Percorso: Home 9 Clinica 9 TRAUMA E DISSOCIAZIONE – QUALE COLLEGAMENTO E QUALI PROSPETTIVE?

TRAUMA E DISSOCIAZIONE – QUALE COLLEGAMENTO E QUALI PROSPETTIVE?

11 Ott 23

Di FRANCESCO BOLLORINO

di Costanzo Frau

La pandemia da SARS Covid-19 ha condizionato la salute della popolazione mondiale. Il trauma collettivo ha avuto un impatto a breve e medio termine ed avrà delle ripercussioni maggiori a lungo termine (World Health Organization, 2022; Cui et al., 2022).

Nel nostro paese, le conseguenze psicologiche legate alle restrizioni e al continuo stato di allarme hanno ri-portato al centro dell’attenzione l’importanza della salute mentale. Utilizziamo il termine ri-portato in modo improprio se consideriamo il fatto che in Italia la salute psicologica dell’individuo non è mai stata una priorità e non ha mai avuto l’importanza che merita all’interno della salute in generale.

L’attenzione per gli aspetti psicologici è stata accompagnata da un maggiore interesse per il trauma psicologico, tra gli specialisti della salute mentale ma anche nella popolazione generale. Perciò, negli ultimi anni, si fa maggiormente riferimento al concetto di trauma e ai trattamenti disponibili per i disturbi ad esso correlati.

In questo articolo discuteremo brevemente il concetto di trauma e il collegamento che esiste con la dissociazione, le critiche che ciclicamente vengono fatte alla sua validità, per poi concludere con alcuni suggerimenti ai terapeuti che iniziano ad interessarsi alla psicoterapia dei disturbi traumatici complessi.

Secondo Van der Hart e collaboratori vanno considerati “eventi potenzialmente traumatici” quelli in grado di scatenare delle reazioni che sono “intense, improvvise, incontrollabili, imprevedibili ed estremamente negative” (Van der Hart et al., 2006, page 24). La diagnosi di disturbo da stress post-traumatico (PTSD) è cambiata nelle varie concettualizzazioni fatte del DSM a partire dal 1980 in poi. Nel corso dei decenni la definizione di trauma ha subito un drastico cambiamento, passando da “qualsiasi esperienza che produce effetti angoscianti” fino alla più recente definizione di “evento specifico senza riferimento ad alcuna reazione emotiva” (per approfondire l’argomento vedi Van der Hart et al., 2006).

In letteratura si fa generalmente riferimento all’abuso fisico e sessuale, l’abuso emotivo (abuso verbale, minaccia, ridicolizzazione o umiliazione), il neglect e la violenza assistita.

Secondo l’ultimo report del National Child Abuse and Neglect Data System (NCANDS), il Child Maltreatment 2020, circa 3,1 milioni di bambini nel 2020 sono stati seguiti dai Servizi Sociali Americani. Il Child Maltreatment 2020 è un report del Dipartimento per la Salute e i Servizi Umani degli Stati Uniti, che ogni anno dal 1991 mette assieme i dati sull’abuso e la trascuratezza infantili che provengono dalle agenzie per l’assistenza all’infanzia dei diversi stati americani. Nel 2020 il numero di bambini abusati si aggirava attorno ai 618.000.  I tre-quarti (76.1%) è stata vittima di neglect, il 16.5% è stata abusata fisicamente, il 9.4% abusata sessualmente e lo 0.2% è stata vittima di traffico sessuale (U.S. Department of Health & Human Services, 2022).

Un terzo dei pazienti, indipendentemente dalla diagnosi, è vittima di una forma di trauma. Green et al. (2010) hanno dimostrato che le esperienze sfavorevoli infantili in un cluster di funzionamento familiare disadattivo (malattia mentale dei genitori, disturbi da sostanze e comportamento criminale; violenza familiare; abuso fisico; abuso sessuale; trascuratezza) correlano fortemente con l’insorgenza di un disturbo psichiatrico.

Inoltre, come sostiene De Bellis (2001) “gli adulti con storie di maltrattamento infantile hanno maggiori probabilità di manifestare molteplici comportamenti a rischio per la salute e gravi malattie mediche (Felitti et al., 1998), hanno maggiore accesso ai trattamenti psichiatrici e medici (Walker et al., 1999) rispetto agli adulti senza storie di maltrattamento” (p. 539).

Prendendo in considerazione lo spettro traumatico-dissociativo esiste un’alta correlazione tra trauma e le varie diagnosi psichiatriche, nello specifico disturbo da stress post-traumatico (PTSD), depressione, abuso di sostanze e suicidalità (Kessler, 2000).

Per citare alcuni dati, il maltrattamento infantile ha una frequenza tra l’80-96% nei pazienti con disturbo borderline di personalità (DBP) (Zanarini et al., 1989; Korzekwa et al. 2009). Inoltre esiste una comorbilità che si aggira tra il 41% e il 72% tra il disturbo borderline e i disturbi dissociativi. Alcuni studi hanno evidenziato come molti pazienti in trattamento per un DBP avessero in comorbilità un disturbo dissociativo, con l’11% che soddisfaceva i criteri per la diagnosi di disturbo dissociativo dell’identità (DDI) (Sar et al., 2006; Zittel et al., 2005).

Trauma e dissociazione sono due concetti strettamente collegati. Questo collegamento non riguarda solamente la categoria diagnostica (Sar & Ross, 2006), ma nello specifico il processo di adattamento del cervello alle esperienze traumatiche.

Valutare come il trauma genera dissociazione, ovvero dis-integrazione delle funzioni normalmente integrate della coscienza, permette una migliore concettualizzazione del caso e non sposta l’attenzione del clinico unicamente sulle memorie traumatiche.

Si tratta di un errore cognitivo che può essere commesso con una certa facilità, spinti dalla scorciatoia che la nostra mente segue durante il problem solving. Riconoscere che il trauma sia alla base di molti disturbi psichiatrici non corrisponde ad intervenire fin dalle prime fasi della terapia sulle memorie traumatiche.

Errori di questo tipo sono stati commessi da molti clinici alla fine dello scorso secolo, periodo in cui si concepiva terapeutico il semplice ricostruire/riconsolidare la memoria traumatica (Schacter, 1996). D’altronde le stesse linee guida internazionali suggeriscono che l’intervento specifico sulle memorie traumatiche non sia la priorità, ovvero vada considerato in una seconda fase quando il paziente ha raggiunto un buon livello di stabilizzazione (International Society for the Study of Trauma and Dissociation, 2011).

Sebbene esistano sempre più evidenze scientifiche riguardanti gli effetti del trauma infantile sulla salute fisica e psicologica e la psicoterapia risulti efficace nel trattamento dei disturbi trauma correlati, molti ricercatori continuano a sminuire l’importanza che le esperienze traumatiche hanno nella genesi dei disturbi psichiatrici o a mettere in dubbio la veridicità delle memorie stesse (Engelhard, 2019; Shaw & Vredeveldt, 2018; Wolf & Nochajski, 2022).

Alcuni studi hanno per esempio sostenuto che diversi aspetti collegati alla terapia EMDR possano compromettere l’accuratezza della memoria (in particolare in ambito legale) o che possano in qualche modo favorire l’emergere spontaneo di false memorie (Otgaar et al., 2021; Kenchel et al., 2020).

Queste ricerche sono condotte prevalentemente da ricercatori con poca esperienza in ambito clinico (per un approfondimento dell’argomento sulla controversia sui ricordi traumatici si rimanda al lavoro di Malacrea, 2021). Tuttavia, una recente review ha messo in evidenza come, nonostante alcune inconsistenze, la maggior parte degli studi giunga alla conclusione che la memoria traumatica sia accurata nelle persone con o senza diagnosi di PTSD (vedi Mattsson et al., 2021).

Parallelamente alle critiche sulla veridicità dei ricordi traumatici, è stata messa in discussione la diagnosi di disturbo dissociativo o, nel caso essa sia stata riconosciuta, non ha mai ricevuta la giusta attenzione.

Nel 1988 Dell intervistò alcuni terapeuti per valutare le reazioni che avevano riscontrato tra gli altri clinici rispetto al trattamento del disturbo da personalità multipla (attuale DDI). Tra i 62 clinici che avevano seguito in psicoterapia dei DDI, più dell’80% riferirono di aver osservato delle reazioni da ‘moderate a estreme”, caratterizzate in diversi casi dal rifiuto di ricovero o dalle dimissioni forzate anche nei casi in cui questi pazienti presentavano dei seri rischi suicidari. Dell concludeva che queste reazioni estreme al DDI erano causate dall’ansia che un disturbo cosi particolare fosse in grado di generare negli specialisti (Dell, 1988 citato in Gillig, 2009).

Sin dalla fine degli anni ottanta dello scorso secolo la diagnosi di DDI è stata oggetto di controversia. Molti casi furono ricondotti al contagio emotivo, alla suggestione ipnotica e ad una diagnosi errata (Frankel, 1990; Ganaway, 1995; McHugh, 1995).

Sono passati tre decenni con un incremento notevoli degli studi sul DDI e delle evidenze su questa categoria diagnostica ma anche qui, ciclicamente, si ripresentano le stesse critiche e attacchi al suo costrutto e alle terapie per il trattamento di questo disturbo.

Riguardo alla psicoterapia si è assistito molto spesso ad una banalizzazione dell’intervento a fasi, derivante probabilmente dalla non conoscenza della patogenesi dissociativa.

Uno degli approcci più recenti e preoccupanti al trattamento del DDI è quello di persone che sostengono di poter curare il DDI e il PTSD complesso in poche sedute di elaborazione del trauma (vedi ad esempio van Minnen & Tibben, 2021; Voorendonk et al., 2020). Nel suo libro di prossima pubblicazione, The Concise Guide to Assessing and Treating Trauma-related Dissociation (in uscita come ebook presso l’American Psychological Association tra un paio di mesi) Bethany Brand affronta questo tema e l’intero dibattito sul trauma come causa di dissociazione. Generalmente, come viene discusso dall’autrice tramite dei casi clinici, gli interventi precoci sulle memorie traumatiche possono avere degli effetti iatrogeni molto seri. Diversi terapeuti, non attenendosi alle linee guida di riferimento per il trattamento di questi disturbi, trattano il trauma sin dalle prime fasi della terapia, minimizzando il lavoro complessivo con i DD che richiede prima di ogni altra cosa il raggiungimento di una buona stabilizzazione.

CONCLUSIONI

 Negli anni novanta dello scorso secolo si aprì un aspro dibattito riguardo al recupero delle memorie traumatiche. Nel 1992 Pamela e Peter Freyd fondarono la False Memory Syndrome Foundation (FMSF) che includeva esperti di tecniche suggestive e molti genitori che erano stati accusati dai loro figli di aver subito degli abusi dopo che questi ultimi avevano iniziato un percorso di psicoterapia.

Tralasciando gli aspetti clinici e riconoscendo che esistano dei casi collegati ai falsi ricordi, il termine sindrome è stato indubbiamente fuorviante disconoscendo il concetto di trauma e negando le esperienze di cui molte persone erano vittime durante l’infanzia.

Come riportato da Charles Whitfield nel suo libro del 1995 intitolato “Memory and Abuse”, tutti i critici degli studi che dimostrano la validità delle memorie recuperate erano membri del comitato consultivo della False Memory Syndrome Foundation.

Nonostante nel corso degli anni siano state accumulate numerose evidenze scientifiche riguardo alla veridicità delle memorie traumatiche e all’impatto che queste esperienze possono avere sul senso di sé e sui processi di ricostruzione della memoria, periodicamente si ripresenta lo stesso attacco al concetto di memoria traumatica e ai trattamenti dei disturbi che ne conseguono. I detrattori sembrano essere mossi più da motivazioni personali, non supportando le critiche e riproponendo sempre le stesse a distanza di anni.

Allo stesso tempo nei servizi di salute mentale molti pazienti con disturbo dissociativo e nello specifico con DDI, non ricevono quasi mai la diagnosi corretta. La loro cartella clinica è caratterizzata da svariate diagnosi che rappresentano le diverse facce dello stesso quadro clinico, patologia che nel corso degli anni non ha mai ricevuto la giusta terapia.

Infatti, il trattamento dei disturbi dissociativi è un intervento complesso che richiede una formazione specifica. I terapeuti che iniziano a comprendere l’importanza delle esperienze traumatiche nella patogenesi, dovrebbero tenere in considerazione che ciò che viene definito “trauma” rientra nella realtà relazionale della vittima, non va astratto e considerato un qualcosa a sé stante. Il trauma, in particolare quello cumulativo, causa una dis-integrazione cerebrale e in quanto tale non può essere separato dal processo dissociativo. Le vittime di traumi multipli e cumulativi presentano quadri psicopatologici complessi che richiedono interventi più strutturati, terapie in cui il lavoro sulle memorie traumatiche è secondario rispetto ad altre strategie terapeutiche che vanno utilizzate nelle prime fasi.

Dal Dicembre 2016 è attiva sul territorio italiano l’Associazione Italiana per lo Studio del Trauma e della Dissociazione (AISTED). Si tratta di una associazione non profit, che in collaborazione con la European Society for Trauma and Dissociation (ESTD) si dedica allo studio del trauma complesso e dei disturbi dissociativi.

L’AISTED ha l’obiettivo di fare rete tra i professionisti del settore psicotraumatologico e fornisce un buon riferimento per i terapeuti italiani che intendono curare i disturbi conseguenti a traumi complessi.

L’auspicio è che un numero sempre maggiore di specialisti possa intervenire in una fase precoce favorendo la corretta diagnosi, limitando al minino l’esperienza di non riconoscimento della sofferenza che questi pazienti si trascinano da anni e lavorando in rete per garantire il più possibile un esito positivo del trattamento.

Loading

Autore

0 commenti

Caffè & Psichiatria

Ogni mattina alle 8 e 30, in collaborazione con la Società Italiana di Psichiatria in diretta sul Canale Tematico YouTube di Psychiatry on line Italia