudometrico. La topologia minimale è una pseudometrica, dove per ogni coppia x e y d(x, y) = 0. La pseudometrica fa decadere l’aspetto quantitativo della scienza galileiana.12

In topologia la pseudometrica interviene nel definire gli spazi uniformi, argomento, in cui non entro, sviluppato da André Weil, fratello della più nota Simone, ma trascurato dai manuali italiani; lo segnalo solo per marcare l’importanza dell’argomentazione non quantitativa nella scienza moderna, contrariamente a quanto pensava il positivismo “riduzionista”. In psicanalisi la pseudometrica potrebbe interessare per quanto attiene al processo inconscio primario e ai fenomeni dell’identificazione.

Uno spazio topologico è metrizzabile sse esiste una metrica per la sua topologia. Analogamente uno spazio topologico è pseudometrizzabile sse ammette una pseudometrica, per esempio lo spazio topologico minimale.

Infine, a coronamento di questo tour de force topologico do la definizione di applicazione continua tra spazi topologici, che è la nozione chiave per cui i matematici da Gauss e Listing in poi (1847), con i contributi di Riemann, hanno pensato la topologia, che è una creazione collettiva, non di un genio solitario.

L’applicazione f: X –> Y, è una relazione tra gli insiemi X e Y; X è detto dominio dell’applicazione e Y codominio; per ogni elemento x del dominio esiste esattamente un elemento y del codominio, l’immagine di x. A sua volta x è la controimmagine di y. In senso estensionale un’applicazione f: X –> Y è un sottoinsieme dell’insieme prodotto cartesiano X x Y, formato dalle coppie ordinate (x, y) con x elemento di X e y elemento di Y; in particolare, un’applicazione è l’insieme delle coppie univoche a destra, tali che ogni elemento x di X appartiene a una e a una sola coppia; alternativamente, per ogni x se (x, y) e (x, z) sono elementi dell’applicazione f, allora y = z.

L’applicazione f è continua sse per ogni aperto S dello spazio f(Y) (considerato come sottospazio dello spazio Y) esiste un aperto R dello spazio X tale che f(R) = S; in altri termini, la f porta gli elementi dell’aperto R di X in elementi dell’aperto S di Y e questo per ogni aperto S di f(Y). Intuitivamente, la continuità conserva gli aperti di f(Y): né li aumenta (lacerando f(Y) né li riduce (sovrapponendo parti di f(Y)). L’applicazione costante e l’identica sono continue. Ogni applicazione dello spazio discreto su uno spazio topologico è continua. In generale, un’applicazione da una topologia più fine a una meno fine è continua. L’applicazione di Dirichlet, che a ogni numero reale associa 1, se è razionale, e 0, se è irrazionale, non è continua nella topologia euclidea; infatti le immagini inverse di 1 e di 0 non sono intervalli aperti.

Due spazi topologici X e Y sono topologicamente equivalenti o omeomorfi sse tra loro esiste un’applicazione biunivoca e bicontinua, cioè continua in entrambe le direzioni: da X a Y e da Y a X. Tale applicazione si chiama omeomorfismo perché conserva le strutture topologiche.

L’omeomorfismo porta a definire gli invarianti topologici. Un invariante topologico è una proprietà di uno spazio topologico che vale per tutti gli spazi topologici ad esso omeomorfi. La nozione diffusa e fuorviante di topologia come “geometria di gomma” si basa sull’esistenza di invarianti topologici, per la precisione isotopici, che non definisco, per cui una sfera è omeomorfa a una pagnotta ma non a una ciambella.

Connessione e compattezza sono invarianti topologici molto importanti.

Il discorso topologico continua al capitolo 3.

 

2. Il riferimento freudiano iniziale

Riporto l’incipit del freudiano Progetto di una psicologia:

L’intento è di produrre una psicologia come scienza naturale, presentando i processi psichici come stati quantitativamente determinati di componenti [Teile] materiali ben identificabili, al fine di rendere il discorso chiaro e coerente. Le idee principali sono due:

1. ciò che distingue l’attività dalla quiete va considerato come una quantità Q, soggetta alle leggi generali del movimento;

2. come particelle [Teilchen] materiali si considerano i neuroni.13

N e Q’. Tentativi simili sono ora frequenti.”14

Due osservazioni in proposito.

Siamo nell’ambito dell’esperimento mentale o del modello teorico, dove Q è l’energia esterna e Q l’energia psichica interna. Queste grandezze non hanno nessun riscontro empirico. Freud ammette candidamente di non conoscere la quantità dell’energia interna; suppone sia molto bassa. Il trasferimento di energia Q e della sua derivata Q’ simula l’interazione tra neuroni, ma li lascia in un certo senso inerti: semplici supporti più o meno permeabili del traffico energetico. Freud non prevede interazioni neuronali. Si accontenta di porre la differenza di base tra quiete e attività neuronale, equivalente al trasferimento di Q. La nozione di transfert ha questa base supposta “biologica”. L’approccio freudiano è aristotelico.

Negli otto libri della Fisica Aristotele distingueva tra quiete e moto di un corpo, come stati fisici essenzialmente differenti. Con Galilei questa distinzione decade: la quiete è un moto a velocità nulla. Curiosamente, Freud, che non aveva in biblioteca le opere di Galilei, non aveva neppure la Fisica di Aristotele ma solo la Poetica. Da dove trasse l’impostazione aristotelica? Ipotesi: da Ippocrate, che inventò il principio di ragion sufficiente, riconosciuto anche da Platone. La genealogia del pensiero di Freud contiene ancora punti oscuri e deboli da chiarire, che le varie scuole freudiane, impegnate a trasmettere l’ortodossia freudiana, non hanno ancora affrontato, sprecando energie a polemizzare con le consorelle eretiche.

Per approfondire il pensiero di Freud sul riferimento quantitativo, va sfatato un luogo comune: Freud non fu positivista. Un positivista non avrebbe mai pensato fenomeni pseudometrici come l’identificazione con elementi diversi coincidenti. L’impostazione freudiana era empirica di stampo medico, precisamente ippocratica; era basata sul principio eziologico rigido: agente morboso presente, malattia presente; agente morboso assente, malattia assente. Le cause psichiche freudiane sono le pulsioni, di cui finora non ho trovato l’equivalente topologico. In effetti, quello di pulsione è un concetto prescientifico, travestito scientificamente da Freud come “forza costante”, ma legato al principio ontologico di causa ed effetto, “una superstizione” secondo Wittgenstein (Tractatus 5.1361); l’umanista convocò il principio di ragione per “interpretare” i fenomeni della vita, che spesso non sono ragionevoli. L’umanista è animista.

Il riferimento quantitativo freudiano va inteso come modo schematico di trattare la variabilità e come premessa tanto necessaria quanto artificiosa al discorso scientifico. Nel Progetto di una psicologia Freud parla di quantità Q ma non scrive una relazione quantitativa tra variabili Q. La nozione di “variabile” (sostantivo, Variable) non rientrava nell’attrezzatura intellettuale freudiana. In questo senso il pensiero di Freud è antico. Gli antichi greci e i latini erano giustificati perché non ebbero nella loro lingua il termine per dire “variabile”. Freud non trattò variabili ma “grandezze” (Größe) e “quantità” (Quantität), per altro in modo qualitativo. In questo fu meno avanzato di Breuer, che già negli Studi sull’isteria (1892-1895) parlava di distribuzione nel cervello di energia oscillante e variabile (wechselnd).15 L’assenza della nozione di variabile impedì a Freud come agli antichi di concepire l’approssimazione come avvicinamento progressivo tra valori di una variabile.

 

3. Alcune topologie non metriche

Ogni spazio metrico è topologico, ma non vale il viceversa: non tutti gli spazi topologici sono metrici. Ha senso, quindi, cercare le condizioni per le quali uno spazio topologico possa essere metrico.

Non tutte le topologie sono metrizzabili. Un noto teorema di Urysohn dà le condizioni sufficienti affinché una topologia sia metrizzabile. Basta che sia T2, regolare e a base numerabile. Regolare è uno spazio T2 tale che, per ogni chiuso e un punto non appartenente ad esso, esistono due intorni disgiunti che li contengono. (In alternativa gli intorni chiusi di un punto x di X formano un sistema fondamentale di intorni di x). Base numerabile è una famiglia numerabile B di aperti di X tali che ogni aperto di X è unione di elementi di B. (Numerabile è un insieme che può essere messo in corrispondenza uno a uno con l’insieme dei numeri interi.) La separazione T2 è anche una condizione necessaria di metrizzabilità.

Nel seguito riporto tre esempi di spazi non metrizzabili perché non separabili nel senso di T2. Salvo esplicita menzione contraria, supporrò sempre che si tratti di spazi infiniti.

 

3a) Topologia cofinita

È la topologia detta anche di Fréchet.16 La famiglia T’ di chiusi di tale topologia è formata dagli insiemi con un numero finito di elementi. Gli aperti sono i loro insiemi complementari. Ovviamente, sse è finito, uno spazio cofinito è discreto e separabile nel senso di T2. Noi consideriamo solo spazi cofiniti infiniti, che non sono né discreti né metrizzabili, non essendo T2.

Le ragioni che mi inducono a scegliere come modelli della quantificazione soggettiva questa topologia e le due successive non sono matematiche ma psicanalitiche su base topologica. Sono tre:

I. L’oggetto è infinito;

II. Il corpo è compatto;

III. Il soggetto è finito o “quasi”.

Con “quasi” intendo “senza punti interni nella sua chiusura”. Mi spiego subito. Premetto solo che la ragione per cui adotto tale opzione mira a sgombrare il campo da tutte le teorizzazioni antropomorfe, quelle freudiane comprese, che presuppongono un “piccolo uomo” o addirittura “piccoli uomini” dentro l’uomo, come l’Io, l’Es e il Super-Io freudiani. L’homunculus goethiano non abita la topologia. In interiore hominis habitat veritas, diceva Agostino.17 Io dico che vi abita il vuoto topologico. Affermando questo prendo le distanze da ogni umanesimo e derivati, in genere narrativi – in psicanalisi i casi clinici.

D’ora innanzi la mia opzione considera soggettivi quegli insiemi di uno spazio topologico la cui chiusura ha l’interno vuoto. Preciso che chiusura di un insieme X è l’intersezione di tutti i chiusi che contengono X, a volte indicata con X. Ovviamente la chiusura è chiusa e la chiusura di un chiuso coincide con il chiuso. La chiusura di un insieme è l’unione dell’insieme e dell’insieme dei suoi punti di limite, o insieme derivato.18 La nozione di chiusura è duale rispetto alla sua apertura, che è l’unione di tutti gli aperti contenuti nell’insieme.

Segnalo in proposito che la nomenclatura topologica è incerta. In Francia gli insiemi soggettivi sono detti rari, in America non ovunque densi, perché i loro complementi sono insiemi densi, cioè tali che la loro chiusura coincide con l’intero spazio. Allo psicanalista potrebbe interessare che le frontiere sono esempi di insiemi soggettivi. Metaforicamente parlando, il soggetto freudiano è una scatola vuota: esiste (non è in afanisi) ma non ha contenuti.19 La frontiera di un insieme è un modello topologico di soggetto. L’unione numerabile di insiemi soggettivi forma gli insiemi magri secondo Baire o di prima categoria. L’unione di insiemi magri potrebbe essere un buon modello di massa freudiana, formata da individui – anoressici – identificati al Führer. L’identificazione è la scatola vuota, che il soggetto riempie con l’ideologia dominante. Gli insiemi non magri sono detti di seconda categoria.

Tornando alla topologia cofinita, in essa i chiusi sono soggetti perché non hanno punti interni. In breve, uno spazio cofinito è connesso e tutti i suoi insiemi sono compatti. Inoltre, se è infinito, non è T2, come ho già detto, ma soddisfa un assioma di separazione più debole, detto T1,20 secondo il quale ogni punto è chiuso, quindi è soggettivo. Questa topologia è la meno fine fra tutte quelle che soddisfano l’assioma T1 di separazione.

La topologia cofinita è connessa. I suoi insiemi sono compatti, quindi ospita corpi. I soggetti sono gli insiemi finiti. Gli oggetti sono i loro complementi aperti. I rapporti tra soggetti e oggetti sono rapporti di frontiera: il soggetto è la frontiera dell’oggetto. Questa topologia offre un modello del fantasma, come “esclusione interna” dell’oggetto dal soggetto, secondo la formula lacaniana.21 Si potrebbe dire che, se il soggetto avesse punti interni, sarebbero quelli del suo oggetto. Il ogni caso il soggetto finito non possiede l’unità di misura per misurare l’oggetto infinito. È questo un punto di avvicinamento alla dottrina freudiana della libido.

 

3b) Topologia dell’Uno escluso

Nel caso finito con due elementi è la topologia detta anche di Sierpinski. Si tratta della topologia iniziale di questa classe di topologie. Nel caso dell’insieme 0, 1 gli aperti sono vuoto, 1, 0, 1. È una topologia T0, connessa e compatta, rilevante in teoria della computazione e semantica.

La famiglia T degli aperti di questa topologia sull’insieme X è formata da X, dall’insieme vuoto, e dai sottoinsiemi che non contengono il punto p di X, detto punto privilegiato. Ovviamente non si tratta di una topologia discreta.

È una topologia T0. p è punto limite di ogni sottoinsieme dello spazio. In senso psicanalitico si può interpretare p come punto fallico. Come in psicanalisi il fallo significa la significazione, in questa topologia p produce l’apertura di un insieme quando manca a tale insieme. Ci sono lontani riferimenti alla castrazione freudiana. p è un insieme chiuso e soggettivo ed è la frontiera di aperti e di chiusi. Questo spazio è connesso e compatto. Non è metrizzabile né pseudometrico.

 

3c) Topologia dell’Uno incluso

La famiglia T degli aperti di questa topologia sull’insieme X è formata da X, dall’insieme vuoto, e dai sottoinsiemi che contengono il punto p di X, detto punto privilegiato.

È uno spazio T0. I chiusi diversi da X non hanno punti interni, quindi sono soggettivi; essi sono frontiere degli aperti. È uno spazio connesso ma non compatto. Inoltre non è metrizzabile.

I punti diversi da p sono punti limite di ogni aperto. In senso psicanalitico ogni punto diverso da p è fallico. Potrebbe essere il caso della psicosi, dove tutto significa tutto, se è diverso dall’Uno, che non significa nulla. L’Uno incluso potrebbe essere il significante forcluso nel reale secondo Lacan.

 

4. Le due insiemistiche

In quanto precede spadroneggia un significante, “insieme”. Non è un significante freudiano, anche se Matte Blanco provò a innestarlo nel freudismo in modo che ritengo artificioso ed estrinseco all’argomento. Tentò di salvare i pensatori Cantor e Freud, non il loro pensiero. Il punto è che la psicanalisi nacque come terapia medica del singolo individuo. Solo secondariamente si rivolse a una pluralità di individui che Freud chiamava massa. La massa freudiana non è concettualmente diversa dall’individuo, essendo formata in modo omogeneo da individui tutti “uguali” perché identificati allo stesso Führer, posto come oggetto d’amore nell’Ideale dell’Io di ciascun individuo. Le scatole vuote della massa contengono un solo oggetto: il Führer con tutto il suo corredo ideologico e l’apparato burocratico di conferma. Propriamente parlando, la psicanalisi freudiana non mette a tema il soggetto collettivo ma il soggetto massificato. Jung, meno medico di Freud, aveva le sue buone ragioni a contestare Freud.

Il concetto di insieme è moderno. Rappresenta l’ingresso della pluralità, quindi della variabilità, nel discorso scientifico. Il primo teorema della meccanica moderna riguarda il plurale. Galilei lo enunciò così: “Nel vuoto tutti i corpi cadono allo stesso modo”, correggendo Aristotele che immaginava la velocità di caduta proporzionale al peso del singolo corpo. La scienza non si interessa al singolo corpo ma all’insieme dei corpi. Come intende l’insieme Cantor? Riporto la sua “definizione”, precisando che è tautologica, cioè vuota:

Con “insieme” intendiamo nel complesso ogni riunione (Zusammenfassung) M di m oggetti determinati e ben distinti della nostra intuizione o del nostro pensiero, detti “elementi” di M.

L’insiemistica cantoriana è la teoria ingenua delle “scatole”. Due scatole sono uguali se contengono gli stessi elementi: una scatola con tre mele è uguale a una scatola con tre mele e diversa da una scatola con tre pere, a prescindere da come la scatola è fatta. Esiste, però, un’insiemistica più astratta, che appunto tratta gli insiemi a prescindere dai loro contenuti. Allora l’insieme di tre mele equivale all’insieme di tre pere, comunque si presentino. Come è possibile? Si tratta di prescindere dalla relazione di appartenenza e trattare gli insiemi come oggetti non ulteriormente analizzabili con un dentro e un fuori. Si esclude che gli interni siano gli elementi, l’esterno la scatola. Sappiamo già che la differenza tra dentro e fuori non è topologica. Gli ingredienti per tale analisi senza appartenenze sono le applicazioni (v. sopra).

Nell’insiemistica ingenua si distinguono le applicazioni iniettive e le suriettive.

Un’applicazione tra f due insiemi X e Y è iniettiva, o iniezione, sse per ogni elemento y di Y esiste al più un solo elemento x di X di cui y è il corrispondente; possono esistere elementi di Y a cui non si arriva partendo da X. In altri termini, ad argomenti diversi x corrispondono immagini diverse y. In formule, se f(x) = f(y), allora x = y, che implica: se x ≠ y, allora f(x) ≠ f(y). L’iniezione continua è un’incorporazione (embedding), come anticipato.

Un’applicazione f tra due insiemi X e Y è suriettiva, o suriezione, sse ogni elemento y di Y è l’immagine di un elemento x di X, cioè per ogni elemento y del codominio esiste un elemento del dominio x tale che y = f(x). In formule, f(X) = Y. La suriezione continua è un rivestimento (covering).

Un’applicazione è biiettiva, o biiezione, se è iniettiva e suriettiva. Il modo antico di definire la biiezione era corrispondenza biunivoca. Un’applicazione biiettiva e bicontinua, cioè continua da dominio al codominio e viceversa, è un omeomorfismo.

Nell’insiemistica algebrica (teoria delle categorie) gli insiemi sono oggetti non analizzati al loro interno mediante relazioni di appartenenza, che è sostituita dalla relazione di pre-ordine “essere contenuto”, identica e transitiva. Essi si considerano equivalenti sse tra loro esiste un isomorfismo, cioè un’applicazione che è contemporaneamente un monomorfismo e un epimorfismo. Mi spiego.

L’algebra è un complesso di scritture le cui lettere non hanno né valore fonetico né narrativo ma algoritmico. La scrittura fg significa che prima si applica l’applicazione g poi la f.

Un monomorfismo è un’applicazione f tra due insiemi X e Y cancellabile a sinistra: per ogni coppia di applicazioni (a monte) g e h tra Z e X, se fg = fh, allora g = h.

Un epimorfismo è un’applicazione f tra due insiemi X e Y cancellabile a destra: per ogni coppia di applicazioni (a valle) g e h tra Y e Z, se gf = hf, allora g = h.

L’algebra mette in evidenza che monomorfismo ed epiformismo sono applicazioni duali l’una dell’altra come la mano destra e la sinistra.

Un isomorfismo è un’applicazione sia mono sia epi.

Due insiemi sono oggetti equivalenti in senso algebrico, o isomorfi, sse tra loro esiste un isomorfismo. Tre pere equivalgono quantitativamente a tre mele, anche se sono tre insiemi qualitativamente diversi, perché pera1 corrisponde a mela1, pera2 a mela2, pera3 a mela3. L’isomorfismo coglie la qualità della quantità, a prescindere dalle qualità degli elementi che la compongono. Su questo punto la cultura umanistica, fissata al singolare, di cui racconta la storia, fatica a seguire il discorso. Darwin che analizza la variabilità dai pesci ai bipedi umani non fu umanista. Il suo “lungo ragionamento” non fu una narrazione ma un fascio di narrazioni correlate di molteplici forme di variabilità. Per averne un’idea si sfoglino le 900 pagine del suo trattato sulla variabilità: La variazione degli animali allo stato domestico (1868).

Insomma, la concezione moderna (algebrica) di insieme è quella di nozione primitiva. Non esiste l’insieme perché esistono i suoi elementi ma è l’insieme a far esistere gli elementi. Nel primo volume del suo immenso trattato, Bourbaki costruisce la sua insiemistica sull’insieme vuoto senza elementi. Nella teoria delle categorie l’insieme vuoto è considerato oggetto iniziale nel senso che esiste un solo morfismo – un monomorfismo – dall’insieme vuoto ad ogni altro oggetto. Detto come si mangia, l’insieme vuoto è contenuto in ogni insieme.

Chi è riuscito a seguirmi fin qui si chiederà come si possa costruire una topologia senza considerare i punti dell’insieme. La domanda è intelligente. Non do la risposta. Dico solo che in generale una struttura matematica su un insieme X si può definire come la coppia ordinata (X, H), dove H è l’insieme dei morfismi di X in sé stesso; nel caso topologico i morfismi H sono le applicazioni continue. È un altro modo, prettamente algebrico, oltre quelli citati, di definire una topologia. La matematica tratta la pluralità essendo plurale.

 

5. La topologia dell’equivalenza o dell’identificazione

In quanto precede non ho parlato della topologia delle relazioni di equivalenza. Introdurre nell’insieme X una relazione di equivalenza R significa introdurre tra i suoi elementi una relazione identica, simmetrica e transitiva. Per l’identità x equivale a x; per la simmetria se x equivale a y, allora y equivale a x; per la transitività se x equivale a y e y equivale a z, allora x equivale a z.

L’effetto di introdurre una relazione di equivalenza in un insieme è di ripartirlo in classi esaustive e disgiunte, dette classi di equivalenza, formate da elementi equivalenti. Il loro insieme si chiama insieme quoziente e si indica X/R. La terminologia deriva dalla divisione dei numeri interi: dividerli per 3 produce tre classi di equivalenza disgiunte: i numeri che divisi per 3 danno resto 0, i multipli di 3: 0,3,6,…; i numeri che divisi per 3 danno resto 1: 1,4,7…; i numeri che divisi per 3 danno resto 3: 2,5,8…. Le intersezioni di queste classi sono vuote.

Introdurre una relazione di equivalenza in uno spazio topologico X produce un nuovo spazio topologico Y = X/R, detto spazio quoziente; i suoi elementi sono le classi di equivalenza in cui lo spazio X è ripartito dalla relazione di equivalenza. La topologia dello spazio quoziente è la più fine tra tutte le topologie che rende continua l’applicazione canonica dello spazio sul suo quoziente che a ogni x di X associa la propria classe di equivalenza. Si chiama applicazione “canonica” perché l’immagine inversa di una classe di equivalenza è la stessa classe di equivalenza. Se la relazione di equivalenza è essere un numero pari, l’immagine inversa dei numeri pari è la classe dei numeri pari. Se è continua, l’applicazione canonica di X su X/R è un rivestimento (cover). La topologia quoziente è finale.

Tutti i lacaniani conoscono i giochini del loro maestro con le superfici topologiche variamente ritagliate. Senza dirlo Lacan sfruttava le relazioni di equivalenza dette identificazioni o incollature. Tra parentesi, la topologia lacaniana non esiste. Lacan non ha mai dimostrato un teorema di topologia. Nei suoi scritti la parola voisinage non ricorre. Ha sfruttato i cosiddetti matemi, certe proprietà topologiche delle superfici, come mnemotecnica per trasmettere la propria dottrina logocentrica dell’inconscio agli allievi – il suo sintomo. Creava nuovi spazi topologici disconnettendo i vecchi mediante tagli. Paradigmatica fu la costruzione della banda di Moebius con un taglio a doppio giro intorno al buco centrale del toro – il famigerato otto interno – e successiva saldatura di un bordo a sé stesso.22

Incollando in modo diretto due lati opposti di un quadrato si ottiene un cilindro, superficie bilatera, cioè con due facce.

Incollando in modo inverso due lati opposti di un quadrato si ottiene una banda di Moebius, superficie monolatera, cioè con una sola faccia.

Incollando in modo diretto entrambe le coppie di lati opposti di un quadrato si ottiene un toro o ciambella, superficie bilatera.

Incollando in modo inverso entrambe le coppie di lati opposti di un quadrato si ottiene un piano proiettivo, superficie monolatera. Questa incollatura prevede l’autointersezione della superficie.

Incollando in modo inverso una coppia di lati opposti di un quadrato e in modo diretto l’altra coppia di lati opposti si ottiene una bottiglia di Klein, superficie monolatera. Questa incollatura prevede l’autointersezione della superficie.

Piegando il quadrato lungo una diagonale e incollando i lati si ottiene una sfera. Ovviamente sto parlando di superfici omeomorfe al cilindro, alla banda di Moebius, al toro ecc.

In quanto sottospazi dello spazio ambiente in cui sono immersi, questi spazi topologici sono metrici, quindi poco adatti alla psicanalisi. Resta la possibilità di valutare le identificazioni psicanalitiche come incollature dello spazio topologico. Sono loro che modificano la struttura topologica, avvicinando punti che sono “lontani”. Nel famigerato Ventennio l’identificazione al Führer “avvicinò” formalmente tutti gli italiani da Nord a Sud in una massa fascista “oceanica”. La formula dell’identificazione che all’epoca Freud riportò in L’Io e l’Es (1923) suonava: “Così come il padre devi essere; così come il padre non puoi essere” (cap. III).

Così Freud raccontava la pseudometrica dell’identificazione in termini romanzeschi, cioè in termini di “doppio legame” alla Bateson, altro autore che preferiva ragionare in termini di paradossi piuttosto che di topologia, forse ritenuti più adatti alle scienze umane. In realtà, sin dai tempi di Zenone i paradossi sono un artefatto; sono conseguenze del discorso ontologico che, essendo binario (l’essere è, il non essere non è), stenta a seguire le peripezie del discorso epistemico, che prescinde dal principio del terzo escluso. A livello ontologico non c’è spazio per ipotizzare l’inconscio, che è un sapere che non si sa di sapere, al limite della contraddizione ma non ancora contraddittorio. Perciò Lacan parla giustamente di mancanza a essere del soggetto.

 

6. La probabilità o il ritorno della quantità

La nozione di probabilità ha faticato molto a entrare nel discorso scientifico. L’uomo ha sempre giocato a dadi ma ha dovuto aspettare il XVII secolo per concepire per formulare la teoria. Ha dovuto aspettare Galilei che spiegasse perché con tre dadi è più facile fare 10 che 9. Ha dovuto aspettare Cartesio che riconoscesse l’origine del pensiero nel dubbio: “Penso che sia così oppure cosà”. L’incertezza fa pensare. Lo disse bene Lacan: “Grazie a Freud sappiamo che il soggetto si manifesta e qualcosa (ça) pensa prima di entrare nella certezza”.23 La scienza non nasce da certezze, che generano religioni e metafisiche. Il sapere scientifico, essendo congetturale, è essenzialmente probabilistico.

Curioso il caso di Freud. La sua invenzione dell’inconscio come sapere ce non si sa di sapere fu una creazione epistemica. Eppure Freud, come Marx, ignorò la fondamentale creazione epistemica della modernità: il calcolo delle probabilità, formalmente nato nel 1654 nella corrispondenza tra Pascal e Fermat.24 Nel caso di Marx la carenza probabilistica fu più grave perché non esistono economie senza probabilità. Di fatto Marx non fu un economista ma un filosofo di formazione hegeliana, che inventò un sistema filosofico noto come materialismo storico. Freud usò Wahrscheinlichkeit solo nel senso di verosimiglianza di una cosa con un’altra. Certo, condensazioni e spostamenti del processo primario sono manovre topologiche che stanno dalla parte della verosimiglianza, ma il soggetto le usa per scommettere su ciò che è o non è. Il desiderio abita la faglia ontologica che riempie con un sapere incerto. Si chiama probabilità soggettiva.

Concludo questo discorso sulla qualità della quantità, in un certo senso rovesciandolo e prospettando la quantità della qualità. Infatti la probabilità rende quantitativi eventi binari qualitativi come testa o croce nel lancio di una moneta o tumore presente e tumore assente al test oncologico. La probabilità attribuisce un valore compreso tra 0 e 1 alla presenza dell’evento e un valore complementare a 1 all’assenza dell’evento. 0 è per l’evento impossibile, 1 per l’evento necessario e i valori intermedi sono per gli eventi contingenti che possono verificarsi e possono non verificarsi. Oltre al suo peso in grammi, una moneta ha un “peso probabilistico”: ½, se la probabilità che il suo lancio risulti Testa sia pari alla probabilità che risulti Croce (moneta equa). Il problema teorico del calcolo delle probabilità è garantire che l’attribuzione di valori di probabilità agli eventi sia coerente, cioè non porti il soggetto a scommesse uniformemente perdenti.

* * *

Ora non resta che aprire un buon trattato di topologia. Ce n’è per tutti gusti e tutte le tasche. Io ho venduto quasi tutti i miei. Ho smantellato la biblioteca, quando a 80 anni di età ho chiuso lo studio, perché l’offerta di psicanalisi scientifica non trovava più clienti, non essendo garantita da autorità magistrali. Ancora minori le richieste di consulenza da parte di colleghi che ritengono la matematica non adatta alle scienze umane. Dai tempi del processo a Galilei (1633), il senso comune, oscurantista da sempre, diffida della scienza, che ritiene quantitativa e senza soggetto. Ne diffida tanto più quanto più il capitalismo la sfrutta a fini di produzione di massa. Si preferisce la medicina, che non è scienza ma tecnica ben codificata e professionalizzata, che neppure il virus attuale mette in crisi. Quando si dice più forte della morte…

1 Si ricordi che in tedesco Affekt è un falso amico. Non significa “affetto” ma “eccitamento” (Erregung).

2 S. Freud, “Die Abwehr-Neuropsychosen” (1894, Le neuropsicosi di difesa) in Sigmund Freud gesammelte Werke, vol. I, p. 74, d’ora in avanti SFGW.

3 La prima ricorrenza del termine Libido è in Nevrastenia e nevrosi d’angoscia. S. Freud, “Neurasthenie und Angstneurose” (1894) in SFGW, vol. I, p. 326.

4 Freud non era aggiornato sulla scienza del suo tempo. Nel 1905, impegnato a scrivere i Tre saggi sulla teoria sessuale, non registrò la ricomparsa dei saggi genetici di Mendel.

5 In biblioteca Freud non ebbe né Galilei né Cartesio. Riconoscere l’ignoranza di Freud serve a circoscrivere meglio la portata della sua innovazione.

6 S. Freud, “Ergebnisse, Ideen, Probleme” (1938, Risultati, idee, problemi), SFGW, vol. XVII, p. 152.

7 J. Lacan, “Remarque sur le rapport de Daniel Lagache: ‘Psychanalyse et structure de la personnalité’” (1958, Osservazione sul rapporto di Daniel Lagache: “Psicanalisi e struttura della personalità”) in Ecrits, Seuil, Paris 1966, p. 656.

8 Se S = X, l’inclusione è l’identità, che a ogni elemento x di X fa corrispondere x. Le inclusioni sono applicazioni iniettive (v. avanti).

9 Anche i punti esterni sono interni! L’aveva capito Melanie Klein; non c’è differenza tra proiezione e introiezione; esiste solo l’introiezione, che chiamava identificazione proiettiva.

10 J. Lacan, “Subversion du sujet et dialectique du désir dans l’inconscient freudien” (1960, Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio nell’inconscio freudiano) in Écrits, Seuil, Paris 1966, p. 799.

11 L’insiemistica di Cantor tratta l’infinito con metodi qualitativi: le corrispondenze biunivoche tra insiemi e le relazioni d’ordine. Il lavoro di Cantor è coevo al lavoro di Freud sull’isteria.

12 La meccanica quantistica presenta inquietanti aspetti pseudometrici nella correlazione a distanza tra particelle distanti, che presupporrebbero una velocità di trasmissione delle informazioni superiore alla velocità della luce.

13 Il termine “neurone” fu introdotto da Waldeyer nel 1891. Freud l’aveva già usato in un lavoro neurologico del 1884. L’esordio freudiano “sembra” meccanicistico: suppone un sistema di particelle materiali – i neuroni – tra loro connessi in uno scambio di quanti di energia. Oggi, l’approccio di Freud rientrerebbe nell’ambito delle reti neurali. Ma l’ipotesi non regge. Infatti, la nozione di interazione, come quella di variabile, manca al pensiero freudiano. Senza interazioni tra particelle elementari non si fa scienza. I neuroni di Freud non interagiscono tra loro ma si limitano a trasmettere quanti di energia. Dopo l’ultimo riferimento nel saggio sul Motto di spirito (1905, SFGW, vol. VI, p. 165), Freud non parlò più di neuroni.

14 SFGW, Nachtragsband, p. 387 sg.

15 Ivi, p. 254, nota 2.

16 Una variante è la topologia di Zariski, se l’insieme di sostegno della topologia è il campo dei polinomi a radici finite nel campo. È una topologia T0.

17 Agostino, De vera religione, XXXIX, 72-73. Da vero filosofo Agostino aveva la religione del vero.

18 Oltre che con gli aperti, i chiusi e gli intorni, uno spazio topologico si può definire mediante gli assiomi di chiusura secondo Kuratowski.

19 L’insieme vuoto è soggettivo, perché la chiusura del vuoto è il vuoto, che è un chiuso, con l’interno vuoto.

20 Esiste un assioma di separazione ancora più debole, l’assioma T0 di Kolmogorov: per ogni coppia di punti distinti x e y, esiste un intorno di un punto che non contiene l’altro. La topologia cofinita è T0.

21Le sujet est, si l’on peut dire, en exclusion interne à son objet. J. Lacan, La science et la vérité (1965, La scienza e la verità), in Ecrits, Seuil, Paris 1966, p. 861.

22 J. Lacan, “L’Étourdit” (1972, Lo stordito) in Autres écrits, Seuil, Paris 2001, p. 470. Il valore matematico di questa esercitazione peregrina è nullo, non aprendo ad alcuna generalizzazione.

23 J. Lacan, Seminario XI, 29 gennaio 1964.

24 B. Pascal, Correspondance avec Fermat sur la règle des partis (1654, Corrispondenza con Fermat sulla regola delle partite) in Pascal Oeuvres complètes, vol. I, Gallimard Paris 1998, p. 142 sg.

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