“I miei Ecce Homo” (Titolo originale “Mis Ecce Homos”), è un cortometraggio di Marco Rossano girato in Spagna nel 2020, della durata di 14’20’’. La vicenda racconta un fatto del 2012, svoltosi nella provincia spagnola, ma divenuto clamoroso e di risonanza internazionale, perché il restauro maldestro del murale, dipinto da un minore dell’Otto-Noveceto, pur avendo trasformato l’opera da renderla irriconoscibile, ne aveva decretato la fama ben oltre i propri meriti, invero modesti. Se ne era parlato a lungo e il frastuono, per così dire accademico-artistico-mondano, era stato assordante. La chiesa di paese, ottimo per le vacanze estive, una decina d’anni fa, era divenuta inspiegabilmente meta di pellegrinaggi curiosi tra il divertito il sarcastico e, tutto sommato, l’avvilimento dei beni culturali. Chi aveva commesso la profanazione artistica era stata Cecilia, una ottantunenne parrocchiana devota, pittrice dilettante, che, su richiesta del suo parroco – ma qui la questione è controversa perché l’iniziativa sembrerebbe essere stata unicamente la sua – aveva condotto l’opera di recupero. Senza alcuna esperienza di restauro, né particolari qualifiche, era intervenuta su un dipinto a muro di Elias Garcia Martinez (1858-1934), conservato nella chiesa del Santuario della Misericordia nei pressi di Borja (Aragona, Saragozza, Spagna), rovinandolo completamente. Direi di più, a me l’opera restaurata rammenta quella che nei testi di Medicina viene indicata come tipica “Facies Lunare” [01].
Incuriosita da questo fatto di cronaca, una ricercatrice sociale, Antonia, si era messa a studiare il caso con indagini accurate. Le sembrava assurdo che un fatto tanto scandaloso per il mondo artistico figurativo, maturato nelle circostanze che si è detto, potesse nascondere una burla, una finzione, una presa in giro. Tal quale la beffa dei tre goliardi di Livorno che nell’estate del 1984 avevano fatto ritrovare in Arno tre teste attribuite ad Amedeo Modigliani, che trassero in inganno anche critici paludati. In effetti, codesto Ecce Homo di campagna, donato un secolo prima dall’autore, alla Chiesa di Borja, non aveva mai ricevuto la benchè minima attenzione, al punto che versava in un grave degrado con muffe, intonaco scrostato, colori spenti, forse addirittura irrecuperabile. Va anche detto, però, che i successori dell’artista Martinez, si erano subito accodati alla protesta, ricordandosi improvvisamente dell’eredità gloriosa del loro bisnonno. Codesto congiunto, un valenciano che era stato professore di Belle Arti all’Accademia di Valencia, Barcellona e da ultimo a Saragozza, aveva goduto sufficiente fama di copista di opere antiche. Un po’ meno di ritrattista tradizionale, scarsamente innovativo, cercando d’imitare il barocco seicentesco di Guido Reni, e una volta, aveva anche trovato un paio d’ore per questo “Ecce Homo”, giacché a Borja veniva in ferie d’estate e il curato lo aveva tanto assillato perché gli regalasse un sua opera.
Originale e curioso il tema scelto da Marco Rossano per il suo corto. Sulle prime, sembrerebbe lontano dalle tematiche sociali preferite dall’autore, ma a ben riflettere, non è così. Il banale e l’ovvio sono talmente diffusi e pedissequi che talvolta paiono novità di giornata, ma finiscono inevitabilmente nel calderone dei luoghi comuni senza neppure traccia del loro passaggio. Così, per esempio, ti trovi spiazzato, quando ti trovi a ragionare, come quando capitò a chi scrive, di trovarsi tra le mani Herbert Marcuse, “L’uomo a una dimensione” (1964). Mi spiego meglio. Se parliamo di Cinema, cortometraggio in particolare, la settima arte sul tartan rosso dei centometri, quando scegli la storia per un film è molto più che scrivere un romanzo, dipingere un quadro, pensare all’ambientazione, alla musica, ai personaggi, le luci, la fotografia, i colori. Devi andare svelto per trovare i soldi per i primi giri di una manovella, come si diceva una volta … Essere sveglio per fare i dialoghi, le parti, scegliere gli attori, i compagni giusti per parlarne … insomma è come se d’improvviso fossi colto da una forte passione, un’idea prevalente, tanto per dirla con gli psicopatologi, quelli che la fanno sempre più lunga degli psicoanalisti. Si! Una fissa! Dunque bravissimo, Marco Rossano, perchè da una cosa semplicissima, anzi banale e con troppi interessi intorno, “andando a vedere”, come dicono quelli del poker, puoi scoprire che le cose non sono come si dice o come si vorrebbe far credere. Perchè alla fine, convincere quelli cui riesci a ripetere un concetto il maggior numero di volte, finché diventa una specie di verità di vangelo, non è un gioco da ragazzi, come pensava Joseph Goebbels, ma da stupidi!
Il film si apre su una panoramica in campo lungo che inquadra una figura femminile (Antonia), presenza matura, elastica, regolare, mentre si aggira curiosa per le vie di un’antica cittadina spagnola. La donna sembra una turista capitata lì nel pomeriggio per cercare qualcosa, ma soprattutto conoscere, rendersi conto dei luoghi e delle persone. Le strade sono vuote, passa un arco, beve da una fontana col cavo della mano, guarda le sculture, le statue … la visione si allarga spaziosamente sul panorama sottostante che declina su un’ampia vallata. Entra in una chiesa e si scopre che è quella dell’”Ecce Homo” … tre raffigurazioni: una è la foto dell’originale, l’altra la foto di quella deteriorata, entrambe su un cavalletto. La terza, quella restaurata in maniera grottesca, collocata sulla parete originaria, definitivamente! I due quadri deposti sembrano in esilio, forse in attesa della Corte Suprema. Scorrono in rapida successione i servizi dei media spagnoli e internazionali scandalizzati; le allusioni, le scenette comiche con Ecce Homo ridicoli … la burla mondiale … la casalinga che si è presa gioco dell’arte del restauro … Non è difficile vedere, neppure tanto in trasparenza, una rivendicazione sindacale dei professionisti della restaurazione, una saponosa Cicero pro domo sua. Qui si gioca sottilmente tutta l’ironia di cui Rossano è capace. Nelle note di locandina è riportato «Gli autori del film si avvicinano alla personalità dell'artista evidenziandone l'aspetto umano e denunciando, implicitamente, la superficialità dei mezzi di informazione, che, dall'agosto 2012 fino a oggi, incapaci di andare oltre il semplice aneddoto mediatico, hanno trasformato una profonda e dolorosa vicenda personale in un futile evento planetario»
Antonia, la ricercatrice sociale, percorre con passo sicuro un lungo corridoio dell’Università di Barcellona ragionando tra sé. «Mi ha incuriosito che fosse una persona così anziana … che apparentemente lo ha voluto fare in buona fede e tutti quanti ne hanno riso … una casalinga … il suo hobby … dipingere … una valvola di sfogo … la sua vita personale … come quella di tante, molto dura! Ha avuto due figli, uno le è morto … quello che le è rimasto … di cui si prende cura, ha una disabilità … è sulla sedia a rotelle da quando è nato». Sta cercando una stanza. Bussa, entra, si accomoda. L’interlocutore non si vede. Invece, di lei, compare un primo piano. Inquadratura fissa, sguardo in macchina. Viso espressivo, sui 40, acconciatura da lavoro, capelli raccolti, tenuti alla buona da un fermaglio. Espone un fatto curioso e i suoi dubbi sulla natura e sull’intento dell’autrice del dipinto deturpato, che tutto le pare tranne una donna in vena di scherzare o farsi burla del prossimo. I dubbi fluiscono senza interruzione, come una seduta psicoanalitica, “vis-à-vis”, indirizzo junghiano. Sfondo fisso sulla porta chiusa, dalla quale la ricercatrice è entrata. Sulla destra, un busto di Dante Alighieri poggiato su un mobiletto di legno chiaro, poco più di un metro, ad indicare forse che il personaggio di fronte – consultato da pari a pari – potrebbe essere un italiano autorevole. La spinta della sua ricerca, conoscere direttamente la pittrice dilettante, Cecilia, madre non più giovane con due figli, coperta di ridicolo dal biasimo nazionale e internazionale.
Vale la pena citare qualche frase dei due monologhi di questo corto di Rossano perché costituiscono le due perle dell’opera. Quando la Ricercatrice spiega perché si è messa in moto, penso che l’autore o gli autori del testo non siano lontanissimi dal monologo dell’Amleto shakespeariano. L’attrice (se oltre a scrivere il copione lo è anche) è splendida perchè di una naturalezza profondamente sentita. «Mi sono chiesta come una donna affronta la sua maternità nella … quotidianità … il suo bisogno di esprimersi. Lei lo ha fatto attraverso i dipinti. – «Quando vedo l’immagine di Cecilia mi torna alla mente l’immagine di mia madre … di mia nonna … delle mie nonne … Mi tornano tante immagini delle persone che hanno attraversato la mia vita … la stessa espressione sul viso … una vita di sofferenza … l’ho vista nell’immagine di Cecilia, non in quella che ha dipinto, ma in se stessa … Questa immagine è così com’è … il motivo … personale e profondo, è parte di lei, fa parte della sua sensibilità! La trasformazione che ha fatto di questa immagine, ho l‘impressione che sia parte della sua sensibilità … abbia voluto esprimere qualcosa involontariamente. Non so! È questa la mia impressione. È qualcosa che m’inquieta. Mi piacerebbe parlare con lei e sapere il perché. È quella domanda che da allora ho in testa … perché diventare madre … avere un figlio … dedicargli tutta la tua vita, sapendo che dipenderà sempre da te! È un conflitto che ha sempre suscitato il mio interesse … Perché una madre, una donna, decide di avere un figlio quando sa che può nascere in un modo che non aveva immaginato? Non so! È una delle domande che maggiormente mi sono posta, quando ho visto l’Ecce Homo. L’interesse che ho per questa storia, non è tanto per me, ma per le altre madri … per esempio mia madre, persone che hanno avuto una vita dura … tagliamo qui!». E un lampo glam illumina il volto di Antonia.
Stacco, Autostrada… Antonia va a Borja, Aragon, a intervistare la pittrice sfortunata. Cecilia. «Il prete mi diceva Ah Cecilia se non fosse per te non ci sarebbe più l’Ecce Homo non c’è nessuno che lo restaura. Questa è stata la mia intenzione, restaurarla … È successo che dovevamo andare in montagna e non potevo aspettare che si asciugasse, così l’ho macchiato un poco come facciamo noi pittori, l’ho macchiato e ho detto quando si asciuga lo finisco …» dissolvenza
Esterno. Seduta sul bordo di una fontana, Antonia prende appunti su un quaderno bianco con la copertina di tela rossa … dissolvenza … voce di Cecilia «… Ho avuto un problema quando ho partorito, non mi è nato bene … ho sofferto molto con lui a causa di ciò … Per poterlo portare da un medico …» – Sullo sfondo compare Gesuino bambino, il secondo figlio di Cecilia. «…Dopo ebbi Jesusin, un ragazzo molto intelligente, molto sveglio ma anche lui aveva un problema … »
Stacco sulle campane che suonano l'Angelus di mezzogiorno … corridoio dei frati che costeggia il chiostro e porta all’esterno, si vede in lontananza affiorare Antonia che bordeggia il lato più luminoso per guadagnare l’uscita … Cecilia. «Andammo dal medico e gli dissi – ”Che sta succedendo a Gesù?”- Mi guardò e per il modo in cui lo fece gli chiesi – ”È grave vero?“ – “È grave!” – Tornai a casa e mi videro in questo stato. – Mia madre mi disse – “Che è successo figlia mia, perchè questa brutta faccia?” – “È successo che ci hanno dato brutte notizie … Quindi ho cresciuto due figli … che bisognava accudire in tutto … li portavamo in macchina … in sedia a rotelle … L’unica cosa buona … Gesù era un bambino che dipingeva benissimo … gli dicevo … quando lavoravo … “Gesù che ti sembra il quadro che sto facendo? “ E Gesù “Uhm … mamma, dagli più profondità”»
Antonia « Tu cosa vedi nell’Ecce Homo? Che significa per te l’Ecce Homo? »
Cecilia. « Significa molto, ha significato molto per me … ». Compare Josè Antonio, il figlio spastico che segue le parole della madre con lo sguardo presente, gli occhi spalancati e sofferenti, gli arti superiori accartocciati, il corpo contorto e rigido … inchiodato sulla sedia a rotelle. Cecilia … alludendo al restauro del suo Ecce Homo … «Era bello … ultimamente lo vedevo bello … pensavo … però, non è poi così brutto … non è così male …».
Dissolvenza, di nuovo il gocciolio della fontana … di nuovo Antonia con il suo quaderno bianco con la copertina di tela rossa. Riflette, pensa, scrive «Perchè dar vita a ciò che deve morire? … La donna deve essere al tempo stesso una donna incinta … una madre che allatta suo figlio e un’amante … Quante cose smetterò di fare quando lui sarà nato? … Il mio tempo, i miei pensieri … la mia vita … dopo tutto, dipenderà da lui … Non potrò continuare a essere ciò che ero. E questo non significa in qualche modo morire? … Trasformarsi in un’altra persona? … Sarò come lei».
Cecilia riprende a raccontare e rievoca la sua “Passione”, a fianco, Josè Antonio, il fratello spastico di Gesù, vibrante … Cecilia è serena «… Gesù mi diceva, “mamma, sai che mi succede? Questo cuore non mi funziona bene” … È morto all’età di 20 anni … “Mamma, portami al tuo letto … per favore” … e lo portai nel mio letto … dopo un poco “Senti mamma, riportami nel mio letto … che sto male … molto male” … Taci … non dirlo figlio … ora chiamo Don Javier … il medico … Chiamai Don Javier … Che succede Gesusino? … “Dammi qualcosa … per dormire … che sto molto male … molto” … Subito, rispondo, ed esco per andare a comprare ciò che gli serviva … uscimmo dalla stanza … e Don Javier mi disse … “Tuo figlio sta agonizzando” … Morì alla sei di sera … Questo era successo la mattina … e alla 6 del pomeriggio mi disse … “Mamma … non vedo!” … gli risposi che avrei aperto le finestre … invece stava morendo … questo è ciò che è successo con questo figlio … era così bello stare con lui … e anche con questo qui … sono stata anche felice … sono stata molto bene … coi miei … Ecce Homos». La passione si disegna anche muta, vibrante a lampi di fiamma sul corpo di Josè Antonio …
Contrasta la serenità di Cecilia con le nostre Passioni letterarie. Oserei accostare, solo un cenno, a “Il Pianto della Madonna”, la lauda drammatica di Iacopone da Todi, che recita in maniera dialogata e vibrante la passione dell’Ecce Homo.
[Nunzio]
«Donna de Paradiso,
lo tuo figliolo è priso
Iesù Cristo beato.
[Maria]
«O figlio, figlio, figlio,
figlio, amoroso giglio!
Figlio, chi dà consiglio
al cor meo angustiato?
Note.
01. La “Sindrome di Cushing” si manifesta con viso arrotondato e arrossato, a forma di luna piena e indica una patologia delle surrenali che causano “ipercortisolismo”.
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