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Omino di Latta

20 Dic 20

A cura di Dolores Celona

“I’m bulletproof

nothing to lose,

Far away, far away…”

(Titanium, David Guetta)

I cuori non saranno mai una cosa pratica 

fino a che non ne inventeranno di infrangibili.

(Mago di Oz, L Frank Baum)

La colonna sonora che più rispecchia questo personaggio è Titanium di David Guetta.

Una canzone che gli piaceva ascoltare perché definiva "da rave", come quelli a cui ha sempre partecipato.

Una canzone che mi rimbombava in testa ogni volta che abbiamo parlato, perché è un po’ come lui, sembra senza grandi pretese ma velata di malinconia.

Parlo al passato, perché l’omino di latta che ho conosciuto io ora non c’è più. È morto in aprile, praticamente il giorno del mio rientro dalla maternità.

Ma mi è rimasto nel cuore, quel cuore che lui tanto desiderava avere, non sapendo di possederne uno grande e allo stesso tempo tanto fragile.

Pensava che avere un cuore dipendesse dalla capacità di farsi volere del bene dagli altri.

Il taglialegna era un piccolo omino di latta. 

Rimasto sotto la pioggia e le intemperie per molti anni, si è arruginito completamente. 

Peraltro, in una posizione decisamente scomoda.

Era lì, con la sua ascia alzata, e incuteva parecchio timore.

Chi non lo conosceva se ne teneva alla larga.

Chi ci ha parlato qualche volta, pure.

Era un tipo un strano il taglialegna.

La gente lo evitava, dava fastidio. Richiedeva tanta attenzione, cercava di mettersi in mostra, con questo suo corpo che fa da scudo al prossimo. Un corpo che porta avanti senza timore, puro strumento delle sue pulsioni.

Non era così una volta, era di carne. Poi, a furia di tagliarsi da solo, ha finito col ricostruirsi, pezzo per pezzo, con il metallo. Così non c'era più pericolo, se si tagliava, non provava più dolore.

Non riuscivi mai a prevedere cosa avesse in testa questo omino di latta. In realtà, una cosa sola: essere visto. 

La sua corazza di latta, sembrava in effetti essere fatta apposta per farsi notare. E lui richiamava l’attenzione degli altri per provare a colpirlo, tanto la corazza, così solida, non si sarebbe mai potuta scalfire.

Se gli altri non lo consideravano nella sua eccentricità, allora vuol dire che doveva mostrarsi ancora di più. Ancora una volta, il suo corpo gli è venuto in aiuto. Tanto era di latta, cosa poteva mai farsi? 

“Posso colpirmi quanto volete, perché io mi colpisco, ma lo faccio per dimostrarvi che esisto.”

Una volta, in carcere, una cara amica psicologa, angosciata dall’ennesima dimostrazione glielo ha detto, così, nel corridoio… “Il tuo corpo vale!”, “Il mio corpo non vale un cazzo!”, le ha risposto.

Il sapore amaro del disprezzo lo ha provato ad addolcire con le droghe. Rigorosamente in vena, “la spada” che ti trafigge il braccio ti ricorda che sei ancora vivo e non è un dettaglio da poco.

Le prime volte in cui abbiamo parlato mi ha chiesto farmaci, più o meno come tutti, più o meno insistentemente.

Alla fine abbiamo fatto un accordo; vengo a parlare con te, ma basta richieste di medicine. Il patto ha funzionato discretamente. Non veniva a chiedere farmaci, veniva a parlare di sè. 

Ha pianto tanto, ed ogni volta era dura alla fine aiutarlo ad oleare gli ingranaggi che lo tenevano in piedi.  Una volta gli ho dato un pacchetto di fazzoletti dei “Trolls” e, con un sorriso pieno di gratitudine, lo ha conservato gelosamente nella sua cella. 

Un giorno d’inverno è entrato nella stanza dei colloqui con una maglietta leggera e i denti che battevano dal freddo. Onestamente, non ricordo di cosa stessimo parlando. All’improvviso si è interrotto, ha fatto silenzio, ci siamo fissati un momento lunghissimo, e poi mi ha detto “Dottoressa, non devi mica preoccuparti per me! io non lo sento il freddo,le ossa sono abituate al freddo della strada”. Chissà cosa mi ha letto nello sguardo, certo è che il freddo lo percepiva eccome.

L’altra psicologa, che lo seguiva da diversi anni, parlando di lui mi ha detto “E’ un ragazzo terribile, ma è un signore. L’unico che, in un mare di giovani, in bus si è alzato per cedere il posto agli anziani”. “Bah, cosa vuoi che sia. Non sono mica così rozzo!” mi ha risposto sminuendolo.

Il patto terapeutico però non è bastato. Non si è sentito nessuno perchè , per avere un cuore, sentiva di dover avere la considerazione di tutti. 

La strada per guadagnare la visibilità è lunga, e lui ha collezionato col suo modo di fare esplosivo più rifiuti che altro. 

Ma il prezzo è stato insostenibile.  

Allora sono partiti colpi su colpi, tagli su tagli, cambi di cella o di sezione quotidiani, perché ormai tutti lo conoscevano e nessuno lo voleva.

Lui era quello che creava problemi. 

Obiettivamente  in carcere tutta questa visibilità non va bene, anzi, è deleteria.

E poi aveva la lingua lunga, perché nella sua trasparenza non filtrava le informazioni da dare a chi si interfacciava con lui. 

All’ennesimo tentativo fallito di rapportarsi con alcuni concellini questi lo hanno zittito, per una banalità qualsiasi. 

Non era tollerabile per lui, il non poter integrarsi lo distruggeva dentro.

E allora di risposta, con un pretesto qualsiasi, si è cucito la bocca.

Ne ha passate tante, sia dentro che fuori dal carcere, tra vita di strada, comunità, blog sulle droghe, tentativi di “redenzione” vari ed eventuali.

Ma questa redenzione dalle sostanze, non la voleva poi tanto. Voleva altro, ma sapeva che per lui era irraggiungibile. 

Ad un certo punto, al suo corpo di latta ha chiesto troppo. 

E adesso che ha deciso di mollare spero che, almeno in quel momento, si sia accorto di quel grande cuore sanguinante che aveva all’interno e che ovunque sia, abbia trovato la pace.

 

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