NELLA STANZA CHIUSA.
RILEGGENDO VIVERE CON BARBABLÙ” IN TEMPO DI COVID
RILEGGENDO VIVERE CON BARBABLÙ” IN TEMPO DI COVID
di Pierpaolo Martucci
L’incalzare delle cronache degli ultimi giorni, con il ripetersi in sequenza di notizie su efferati crimini domiciliari (uxoricidi, omicidi-suicidi, parenticidi) mi ha spinto a rileggere un testo che già avevo voluto recensire (1): Vivere con Barbablù. Violenza sulle donne e psicoanalisi, di Maria Cristina Barducci, Beatrice Bessi e Rita Corsa (Magi, Roma, 2018, ristampa 2019, euro 20,00).
Nel marzo dello scorso anno, mentre la prima ondata pandemica sconvolgeva l’Italia, ci interrogammo su quale sarebbe stato l’impatto del contagio sulla composita galassia delle relazioni familiari e sentimentali, forzatamente confinate dal lockdown nazionale nell’hortus conclusus delle mura domestiche:
“Pare che anche le denunce di violenze domestiche siano drasticamente calate. Il che verosimilmente significa che le vittime non possono sottrarsi al controllo quotidiano in case/prigioni in cui debbono rimanere, prigioni che – a differenza di quelle pubbliche – non saranno mai sconvolte da rivolte sanguinose” (2).
Era un’analisi per certi versi obbligata, che si è rivelata una facile profezia. Già in quel periodo gli scarsi dati pervenuti dalla Cina – dove il Covid 19 si era diffuso molto prima – indicavano ad esempio che nel mese di febbraio del 2020, a Jingzhou, grande metropoli della provincia di Hubei, il numero di casi di violenza domestica era triplicato se comparato al medesimo arco temporale dell’anno precedente (3). In Italia, per contro, le denunce per il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.), nei primi 22 giorni del marzo 2020 erano state “solamente” 652, praticamente la metà rispetto alle 1.152 dello stesso periodo del 2019 (4). Ma la reale natura della situazione è emersa nel corso dell’anno.
I report periodici che l’Istat dedica all’andamento degli omicidi in Italia indicano che se in termini generali essi hanno segnato una netta flessione, le cose stanno ben diversamente nella distribuzione delle vittime in relazione fra i due sessi. Nei primi sei mesi del 2020, nel 45% dei casi sono state uccise donne, rispetto al 35% del primo semestre del 2019; se poi si considerano solo i mesi di marzo e aprile (in coincidenza col lockdown più rigoroso) la percentuale sale al 50%. E nel 90% dei casi questi femminicidi sono stati commessi in abitazione, prevalentemente per mano di partner o ex partner (61%).
Sempre stando ai dati Istat, nel nostro Paese per l’intero 2020 si è confermata la progressiva diminuzione del numero complessivo di omicidi volontari e la discesa rilevante delle vittime di sesso maschile, a fronte di un rialzo significativo di quelle di sesso femminile per cui, mentre nel 2019 le donne costituivano il 32% delle vittime del totale di tutti gli omicidi, nel 2020 il dato si è attestato al 48%. In termini fenomenologici, si è registrato un netto incremento dei fatti di sangue occorsi in ambito familiare (dal 45% del 2019 al 58% del 2020) e di quelli commessi da partner o ex partner maschi (dal 43% del 2019 al 51% del 2020).
Ulteriori informazioni provengono dall’analisi dei dati sulle chiamate al 1522, il numero verde contro la violenza domestica e lo stalking, promosso dal Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Infatti il numero delle chiamate – sia telefoniche sia via chat – è più che raddoppiato (+ 119,6%) nel periodo compreso fra marzo e giugno 2020 rispetto allo stesso periodo dell’anno prima. In particolare, le richieste di aiuto via chat sono quintuplicate, passando da 417 a 2.666 messaggi (5).
Questa cruda realtà rinvia all’analisi complessa e plurale sviluppata dalle tre autrici di Vivere con Barbablù, che nelle pagine del libro intrecciano modelli teorici e casi clinici. Invero è proprio il modello archetipico drammatizzato nella celeberrima favola di Charles Perrault a trarre nuova linfa e a tornare – diremmo con la forza arcaica dell’Ombra junghiana – nel nostro presente devastato dalla pestilenza.
A ben vedere, la vicenda di Barbablù contiene in sé due tratti tipici dello schema criminologico che si ritrova nella casistica delle forme più gravi di violenza di genere: la dipendenza/sottomissione al potere maschile e l’isolamento della donna vittima. Nella fiaba, il potere dell’“orco” è prettamente economico (“c’era una volta un uomo, il quale aveva palazzi e ville principesche e piatterie d’oro…”), grazie alla sua grande ricchezza e alle doti di manipolatore riesce a sposarsi ancora una volta, nonostante il colore della barba che ispira ribrezzo e spavento e, soprattutto, il fatto che “aveva sposato diverse donne e di queste non s’era mai potuto sapere che cosa fosse accaduto”. Alla fine, di fronte al lusso ostentato, “la figlia minore finì per persuadersi che il padrone della villa non aveva la barba tanto blu” (6).
Ma l’ultima moglie che, trasgredendo il divieto, apre la stanza proibita dove stavano i corpi di parecchie donne sgozzate, “morte e attaccate in giro alle pareti”, si salva da eguale sorte poiché, avendo conservato stretti i legami familiari, tramite la sorella riesce a chiamare in suo soccorso i due fratelli soldati, che giungono in tempo per uccidere il mostro. Solo l’indipendenza economica raggiunta grazie all’eredità del marito-orco consentirà alla vedova e alla sua famiglia di realizzare i loro desideri: “E poiché Barba-blu non aveva eredi, la moglie rimase padrona di tutti i suoi beni: dei quali ne dette una parte in dote alla sorella Anna, per maritarla con un gentiluomo, col quale da tanto tempo faceva all’amore: di un’altra se ne servì per comprare il grado di capitano ai suoi fratelli: e il resto lo tenne per sé, per maritarsi con un fior di galantuomo, che le fece dimenticare tutti i crepacuori che aveva sofferto con Barba-blu”.
In qualche modo, nell’anno trascorso dalla comparsa del Covid 19, le restrizioni imposte da copri fuoco e zone rosse e dalla paura stessa del virus, hanno in tanti casi quasi azzerato secoli di emancipazione, riportando le donne nel perimetro chiuso delle mura domestiche, dove isolamento, controllo, oppressione costituiscono il terreno più fertile per alimentare la violenza intrafamiliare e di genere, e slatentizzare le varie forme di aggressione e/o persecuzione.
Come è stato evidenziato, la limitazione dei contatti esterni – che implica una riduzione delle relazioni con la famiglia d’origine e l’indebolimento della rete amicale – e la quotidiana condivisione dello spazio abitativo con il partner maltrattante, col conseguente controllo pervasivo di tutti gli strumenti di comunicazione (cellulare, computer), hanno spesso impedito alle donne a rischio di accedere ai servizi e di chiedere aiuto. Peraltro è ben noto che tali iniziative scatenano ritorsioni e inaspriscono sensibilmente le violenze già presenti in famiglia nella fase precedente l’epidemia, rendendone ancor più difficile l’emersione (7).
Di più, talvolta si è verificata una sorta di perversa sovrapposizione delle strategie di controllo. Sotto il profilo dell’economia familiare, ad esempio “il controllo dello scontrino della spesa (…), cui poteva essere sottoposto il cittadino da parte dell’autorità di pubblica sicurezza per verificare che egli si fosse servito presso un negozio alimentare vicino alla propria abitazione, è uno degli svariati comportamenti assillanti che caratterizzano la vita quotidiana della donna vittima di maltrattamenti, la cui libertà di movimento, si sa, è fortemente compromessa, anche attraverso simili condotte poste in essere dal partner violento” (8).
In un certo senso, la pandemia ha restituito ai Barbablù di turno la chiave della camera nascosta “in fondo al gran corridoio del pian terreno”, dove, sul pavimento “tutto coperto di sangue accagliato”, si riflettono, come macabri trofei, i cadaveri delle donne assassinate. Il segreto rimane custodito nella stanza chiusa.
Nel marzo dello scorso anno, mentre la prima ondata pandemica sconvolgeva l’Italia, ci interrogammo su quale sarebbe stato l’impatto del contagio sulla composita galassia delle relazioni familiari e sentimentali, forzatamente confinate dal lockdown nazionale nell’hortus conclusus delle mura domestiche:
“Pare che anche le denunce di violenze domestiche siano drasticamente calate. Il che verosimilmente significa che le vittime non possono sottrarsi al controllo quotidiano in case/prigioni in cui debbono rimanere, prigioni che – a differenza di quelle pubbliche – non saranno mai sconvolte da rivolte sanguinose” (2).
Era un’analisi per certi versi obbligata, che si è rivelata una facile profezia. Già in quel periodo gli scarsi dati pervenuti dalla Cina – dove il Covid 19 si era diffuso molto prima – indicavano ad esempio che nel mese di febbraio del 2020, a Jingzhou, grande metropoli della provincia di Hubei, il numero di casi di violenza domestica era triplicato se comparato al medesimo arco temporale dell’anno precedente (3). In Italia, per contro, le denunce per il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.), nei primi 22 giorni del marzo 2020 erano state “solamente” 652, praticamente la metà rispetto alle 1.152 dello stesso periodo del 2019 (4). Ma la reale natura della situazione è emersa nel corso dell’anno.
I report periodici che l’Istat dedica all’andamento degli omicidi in Italia indicano che se in termini generali essi hanno segnato una netta flessione, le cose stanno ben diversamente nella distribuzione delle vittime in relazione fra i due sessi. Nei primi sei mesi del 2020, nel 45% dei casi sono state uccise donne, rispetto al 35% del primo semestre del 2019; se poi si considerano solo i mesi di marzo e aprile (in coincidenza col lockdown più rigoroso) la percentuale sale al 50%. E nel 90% dei casi questi femminicidi sono stati commessi in abitazione, prevalentemente per mano di partner o ex partner (61%).
Sempre stando ai dati Istat, nel nostro Paese per l’intero 2020 si è confermata la progressiva diminuzione del numero complessivo di omicidi volontari e la discesa rilevante delle vittime di sesso maschile, a fronte di un rialzo significativo di quelle di sesso femminile per cui, mentre nel 2019 le donne costituivano il 32% delle vittime del totale di tutti gli omicidi, nel 2020 il dato si è attestato al 48%. In termini fenomenologici, si è registrato un netto incremento dei fatti di sangue occorsi in ambito familiare (dal 45% del 2019 al 58% del 2020) e di quelli commessi da partner o ex partner maschi (dal 43% del 2019 al 51% del 2020).
Ulteriori informazioni provengono dall’analisi dei dati sulle chiamate al 1522, il numero verde contro la violenza domestica e lo stalking, promosso dal Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Infatti il numero delle chiamate – sia telefoniche sia via chat – è più che raddoppiato (+ 119,6%) nel periodo compreso fra marzo e giugno 2020 rispetto allo stesso periodo dell’anno prima. In particolare, le richieste di aiuto via chat sono quintuplicate, passando da 417 a 2.666 messaggi (5).
Questa cruda realtà rinvia all’analisi complessa e plurale sviluppata dalle tre autrici di Vivere con Barbablù, che nelle pagine del libro intrecciano modelli teorici e casi clinici. Invero è proprio il modello archetipico drammatizzato nella celeberrima favola di Charles Perrault a trarre nuova linfa e a tornare – diremmo con la forza arcaica dell’Ombra junghiana – nel nostro presente devastato dalla pestilenza.
A ben vedere, la vicenda di Barbablù contiene in sé due tratti tipici dello schema criminologico che si ritrova nella casistica delle forme più gravi di violenza di genere: la dipendenza/sottomissione al potere maschile e l’isolamento della donna vittima. Nella fiaba, il potere dell’“orco” è prettamente economico (“c’era una volta un uomo, il quale aveva palazzi e ville principesche e piatterie d’oro…”), grazie alla sua grande ricchezza e alle doti di manipolatore riesce a sposarsi ancora una volta, nonostante il colore della barba che ispira ribrezzo e spavento e, soprattutto, il fatto che “aveva sposato diverse donne e di queste non s’era mai potuto sapere che cosa fosse accaduto”. Alla fine, di fronte al lusso ostentato, “la figlia minore finì per persuadersi che il padrone della villa non aveva la barba tanto blu” (6).
Ma l’ultima moglie che, trasgredendo il divieto, apre la stanza proibita dove stavano i corpi di parecchie donne sgozzate, “morte e attaccate in giro alle pareti”, si salva da eguale sorte poiché, avendo conservato stretti i legami familiari, tramite la sorella riesce a chiamare in suo soccorso i due fratelli soldati, che giungono in tempo per uccidere il mostro. Solo l’indipendenza economica raggiunta grazie all’eredità del marito-orco consentirà alla vedova e alla sua famiglia di realizzare i loro desideri: “E poiché Barba-blu non aveva eredi, la moglie rimase padrona di tutti i suoi beni: dei quali ne dette una parte in dote alla sorella Anna, per maritarla con un gentiluomo, col quale da tanto tempo faceva all’amore: di un’altra se ne servì per comprare il grado di capitano ai suoi fratelli: e il resto lo tenne per sé, per maritarsi con un fior di galantuomo, che le fece dimenticare tutti i crepacuori che aveva sofferto con Barba-blu”.
In qualche modo, nell’anno trascorso dalla comparsa del Covid 19, le restrizioni imposte da copri fuoco e zone rosse e dalla paura stessa del virus, hanno in tanti casi quasi azzerato secoli di emancipazione, riportando le donne nel perimetro chiuso delle mura domestiche, dove isolamento, controllo, oppressione costituiscono il terreno più fertile per alimentare la violenza intrafamiliare e di genere, e slatentizzare le varie forme di aggressione e/o persecuzione.
Come è stato evidenziato, la limitazione dei contatti esterni – che implica una riduzione delle relazioni con la famiglia d’origine e l’indebolimento della rete amicale – e la quotidiana condivisione dello spazio abitativo con il partner maltrattante, col conseguente controllo pervasivo di tutti gli strumenti di comunicazione (cellulare, computer), hanno spesso impedito alle donne a rischio di accedere ai servizi e di chiedere aiuto. Peraltro è ben noto che tali iniziative scatenano ritorsioni e inaspriscono sensibilmente le violenze già presenti in famiglia nella fase precedente l’epidemia, rendendone ancor più difficile l’emersione (7).
Di più, talvolta si è verificata una sorta di perversa sovrapposizione delle strategie di controllo. Sotto il profilo dell’economia familiare, ad esempio “il controllo dello scontrino della spesa (…), cui poteva essere sottoposto il cittadino da parte dell’autorità di pubblica sicurezza per verificare che egli si fosse servito presso un negozio alimentare vicino alla propria abitazione, è uno degli svariati comportamenti assillanti che caratterizzano la vita quotidiana della donna vittima di maltrattamenti, la cui libertà di movimento, si sa, è fortemente compromessa, anche attraverso simili condotte poste in essere dal partner violento” (8).
In un certo senso, la pandemia ha restituito ai Barbablù di turno la chiave della camera nascosta “in fondo al gran corridoio del pian terreno”, dove, sul pavimento “tutto coperto di sangue accagliato”, si riflettono, come macabri trofei, i cadaveri delle donne assassinate. Il segreto rimane custodito nella stanza chiusa.
NOTE
- P. Martucci, recensione a “Vivere con Barbablù. Violenza sulle donne e psicoanalisi”, 2 novembre 2018 ( http://www.psychiatryonline.it/node/7712)
- Ricordiamo il nostro articolo “A PORTE CHIUSE. Covid 19 e criminalità”, postato in data 26 marzo 2020 (http://www.psychiatryonline.it/node/8528)
- Il dato è riportato in Penasso M. (a cura di), Quando la cura può suscitare nuovo male. La violenza di genere in tempi di pandemia, in https://www.dors.it/page.php?idarticolo=3411. Lo conferma Torrisi C., Emergenza coronavirus: l’isolamento in casa e il rischio della violenza domestica, in https://www.valigiablu.it/emergenza-coronavirus-violenza-domestica/, 27 marzo 2020.
- Cfr. Relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta contro il femminicidio, Doc. XXII-bis, n. 1, approvata il 26.3.2020, p. 3.
- Cfr. Istat, Il numero di pubblica utilità 1522 (periodo marzo-giugno 2020), 13 agosto 2020 (www.istat.it/it/archivio/246557).
- La versione dai Racconti di Mamma Oca (Contes de ma mère l’Oye) di Perrault è quella celebre di Carlo Collodi, I racconti delle fate (1875), Adelphi, Milano, 1976.
- Sul tema generale delle dinamiche psichiche che sottostanno alla violenza contro le donne si rimanda ancora una volta al volume Vivere con Barbablù.
- Folla N., Violenza contro donne e minori al tempo del coronavirus: prime riflessioni e primo bilancio (provvisorio), in G.P. Dolso, M.D. Ferrara, D.Rossi (a cura di), Virus in fabula. Diritti e istituzioni ai tempi del covid-19, EUT, Trieste, 2020, p. 282.
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