Il libro “Ritornare in sé. L’interiorità smarrita e l’infinità distrazione” (Aragno, Torino 2022, 180 pp, € 20) di Fabio Merlini, direttore della Scuola di Formazione dell’Università della Svizzera Italiana e presidente della Fondazione Eranos, è molto bello. Tratta con passione lucida e sensibilità colta un argomento classico, il sentimento di interiorità, dimostrando come il ritornare in sé sia una nostra priorità assoluta, non più rinviabile in alcun modo.
L’eclissi dell’interiorità è legata all’affermazione crescente del narcisismo. Non del narcisismo come individualismo sfrenato, peraltro un suo segno caratterizzante, ma come onnipotenza che vuole flettere la realtà alla sua volontà, facendola corrispondere alla sua prospettiva. Questa pretesa fa rimbalzare sull’onnipotenza una strapotenza della realtà, così che il soggetto, che si illude di manipolarla, è inesorabilmente preso nelle sua forza oggettivante:
“L’onnipotenza narcisistica ha dunque il suo riflesso nel modo in cui il mondo afferma se stesso, dettando universalmente le regole imperative (accelerazione, innovazione, efficienza) della sua abitabilità: o dentro o fuori. Contro questa strapotenza l’onnipotenza narcisistica è quindi destinata a infrangersi, in attesa che qualcuno poi intervenga poi a canalizzarne la frustrazione”.
Il narcisismo patologico, anti-erotico, frutto di una soggettività deprivata del suo desiderio (perché si vive in una società che contrasta in tutti i modi il suo dispiegamento), teme la realtà e la sua variabilità e imprevedibilità (che ispirano e tengono in vita l’eros) e cerca di soggiogarla ricorrendo al controllo e al calcolo (quello probabilistico è il suo modello più raffinato). Questa restrizione del rapporto con la realtà ricade sul soggetto narcisista in due modi. Da una parte togliendo l’inatteso, l’inconsueto e la scoperta, impedisce la conoscenza del mondo, rende impossibile una maniera corretta di abitarlo e lo trasforma in una potenziale minaccia. Dall’altra, ostacolando la trasformazione della materia della soggettività, dissolve nel soggetto collettivo o individuale l’interiorità, lo rende estraneo a se stesso.
Preso nelle maglie dell’oggettività (il calcolo come dogma fondante del rapporto con la realtà riduce tutto alla sua logica di autoproduzione) il soggetto rischia di essere catturato nell’allucinazione con cui cerca di colmare l’assenza di esperienza realmente vissuta. L’organizzazione della vita sostituisce la vita e ha bisogno di effetti speciali per far fronte all’infelicità che crea.
Lo smarrimento dell’interiorità fa trionfare l’oggettività sulla soggettività e ci fa appiattire sul mondo esterno. Vengono meno, afferma Merlini, un’eccedenza, uno scarto, un resto tra realtà interna e esterna che rendono possibile il gioco dell’intesa tra di loro. È il lavoro liberatorio che opera l’interiorità sulla realtà a mantenere viva la differenza tra mondo interno e mondo esterno e le relazioni di scambio tra di loro:
“Custodirne la differenza è uno dei compiti di ciò che ho chiamato “sentimento di interiorità”. Più questo sentimento è accudito, maggiore è la percezione della differenza che intercorre tra le due realtà. Più è trascurato, maggiore è il potere del mondo esterno sull’individuo.”
Si può dire che l’interiorità sia l’iscrizione nella nostra materia psicocorporea della nostra differenza con l’alterità, che ci fornisce un’intima conoscenza di noi e di essa. Questa iscrizione, originale per ognuno di noi, dà alla nostra esperienza profondità e intensità, è il nostro idioma personale di vita. È memoria vivente che crea il nostro senso di continuità nella discontinuità e alloggia nel luogo della trasformazione reciproca tra noi e gli altri. Il declino della differenza e dell’interiorità (il modo personale di trasformarci mentre trasformiamo) è il disagio più importante nella civiltà.
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