Se volete sapere come si costituisce il femminile, può essere utile leggere “Il principe nero. Don Giovanni, un sogno femminile”, edito da Mimesis, che Fabio Galimberti, analista lacaniano, ha scritto curando la …scrittura, cosa buona e giusta e fuor di moda. Un buon libro inizia sempre da una buona scrittura, se poi l’autore è anche in grado di suscitare interesse con le sue argomentazioni, allora diventa degno di nota. Così, decido di metterlo sul lettino di psychiatryonline, anche se Galimberti, nell’introduzione, avverte: «Un’intuizione di Jacques Lacan, che non è mai stata davvero sviluppata fino in fondo, ha guidato la mia scrittura: Don Giovanni è un “fantasma femminile”. Che cosa vuol dire? Nelle pagine che seguono lo dico ampiamente e non voglio qui togliervi il piacere della scoperta. Ma una cosa posso anticiparla, ossia che se Don Giovanni è un fantasma femminile, allora non va preso al pari di un individuo reale, come qualcuno, per esempio, da stendere metaforicamente sul lettino freudiano, come si è fatto più volte, qualcuno che è possibile psicoanalizzare per farne il soggetto di un caso clinico. Anche perché, se si stendesse sul lettino, non sarebbe per fare un’analisi. In quanto protagonista di una fantasia femminile, va preso per le tante questioni che apre».
Non scrivo mai dei libri svelandoli, ma aprendoli appunto alla possibile curiosità del lettore. Galimberti è bravo a togliere la polvere da una lettura stantia, fuori luogo e persino falsa di Don Giovanni, per restituire a una figura, così importante nell’immaginario collettivo, ciò che gli è proprio, senza caricature e senza infingimenti. Chi è Don Giovanni dovete scoprirlo leggendo e troverete sorprese. È un seduttore? È un nevrotico? È un perverso? È un ingannatore? È uno stupratore? È una di queste cose o tutte queste cose insieme? A chi parla, Don Giovanni? Sollecita la dimensione maschile o stimola di più quella femminile, orientandone i passi e il destino? Se per un uomo, ha detto Lacan, la donna è l’ora della verità, che cos’è Don Giovanni per una donna? Scrive Galimberti: «Don Giovanni è un uomo oggetto, che permette alla donna il riconoscimento sessuale, le permette di sentirsi donna. Dal sentirsi donna al sentirsi unica il passo è breve, ma ci vuole qualcuno che ve lo faccia compiere, ci vuole una spintarella».
Don Giovanni non sceglie, ogni donna è giusta: «Quando ne sceglie una, esiste solo lei, perché lui non ha mogli, non ha ex da rimpiangere, non ha donne-tipo cui anelare. Questa unicità della prima che viene non resiste molto, è vero. Ma, finché dura la scelta, è così». E cosa resta, alla donna, della donna, dopo l’esperienza dongiovannesca? Spiega Galimberti: «Una donna è come un frutto spremuto, al quale sia stata portata via la polpa. La polpa è certamente l’onore, ma anche tutto quanto nel desiderio paterno e nell’ideologia maschile-paternalistica contribuisce a definirla donna, a diffamarla, ossia à la dire femme. Tolta la polpa, rimane la buccia. Come si riscontra in analisi in alcune fantasie rivelatrici. Come quella della paziente che sogna rimanga di sé soltanto la pelle, solo l’involucro svuotato di quanto era stato messo dentro di lei per darle sostanza, per darle corpo e renderla una certa determinata persona. Questa rappresentazione psichica dello svuotamento e della privazione prelude al passo successivo possibile. Perché è sulla propria pelle che una donna costruisce sé stessa. Per restare nella metafora precedente, una donna diventa tale se riesce a spremere le proprie bucce per cavarne il succo di una singolare femminilità».
Ben detto, ben scritto. Don Giovanni è ancora tra noi e la psicoanalisi dovrebbe continuare maggiormente a interrogarsi su una figura che consente distruzioni e costruzioni di anime, letture esteriori e interiori. Il libro di Galimberti copre un vuoto e apre uno spazio. Di interrogazione intensa, di riflessione pura, autentica, arrivando, a proposito di polpa e di buccia, fino all’osso. L’osso di un’analisi, della nostra intima analisi. Di uomo. Di donna.
Non scrivo mai dei libri svelandoli, ma aprendoli appunto alla possibile curiosità del lettore. Galimberti è bravo a togliere la polvere da una lettura stantia, fuori luogo e persino falsa di Don Giovanni, per restituire a una figura, così importante nell’immaginario collettivo, ciò che gli è proprio, senza caricature e senza infingimenti. Chi è Don Giovanni dovete scoprirlo leggendo e troverete sorprese. È un seduttore? È un nevrotico? È un perverso? È un ingannatore? È uno stupratore? È una di queste cose o tutte queste cose insieme? A chi parla, Don Giovanni? Sollecita la dimensione maschile o stimola di più quella femminile, orientandone i passi e il destino? Se per un uomo, ha detto Lacan, la donna è l’ora della verità, che cos’è Don Giovanni per una donna? Scrive Galimberti: «Don Giovanni è un uomo oggetto, che permette alla donna il riconoscimento sessuale, le permette di sentirsi donna. Dal sentirsi donna al sentirsi unica il passo è breve, ma ci vuole qualcuno che ve lo faccia compiere, ci vuole una spintarella».
Don Giovanni non sceglie, ogni donna è giusta: «Quando ne sceglie una, esiste solo lei, perché lui non ha mogli, non ha ex da rimpiangere, non ha donne-tipo cui anelare. Questa unicità della prima che viene non resiste molto, è vero. Ma, finché dura la scelta, è così». E cosa resta, alla donna, della donna, dopo l’esperienza dongiovannesca? Spiega Galimberti: «Una donna è come un frutto spremuto, al quale sia stata portata via la polpa. La polpa è certamente l’onore, ma anche tutto quanto nel desiderio paterno e nell’ideologia maschile-paternalistica contribuisce a definirla donna, a diffamarla, ossia à la dire femme. Tolta la polpa, rimane la buccia. Come si riscontra in analisi in alcune fantasie rivelatrici. Come quella della paziente che sogna rimanga di sé soltanto la pelle, solo l’involucro svuotato di quanto era stato messo dentro di lei per darle sostanza, per darle corpo e renderla una certa determinata persona. Questa rappresentazione psichica dello svuotamento e della privazione prelude al passo successivo possibile. Perché è sulla propria pelle che una donna costruisce sé stessa. Per restare nella metafora precedente, una donna diventa tale se riesce a spremere le proprie bucce per cavarne il succo di una singolare femminilità».
Ben detto, ben scritto. Don Giovanni è ancora tra noi e la psicoanalisi dovrebbe continuare maggiormente a interrogarsi su una figura che consente distruzioni e costruzioni di anime, letture esteriori e interiori. Il libro di Galimberti copre un vuoto e apre uno spazio. Di interrogazione intensa, di riflessione pura, autentica, arrivando, a proposito di polpa e di buccia, fino all’osso. L’osso di un’analisi, della nostra intima analisi. Di uomo. Di donna.
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