Il bidello di una scuola, un uomo di 66 anni, ha infilato le mani dentro il pantaloni di un’alunna di 17 anni e le ha palpeggiato il sedere. Un tribunale l’ha assolto. Poiché il palpeggiamento sarebbe durato meno di 10 secondi, i giudici hanno ritenuto che l’assalto, dall’accusato definito come “goliardico”, è stato “goffo, ma privo di lussuria”, non un crimine.
Negli stessi giorni un altro tribunale ha escluso la premeditazione nell’omicidio di Carol Maltesi, un’attrice di film porno uccisa a martellate, tagliata a pezzi è messa nel frigorifero, perché lei era “giovane e disinibita” mentre il suo assassino ne era “innamorato perdutamente”. L’uomo avrebbe agito nella “consapevolezza di aver perso la donna amata, accompagnata dal senso di crescente frustrazione per essere stato da lei usato e messo da parte”. Il suo agire sarebbe stato determinato dal sentimento che l’amante (tornata dal suo figlio di sei anni) l’aveva usato e poi scaricato. Secondo i giudici “la causa scatenante non è da ritenersi turpe e spregevole più di ogni altro motivo che induca a un delitto cruento, poiché non è stata espressione di un moto interiore del tutto ingiustificato o un mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale”. Caduta la premeditazione, è caduta anche l’aggravante dell’omicidio compiuto per futili motivi. Il movente del feroce femminicidio non sarebbe “abietto o futile in senso tecnico-giuridico”.
La prima sentenza offende la nostra intelligenza e i nostri sentimenti. È un arbitrio puro che ripete e legittima l’aggressione nei confronti della ragazza molestata. La seconda è una costruzione mentale che converte i valori etici in linguaggio tecnico-giuridico e li distorce. La valutazione che la vittima fosse una donna disinibita e spregiudicata, mentre il suo carnefice un uomo sprovveduto, innamorato perso di lei, è del tutto gratuita, profondamente intrisa di pregiudizio morale (veleno vero e proprio per la mente di chi giudica). Di per sé nulla prova sul piano della premeditazione. Non la sconferma, né la sconferma. Caso mai l’avere tagliato a pezzi il cadavere della vittima e averlo messo nel frigorifero depone a favore di una mente contorta in cui tranquillamente possono coesistere premeditazione e improvvisazione.
Ridotto a “delitto cruento” l’assassinio raccapricciante è stato associato a un “non del tutto ingiustificato” (e assai misterioso) moto interiore. Non equiparabile al mero sfogo di un impulso criminale (il matrimonio della psicobiologia spicciola con la morale), che sarebbe stato, invece, inaccettabile, “abietto”. I giudici non dovrebbero avventurarsi in pcicologizzazioni tanto generiche quanto improbabili della materia su cui indagano, perché i rischio di esprimere una loro personale opinione illegittima, al posto di un giudizio imparziale, è molto alto. Se lo fanno diventano portatori di credenze e di pregiudizi incentivanti l’iniquità, l’ingiustizia e la violenza che abitano la società, la intossicano e la fanno ammalare.
La definizione più rigorosa e attendibile della gravità del crimine compiuto per futili motivi, l’ha data Arendt in La banalità del male: l’assunzione paradigmatica dello sterminio degli ebrei come grado più alto e disumanizzante della distruttività che prende forma senza emozioni. L’assassino di Carol Maltesi non ha agito per eccesso di emozioni, ma per il vuoto emotivo che si era fatto strada dentro di lui. Nulla può giustificare un femminicidio, è sempre compiuto per motivi umanamente futili, paurosamente banali.
È sempre più forte, in barba alla retorica della parità, la tendenza pervasiva a umiliare e offendere le donne, a cancellare la loro libertà erotica e la padronanza del loro corpo. Questa tendenza passa attraverso le vie più insospettabili, sfida la ragionevolezza e il buon senso e quando si manifesta come pura assurdità il segnale che è stata superata la misura dovrebbe esserci molto chiaro.
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