uomo del mio tempo.
Salvatore Quasimodo
“Giorno dopo giorno” (1947)
Giovanni Zannoni (1855-1941), il mio nonno materno, valsuganotto della Val di Brenta, soleva tessere le lodi di mia madre, l’ultima dei suoi sei figli perché, essendo nata nel 1901 aveva aperto un secolo che sarebbe stato quello delle novità strabilianti. Quando nacqui io, disse che avrei vissuto in un’era di pace, perché dopo la tragedia della “Grande Guerra” che aveva sconvolto le sue montagne le sue valli, le sue genti, nessuno avrebbe più osato farne una seconda. Sperava nell’umanità e aveva ragione. Credere nel prossimo fa bene al prossimo e a sé stessi. Invece chi è sopravvissuto, e ormai sono passati 90 anni, sa che la seconda c’è stata ed ha portato più atrocità della prima, con lo spettro dell’Apocalisse atomica. Contro la guerra, Salvatore Quasimodo (1901-1968), un Nobel della Letteratura, ha lasciato un ammonimento perenne. “Uomo del mio tempo”. [01]
« Sei ancora quello della pietra e della fionda, / uomo del mio tempo. Eri nella carlinga, / con le ali maligne, le meridiane di morte, / t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche, /alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu, / con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio, / senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora, /come sempre, come uccisero i padri, come uccisero / gli animali che ti videro per la prima volta. / E questo sangue odora come nel giorno / Quando il fratello disse all’altro fratello: / «Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace, / è giunta fino a te, dentro la tua giornata. / Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue / Salite dalla terra, dimenticate i padri: / le loro tombe affondano nella cenere, / gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore »
Oggi ci sono governanti irresponsabili che giocano a farne una terza, di guerra mondiale. Come dice Papa Bergoglio, tra le poche menti lucide e responsabili. Il fatto è che si continua, con ostinazione, a fare la guerra, senza che nessuno sia mai arrivato a capire bene il perché. Eppure, nel 1932, una coppia celebre di studiosi, tentò di spiegare al mondo che la guerra era un atto brutale e stupido. Un altro premio Nobel, il fisico Albert Einstein e un medico neurologo e psichiatra, inventore della Psicoanalisi, Sigmund Freud, tennero una corrispondenza (briefwechsel), commissionata dalla “Società delle Nazioni”, rimasta famosa anche se inascoltata. Su questo argomento Pol.it Psychiatry ha già pubblicato un lavoro molto tecnico del Dott. Alessandro Guidi [02], che esula dalle tematiche, anche personali, qui trattate
Il mercato di truppe mercenarie, scelte e specializzate, va di pari passo con quello delle guerre. Soprattutto quelle dimenticate, che non vanno in prima pagina, forse perchè costano meno dollari ma non certo meno cadaveri. Come la guerra del Darfur, per esempio, che dura da più di 20 anni. Li non ci sono “aggressori” né “aggrediti” da aiutare a difendersi “per tutto il tempo che sarà necessario”, come va di gran moda dire oggi ufficialmente negli Usa, dunque UE e paesi Nato, e in ogni altro contesto di mondo che non sia quello Orientale, già sotto accusa. Basta dare un’occhiata alla rete, per scoprire che nel mondo, il mercato delle armi muove una catena montuosa di denaro. Stimata in dollari non saremmo lontani dalla realtà se immaginassimo una cifra di 2 mila miliardi di dollari, ma è continuamente in salita, anno dopo anno. Tutti i Paesi del mondo, nel secondo decennio del XXI secolo (2011-2020) hanno incrementato la spesa militare di quasi il 10%. La Cina di Xi Jinping e il Nord-Corea di Kim Jong-un, paesi notoriamente riservati sulle vicende interne, nel medesimo decennio, avrebbero stanziato per la spesa militare oltre il 75%. Le guerre sono tutte feroci, non lo scopriamo certamente noi. I Francesi lo hanno sempre saputo, prima di Napoleone «à la guerre comme à la guerre». Per uno come chi scrive, per esempio, basterebbe averne vista una soltanto, di “guerra mondiale”, come in effetti è accaduto (la seconda), aver letto più volte il carteggio Einstein – Freud [03], riflettuto a lungo sulle parole e tornato più volte su alcuni concetti base, per farsene una ragione definitiva, sull’inutilità della guerra per tutti gli esseri umani. Qualche frammento potrebbe tornare utile e istruttivo. Se non avesse 90 anni, la corrispondenza riportata sotto per brani epitomici di entrambi gli autori, sembrerebbe scritta oggi, per chiarire le idee ai soloni accademici che dissertano per ore e giorni (da oltre un anno) su “aggressori” e “aggrediti” che debbono essere armati fino ai denti per pura e semplice difesa!
«Caro signor Freud,
«La proposta, fattami dalla Società delle Nazioni e dal suo “Istituto internazionale di cooperazione intellettuale” di Parigi, di invitare una persona di mio gradimento a un franco scambio d’opinioni su un problema qualsiasi da me scelto, mi offre la gradita occasione di dialogare con Lei circa una domanda che appare, nella presente condizione del mondo, la più urgente fra tutte quelle che si pongono alla civiltà.
«… C’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra? … È ormai risaputo che, col progredire della scienza moderna, rispondere a questa domanda è divenuto una questione di vita o di morte per la civiltà da noi conosciuta, eppure, nonostante tutta la buona volontà, nessun tentativo di soluzione è purtroppo approdato a qualcosa.
«… La sete di potere della classe dominante è in ogni Stato contraria a qualsiasi limitazione della sovranità nazionale. Questo smodato desiderio di potere politico si accorda con le mire di chi cerca solo vantaggi mercenari, economici. Penso soprattutto al piccolo ma deciso gruppo di coloro che, attivi in ogni Stato e incuranti di ogni considerazione e restrizione sociale, vedono nella guerra, cioè nella fabbricazione e vendita di armi, soltanto un occasione per promuovere i loro interessi personali e ampliare la loro personale autorità.
«… Vi è una possibilità di dirigere l’evoluzione psichica degli uomini in modo che diventino capaci di resistere alle psicosi dell’odio e della distruzione? Non penso qui affatto solo alle cosiddette masse incolte. L’esperienza prova che piuttosto la cosiddetta “intellighenzia” cede per prima a queste rovinose suggestioni collettive, poiché l’intellettuale non ha contatto diretto con la rozza realtà, ma la vive attraverso la sua forma riassuntiva più facile, quella della pagina stampata.
«… ho parlato sinora soltanto di guerre tra Stati, ossia di conflitti internazionali. Ma sono perfettamente consapevole del fatto che l’istinto aggressivo opera anche in altre forme e in altre circostanze (penso alle guerre civili, per esempio, dovute un tempo al fanatismo religioso, oggi a fattori sociali; o, ancora, alla persecuzione di minoranze razziali). Ma la mia insistenza sulla forma più tipica, crudele e pazza di conflitto tra uomo e uomo era voluta, perché abbiamo qui l’occasione migliore per scoprire i mezzi e le maniere mediante i quali rendere impossibili tutti i conflitti armati.
«…. Sarebbe tuttavia della massima utilità a noi tutti se Lei esponesse il problema della pace mondiale alla luce delle Sue recenti scoperte, perché tale esposizione potrebbe indicare la strada a nuovi e validissimi modi d’azione.
Molto cordialmente Suo. Albert Einstein
La risposta
«Caro signor Einstein,
«… Mi aspettavo che Lei avrebbe scelto un problema al limite del conoscibile al giorno d’oggi, cui ciascuno di noi, il fisico come lo psicologo, potesse aprirsi la sua particolare via d’accesso, in modo che da diversi lati s’incontrassero sul medesimo terreno (…) questo mi sembrava un compito pratico che spetta risolvere agli uomini di Stato. Ma ho compreso poi che Lei ha sollevato la domanda non come ricercatore naturale e come fisico, bensì come amico dell’umanità…
«… Lei comincia con il rapporto tra diritto e forza. È certamente il punto di partenza giusto per la nostra indagine. Posso sostituire la parola “forza” con la parola più incisiva e più dura “violenza”? Diritto e violenza sono per noi oggi termini opposti. È facile mostrare che l’uno si è sviluppato dall’altro e, se risaliamo ai primordi della vita umana per verificare come ciò sia da principio accaduto, la soluzione del problema ci appare senza difficoltà (…) I conflitti d’interesse tra gli uomini sono (…) in linea di principio decisi mediante l’uso della violenza. Ciò avviene in tutto il regno animale, di cui l’uomo fa inequivocabilmente parte; per gli uomini si aggiungono, (…) anche i conflitti di opinione, che arrivano fino alle più alte cime dell’astrazione e sembrano esigere, per essere decisi, un’altra tecnica. Ma questa è una complicazione che interviene più tardi.
« … Inizialmente, in una piccola orda umana, la maggiore forza muscolare decise a chi dovesse appartenere qualcosa o la volontà di chi dovesse essere portata ad attuazione. Presto la forza muscolare viene accresciuta o sostituita mediante l’uso di strumenti; vince chi ha le armi migliori o le adopera più abilmente (…) Con l’introduzione delle armi la superiorità intellettuale comincia già a prendere il posto della forza muscolare bruta, benché lo scopo finale della lotta rimanga il medesimo: una delle due parti, a cagione del danno che subisce e dell’infiacchimento delle sue forze, deve essere costretta a desistere dalle proprie rivendicazioni od opposizioni. Ciò è ottenuto nel modo più radicale quando la violenza toglie di mezzo l’avversario definitivamente, vale a dire lo uccide. Il sistema ha due vantaggi, che l’avversario non può riprendere le ostilità in altra occasione e che il suo destino distoglie gli altri dal seguire il suo esempio. Inoltre l’uccisione del nemico soddisfa un’inclinazione pulsionale di cui parlerò più avanti.
«… lo strapotere di uno solo poteva essere bilanciato dall’unione di più deboli. L’union fait la force. La violenza viene spezzata dall’unione di molti, la potenza di coloro che si sono uniti rappresenta ora il diritto in opposizione alla violenza del singolo. Vediamo così che il diritto è la potenza di una comunità. È ancora sempre violenza, pronta a volgersi contro chiunque le si opponga, opera con gli stessi mezzi, persegue gli stessi scopi; la differenza risiede in realtà solo nel fatto che non è più la violenza di un singolo a trionfare, ma quella della comunità.
«… L’unione dei più deve essere stabile, durevole. Se essa si costituisse solo allo scopo di combattere il prepotente e si dissolvesse dopo averlo sopraffatto, non si otterrebbe niente. Il prossimo personaggio che si ritenesse più forte ambirebbe di nuovo a dominare con la violenza, e il giuoco si ripeterebbe senza fine. La comunità deve essere mantenuta permanentemente, organizzarsi, prescrivere gli statuti che prevengano le temute ribellioni, istituire organi che veglino sull’osservanza delle prescrizioni – le leggi – e che provvedano all’esecuzione degli atti di violenza conformi alle leggi.
«… Ma un tale stato di pace è pensabile solo teoricamente, nella realtà le circostanze si complicano perché la comunità fin dall’inizio comprende elementi di forza ineguale, uomini e donne, genitori e figli, e ben presto, in conseguenza della guerra e dell’assoggettamento, vincitori e vinti, che si trasformano in padroni e schiavi. Il diritto della comunità diviene allora espressione dei rapporti di forza ineguali all’interno di essa, le leggi vengono fatte da e per quelli che comandano e concedono scarsi diritti a quelli che sono stati assoggettati.
«Da allora in poi vi sono nella comunità due fonti d’inquietudine – ma anche di perfezionamento – del diritto. In primo luogo il tentativo di questo o quel signore di ergersi al di sopra delle restrizioni valide per tutti, per tornare dunque dal regno del diritto a quello della violenza; in secondo luogo gli sforzi costanti dei sudditi per procurarsi più potere e per vedere riconosciuti dalla legge questi mutamenti, dunque, al contrario, per inoltrarsi dal diritto ineguale verso il diritto uguale per tutti. Questo movimento in avanti diviene particolarmente notevole quando si danno effettivi spostamenti dei rapporti di potere all’interno della collettività, come può accadere per l’azione di molteplici fattori storici.
«Uno sguardo alla storia dell’umanità ci mostra tuttavia una serie ininterrotta di conflitti tra una collettività e una o più altre, tra unità più o meno vaste, città, paesi, tribù, popoli, Stati, conflitti che vengono decisi quasi sempre mediante la prova di forza della guerra. Tali guerre si risolvono o in saccheggio o in completa sottomissione, conquista dell’una parte ad opera dell’altra. Non si possono giudicare univocamente le guerre di conquista. Alcune, come quelle dei Mongoli e dei Turchi, hanno arrecato solo calamità, altre al contrario hanno contribuito alla trasformazione della violenza in diritto avendo prodotto unità più grandi, al cui interno la possibilità di ricorrere alla violenza venne annullata e un nuovo ordinamento giuridico riuscì a comporre i conflitti. Così le conquiste dei Romani diedero ai paesi mediterranei la preziosa pax romana. La cupidigia dei re francesi di ingrandire i loro possedimenti creò una Francia pacificamente unita, fiorente.
«… l’unica conseguenza di tutti questi sforzi bellici è che l’umanità ha sostituito alle continue guerricciole le grandi guerre, tanto più devastatrici quanto meno frequenti.
«… Abbiamo visto che gli elementi che tengono insieme una comunità sono due: la coercizione violenta e i legami emotivi tra i suoi membri (ossia, in termini tecnici, quelle che si chiamano identificazioni). Nel caso in cui venga a mancare uno dei due fattori non è escluso che l’altro possa tener unita la comunità. Le idee cui ci si appella hanno naturalmente un significato solo se esprimono importanti elementi comuni ai membri di una determinata comunità. Sorge poi il problema: Che forza si può attribuire a queste idee?
«… L’idea panellenica, per esempio, la coscienza di essere qualche cosa di meglio che i barbari confinanti (…) il sentimento che accomunava i Cristiani, (…) abbastanza potente, non impedì durante il Rinascimento a Stati cristiani grandi e piccoli di sollecitare l’aiuto del Sultano nelle loro guerre intestine (…) C’è chi predice che soltanto la penetrazione universale del modo di pensare bolscevico potrà mettere fine alle guerre, ma in ogni caso siamo oggi ben lontani da tale meta, che forse sarà raggiungibile solo a prezzo di spaventose guerre civili. Sembra dunque che il tentativo di sostituire la forza reale con la forza delle idee sia per il momento votato all’insuccesso.
«… Mi consente (…) di esporLe parte della teoria delle pulsioni cui siamo giunti nella psicoanalisi dopo molti passi falsi e molte esitazioni?
«Noi presumiamo che le pulsioni dell’uomo siano soltanto di due specie, quelle che tendono a conservare e a unire – da noi chiamate sia erotiche (esattamente nel senso di Eros nel Convivio di Platone) sia sessuali, estendendo intenzionalmente il concetto popolare di sessualità, – e quelle che tendono a distruggere e a uccidere; queste ultime le comprendiamo tutte nella denominazione di pulsione aggressiva o distruttiva.
«… Non ci chieda (…) di passare troppo rapidamente ai valori di bene e di male. Tutte e due le pulsioni sono parimenti indispensabili, perché i fenomeni della vita dipendono dal loro concorso e dal loro contrasto.
«… La difficoltà di isolare le due specie di pulsioni nelle loro manifestazioni ci ha impedito per tanto tempo di riconoscerle.
«… E’ assai raro che l’azione sia opera di un singolo moto pulsionale, il quale d’altronde deve essere già una combinazione di Eros e distruzione. Di regola devono concorrere parecchi motivi similmente strutturati per rendere possibile l’azione.
«… Il fatto che questi impulsi distruttivi siano mescolati con altri impulsi, erotici e ideali, facilita naturalmente il loro soddisfacimento. Talvolta, quando sentiamo parlare delle atrocità della storia, abbiamo l’impressione che i motivi ideali siano serviti da paravento alle brame di distruzione; altre volte, trattandosi per esempio di crudeltà della Santa Inquisizione, che i motivi ideali fossero preminenti nella coscienza, mentre i motivi distruttivi recassero loro un rafforzamento inconscio. Entrambi i casi sono possibili.
« … La pulsione di morte diventa pulsione distruttiva allorquando, con l’aiuto di certi organi, si rivolge all’esterno, verso gli oggetti. L’essere vivente protegge, per così dire, la propria vita distruggendone una estranea. Una parte della pulsione di morte, tuttavia, rimane attiva all’interno dell’essere vivente e noi abbiamo tentato di derivare tutta una serie di fenomeni normali e patologici da questa interiorizzazione della pulsione distruttiva.
« … ci sono popoli la cui vita scorre nella mitezza. presso cui la coercizione e l’aggressione sono sconosciute. Posso a malapena crederci …
«… Anche i bolscevichi sperano di riuscire a far scomparire l’aggressività umana, garantendo il soddisfacimento dei bisogni materiali e stabilendo l’uguaglianza sotto tutti gli altri aspetti tra i membri della comunità. Io la ritengo un’illusione. Intanto, essi sono diligentemente armati, e fra i modi con cui tengono uniti i loro seguaci non ultimo è il ricorso all’odio contro tutti gli stranieri
«… un secondo metodo per combattere indirettamente la tendenza alla guerra (…) Fa parte dell’innata e ineliminabile diseguaglianza tra gli uomini la loro distinzione in capi e seguaci. Questi ultimi sono la stragrande maggioranza, hanno bisogno di un’autorità che prenda decisioni per loro, alla quale perlopiù si sottomettono incondizionatamente (…) si dovrebbero dedicare maggiori cure (…) all’educazione di una categoria superiore di persone dotate di indipendenza di pensiero, inaccessibili alle intimidazioni e cultrici della verità, alle quali dovrebbe spettare la guida delle masse prive di autonomia. (…) che potere statale e (…) Chiesa non siano favorevoli (…) non ha bisogno di dimostrazione (…) condizione ideale sarebbe …) una comunità umana che avesse assoggettato la sua vita pulsionale alla dittatura della ragione (…) speranza utopistica (…) E’ triste pensare a mulini che macinano talmente adagio che la gente muore di fame prima di ricevere la farina.
«… la ragione principale per cui ci indigniamo contro la guerra è che non possiamo fare a meno di farlo. Siamo pacifisti perché dobbiamo esserlo per ragioni organiche (…) Da tempi immemorabili l’umanità è soggetta al processo dell’incivilimento (altri, lo chiamano civilizzazione). Dobbiamo ad esso il meglio di ciò che siamo divenuti e buona parte di ciò di cui soffriamo. (…) Forse porta all’estinzione del genere umano, giacché (…) pregiudica la funzione sessuale, e (…) si moltiplicano (…) le genti incolte e gli strati arretrati della popolazione che non quelli altamente coltivati. (…) Le modificazioni psichiche (…) con l’incivilimento (…) consistono in uno spostamento progressivo delle mete pulsionali. (…) per i nostri progenitori (…) cariche di piacere, sono diventate per noi indifferenti o addirittura intollerabili (…) le nostre esigenze ideali, sia etiche che estetiche, sono mutate. (…) due (…) più importanti: il rafforzamento dell’intelletto, che comincia a dominare la vita pulsionale, e l’interiorizzazione dell’aggressività, con tutti i vantaggi e i pericoli (…) la guerra contraddice nel modo più stridente a tutto l’atteggiamento psichico (…) imposto dal processo civile, dobbiamo necessariamente ribellarci contro di essa (…) non la sopportiamo più; non si tratta soltanto di un rifiuto intellettuale e affettivo, per noi pacifisti si tratta di un’intolleranza costituzionale (…) della massima idiosincrasia (…) le degradazioni estetiche della guerra non hanno nel nostro rifiuto una parte molto minore delle sue crudeltà.
«Quanto dovremo aspettare perché anche gli altri diventino pacifisti? Non si può dirlo, ma forse non è una speranza utopistica che l’influsso di due fattori – un atteggiamento più civile e il giustificato timore degli effetti di una guerra futura – ponga fine alle guerre in un prossimo avvenire. Per quali vie dirette o traverse non possiamo indovinarlo. Nel frattempo possiamo dirci: tutto ciò che promuove l’evoluzione civile lavora anche contro la guerra.
La saluto cordialmente e Le chiedo scusa se le mie osservazioni L’hanno delusa. Suo Sigm. Freud
Note
01. Salvatore Quasimodo. Giorno dopo giorno. Mondadori. Milano 1947, introduzione Carlo Bo.
02. Alessandro Guidi. Perché la guerra? POL.it Psychiatry on line Italia – 13 aprile, 2022.
03. Freud Sigmund; Einstein Albert. Perché la guerra. Editore: Bollati Boringhieri. Torino 1975. Hoepli 05/2013. Si veda inoltre ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI FILOSOFICI Progetto per una didattica dei contenuti. PERCHÈ LA GUERRA? Carteggio Albert Einstein – Sigmund Freud – Lettera di Einstein a Freud – Gaputh (Potsdam), 30 luglio 1932 – La risposta di Freud. (Carteggio Albert Einstein – Sigmund Freud < www.iisf.it › discorsi › einstein › carteggio)
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