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LA GUERRA DELLA PSICHIATRIA

12 Ott 22

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Quanti metodi di valutazione esistono in psichiatria e quali differenze teoriche si celano dietro criteri di sistematizzazione e analisi dei dati (che ogni psichiatra abitualmente utilizza con i propri pazienti) e da questi, quali prassi cliniche derivano? 

Certamente, a partire dalla terza edizione del Manuale Diagnostico e Statistico (DSM) dei disturbi mentali (1980), le malattie psichiche non vengono, così come sostenuto nelle prime due edizioni del Manuale del 1952 e 1968, “interpretate” come “reazioni” a cause scatenanti esterne o dovute a esperienze soggettive più o meno coscienti, ma sono descritte secondo sintomi osservati chiaramente, elencati in sindromi precise dotate di un loro decorso (1,2,3). 

Ma il bisogno di “interpretare” o “cercare spiegazioni o significati” per tali “reazioni” o “adattamento” ad eventi di vita, non solo fanno parte del linguaggio comune della Nostra professione, ma appaiono indispensabili in molte aree di prevenzione e cura, si pensi solo al concetto di vulnerabilità psichica infantile che fa seguito a maltrattamenti e ai conseguenti modelli neurocognitivi e di stile nel comportamento sociale. 

 

Tornando però a quel periodo tra i primi due DSM e il DSM 3a edizione (1980), e alle differenze di metodo ritenute inconciliabili, appare davvero didattico   l’articolo di Rachel Aviv, pubblicato da The Guardian del 11 ottobre 2022 e qui tradotto in larga parte, dal titolo “Psychiatry wars: lawsuit that put psychoanalysis on trial” (La guerra della psichiatria: la causa che mise sotto processo la psicoanalisi) (4), che racconta di quando il dottor Ray Osheroff, fece causa a un ospedale statunitense per non avergli somministrato degli antidepressivi. Un caso che avrebbe cambiato il corso della storia della psichiatria, non ultimo a causa dei risvolti medico legali. 

E non unico caso di guerra tra psichiatri. 

 

Prima di entrare a Chestnut Lodge, nel Maryland, uno dei più prestigiosi ospedali psichiatrici degli Stati Uniti, Ray Osheroff era il tipo di medico carismatico e sovraccarico di lavoro. Aveva aperto tre centri di dialisi nel nord della Virginia e si sentiva alla portata di qualcosa di "molto nuovo per me, qualcosa che non avevo mai avuto prima, e cioè le prospettive chiare e distinte di successo", scrisse in un libro di memorie non pubblicato. Amava il telefono, che significava nuovi contatti, più affari, la sensazione di essere vitale e richiesto. "La vita era un'impennata". 

 

 

Ma all'età di 41 anni, dopo aver divorziato e risposato rapidamente, sembrò perdere lo slancio. Quando la sua ex moglie si trasferì in Europa con i loro due figli, si sentì come se avesse rovinato la possibilità di avere un rapporto profondo con i suoi figli. Il suo pensiero era diventato circolare. Non riusciva a stare seduto abbastanza a lungo per mangiare. Era così ripetitivo che cominciò ad annoiare le persone.  

La sua nuova moglie diede alla luce un bambino meno di due anni dopo il loro matrimonio, ma Ray era diventato così distaccato che si comportava come se il bambino non fosse suo. Sembrava che gli importasse solo del passato. Si sentiva sempre più sopraffatto dallo stress causato dai rivali professionali e vendette una parte della sua attività a una società di dialisi più grande. Poi si convinse di aver fatto la scelta sbagliata. Ray sentiva di aver costruito con cura una bella vita e con una serie di decisioni impulsive l'aveva buttata via. "Tutto ciò che sembravo in grado di fare era parlare, parlare, parlare delle mie perdite", scrisse. Si accorse che il cibo aveva un sapore marcio, come se fosse stato immerso nell'acqua di mare. Anche il sesso non era più piacevole. Poteva solo "partecipare meccanicamente", scriveva. 

Quando Ray iniziò a minacciare il suicidio, la nuova moglie gli disse che se non si fosse ricoverato in ospedale avrebbe chiesto il divorzio. Ray accettò con riluttanza. Decise per la clinica Chestnut Lodge, di cui aveva letto nel 1964 nel romanzo autobiografico bestseller di Joanne Greenberg, I Never Promised You a Rose Garden, che descriveva così la sua guarigione "Questi sintomi sono costituiti da molti bisogni e servono a molti scopi ed è per questo che allontanarli fa soffrire così tanto". 

Durante le prime settimane di Ray alla Lodge, nel 1979, il suo psichiatra, Manuel Ross, cercò di rassicurarlo che la sua vita non era finita, ma Ray non faceva altro che "tirarsi indietro e diventare più distante, più ripetitivo", disse Ross, che concluse che il rimpianto ossessivo di Ray era un modo per rimanere vicino a una perdita a cui non riusciva a dare un nome: l'idea di una vita parallela in cui "avrebbe potuto essere un grande uomo". 

A una riunione del personale della clinica, pochi mesi dopo il suo arrivo, una psicologa disse che dopo aver trascorso del tempo con Ray aveva un forte mal di testa. Un'assistente sociale ha concordato: "È come dieci pazienti in uno". 

"Tratta le donne come se fossero i contenitori della sua ansia e fossero lì per assecondarlo e accarezzargli la mano ogni volta che soffre", ha detto Ross. "E lo fa anche con me, capisci? 'Non sai che dolore sto provando. Come puoi farmi questo?". 

Ross ha detto di aver già avvertito Ray: "Con la tua storia di distruttività, prima o poi cercherai di distruggere il trattamento con me". Tuttavia, Ross era fiducioso che se Ray "rimane in terapia per cinque o dieci anni, può ottenere un buon risultato". 

"Cinque o dieci anni sono più o meno la durata giusta", ha detto un altro psichiatra. 

Nella clinica, l'obiettivo di tutte le conversazioni e attività era la comprensione. "Nessuna parola usata in ospedale è più carica di significato emotivo o più scivolosa nelle sue implicazioni cognitive", hanno scritto Alfred Stanton, psichiatra, e Morris Schwartz, sociologo, in The Mental Hospital, uno studio del 1954 sulla clinica. La speranza di "guarire", attraverso la comprensione delle dinamiche interpersonali, divenne una sorta di spiritualità. "Ciò che avveniva nell'ospedale", scrivono gli autori, "era un tipo di valutazione collettiva in cui la nevrosi o la malattia erano il Male e il Bene ultimo era la salute mentale". 

La "regina di Chestnut Lodge", come veniva chiamata, era Frieda Fromm-Reichmann, fondatrice dell'Istituto psicoanalitico di Francoforte, che viveva nel terreno della Lodge in un cottage costruito per lei. Descrisse la solitudine come il fulcro della malattia mentale. Era una minaccia così profonda, scriveva, che gli psichiatri evitavano di parlare del fenomeno, perché temevano di esserne contaminati. L'esperienza era quasi impossibile da comunicare; era una sorta di "esistenza nuda". 

Fromm-Reichmann e gli altri analisti di Chestnut Lodge venivano descritti come "madri sostitutive". All'epoca, la fiducia nel potenziale della psicologia e della psichiatria sembrava illimitata. Le scienze psicologiche fornivano un nuovo quadro di riferimento per la comprensione della società. "Il mondo era malato e i mali di cui soffriva erano dovuti principalmente alla perversione dell'uomo, alla sua incapacità di vivere in pace con se stesso", dichiarò nel 1948 il primo direttore dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, uno psichiatra. Lo psicologo Abraham Maslow disse: "Il mondo sarà salvato dagli psicologi – nel senso più ampio del termine – o non sarà salvato affatto". 

Dopo mezzo anno, la madre di Ray lo visitò al Lodge e fu allarmata dal suo deterioramento. I capelli gli erano cresciuti fino alle spalle. Aveva perso 18 chili e usava la cintura dell'accappatoio per tenere i pantaloni. Un tempo Ray era stato un lettore prodigioso, ma aveva smesso completamente. Era anche un musicista e, sebbene avesse messo dei fogli di musica nella valigia che aveva portato alla Lodge, non guardava quasi mai le pagine.  

La madre di Ray chiese ai medici di somministrargli degli antidepressivi. Ma gli psichiatri sostenevano che “essere curati senza capire cosa fosse andato storto, sembrava superficiale e a buon mercato”. I farmaci "potrebbero portare un po' di sollievo sintomatico", riconosceva Ross, lo psichiatra di Ray, "ma non sarà nulla di concreto per cui possa dire: 'Ehi, sono un uomo migliore. Riesco a tollerare i sentimenti'".  

Delusa dalla Lodge, la madre di Ray decise di trasferirlo a Silver Hill, un ospedale di New Canaan, nel Connecticut, dove abitualmente si utilizzavano gli antidepressivi. La nuova psichiatra di Ray a Silver Hill, Joan Narad, gli prescrisse immediatamente due farmaci: Thorazine (Clorpromazina), per calmare l'agitazione e l'insonnia, ed Elavil (amitriptilina), scoperto nel 1960. La sua impressione su di lui, disse, era quella di una "persona vulnerabile che desiderava disperatamente un rapporto con i suoi ragazzi". 

La prima sera a Silver Hill, Ray diede a un'infermiera la sua fede nuziale, "non mi serve più", disse. La mattina dopo chiamò sua madre e disse "questo istituto e un sacco di pillole non possono cambiare le cose". Si sentiva come se stesse "fluttuando nello spazio senza una direzione precisa". Il settimo giorno disse alle infermiere che voleva cambiare nome e sparire da qualche parte; l'ottavo giorno "mi do un altro anno o due di vita, spero di morire rapidamente di infarto nel sonno". 

Dopo tre settimane, Ray si svegliò al mattino, si sedette su una poltrona e bevve una tazza di caffè fumante, lesse il giornale, poi chiamò il suo assistente psichiatrico nella sua stanza, "mi sta succedendo qualcosa", disse, "qualcosa è cambiato". 

 

Sentiva una "terribile tristezza", un'emozione che prima era inaccessibile. Non vedeva i suoi figli da quasi un anno e ha iniziato a piangere, per la prima volta dopo mesi. Pensava di aver già elaborato il lutto per la separazione dai figli, ma ora si rendeva conto che quello che stava vivendo non era qualcosa di vivo come il lutto: era "al di là del sentimento", scriveva. "È una totale assenza di sentimenti". 

Nel giro di due settimane, Ray sembrava aver riacquistato il senso dell'umorismo. Un'infermiera scrisse che aveva "un aspetto caldo e sensibile nella sua disposizione d'animo, specialmente nei confronti dei suoi figli". Ray iniziò a passare del tempo con un'altra paziente, una donna della sua età. Con un permesso giornaliero dall'ospedale, Ray prese un autobus per il centro di New Canaan, comprò una bottiglia di champagne e bussò alla porta della donna. Passarono la notte insieme. "L'atto di fare l'amore non era tanto sessuale o biologico, ma era un atto di sfida, un tendere la mano, un palpare, un riafferrare la nostra umanità" scrisse successivamente. 

Ray iniziò a passare ore a leggere nella biblioteca psichiatrica dell'ospedale. "Nel giro di una settimana cominciò a verificarsi il miracolo, per la prima volta dopo più di un anno mi sentivo bene!". Aggiunse: "Ci sono pochi dubbi sul fatto che soffrissi di uno squilibrio della norepinefrina", che all'epoca era una teoria sull'origine della depressione, da allora ampiamente scartata. 

La teoria dello squilibrio chimico della depressione fu descritta per la prima volta nel 1965 da Joseph Schildkraut, scienziato del National Institute of Mental Health, in quello che divenne l'articolo più citato dell'American Journal of Psychiatry. Esaminando gli studi sugli antidepressivi e le sperimentazioni cliniche sugli animali e sugli esseri umani, Schildkraut propose che i farmaci aumentassero la disponibilità dei neurotrasmettitori dopamina, noradrenalina e serotonina – che svolgono un ruolo nella regolazione dell'umore – nei siti recettoriali del cervello: se gli antidepressivi agiscono su questi neurotrasmettitori, allora la depressione può essere causata da una loro carenza. Tuttavia, la teoria diede origine a un nuovo modo di parlare di sé: le fluttuazioni delle sostanze chimiche del cervello erano alla base degli stati d'animo delle persone. Il quadro ridefiniva ciò che costituiva la conoscenza di sé. Si trattava di "un cambiamento nell'ontologia umana, nel tipo di persone che riteniamo di essere", come sostenuto dal sociologo britannico Nikolas Rose. 

A Chestnut Lodge, Ray non era stato in grado di capire, ma a Silver Hill, dove prevaleva un modello diverso di malattia, era uno studente avido della sua condizione. Iniziò a lavorare a un libro di memorie. Per la ricerca del libro, lesse la letteratura medica sulla depressione, una malattia che ora vedeva come "squisitamente curabile". Si sentiva sollevato dall'idea che gli ultimi due anni della sua vita potessero essere spiegati con una sola parola. 

Ray fu dimesso da Silver Hill dopo tre mesi di trattamento. Era quasi un anno che non viveva fuori dai confini di un istituto. Tornò in una casa vuota. Sua moglie aveva deciso di divorziare e si era già trasferita con il figlio, portandosi via la maggior parte dei mobili. Gli altri figli erano ancora in Europa. 

Ray si presentò senza preavviso alla sua clinica di dialisi. I pazienti lo abbracciavano e gli stringevano la mano; alcune infermiere lo baciavano. Ma i nuovi dipendenti, assunti durante l'assenza di Ray, mantenevano le distanze. Si era sparsa la voce che fosse stato in un istituto psichiatrico.  

Nel 1980, l'anno dopo essere stato dimesso da Silver Hill, Ray lesse l'intero Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Era appena stata pubblicata la terza edizione, il DSM-III. Le prime due edizioni erano state degli opuscoli, non presi particolarmente sul serio. Ma per la nuova versione, un comitato nominato dall'APA cercò di rendere il manuale più oggettivo e universale, ripulendolo dalle spiegazioni psicoanalitiche, come l'idea che la depressione sia una "reazione eccessiva" a un "conflitto interno". 

Ora che i farmaci avevano dimostrato la loro efficacia, le esperienze che avevano dato origine a una condizione sembravano meno rilevanti. Le malattie mentali furono ridefinite in base a ciò che si poteva vedere dall'esterno, ovvero una lista di sintomi comportamentali. Il direttore medico dell'APA dichiarò che il nuovo DSM rappresentava il trionfo della "scienza sull'ideologia". 

 

Il linguaggio clinico del DSM-III alleviò il senso di isolamento di Ray: la sua disperazione era stata una malattia, condivisa da milioni di persone. Era così entusiasta del nuovo modo di pensare alla depressione che programmò interviste con i principali psichiatri biologici come ricerca per il suo libro di memorie, che intitolò A Symbolic Death: The Untold Story of One of the Most Shameful Scandals in American Psychiatric History (It Happened to Me). 

Ray inviò una bozza del suo libro di memorie allo psichiatra Gerald Klerman, che si era da poco dimesso dalla carica di capo della Alcohol, Drug Abuse and Mental Health Administration del governo statunitense. Klerman aveva scritto in modo denigratorio di quello che definiva "calvinismo farmacologico", ovvero la convinzione che "se una droga ti fa sentire bene, o è moralmente sbagliata, o la pagherai con la dipendenza, i danni al fegato, le alterazioni cromosomiche o qualche altra forma di punizione teologica secolare".   

Incoraggiato dall'approvazione di Klerman, Ray decise di citare in giudizio la Chestnut Lodge per negligenza. Sosteneva che, poiché la Lodge non aveva curato la sua depressione, aveva perso il suo studio medico, la sua reputazione nella comunità medica e la custodia dei suoi figli.  

Nella causa si sono scontrate le due spiegazioni dominanti del 20° secolo riguardanti i disturbi mentali. Secondo Alan Stone, ex presidente dell'APA, nessuna causa per negligenza psichiatrica ha attirato testimoni esperti più importanti di quella di Ray.  

In un'udienza davanti a un collegio arbitrale, che avrebbe dovuto stabilire se il caso potesse andare in giudizio, la Chestnut Lodge presentò il tentativo di Ray di medicalizzare la sua depressione come un'abdicazione di responsabilità. In una relazione scritta, uno dei testimoni esperti della Lodge, Thomas Gutheil, professore di psichiatria ad Harvard, osservò che il linguaggio della causa, in gran parte redatta da Ray stesso, esemplificava la lotta di Ray con "l'esternalizzazione", cioè la tendenza a dare la colpa dei propri problemi agli altri". Gutheil concludeva che "l'insistenza di Ray sulla natura biologica del suo problema non solo è sproporzionata, ma mi sembra l'ennesimo tentativo di allontanare il problema da sé: non sono io, è la mia biologia", attribuendo, almeno in parte, la guarigione di Ray a Silver Hill, al suo legame sentimentale con una paziente donna, che gli ha dato una scossa di autostima. 

"È un commento avvilente", rispose Ray durante la sua testimonianza, “e parla della totale incredulità nei confronti della legittimità della sintomatologia e della malattia". 

Manuel Ross, l'analista di Ray della Chestnut Lodge, nella sua testimonianza sostenne che Ray fosse stato curato con gli antidepressivi. Non era un uomo guarito, perché era ancora aggrappato al passato. "Questo è ciò che chiamo malinconia, come usato nell'articolo del 1917", sostenne, riferendosi al saggio di Freud Lutto e malinconia. 

Ross sperava che Ray avrebbe sviluppato l'intuizione nella Lodge. "È questo il vero sostegno", ha detto, "se uno capisce cosa sta succedendo nella sua vita". Voleva che Ray abbandonasse il suo bisogno di essere un medico famoso, il più ricco e potente nel suo campo, e accettasse una vita in cui era uno dei "comuni mortali che lavorano nella vigna della medicina". 

Il 23 dicembre 1983, il collegio arbitrale concluse che Chestnut Lodge aveva violato lo standard di cura.  

Gli psichiatri più importanti del Paese definirono il caso come la “resa dei conti tra due forme di conoscenza". 

Dopo il caso di Ray, la Chestnut Lodge iniziò a prescrivere farmaci a quasi tutti i suoi pazienti: "Abbiamo dovuto adeguarci". "Non si trattava sempre di capire se avrebbe aiutato il paziente. Si trattava di capire se ci avrebbe protetto da un'altra causa". 

Il rapporto medico-paziente, che la Lodge considerava come un legame incantato, è stato rimodellato dal linguaggio della cultura aziendale. Gli psichiatri sono diventati "fornitori" e i pazienti "consumatori", la cui sofferenza è stata riassunta con le diagnosi del DSM”. 

 

Il racconto del Guardian di fatto sintetizza una forma primaria di scontro ideologico tra diversi approcci metodologici, tutt’ora presenti in psichiatria: nell’insorgenza di una malattia pesa maggiormente la genetica? La gravidanza? L’istinto? L’emotività e lo sviluppo dei legami familiari? L’intelligenza? L’adolescenza, i traumi, la solitudine, gli inganni, i dispiaceri, l’abuso di sostanze, le capacità relazionali e scolastiche? La personalità e il temperamento? L’ignoranza e la povertà? Il web? L’ambiente sociale? L’emigrazione? L’interiorizzazione di valori morali? La mancanza di regole? Il cervello? 

Quanto scegliere principalmente uno (o più) di tali approcci porta all’indottrinamento? alla convinzione granitica, a schieramenti e alleanze, metodo e organizzazione del lavoro, orientamento politico, legge, comando, prepotenza, diffusione del potere? Quanto condizionano nella affermazione di un leader? Quanto a reali risultati clinici? 

Quanto diventano guerra tra psichiatri?  

 

 

Bibliografia: 

 

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