FREUD: La morale sessuale “civile” e il nervosismo moderno (1908)

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12 dicembre, 2021 - 08:50

Sigmund Freud, Die “kulturelle” Sexualmoral und die moderne Nervosität,
in Sigmund Freud gesammelte Werke, vol. VII, p. 143
Traduzione di Antonello Sciacchitano

Prefazione di Antonello Sciacchitano
L’ovvia congettura: il danno è prodotto dalla femminilità
Freud esordisce proprio così: “È ovvia la congettura”. Enuncia come congettura, cioè come ipotesi falsificabile, l’incontrovertibile caposaldo della sua dottrina della nevrosi: esiste un danno prodotto dalla società civile alla vita sessuale del singolo, ovviamente maschile, condannata a restrizioni diverse, a cominciare dal divieto d’incesto. “È ovvia la congettura che il dominio di una morale sessuale civile possa lasciare fuori (aussetzen) la salute (Gesundheit) e il sapersela cavare nella vita (Lebenstüchtigkeit) dei singoli uomini”. È ovvia la congettura per la mentalità eziopatogenetica del medico che dappertutto vede cause morbose che impediscono di vivere. Tutto congiura contro la salute, anche la civiltà. Il modo di ragionare è molto attuale. La psichiatria dei nostri giorni si focalizza sulla salute mentale, mettendo in secondo piano la psicopatologia. Nessuno oggi scriverebbe un trattato di 500 pagine sulla schizofrenia come Bleuler o come Arieti. È anche l’attualità di Freud che se la cava con uno smilzo saggio di ventisei pagine contro la morale sessuale civile, che compromette la vita sessuale individuale. Quando il vitalismo prevale sull’interesse scientifico… Siamo nell’ordine di pensiero dei no-vax, al cui fascino il filosofo difficilmente sfugge.
È come se parlasse il perito assicuratore: la società è la causa del danno; l’individuo è il danneggiato da risarcire (entschädigen). L’eziologia di Freud è elementare. L’“imperativo bisogno di causalità”, das gebieterisches Kausalbedürfnis, riconosciuto trent’anni dopo nel terzo saggio di L’uomo Mosè e la religione monoteista, trova in questo scritto una delle sue espressioni più nette. La constatazione tocca il nucleo del pensiero freudiano a favore dello stereotipo culturale, qui decisamente non scientifico, per giunta maschilista, “della selezione virile, la sola per la cui opera si può ottenere un miglioramento costituzionale”. E ribadisce la curiosa equivalenza tra civiltà e femminilità, che altri scritti più prudenti non riprendono: “Sarebbe caratteristico della morale sessuale civile dominante trasferire certe pretese femminili alla vita sessuale dell’uomo e disprezzare qualsiasi relazione sessuale, a eccezione della coniugale monogamica”. Insomma si è civili grazie alla femminilità, in funzione materna, con il danno che implica per la salute maschile. Le virgolette su “civile” calano qui.
In realtà, da questo scritto risulta chiaro che in Freud il pregiudizio medico, articolato in termini eziopatogenetici, sovrasta l’esigenza scientifica. La medicalizzazione della psicanalisi si fa per via pulsionale. Nell’analisi della società, prima della società vengono le pulsioni individuali che la società osteggia: “La nostra civiltà è del tutto in generale costruita sulla repressione delle pulsioni”. Di conseguenza Freud afferma: “Tra gli effetti dannosi imputati alla morale sessuale civile il medico avverte che ne manca uno […]: l’accrescersi, ad essa riconducibile, del nervosismo moderno, in rapida diffusione nella nostra attuale società”.
Il punto è delicato. Per non perdere l’invenzione originale dell’inconscio, vera e propria invenzione scientifica, bisogna inghiottire buona parte della paccottiglia medicale (leggi pulsionale) che devasta le Sigmund Freud gesammelte Werke, facendo buon viso a cattivo gioco. Con l’avvertimento che buona parte dell’attuale declino della psicanalisi è dovuta alla sua versione come psicoterapia, magari di Stato. È questa riduzione, prima pulsionale, poi professionale, a compromettere il futuro della psicanalisi, dopo i diversi tentativi di rilancio di una psicanalisi laica, operati da grandi maestri come Bion e Lacan, oggi finiti anch’essi nella fossilizzazione dottrinaria. In effetti, a quarant’anni dalla morte di Lacan, non si vede all’orizzonte sorgere l’astro di un nuovo maestro di psicanalisi. Che spieghi, per esempio, perché quel “civile” sia tra virgolette. Vuol dire che lì c’è un problema che scotta, forse l’equivalenza femminilità = civiltà.
Paradossalmente, rimane aperta una via per sanificare la psicanalisi: la terapia della terapia. Si tratta di guarire la terapia da sé stessa, cioè da certe velleità maschiliste di normalizzazione: il rapporto sessuale come impossessamento (Bemächtigung, 16 ricorrenze in tutte le Gesammelte Werke) dell’oggetto femminile. È la strada che intraprendo, riaprendo il discorso scientifico avviato da Freud, sulla scorta del più radicale insegnamento lacaniano: non esiste rapporto sessuale che possa essere scritto, cioè civilizzato nella morale sessuale “normale”.


 
 
Nella sua Etica sessuale pubblicata di recente, von Ehrenfels si sofferma sulla distinzione tra morale sessuale “naturale” e “civile”.[1] Per morale sessuale naturale va intesa quella sotto la cui egemonia una stirpe umana è in grado di conservarsi durevolmente in salute e capace di vivere; per morale civile, invece, quella seguendo la quale gli uomini sono molto di più spronati a un intenso e produttivo lavoro di civiltà (Kulturarbeit). La migliore illustrazione di questa antitesi è data dal confronto tra i patrimoni congenito e civile di un popolo. Mentre, per un più ampio apprezzamento di questa importante linea di pensiero, rimando allo scritto di von Ehrenfels, voglio metterne in evidenza solo quanto basta per innestare il mio contributo.
È ovvia la congettura che il dominio di una morale sessuale civile possa lasciare fuori la salute e il sapersela cavare nella vita dei singoli uomini, e che alla fine il danno agli individui per i sacrifici loro imposti possa raggiungere un livello così alto da mettere in pericolo in questo giro anche la meta finale della civiltà. In realtà anche von Ehrenfels documenta una serie di danni della morale sessuale che domina la nostra odierna società occidentale, per i quali deve ritenerla responsabile, fino a giudicarla bisognosa di riforma, pur riconoscendo in pieno la sua grande idoneità a promuovere la civiltà. Sarebbe caratteristico della morale sessuale civile dominante trasferire certe pretese femminili alla vita sessuale dell’uomo e disprezzare qualsiasi relazione sessuale, a eccezione di quella coniugale monogamica. Nondimeno, considerare la diversità naturale dei due sessi comporta poi punire meno rigorosamente le trasgressioni dell’uomo, ammettendo di fatto, per l’uomo, una doppia morale. Ma la società che accetti questa doppia morale non può progredire nell’“amore della verità, onestà e umanità”[2] oltre un certo limite strettamente circoscritto; deve spingere i suoi membri a occultare la verità, ad abbellire la realtà, a ingannare sé stessi e gli altri. Ancora più dannosa è la morale sessuale civile quando, esaltando la monogamia, paralizza il fattore della selezione virile, la sola per la cui opera si può ottenere un miglioramento costituzionale, dato che presso i popoli civili la selezione vitale è ridotta a un minimo dall’umanità e dall’igiene.[3]
Ora, tra gli effetti dannosi a carico della morale sessuale civile il medico avverte che manca l’unico, la cui importanza sarà qui discussa in dettaglio. Intendo l’accrescersi, ad essa riconducibile, del nervosismo moderno, in rapida diffusione nella nostra attuale società. Occasionalmente lo stesso malato nervoso fa notare al medico l’eziologia della sofferenza, tenendo conto dell’antitesi fra costituzione ed esigenze della civiltà, quando dichiara: “Nella nostra famiglia siamo diventati tutti nervosi, perché pretendevamo diventare qualcosa di meglio di ciò che, per la nostra origine, possiamo essere”. Abbastanza spesso, inoltre, il medico resta perplesso perché soccombono alle malattie nervose proprio i discendenti di quei padri che, nati in sane e semplici condizioni contadine e provenienti da famiglie certo rozze, ma anche robuste, arrivano da conquistatori nella grande città e possono permettere ai loro figli, in un breve spazio di tempo, di raggiungere un livello elevato di civiltà. Soprattutto, però, gli stessi neurologi hanno proclamato la connessione tra l’“aumento del nervosismo” e la vita civile moderna. Alcuni brani, da dichiarazioni di eminenti osservatori, mostrano dove cercare la causa di tale dipendenza.
Wilhelm Erb:[4] “La questione inizialmente posta si può dunque formulare così: le cause sopra individuate delle malattie nervose sono presenti nell’esistenza moderna in proporzione così accresciuta da spiegare il rilevante aumento di tali malattie? All’interrogativo si può senz’altro rispondere di sì, come mostrerà un rapido sguardo alla nostra vita moderna e alla sua configurazione.
Ciò risulta evidente già da una serie di fatti generali: le straordinarie conquiste dell’epoca moderna, le scoperte e le invenzioni in tutti i campi, il mantenimento del progresso di contro alla crescente competizione, tutto ciò è stato acquisito e può essere mantenuto solo con grande lavoro psichico. Il livello di prestazioni richiesto all’individuo nella lotta per l’esistenza è notevolmente aumentato ed egli può soddisfare a tali richieste solo impiegando tutte le proprie energie spirituali; allo stesso tempo i bisogni del singolo e le sue esigenze di godimento della vita sono aumentati in tutte le classi, un lusso inaudito si è diffuso in strati della popolazione prima rimasti esclusi; l’irreligiosità, l’insoddisfazione e l’avidità sono aumentate in vasti strati sociali. Attraverso la smisurata intensificazione del traffico e delle reti di comunicazione telegrafiche e telefoniche, che abbracciano tutto il mondo, le condizioni del commercio sono totalmente cambiate: tutto si fa nella fretta e nell’agitazione, la notte è usata per viaggiare e il giorno per gli affari; perfino i viaggi “di svago” sono diventati occasioni di strapazzo per il sistema nervoso. Grandi crisi politiche, industriali e finanziarie diffondono l’agitazione in strati della popolazione molto più vasti di prima; la partecipazione alla vita politica è diventata generale: le lotte politiche, religiose e sociali, l’attività di partito, le campagne elettorali, lo smisurato aumento delle associazioni infiammano gli animi e costringono le menti a sempre nuovi sforzi, sottraendo tempo allo svago, al sonno e al riposo. La vita nelle grandi città diventa sempre più raffinata e inquieta. I nervi esausti cercano ristoro in stimoli più intensi, in piaceri piccanti, stancandosi così ancora di più. La letteratura moderna si occupa in prevalenza dei problemi più scabrosi, che sommuovono tutte le passioni, incoraggiano la sensualità e la sete di godimento, il disprezzo di tutti i principi etici e di tutti gli ideali; essa presenta allo spirito del lettore figure patologiche, problemi di psicopatia sessuale, rivoluzionari e d'altro genere. Le nostre orecchie sono stimolate e sovraeccitate da una musica invadente e chiassosa, somministrata in grandi dosi; i teatri tengono avvinti tutti i sensi con i loro spettacoli provocanti; anche le arti figurative si rivolgono di preferenza al ripugnante, al deforme e all’eccitante e non esitano a metterci sotto gli occhi con rivoltante realismo anche ciò che di più mostruoso ci offre la realtà.
Questo quadro generale mostra dunque già tutta una serie di pericoli nell’evoluzione della nostra civiltà moderna; per completarlo nei dettagli si potrebbero aggiungere ancora altri tratti!”
Binswanger:[5] “La nevrastenia in particolare è stata definita una malattia prettamente moderna, e Beard, cui dobbiamo la sua prima esauriente descrizione, credette di aver scoperto una nuova malattia nervosa, sviluppatasi specialmente in suolo americano. Questa supposizione era naturalmente errata; il fatto, tuttavia, che sia stato un medico americano a cogliere e a documentare per primo, sulla base di una ricca esperienza, i particolari caratteri di questa malattia, denota indubbiamente le strette relazioni che intercorrono tra essa e la vita moderna, le relazioni con la corsa e la caccia sfrenata al denaro e al possesso, e con gli enormi progressi in campo tecnico che hanno reso illusori tutti gli ostacoli di tempo e spazio nella vita di relazione”.
Von Krafft-Ebing.[6] “II modo di vivere di numerose persone civili presenta oggi una quantità di fattori antiigienici, che fanno senz’altro capire come fatalmente il nervosismo si propaghi, perché tali fattori nocivi agiscono in primo luogo per lo più sul cervello. Proprio nel corso degli ultimi decenni, nelle condizioni politiche e sociali, specie in quelle mercantili, industriali e agrarie delle nazioni civili, si sono operati cambiamenti che hanno trasformato violentemente le professioni, la posizione sociale e la proprietà, e ciò a spese del sistema nervoso, che deve adeguarsi alle accresciute pretese sociali ed economiche con maggior dispendio di energia e con recupero molto insufficiente”.
A proposito di queste teorie – e di molte altre di tenore simile – devo obiettare che, pur non essendo errate, si dimostrano insufficienti a chiarire i dettagli dei disturbi nervosi, trascurando proprio il più importante dei fattori eziologici efficaci. A prescindere dai modi più indeterminati di essere “nervosi” e considerando le vere e proprie forme di malattie nervose, l’influsso deleterio della civiltà si riduce essenzialmente alla repressione dannosa della vita sessuale dei popoli (o dei ceti) civili, dovuta alla morale sessuale “civile” tra loro dominante.
Ho cercato di riportare la dimostrazione di questa affermazione in una serie di scritti specialistici.[7] Non posso ripeterla qui, ma voglio citare i più importanti argomenti emersi dalle mie ricerche.
L’osservazione clinica approfondita ci dà il diritto di distinguere due gruppi di malattie nervose: le nevrosi vere e proprie e le psiconevrosi. Nelle prime i disturbi (sintomi), sia che si manifestino nelle funzioni corporee sia in quelle psichiche, sembrano di natura tossica; si comportano in modo del tutto analogo ai fenomeni che si hanno in caso di apporto eccessivo o di privazione di certi veleni dei nervi. Queste nevrosi – raggruppate per lo più come nevrastenie – possono dunque essere frutto di certe influenze dannose sulla vita sessuale, senza richiedere il contributo di un carico ereditario; la forma della malattia corrisponde alla natura di questi agenti nocivi, così che abbastanza spesso si può usare il quadro clinico per concludere sulla particolare eziologia sessuale. Non esiste invece una simile corrispondenza regolare tra la forma di affezione nervosa e gli altri influssi dannosi della civiltà, ritenuti patogeni dagli autori. Si può quindi spiegare il fattore sessuale essenziale nel causare le nevrosi vere e proprie.
Nelle psiconevrosi l’influsso ereditario è più importante e la causalità meno trasparente. Un singolare processo d’indagine, noto come psicanalisi, ha tuttavia permesso di riconoscere che i sintomi di queste sofferenze (isteria, nevrosi coatta ecc.) sono psicogeni e dipendono dall’azione di complessi di rappresentazioni inconsce (rimosse). Lo stesso metodo ci ha poi insegnato a riconoscere anche questi complessi inconsci e mostrato che, generalmente parlando, hanno un contenuto sessuale; scaturiscono da bisogni sessuali di individui insoddisfatti, per i quali rappresentano una sorta di soddisfacimento sostitutivo. Quindi, in tutti gli elementi che danneggiano la vita sessuale, che ne reprimono l’attività e ne spostano le mete, noi dobbiamo ravvisare dei fattori patogeni anche per le psiconevrosi.
Il valore della distinzione teorica tra le nevrosi tossiche e psicogene non è naturalmente sminuito dal fatto che nella maggior parte delle persone nervose si osservino disturbi di duplice origine.
Chi, dunque, insieme a me è disposto a cercare l’eziologia del nervosismo anzitutto in influenze dannose sulla vita sessuale, vorrà anche seguire la discussione seguente, che intende inserire il tema del nervosismo crescente in un contesto più generale.
In generale, la nostra civiltà è completamente costruita sulla repressione delle pulsioni. Ogni individuo ha rinunciato a una parte dei suoi averi, del suo potere assoluto e delle tendenze aggressive e vendicative della sua personalità; da questi contributi ha avuto origine il patrimonio comune di beni materiali e ideali. Oltre alla necessità vitale, hanno indotto i singoli individui a questa rinuncia i sentimenti, derivati dall’erotismo, per i propri familiari. La rinuncia è stata graduale nel corso dell’evoluzione civile; ogni passo avanti era sancito dalla religione; la parte di soddisfazione pulsionale, cui si rinunciava, era offerta alla divinità; il bene comune così conquistato si dichiarava “sacro”. Chi, in virtù della sua irriducibile costituzione, non può adeguarsi alla repressione pulsionale, diventa un “criminale”, un “fuorilegge” di fronte alla società, a meno che la sua posizione sociale e le sue eccezionali capacità non gli permettano di affermarsi in essa come grand’uomo, un “eroe”.
La pulsione sessuale – o, per meglio dire, le pulsioni sessuali, dato che la ricerca analitica insegna che la pulsione sessuale è composta dall’insieme di molte componenti, le pulsioni parziali – è verosimilmente più sviluppata nell’uomo che nella maggior parte degli animali superiori e, comunque, più costante, avendo quasi del tutto superato la periodicità cui negli animali appare legata. La pulsione sessuale mette a disposizione del lavoro della civiltà enormi quantità di forza, e ciò a causa della sua peculiare particolarità di poter spostare la propria meta senza diminuire essenzialmente d’intensità.
Si chiama facoltà di sublimazione la proprietà di scambiare la meta originaria sessuale con un’altra, non più sessuale ma psichicamente affine alla prima. In contrasto con questa possibilità di spostarsi, nella quale consiste il suo valore di civiltà, la pulsione sessuale ammette anche una fissazione particolarmente ostinata, che la rende inutilizzabile e talvolta fa sì che essa degeneri nelle cosiddette anormalità. La forza originaria della pulsione sessuale è verosimilmente diversa da individuo a individuo; sicuramente oscillante è la sua componente adatta alla sublimazione. Immaginiamo che sia anzitutto l’organizzazione personale a determinare quale parte di pulsione sessuale si mostri in ogni individuo sublimabile e utilizzabile; inoltre spetta agli influssi della vita e all’influenza intellettuale dell’apparato psichico di portare a sublimazione una parte ulteriore. È tuttavia certo che tale processo di spostamento non può essere proseguito indefinitamente, così come non può esserlo la trasformazione del calore in lavoro meccanico nelle nostre macchine. In una certa misura la soddisfazione sessuale diretta sembra indispensabile per la maggior parte delle organizzazioni; il rifiuto di questa misura di variabilità individuale si sconta con fenomeni che, per la loro azione nociva sulla funzione e del loro carattere soggettivo di avversione, vanno considerati morbosi.
Orizzonti più ampi si aprono considerando che in origine la pulsione sessuale dell’uomo non serve affatto a scopo riproduttivo, ma ha come meta determinati modi di conseguire piacere.[8] Tale si manifesta nell’infanzia dell’uomo, durante la quale raggiunge la propria meta, il profitto di piacere, non solo nei genitali ma anche in altre regioni del corpo (zone erogene) e perciò può prescindere da questi comodi oggetti. Chiamiamo tale stadio autoerotismo e assegniamo all’educazione il compito di limitarlo, perché l’arresto a questo stadio renderebbe in seguito ingovernabile e inutilizzabile la pulsione sessuale. L’evoluzione della pulsione sessuale passa poi dall’autoerotismo all’amore oggettuale e dall’autonomia delle zone erogene alla loro subordinazione al primato dei genitali, posti a servizio della riproduzione. Durante tale evoluzione, parte dell’eccitamento sessuale, fornito dal proprio corpo, è inibita in quanto inutilizzabile per la funzione riproduttiva e, in casi favorevoli, avviata alla sublimazione. Le forze utilizzabili per il lavoro della civiltà sono così in gran parte ottenute reprimendo le cosiddette parti perverse dell’eccitazione sessuale.
In relazione a questa storia evolutiva della pulsione sessuale si potrebbero dunque distinguere tre livelli di civiltà: il primo in cui la pulsione sessuale è libera di operare anche oltre le mete della riproduzione; il secondo in cui della pulsione sessuale è represso tutto quanto non serve alla riproduzione; e un terzo in cui solo la riproduzione legittima è ammessa come meta sessuale. A questo terzo livello corrisponde l’attuale morale sessuale “civile”.
Considerando il secondo di questi livelli, va subito costatato che un certo numero di individui, a causa della loro organizzazione, non soddisfa alle sue richieste. In intere categorie di individui il citato sviluppo della pulsione sessuale dall’autoerotismo all’amore d’oggetto, con la meta dell’unione dei genitali, non si è compiuto in modo corretto e abbastanza radicale. Da questi disturbi evolutivi hanno origine due specie di deviazioni dannose dalla sessualità normale, cioè utile alla civiltà, che si comportano l’una verso l’altra quasi come positiva e negativa.
Abbiamo innanzitutto – a prescindere di persone dotate di pulsione sessuale fortissima e incoercibile – le diverse categorie dei perversi, in cui la fissazione infantile a una meta sessuale provvisoria ha impedito il primato della funzione riproduttiva, e gli omosessuali o invertiti, in cui la meta sessuale è stata distolta, in modo ancora non del tutto chiarito, dal sesso opposto. Se la dannosità di queste due specie di disturbi evolutivi risulta minore di quanto ci si può attendere, l’attenuazione va attribuita proprio alla complessa composizione della pulsione sessuale, la quale rende possibile una configurazione della vita sessuale ancora utilizzabile, anche se una o più componenti della pulsione si siano escluse dall’evoluzione. Anzi, la costituzione di chi è colpito da inversione, negli omosessuali, si distingue spesso per una particolare attitudine della pulsione sessuale alla sublimazione civile.
In ogni caso, forme più forti di perversione e di omosessualità, soprattutto le esclusive, rendono i loro portatori socialmente inutilizzabili e infelici, per cui le stesse richieste di civiltà di secondo livello vanno riconosciute come fonte di sofferenza per certa parte dell’umanità. Il destino di queste persone, per costituzione differenti dalle altre, è molteplice, a seconda che abbiano ricevuto una pulsione sessuale forte in senso assoluto o più debole. Nel secondo caso, data una pulsione sessuale in generale debole, i perversi riescono a reprimere completamente quelle tendenze che li pongono in conflitto con l’esigenza morale del loro livello di civiltà. Ma questa rimane anche, idealmente considerata, l’unica prestazione che riesce loro; infatti, nello sforzo di reprimere le loro pulsioni sessuali, consumano forze che altrimenti applicherebbero al lavoro della civiltà. Sono, per così dire, inibiti all’interno e paralizzati all’esterno. Vale per loro ciò che ripeteremo più avanti a proposito dell’astinenza degli uomini e delle donne, richiesta dal terzo livello di civiltà.
Con pulsione sessuale più intensa, ma perversa, sono possibili due esiti. Il primo, da non trattare ulteriormente, è che i colpiti rimangano perversi e debbano sopportare le conseguenze della loro deviazione dal livello di civiltà. Il secondo, di gran lunga più interessante, consiste nel fatto che, sotto l’influsso dell’educazione e delle richieste sociali, si raggiunga comunque la repressione delle pulsioni perverse, ma una specie di repressione che non è tale e si potrebbe meglio designare come repressione fallita. Le pulsioni sessuali inibite non si manifestano allora come tali – e in ciò consiste il successo – ma in altri modi, ugualmente dannosi per l’individuo, che lo rendono altrettanto irrecuperabile socialmente come nel caso della soddisfazione inalterata delle stesse pulsioni represse: in ciò consiste, dunque, l’insuccesso del processo, che alla lunga controbilancia e supera il successo. I fenomeni sostitutivi, che qui emergono in conseguenza della repressione pulsionale, costituiscono ciò che designiamo come nervosismo e, più specificamente, come psiconevrosi (v. inizio). I nevrotici sono quella categoria di persone che, dotate di un’organizzazione recalcitrante, attuano, sotto l’influsso delle richieste della civiltà, una repressione solo apparente e sempre meno riuscita delle loro pulsioni. Perciò continuano a collaborare all’opera civile solo con grande spreco di forze e un impoverimento interiore, o devono temporaneamente tirarsi fuori in quanto malati. Ma ho definito le nevrosi come il “negativo” delle perversioni, perché in esse si manifestano gli impulsi perversi provenienti dall’inconscio, che contengono allo stato “rimosso” le stesse tendenze dei perversi positivi.
L’esperienza insegna che per la maggior parte degli uomini c’è un limite al di là del quale la loro costituzione non può seguire le richieste della civiltà. Tutti coloro che vogliono essere più nobili di quanto permetta la loro costituzione vanno in nevrosi; sarebbero stati meglio, se fosse stato loro possibile essere peggio. La convinzione che la perversione e la nevrosi si pongano l’una rispetto all’altra come positiva e negativa trae spesso inequivocabile rinforzo dall’osservazione nella stessa generazione. Molto spesso un fratello è perverso sessuale e la sorella, che come donna è dotata di una pulsione sessuale più debole, è nevrotica, i cui sintomi, però, esprimono le medesime inclinazioni perverse del fratello sessualmente più attivo; perciò in molte famiglie gli uomini sono in genere sani ma immorali in misura socialmente indesiderabile, mentre le donne sono nobili e raffinate, ma gravemente nevrotiche.
È una delle palesi ingiustizie sociali che lo standard civile esiga da tutte le persone la stessa condotta nella vita sessuale, che a taluni riesce facile, grazie alla loro organizzazione, ma che ad altri impone i più gravi sacrifici psichici, un’ingiustizia sventata per lo più dall’inosservanza delle prescrizioni morali.
Abbiamo finora fondato le nostre considerazioni sull’esigenza del secondo livello di civiltà da noi supposto, in conformità al quale è proibita ogni attività sessuale cosiddetta perversa, mentre è lasciato libero il commercio sessuale cosiddetto normale. Abbiamo trovato che anche in tale ripartizione tra libertà e restrizione sessuale, vi è un certo numero di individui che rimangono ai margini come perversi, mentre altri, che si sforzano di non essere perversi, ma costituzionalmente dovrebbero esserlo, sono spinti alla nevrosi.
È ora facile prevedere cosa succederebbe limitando ulteriormente la libertà sessuale ed elevando l’esigenza di civiltà a livello del terzo livello, proibendo ogni attività sessuale al di fuori del matrimonio legittimo. Il numero dei forti che si pongono in aperto contrasto con l’esigenza avanzata dalla civiltà ne risulterà straordinariamente moltiplicato, come il numero dei più deboli che, nel loro conflitto fra la spinta degli influssi civili e la resistenza della loro costituzione, fuggono nella malattia nevrotica.
Proponiamoci di rispondere a tre questioni che qui si pongono: 1) quale compito ponga ai singoli individui l’esigenza di terzo livello di civiltà; 2) se il legittimo soddisfacimento sessuale ammesso, possa offrire un accettabile risarcimento per la precedente rinuncia; 3) quale sia il rapporto tra gli eventuali guasti provocati da tale rinuncia e il suo impiego civile.
La risposta alla prima questione tocca un problema trattato spesso, che non potrà essere esaurito in questa sede: quello dell’astinenza sessuale. Ciò che il nostro terzo livello di civiltà pretende dall’individuo è l’astinenza fino al matrimonio per entrambi i sessi e l’astinenza vita natural durante per chi non arriva al legittimo matrimonio. L’affermazione, gradita a tutte le autorità, che l’astinenza sessuale non sia dannosa e per nulla difficile da rispettare, è stata rappresentata anche da parte di molti medici. Si può dire che il compito di dominare un moto così potente come quello della pulsione sessuale, per via diversa dalla soddisfazione, è tale da assorbire tutte le forze di una persona. Solo una minoranza riesce a dominarlo sublimando, cioè distogliendo le forze pulsionali sessuali dalla meta propria e indirizzandole a mete civili più elevate e anche questa vi riesce solo temporaneamente, meno facilmente soprattutto nell’età degli ardori giovanili. La maggior parte degli altri diventa nevrotica o subisce altri danni. L’esperienza mostra che la maggioranza delle persone che compongono la nostra società non è costituzionalmente all’altezza del compito dell’astinenza. Chi si sarebbe ammalato anche in un più mite regime di restrizione sessuale, tanto più facilmente e intensamente si ammala di fronte alle pretese della morale sessuale civile dei nostri giorni; infatti, non conosciamo miglior tutela dello stesso soddisfacimento sessuale contro la minaccia portata allo sviluppo sessuale normale da costituzioni mancanti e disturbi evolutivi. Quanto più uno è predisposto alla nevrosi, tanto peggio sopporta l’astinenza. Le pulsioni parziali, sottrattesi all’evoluzione normale nel senso sopra descritto, divengono in concomitanza tanto più incoercibili. Persino molti di coloro che sarebbero rimasti sani nelle condizioni richieste dal secondo livello di civiltà sono ora portati alla nevrosi. Infatti, il valore psichico della soddisfazione sessuale aumenta con il suo rifiuto; la libido ingorgata è ora messa in condizione di rintracciare uno qualsiasi dei punti più deboli nell’assetto di vita sexualis, raramente mancanti, per irrompervi come soddisfazione nevrotica sostitutiva in forma di sintomi patologici. Chi conosca a fondo il condizionamento delle malattie nervose, ben presto si convince che il loro aumento nella nostra società dipende dalle incrementate restrizioni sessuali.
Ci accostiamo così alla questione se il rapporto sessuale nel matrimonio legittimo possa risarcire completamente la restrizione imposta prima del matrimonio. Il materiale per rispondere negativamente a questa domanda è talmente abbondante da obbligarci all’estrema concisione. Innanzitutto ricordiamo che la nostra morale sessuale civile limita il rapporto sessuale anche nell’ambito del matrimonio stesso, imponendo ai coniugi l’obbligo di accontentarsi di un numero per lo più assai ristretto di procreazioni. In considerazione di questo fatto, nel matrimonio si danno rapporti sessuali soddisfacenti solo per alcuni anni, da cui inoltre vanno naturalmente detratti i periodi in cui la donna deve riguardarsi per motivi igienici. Dopo questi tre, quattro o cinque anni, il matrimonio fallisce nella promessa soddisfazione dei bisogni sessuali; infatti, finora tutti i mezzi per prevenire il concepimento atrofizzano il godimento sessuale, turbano la più delicata sensibilità della coppia o hanno addirittura una diretta azione patogena. Con il timore delle conseguenze dei rapporti sessuali, scompare dapprima la reciproca tenerezza fisica dei coniugi e, poi, nella maggior parte dei casi, anche la comprensione psicologica, destinata ad assumere l’eredità della travolgente passione iniziale. In seguito alla delusione spirituale e alla privazione fisica, a cui la maggior parte dei matrimoni è destinata, i coniugi si ritrovano nelle condizioni precedenti al matrimonio, ma depauperati di un’illusione e costretti di nuovo a dipendere dalla propria fermezza per dominare e sviare la pulsione sessuale. Non occorre indagare fino a che punto l’uomo in età matura riesca in tale compito; per esperienza si avvale assai spesso di quel po’ di libertà sessuale, seppure solo tacitamente e con riluttanza, concessagli anche dal più severo codice sessuale. La “doppia” morale sessuale, valida per l’uomo nella nostra società, è la migliore ammissione che la stessa società, che ha emanato i precetti, non crede che siano eseguibili. Ma l’esperienza mostra anche che le donne, in quanto custodi degli interessi sessuali dell’uomo, sono dotate in misura minore della facoltà di sublimare la pulsione; a loro, come sostituto dell’oggetto sessuale, può bastare il lattante ma non il bambino più grandicello; le donne – dicevo – in seguito alle delusioni del matrimonio, si ammalano di nevrosi gravi che le tormentano per tutta la vita. Nelle condizioni della civiltà odierna il matrimonio ha da tempo cessato di essere la panacea per i mali nervosi della donna; anche se in questi casi noi medici continuiamo a raccomandarlo, sappiamo che una giovane dev’essere invece ben sana per “sopportare” il matrimonio e sconsigliamo vivamente i nostri clienti maschi di prendere in moglie una ragazza che già prima del matrimonio sia nevrotica.
II rimedio contro il nervosismo originato dal matrimonio sarebbe piuttosto l’infedeltà coniugale; ma quanto più severamente una donna è stata educata e quanto più rigidamente è succube della civiltà, tanto più teme questa via di scampo, e nel conflitto fra i suoi desideri e il suo senso del dovere cerca ancora una volta rifugio nella nevrosi. Nulla protegge così sicuramente la sua virtù quanto la malattia. Lo stato coniugale, che per tutta la giovinezza ha fatto sperare l’uomo civile nella soddisfazione della pulsione sessuale, non può corrispondere alle richieste della propria vita; non si parli di possibile risarcimento della precedente rinuncia.
Anche chi ammette questi danni della morale sessuale civile può rispondere al nostro terzo interrogativo che il vantaggio civile di una così ampia restrizione sessuale verosimilmente compensa e supera tali sofferenze, che del resto in forma grave colpiscono solo una minoranza. Mi dichiaro non in grado di valutare qui con precisione profitti e perdite, ma potrei portare prove d’ogni genere a favore della perdita. Sul tema dell’astinenza toccato prima, devo dire che l’astinenza porta anche altri danni oltre quelli nevrotici e che a tali nevrosi non si attribuisce per lo più la giusta importanza.
Per ora, il ritardo dello sviluppo e dell’attività sessuale, cui la nostra educazione e la civiltà aspirano, non è certo dannoso. Diventa indispensabile, considerando che solo in là con gli anni ai giovani già formati è riconosciuto valore autonomo e possibilità di guadagnare. Questo ci ricorda, d’altronde, lo stretto legame fra tutte le istituzioni della nostra civiltà e la difficoltà di modificarne una senza tener conto di tutte. L’astinenza molto al di là dei vent’anni, tuttavia, non è più senza rischi per il giovane uomo e, anche se non porta al alla nevrosi, comporta altri danni. Si dice che la lotta contro una pulsione così potente e l’accentuazione di tutte le potenze etiche ed estetiche della vita psichica a tale fine necessaria “tempri” il carattere, e ciò è vero per alcune nature organizzate in maniera particolarmente favorevole; bisogna anche ammettere che il differenziamento dei caratteri individuali, così marcato nella nostra epoca, è stato possibile solo con la restrizione sessuale. Ma nella stragrande maggioranza dei casi la lotta contro la sensualità logora l’energia disponibile del carattere, e ciò proprio in un periodo in cui il giovane ha bisogno di tutte le sue forze per conquistarsi il suo posto e la sua parte nella società. Il rapporto tra la possibile sublimazione e l’attività sessuale necessaria oscilla naturalmente moltissimo secondo gli individui e persino secondo i diversi tipi di professione. Un artista astinente è quasi inconcepibile, mentre un giovane studioso astinente non è certo una rarità. Con la continenza quest’ultimo può guadagnare vigoria disponibile per i suoi studi, mentre è verosimile che nel primo la prestazione artistica sia potentemente stimolata dall'esperienza sessuale. In generale, non ho avuto l’impressione che l’astinenza sessuale giovi a formare uomini d’azione energici e indipendenti o pensatori originali, né audaci liberatori e riformatori, bensì che formi molto più spesso bravi codardi, che più tardi sprofondano nella grande massa, che suole seguire con riluttanza gli impulsi dati da individui forti.
Anche i risultati dello sforzo di astinenza evidenziano che la pulsione sessuale in complesso si comporta in modo ostinato e indocile. L’educazione civile mira solo a reprimerla temporaneamente fino al matrimonio, proponendosi di lasciarla poi libera per servirsene. Ma contro la pulsione riescono meglio le influenze estreme della moderazione; molto spesso la repressione va oltre, con l’effetto indesiderato che, lasciata libera, la pulsione sessuale risulta danneggiata in modo permanente. Perciò spesso un’astinenza totale in gioventù non è la migliore preparazione al matrimonio dei giovani maschi. Le donne lo intuiscono e fra i loro pretendenti preferiscono quelli che hanno già dato prova come uomini con altre donne. Particolarmente sensibili sono i danni arrecati alla natura della donna dall’obbligo rigoroso dell'astinenza fino al matrimonio. Chiaramente l’educazione non prende alla leggera il compito di reprimere la sensualità della ragazza prima del matrimonio, dato che opera con i mezzi più drastici. Non solo proibisce il rapporto sessuale e promette grandi ricompense per il mantenimento dell’innocenza femminile, ma sottrae la donna anche alla tentazione durante la sua maturazione, tenendola nell’ignoranza su tutti gli aspetti reali del ruolo destinatole e non tollerando da parte sua alcun moto amoroso che non possa condurre al matrimonio. Il risultato è che, quando all’improvviso le autorità familiari le permettono di innamorarsi, la ragazza non è psichicamente in grado di farlo e accede al matrimonio insicura dei propri sentimenti. In conseguenza di questo ritardo artificiale della funzione amorosa, la giovane moglie non procura altro che delusioni all’uomo che per lei ha serbato tutti i suoi ardenti desideri; psichicamente e sentimentalmente è ancora attaccata ai genitori, la cui autorità ha operato in lei la repressione sessuale, e nel comportamento fisico si mostra frigida, il che impedisce all’uomo un migliore godimento sessuale. Non so se il tipo di donna anestetica esista anche al di fuori dell’educazione civile, ma lo ritengo verosimile. In ogni caso, è addirittura coltivato dall’educazione; queste donne che concepiscono senza piacere si mostrano poi poco disposte a sopportare i dolori di parti frequenti. Così la preparazione al matrimonio vanifica gli scopi del matrimonio stesso; quando poi la donna ha superato il ritardo nello sviluppo, e la piena capacità di amare si risveglia in lei al culmine della sua esistenza femminile, il suo rapporto con il marito è da tempo compromesso; a titolo di ricompensa per la precedente docilità, le rimane la scelta tra desiderio insaziato, infedeltà o nevrosi.
Il comportamento sessuale di un uomo è spesso modello di tutti gli altri suoi modi precedenti di reagire nel mondo. All’uomo che conquista energicamente il proprio oggetto sessuale, attribuiamo pari energia senza riguardi anche perseguendo altre mete. Chi invece rinuncia a soddisfare le proprie forti pulsioni sessuali per ogni sorta di scrupoli, avrà anche in altre occasioni della vita un comportamento conciliante e rassegnato, piuttosto che risoluto. Un’applicazione specifica di questa proposizione sull’esemplarità della vita sessuale per l’esercizio di altre funzioni, si può facilmente costatare in tutto il sesso delle donne. L’educazione nega loro di trattare intellettualmente i problemi sessuali, per i quali nondimeno nutrono la maggiore bramosia di sapere, e le intimorisce condannando tale brama come non femminile e indice di predisposizione peccaminosa. Così sono intimorite in generale dal pensiero; il sapere è per loro svalutato. Il divieto di pensare si estende al di là della sfera sessuale, in parte a causa di inevitabili nessi, in parte in modo automatico, del tutto analogamente a come agisce il divieto religioso di pensare per gli uomini o quello lealistico per i bravi sudditi. Non credo che l’opposizione biologica tra lavoro intellettuale e attività sessuale spieghi la “debilità mentale fisiologica” della donna, come ha sostenuto Moebius nel suo tanto discusso lavoro. Ritengo al contrario che l’indubbia inferiorità intellettuale di tante donne sia riconducibile all’inibizione di pensare richiesta per la repressione sessuale.
Trattando il problema dell’astinenza, si distingue con insufficiente rigore tra due forme: l’astensione da ogni attività sessuale in genere, e l’astensione dal rapporto sessuale con l’altro sesso. Per molte persone, che si vantano dell’ottenuta astinenza, è stato possibile solo con l’aiuto della masturbazione e di simili soddisfazioni, che si riallacciano alle attività sessuali autoerotiche della prima infanzia. Ma proprio a causa di tale connessione, questi mezzi sostitutivi di soddisfazione sessuale non sono affatto innocui; predispongono alle numerose forme di nevrosi e psicosi, condizionate dalla regressione della vita sessuale alle sue forme infantili. La masturbazione, inoltre, non corrisponde affatto alle pretese ideali della morale sessuale civile e spinge perciò i giovani ai medesimi conflitti con l’ideale educativo a cui volevano sfuggire con l’astinenza. Inoltre, guasta il carattere viziandolo in più di un modo, in primo luogo perché insegna a raggiungere mete importanti senza fatica, in modo comodo, invece che con un’energica tensione di tutte le forze, secondo il principio dell’esemplarità sessuale, e in secondo luogo perché nelle fantasie che accompagnano la soddisfazione innalza l’oggetto sessuale a un livello tale di eccellenza che non è facile ritrovare nella realtà. Così uno scrittore ricco di spirito, Karl Kraus in Die Fackel di Vienna, ritorcendo la punta dell’argomento, ha potuto dire cinicamente il vero: “Il coito è solo un surrogato insufficiente dell’onanismo!”
Il rigore della richiesta civile e la difficoltà del compito di astinenza hanno concorso a fare dell’astensione dall’unione dei genitali di sessi diversi il fulcro dell’astinenza e a favorire altri generi di attività sessuale che, per così dire, equivalgono a una semi-obbedienza. Da quando il normale rapporto sessuale viene tanto spietatamente perseguito dalla morale – nonché dall’igiene, per la possibilità di infezioni, – le forme cosiddette perverse di rapporti tra i due sessi, nelle quali la parte dei genitali è presa da altre zone del corpo, hanno indubbiamente acquisito maggiore importanza sociale. Queste attività non possono essere considerate innocue, come analoghe prevaricazioni del rapporto erotico, ma sono eticamente riprovevoli, perché degradano le relazioni d'amore tra due esseri umani, che sono una cosa seria, a un comodo gioco senza pericolo e senza partecipazione psichica. Come ulteriore conseguenza dell’aggravarsi della vita sessuale normale, va citato il diffondersi della soddisfazione omosessuale; a tutti coloro che sono omosessuali per la loro organizzazione psichica o che lo sono diventati nell’infanzia, si aggiunge anche il gran numero di coloro ai quali in età più matura, a causa dello sbarramento della corrente libidica principale, si spalanca il braccio laterale omosessuale.
Tutte queste inevitabili e involontarie conseguenze della pretesa dell’astinenza concorrono nel guastare alla base la preparazione al matrimonio, che secondo l’intenzione della morale sessuale civile dovrebbe diventare invece l’erede esclusivo delle aspirazioni sessuali. Tutti gli uomini che in seguito a pratiche masturbatorie o perverse hanno convogliato la loro libido in situazioni e condizioni di soddisfazione diverse dalle normali, sviluppano nel matrimonio una potenza ridotta. Anche le donne, che hanno potuto conservare la verginità solo grazie a simili aiuti, nel matrimonio si mostrano anestetiche per il rapporto normale. Il matrimonio iniziato con una ridotta capacità erotica di entrambi le parti soccombe ancor più rapidamente degli altri al processo di dissoluzione. Per via della poca potenza dell’uomo, la donna non viene soddisfatta e rimane anestetica, anche quando la disposizione alla frigidità, portata dall’educazione, sarebbe stata forse superata da una potente esperienza sessuale. Una simile coppia trova anche la prevenzione dei concepimenti più difficile di una sana, poiché l’indebolita potenza dell’uomo sopporta male l’impiego di mezzi antifecondativi. In tale perplessità il rapporto sessuale si abbandona presto come fonte di tutti i guai, abbandonando così il fondamento della vita coniugale.
Stimolo tutti gli esperti a confermare che non esagero, ma descrivo situazioni altrettanto gravi, osservabili con frequenza qualsiasi. In realtà per i profani è del tutto incredibile quanto sia raro trovare nell’uomo una potenza normale e quanto sia frequente la frigidità nella metà femminile delle coppie sposate, soggette al dominio della nostra morale sessuale civile, a quali rinunce, spesso da entrambe le parti, sia legato il matrimonio e a cosa si riduca la vita coniugale, la tanto bramata felicità. Ho già esposto che in tali circostanze lo sbocco nel nervosismo è la cosa più ovvia; ma voglio ancora aggiungere come si ripercuota sui figli (unici o poco numerosi) nati in tale matrimonio. Si presenta qui un’apparente trasmissione ereditaria, che all’esame più attento si risolve nell’azione di potenti impressioni infantili. Come madre, la donna nevrotica, insoddisfatta del marito, è eccessivamente tenera e iper-ansiosa per il figlio, su cui trasferisce il bisogno d’amore e in cui risveglia una precoce maturazione sessuale. La cattiva intesa tra genitori eccita poi la vita affettiva del bambino, facendogli provare intensamente nella più tenera età amore, odio e gelosia. L’educazione severa, intollerante di ogni genere di attività di vita sessuale tanto presto risvegliata, vi aggiunge il potere repressivo; a quest’età il conflitto basta a causare il nervosismo di tutta una vita.
Ritorno ora alla mia precedente affermazione di cui per lo più non si apprezza tutta l’importanza nel giudicare le nevrosi. Con ciò non intendo confermare la sottovalutazione di questi stati, che si manifesta nella leggerezza con cui i familiari se ne disinteressano e nelle troppo fiduciose assicurazioni da parte dei medici che basti qualche settimana di cura d’acqua fredda o qualche mese di riposo e svago per eliminare la situazione. Queste sono ormai opinioni di medici e profani assolutamente ignoranti, per lo più solo discorsi intesi a offrire ai sofferenti un’effimera consolazione. Invece, si sa che una nevrosi cronica, anche quando non toglie completamente la capacità di vivere, rappresenta un grave peso nella vita dell’individuo, quasi dell’ordine di una tubercolosi o di un difetto cardiaco. Ci si potrebbe ancora accontentare se le malattie nevrotiche escludessero dal lavoro della civiltà solo un certo numero di individui, comunque i più deboli, e permettessero agli altri di parteciparvi al prezzo di disturbi meramente soggettivi. Desidero piuttosto richiamare l’attenzione sul punto di vista che la nevrosi, quale che sia la gravità e ovunque sorga, riesca sempre a sventare gli intenti della civiltà e compia così il lavoro delle forze psichiche represse ostili alla civiltà; così la società non solo non può registrare un profitto acquisito al prezzo di sacrifici, ma neppure un profitto in assoluto, pagando la docilità alle sue estese prescrizioni con l’aumentato nervosismo.
Veniamo, ad esempio, al caso così frequente della donna che non ama il marito perché, alle condizioni in cui ha contratto il matrimonio e alle esperienze della vita coniugale, non ha motivo di amarlo, ma che vorrebbe assolutamente amare, perché solo questo corrisponde all’ideale di matrimonio cui è stata educata. In tal caso, reprimerà in sé stessa tutti i moti che tendono a esprimere la verità e che contrastano con le sue aspirazioni ideali e si sforzerà in particolare a fare la parte della moglie innamorata, affettuosa e premurosa. La conseguenza di questa auto-repressione sarà la malattia nevrotica, che si vendicherà in breve tempo nei confronti dell'uomo non amato, provocando in lui tanta insoddisfazione e pena quanta gliene avrebbe procurata la confessione del vero stato di cose. Lesempio è tipico delle produzioni nevrotiche. Analogo fallimento della compensazione si osserva reprimendo altri moti ostili alla civiltà, non direttamente sessuali. A chi, per esempio, è diventato troppo buono in segito alla repressione violenta di un’inclinazione costituzionale alla durezza e alla crudeltà, è spesso sottratta tanta energia da non realizzare quanto corrisponde ai suoi intenti di compensazione; il risultato complessivo è meno buono di come sarebbe stato senza la repressione.
Aggiungiamo ancora che, insieme alla limitazione dell’attività sessuale di un popolo, si accrescono quasi sempre l’ansietà per la vita e la paura della morte, che turbano la capacità di godimento dell’individuo e lo rendono meno pronto ad affrontare la morte per qualche scopo e si manifestano in una diminuita propensione a procreare, impedendo a questo popolo o gruppo umano di partecipare al futuro. Allora appare legittima la domanda se la nostra morale sessuale “civile” meriti i sacrifici che ci impone, specialmente se non ci si vieta l’edonismo tanto da non accogliere tra i fini della nostra evoluzione culturale un certo livello di felicità individuale. Non spetta certo al medico farsi avanti con proposte di riforma; ho tuttavia pensato di poter sostenere l’urgenza di tali riforme, ampliando la descrizione di von Ehrenfels dei danni prodotti dalla nostra morale sessuale “civile”, accennando alla loro importanza per la diffusione del nervosismo moderno.
 

[1] C. Von Ehrenfels, Sexualethik, in “Grenzfragen des Nerven- und Seelenlebens” (Questioni limite della vita nervosa e psichica) da L. Löwenfeld, LVI, Wiesbaden 1907.
[2] Ivi., pp. 32 sg.
[3] Ivi, p. 35.
[4] W. Erb, “Über die wachsende Nervosität unserer Zeit” (Sul crescente nervosismo del nostro tempo), Heidelberg, 1893.
[5] L. Binswanger, “Die Pathologie und Therapie der Neurasthenie” (La patologia e la terapia della nevrastenia), Jena 1896.
[6] J.R. Von Krafft-Ebing, “Nervosität und neurasthenische Zustande” (Nervosismo e stati nevrastenici), Vienna 1895.
[7] V. Sammlung kleiner Schriften zur Neurosenlehre, Wien 1906, 4a ed. 1922.
[8] Vedi i miei Tre saggi sulla teoria sessuale, 1905.
 

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