La scienza è inaffidabile quando si pretende che diventi norma, verità su cui riporre una fede religiosa. Come sanno tutti gli scienziati veri, appassionati delle loro ricerche e non della visibilità e del potere (nulla di più estraneo allo spirito scientifico), la scienza non produce certezze (esse fanno parte di sistemi dogmatici che si legittimano dalla capacità di conformazione che esercitano sulle masse). Produce una conoscenza necessariamente approssimativa e discontinua della realtà e per farlo deve operare in campi diversi tra di loro, dialoganti per quanto è possibile, ma in nessun modo uniformabili a un pensiero unico che detta legge. L’essere umano è tale, vive e prospera nella buona e nella cattiva sorte, se non ambisce a possedere uno sguardo divino capace di vedere tutto nel suo insieme, in un’unica prospettiva. La scienza vede la realtà secondo prospettive diverse che restano asintotiche rispetto a una visuale totale che non è reale. Lo iato tra la visuale umana (multi-prospettica, asintotica rispetto a ogni verità assoluta) e un ipotetico sguardo divino, produce conoscenza e esperienza, ampliando all’infinito il loro spazio, ed è la condizione della permanenza del desiderio e della vita. Grazie a questo iato si respira.
Con tutte le difficoltà e le tante inefficienze del sistema sanitario mondiale, gli scienziati hanno prodotto dei vaccini che hanno un’efficacia innegabile, seppure relativa. Non si capisce perché avrebbero dovuto produrre miracoli, la scienza non li crea (men che mai a commando). Diversa, e molto più importante, è la questione di chi e come usa la scienza. Ci sono due interrogativi che sono ineludibili e il silenzio che li copre è scoraggiante. Si può continuare a affidare la ricerca scientifica quasi esclusivamente a investimenti privati (esenti da controlli e regolazioni da parte di organismi pubblici) che per definizione non tengono conto dell’interesse collettivo (se non in una sua interpretazione legata alle opportunità di speculazione)? Può in prospettiva produrre qualcosa di buono l’investimento di enormi fondi nella produzione privata di vaccini (comprati a prezzi scandalosi) che vengono sottratti dalla sanità pubblica (il grande malato, il nostro tendine d’Achille, di cui non prendiamo cura)? Lo smantellamento della libertà della scienza sfocia nella confusione tra verità scientifica e propaganda. Quando l’ad di Pfizer si indirizza direttamente all’opinione pubblica per dire che sarà necessaria, a breve, una quarta dose, è in chiaro conflitto di interesse. Queste valutazioni spettano a autorità di controllo indipendenti.
I vari esperti che parlano in tv dando comunicazioni contraddittorie, su un virus di cui non sono ricercatori, hanno disorientato il loro pubblico, stretto tra due opposte tendenze: il ritiro dalla vita è il diniego di un pericolo reale oggetto di disinformazione. La volontà ossessiva di ridurre l’essere umano alla biologia, denegando la sua natura relazionale, affettiva e erotica e la sua fondamentale necessità di dare senso alla sua esistenza (senza il quale perisce), è messa alle corde dal fatto evidente che i vaccini ci proteggono, ma dai pericoli (i virus e altre catastrofi che incombono) non usciamo senza una diversa cultura e politica di vita. L’ossessione in crisi si fa veleno: “la scienza non è democratica” dice un tecnocrate mediatico.
Fuori dalla Polis democratica la scienza non è indipendente ed è priva di verità e di etica. Essa prospera nel dibattito, si fonda sulla libertà di espressione delle idee e evolve secondo modalità di consenso fondate sul ragionamento e non sull’arbitrio. Opera nel rispetto rigoroso del principio della non contraddizione, pronta sempre a rivedere le sue visioni. Vive, tuttavia, sulle contraddizioni: la sua specificità è di riconoscerle e metterle in tensione, creando verità, senza eliminarle necessariamente.
Con tutte le difficoltà e le tante inefficienze del sistema sanitario mondiale, gli scienziati hanno prodotto dei vaccini che hanno un’efficacia innegabile, seppure relativa. Non si capisce perché avrebbero dovuto produrre miracoli, la scienza non li crea (men che mai a commando). Diversa, e molto più importante, è la questione di chi e come usa la scienza. Ci sono due interrogativi che sono ineludibili e il silenzio che li copre è scoraggiante. Si può continuare a affidare la ricerca scientifica quasi esclusivamente a investimenti privati (esenti da controlli e regolazioni da parte di organismi pubblici) che per definizione non tengono conto dell’interesse collettivo (se non in una sua interpretazione legata alle opportunità di speculazione)? Può in prospettiva produrre qualcosa di buono l’investimento di enormi fondi nella produzione privata di vaccini (comprati a prezzi scandalosi) che vengono sottratti dalla sanità pubblica (il grande malato, il nostro tendine d’Achille, di cui non prendiamo cura)? Lo smantellamento della libertà della scienza sfocia nella confusione tra verità scientifica e propaganda. Quando l’ad di Pfizer si indirizza direttamente all’opinione pubblica per dire che sarà necessaria, a breve, una quarta dose, è in chiaro conflitto di interesse. Queste valutazioni spettano a autorità di controllo indipendenti.
I vari esperti che parlano in tv dando comunicazioni contraddittorie, su un virus di cui non sono ricercatori, hanno disorientato il loro pubblico, stretto tra due opposte tendenze: il ritiro dalla vita è il diniego di un pericolo reale oggetto di disinformazione. La volontà ossessiva di ridurre l’essere umano alla biologia, denegando la sua natura relazionale, affettiva e erotica e la sua fondamentale necessità di dare senso alla sua esistenza (senza il quale perisce), è messa alle corde dal fatto evidente che i vaccini ci proteggono, ma dai pericoli (i virus e altre catastrofi che incombono) non usciamo senza una diversa cultura e politica di vita. L’ossessione in crisi si fa veleno: “la scienza non è democratica” dice un tecnocrate mediatico.
Fuori dalla Polis democratica la scienza non è indipendente ed è priva di verità e di etica. Essa prospera nel dibattito, si fonda sulla libertà di espressione delle idee e evolve secondo modalità di consenso fondate sul ragionamento e non sull’arbitrio. Opera nel rispetto rigoroso del principio della non contraddizione, pronta sempre a rivedere le sue visioni. Vive, tuttavia, sulle contraddizioni: la sua specificità è di riconoscerle e metterle in tensione, creando verità, senza eliminarle necessariamente.
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