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Probabilità ed esistenza

5 Set 21

A cura di Antonello Sciacchitano

L’esistenza individuale è un fatto collettivo

Nel ventennio dal 1940 al 1960 il grande teorico dei numeri Pal Erdös, che pubblicò lavori in collaborazione con ben 509 matematici diversi, dimostrando, se ce ne fosse stato bisogno, che la matematica è una scienza collettiva, mise a punto un metodo probabilistico per dimostrare l’esistenza di un oggetto con certe proprietà, ad esempio un grafo con cintura grande a piacere e numero cromatico grande a piacere.

Il metodo di Erdös è un metodo non costruttivo per dimostrare l’esistenza di un oggetto, conoscendo le sue proprietà; consiste nel definire uno spazio di probabilità (uno spazio campionario) sufficientemente grande, dove si dimostra che un suo elemento gode della proprietà richiesta con probabilità maggiore di zero. Per esempio, banalmente, l’oggetto “testa” esiste nel lancio di una moneta, perché la probabilità dell’evento “testa” è diversa da zero in lanci successivi indipendenti di una moneta equilibrata (processo stocastico bernoulliano a probabilità costante).

In effetti, a parte considerazioni tecniche, l’innovazione di Erdös è concettuale. Consente di pensare la probabilità come grado di esistenza non binario: più la probabilità è alta più l’oggetto esiste, più è bassa meno l’oggetto esiste; se ha probabilità nulla, l’oggetto non esiste. La probabilità è una misura d’esistenza. Su di essa si può costruire una geometria dell’esistere, basata sull’additività della probabilità di eventi disgiunti e su un opportuno assioma di concatenazione della probabilità di un evento condizionata da quella di un altro evento. La sestina del superenalotto ha una probabilità di 1 su più di 622 milioni: esiste poco, ma esiste certamente! Migliaia di giocatori ci credono e giocano. Semplice, no? Sì, ma prima bisogna acquisire familiarità con il concetto di probabilità e non credere che i numeri ritardatari al lotto escano più facilmente degli altri alla prossima estrazione.

Erdös distaccò la nozione probabilità dal contesto ludico di vincita o perdita, ma anche dal concetto economico di prezzo da pagare per un evento aleatorio, e la trasferì in ambito esistenziale, dove le considerazioni di esistenza si sviluppano in senso topologico. Nello schema probabilistico l’esistenza non si dimostra come fatto concernente il singolo oggetto, ma come proprietà di un intorno di oggetti simili, contenente l’oggetto in questione con una certa probabilità positiva. Insomma, nel calcolo delle probabilità l’esistenza individuale si inserisce in un contesto collettivo. (Curiosamente, il metodo di Erdös fu poco apprezzato dai probabilisti e dagli statistici di professione.)

Il collettivo genera l’individuale attraverso l’interazione tra individui. Questa è la verità “biologica” della scienza, tipicamente nel darwinismo. È un fattore che Freud trascurò nella sua ricostruzione della civiltà, basata secondo lui su fattori individuali come le restrizioni alle soddisfazioni pulsionali e la costrizione al lavoro, da cui deriva l’inimicizia del singolo per la civiltà. La massa freudiana è un insieme di monadi identificate al Führer. Non esistono relazioni orizzontali ma solo verticali nella massa freudiana. In Perché la guerra? Freud pose in equivalenza legami affettivi e identificazioni. Il termine Interaktion non ricorre nelle Gesammelte Werke freudiane. Per Freud l’unica interazione tra individui di una massa fu la cooperazione transitoria dei fratelli per il parricidio, per altro un evento fantasticato da Freud, tipico della sua nevrosi coatta.

Il teorema metamatematico dell’esistenza probabile, è applicabile anche fuori dalla matematica: in ogni caso, come appena detto, l’individuale non va senza il collettivo, il singolare senza il plurale. “Un enunciato non si dimostra da sé”, ricorda Freud nel V capitolo del Futuro di un’illusione. Un enunciato dipende sempre da un altro enunciato, che può essere enunciato dal maestro – è il caso scolastico – o essere un assioma riconosciuto da un collettivo, insieme alle regole di dimostrazione – è il caso matematico. La psicanalisi deve ancora decidere a quale discorso appartenere: o al discorso magistrale o al discorso scientifico, ben sapendo che i maestri sono i veri nemici della scienza, più amici della religione che predicano. Freud, per esempio, fu il pontefice (molto discusso) della psicanalisi. Doveva difendere d’autorità la psicanalisi come psicoterapia medica.

A proposito, si potrebbe applicare il metodo probabilistico di Erdös alla psicanalisi? Forse sì. Freud, come i fenomenologi del suo tempo, non usò mai il concetto di probabilità, probabilmenteperché è un concetto privo di addentellati umanistici. Fa pensare a una verità incerta, solo probabile: un concetto inammissibile per i pregiudizi religiosi correnti, intrisi di dogmatismo. Si resiste alla scienza, fino alla follia dei no-vax, in nome della certezza della verità. Infatti, la scienza non ha verità certe, ma solo congetture molto probabili. Sulla scienza si tratta di scommettere. Freud non scommise. Si attenne alla scienza certa di Aristotele: lo scire per causas.

Freud usò wahrscheinlich solo nel senso di “verosimile” (likely), cioè di evento dotato di certe “prospettive” (Aussicht), che il soggetto si aspetta di vedere realizzate. Freud ignorò il senso di evento oggettivamente probabile, cioè di evento logicamente possibile che si verifichi nel reale. Ha senso, allora, parlare di probabilità dell’oggetto del desiderio? Per esempio, che sarebbe nulla nella psicosi? Nella psicosi, infatti, non esiste oggetto del desiderio, perché lo psicotico è già oggetto del desiderio della madre. Quale sarebbe lo spazio di probabilità della psicosi? Come calcolarla? Domande che solo l’approccio scientifico consente di formulare; finora non si sono poste in psicanalisi per carenze scientifiche. È un fatto acquisito che il trattamento analitico del singolo non possa non prendere in considerazione il suo intorno esistenziale.

Sganciare l’esistenza dal trascendentale e agganciarla al probabile, cioè al possibile nel reale, o almeno vicino ad esso, significa prendere le distanze sia dal discorso esplicitamente religioso sia da quello cripto-religioso (magari senza dio) come l’umanistico, in particolare da ogni forma di discorso vitalistico come quello freudiano. Seelenleben, “vita psichica”, ricorre ogni 20 pagine delle Gesammelte Werke.
 
Formalismo vs costruzionismo

“La funzione del giudizio ha essenzialmente due decisioni da prendere: primo, deve accordare o conte­stare a una cosa una certa qualità; secondo, deve accordare o negare a una rappresentazione l’esistenza nella realtà.” (S. Freud, La negazione, 1925).

L’enunciato freudiano è chiarissimo; dimostra il solipsismo della filosofia di Freud. Tutto il discorso si riferisce al soggetto. “L’oggetto è buono o cattivo per me? posso mangiarlo o devo sputarlo?” È il giudizio di qualità (nei miei termini è il giudizio sulle proprietà), su cui l’anoressia tanto spesso si sbaglia. “Posso accedere all’oggetto nella realtà?” è il giudizio di esistenza, su cui il nevrotico non meno spesso prende lucciole per lanterne. Lo psicotico non si pone la domanda, perché nella psicosi non c’è oggetto distinto dal soggetto.

Il matematico è più sobrio, quindi più oggettivo. Per lui le domande esistenziali sono due: l’esistenza implica contraddizione? L’esistenza è costruibile? Sono le domande poste rispettivamente dal formalista e dall’intuizionista. Per il formalista l’oggetto esiste se la sua esistenza non implica contraddizione. Però, accertata l’esistenza, cioè la non contraddizione, il formalista non sa dire dove l’oggetto si trovi né come si costruisca. Il secondo, in genere di formazione intuizionista, sa determinare l’esistenza in un numero di casi minore, però sa dire dove l’oggetto si trova e come è fatto, perché sa dare l’algoritmo per costruirlo; ha la stampante in 3D.
                                  
Una volta i due matematici, il primo tipo Hilbert, formalista, e il secondo tipo Brouwer, costruttivista, litigavano furiosamente. Erdös è del primo tipo ma con aperture al secondo, in quanto la nozione di probabilità è molto operativa. Oggi i due tipi di matematici hanno iniziato a cooperare alla teoria delle categorie per merito del grande Grothendieck. Non si può tentare di costruire l’oggetto – dire come è fatto – se prima non si sa che da qualche parte c’è. Allo stesso modo, l’analista deve sapere se il caso che ha davanti è di nevrosi o di psicosi, prima di affrontare le insidie dell’analisi. Se è vero che l’analista deve porsi come oggetto, come “oggetto perfettamente freddo”, diceva Freud (Riunione della Società psicanalitica di Vienna, 9 marzo 1910), è bene che sappia capire se ha a che fare con una nevrosi, dove l’oggetto esiste, o con una psicosi, dove l’oggetto non esiste. L’analista non può funzionare da oggetto perfettamente freddo, se l’oggetto non esiste, neppure con tutta la buona volontà. (Tra parentesi, la psicoterapia delle psicosi non è psicanalisi, perché senza oggetto.)

Anche da questa impostazione scientifica Freud è lontano. Nello scritto che tratta esplicitamente di Costruzioni in analisi (1937) Freud non parlò di esistenza dell’oggetto, ma di resistenza del soggetto; intendeva la resistenza del paziente – da lui chiamato “analizzato” – ad accettare la propria dottrina con tanto di parricidio e di castrazione. Per Freud l’esistenza storica, che la costruzione tenta di ricostruire, era un dato di fatto scontato della filosofia ontologica, garantito dall’epistemologia aristotelica delle cause efficienti e finali, da cui fino all’ultimo Freud si dimostrò dipendente. Freud non fu drogato di cocaina o di nicotina, come si suol dire, ma di una droga mentale ben peggiore, l’aristotelismo, contro cui combatté invano il grande Galilei. Freud ignorò Galilei; non lo citò mai nelle 7000 pagine delle Gesammelte Werke.

Aristotele giunse a Freud per via di Ippocrate, attraverso la teoria medica degli umori: gli umori freudiani sono le pulsioni; sono loro le cause che determinano la vita psichica. Per il grande medico dell’antichità, se c’è l’agente morboso c’è il morbo; se non c’è l’agente morboso si ripristina la salute. La terapia è un fatto conseguenziale. Non esistono per Ippocrate falsi positivi o falsi negativi, perché la cultura classica, non aveva la nozione di probabilità; aveva la teoria binaria delle cause dirette: se c’era la causa c’era l’effetto; se non c’era la causa non c’era l’effetto. Gli antichi giocavano a dadi, ma non avevano la teoria probabilistica del gioco. Era tutto un gran daffare della dea Fortuna a far vincere ora questo ora quello. Quando si dice antropomorfismo, si accettano anche le donne in funzione servile!

C’è una condizione per uscire dalla trappola freudiana? Sì, è una condizione pratica relativa al legame sociale tra analisti, il loro discorso. Bisogna che gli analisti escano dal legame sociale di tipo scolastico in cui ­– tutti e di tutte le scuole – sono – siamo – presi. Occorre uscire dalle ortodossie di vario genere cui sono – siamo – fissati, tutti formalmente allo stesso modo; tutti ritengono incontrovertibile l’ortodossia entro cui si sono – ci siamo – formati, come analisti; è il modo che non prevede innovazioni nel credo ricevuto. A tal punto che si litiga con i colleghi di altre scuole, che professano verità di poco diverse, e si battibecca con i colleghi della propria scuola per l’interpretazione autentica della dottrina ricevuta. Certo, la matematica potrebbe aiutare a cambiare mentalità, essendo un discorso originariamente collettivo, privo di autorità magistrali.[1] La matematica non è dogmatica, come hanno dimostrato Euclide, 23 secoli fa, ed Erdös, meno di un secolo fa. Ma non mi risulta che gli analisti abbiano un penchant per la matematica. Potrebbero ovviare, però, familiarizzandosi con la nozione di probabilità. Si disintossicherebbero dall’ipse dixit delle rispettive scuole.
 
Astratto vs concreto

Conosco le obiezioni che in psicanalisi si fanno all’astrazione in generale, quindi in particolare all’astrazione matematica. In ottica psicoterapeutica, si dice che si vuole salvare la concretezza del caso singolo nella sua specifica e assoluta singolarità. Il caso clinico è un unicum. Non ha casi simili vicino in un intorno opportuno. È una giustificazione ideologica di stampo medico; serve a tenere la scienza fuori portata; secondo tale concezione, la clinica opera sul singolo caso singolare; non ammette plurale. In quanto segue, riabilitando il plurale, pretendo dimostrare che l’astrazione matematica non è molto astratta, ma è una forma di pensiero che potrebbe essere utile nel concreto del trattamento analitico, in quanto tratta strutture generali, non casi particolari. Astratto in matematica, in particolare in algebra, ha un significato preciso: significa “a meno di isomorfismi”. Il caso singolo è sempre uno tra tanti. Mi spiego.

Partirò dalla nozione di struttura matematica, un punto di partenza che molti analisti, in particolare lacaniani, mi concederanno. Per fissare le idee, mi riferisco a una struttura matematica molto semplice e visiva, la struttura di adiacenza. Si tratta della nozione di grafo. Un grafo è fondamentalmente la generalizzazione di un poligono. È un insieme di vertici, V, connessi da un insieme di lati, E. Astrattamente parlando, un grafo è una coppia ordinata (V, E). Due vertici y, appartenenti all’insieme V, sono adiacenti nel grafo (V, E), se in E esiste il lato xy che unisce x a y. Due grafi sono isomorfi se esiste una funzione biunivoca che trasforma i vertici dell’uno nei vertici dell’altra, in f(x), a condizione che conservi i lati; cioè, se xy è un lato del grafo di partenza, allora f(x)f(y) è il lato corrispondente del grafo isomorfo. Sono, per esempio, isomorfi i seguenti tre grafi, all’apparenza molto diversi, ma isomorfi perché conservano le relazioni di adiacenza (da R. Diestel, Graph Theory, Springer, Berlin 2005, p. 17)

L’operazione di isomorfismo consiste nel dimostrare che due strutture all’apparenza diverse sono in effetti uguali, dal punto di vista della struttura; nel caso dei grafi in figura la struttura di adiacenza è la stessa in presentazioni anche molto diverse, con numero diverso di intersezioni dei lati: 1, 3, 9. Una classe massimale di grafi isomorfi è detta proprietà grafica.

L’operazione di riconoscimento dell’isomorfismo non è in generale banale, perché riguarda l’individuazione della funzione biunivoca f, che conserva le adiacenze; l’operazione può essere molto impegnativa, se V è infinito. Si tratta del problema freudiano dell’Analisi finita e infinita, nota agli italiani come Analisi terminabile e interminabile, impostato da Freud in modo un po’ (molto) diverso da quello matematico. Mi fermo qui, sperando di aver chiarito la nozione di isomorfismo come equivalenza di strutture. In matematica, “a meno di isomorfismi” significa, allora, che una struttura appartiene a una certa classe di equivalenza strutturale, che riunisce tutti gli esempi isomorfi di una certa struttura, da considerare equivalenti, anche se all’apparenza non sembrano. Anche il più critico avversario dell’astrazione matematica a questo punto ammetterà che siamo rimasti abbastanza sul concreto.

C’è solo da ricordare che la concretezza matematica è diversa da quella della vita quotidiana. È la concretezza dell’insiemistica, che considera equivalenti gli elementi di un insieme, a prescindere dalla loro natura e dal loro ordinamento (Cantor). Al punto tale che Bourbaki pretese sistematizzare tutta la matematica su base insiemistica. Fu forse un’esagerazione. Oggi esiste una matematica debolmente insiemistica, quindi più generale dell’insiemistica, la teoria delle categorie, ancora più astratta dell’insiemistica, che tratta gli insiemi come oggetti indefiniti, tra cui operano applicazioni binarie di tipo associativo (mappe), a prescindere non solo dalla natura e dall’ordinamento dei suoi elementi, ma anche dalla relazione di appartenenza di un elemento all’insieme.[2]

Da ultimo segnalo una soluzione parziale al problema dell’isomorfismo. Si tratta di calcolare per ogni struttura degli invarianti, in pratica delle costanti. Gli invarianti sono costanti numeriche, algebriche, topologiche, facili da calcolare nelle strutture in esame. Se gli invarianti di due strutture sono diversi, le strutture sono certamente non isomorfe; se sono uguali, nulla si può dire, se non provare con altri invarianti.

E se provassimo anche in psicanalisi, dimostrando per esempio, che le tre strutture psicopatologiche fondamentali: perversione, nevrosi e psicosi, non sono isomorfe, perché hanno invarianti diversi? Sarebbe un modo scientifico di cominciare a fare psicopatologia, a prescindere da preconcetti magistrali.

 

[1] Potenza della matematica! La matematica tollera perfino dimostrazioni sbagliate. Eulero diede una falsa dimostrazione del teorema di Goldbach, quello della famosa congettura dei numeri pari come somma di primi. Il teorema afferma che la serie degli inversi delle potenze perfette (dai quadrati in su), diminuite di uno, 1/3 + 1/7 + 1/8 + 1/15 + 1/24 + 1/26 + 1/31 + 1/35 + 1/48 + 1/63…, converge a 1. Un bel teorema, molto profondo, connesso alla funzione zeta di Riemann.
[2] La teoria delle categorie è la teoria matematica che studia in modo astratto le strutture matematiche e le relazioni tra esse. La nozione di categoria fu introdotta per la prima volta da Samuel Eilenberg e Saunders Mac Lane nel 1945 nell’ambito della teoria algebrica. […] Informalmente, una categoria è costituita da determinate strutture matematiche e dalle mappe tra esse che ne conservano le operazioni (da Wikipedia).

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