Percorso: Home 9 Clinica 9 Il delitto di Monteveglio. Il Crimine e la Follia. Le salme introvabili e quelle che si scoprono subito.

Il delitto di Monteveglio. Il Crimine e la Follia. Le salme introvabili e quelle che si scoprono subito.

10 Lug 21

Di Sergio-Mellina
Il corpo senza vita della sedicenne arciera scomparsa da casa la sera prima è stato trovato, il giorno dopo, nel boschetto dell’Abbazia del paese di Monteveglio, ucciso da un coltello. Il fatto di sangue ha invaso i media. La piccola comunità bolognese, a 26 chilometri da Bologna, una frazione del comune di Valsamoggia, il padre della ragazza, l’Italia intera, sono stati gettati nello sgomento. Non sapevano capacitarsi, trovare un perchè, il fatto era incomprensibile.

Tutti si sono rifiutati di credere anche alle parole di un coetaneo di Valsamoggia, arciere anche lui, fermato dai Carabinieri di Borgo Panigale, che gli avrebbero trovato in casa un coltello e vestiti sporchi di sangue, ai quali avrebbe confessato di aver agito da solo sulla base di una spinta superiore, obbedito a una sorta di voce interiore che gli avrebbe detto di uccidere. Nessuno ha creduto all’interrogatorio del magistrato della Procura per minorenni di Bologna, al quale il coetaneo di Valsamoggia ha dato la stessa versione incredibile, riferito le stesse cose dell’altro mondo, una roba da matti! Infatti, il GIP starebbe valutando un accertamento psichiatrico, ma nel frattempo sembrerebbe orientato a confermare il fermo dei CC con l’ipotesi d'accusa di “omicidio aggravato dalla premeditazione”. [ANSA]

Si è parlato di “ennesimo femminicidio”, giusto l’aria che tira, ma a mio avviso si rischia di fare confusione. Certo che la questione della violenza sulle donne è antica e importante, come il sessismo, la presunzione e la prepotenza maschile. Un tipo di oppressione che per di più in talune zone del mondo, viene complicata da misoginie illiberali e ostative di talune dinastie emiratine del Golfo Persico, quelle dei petrodollari – dominato da maschilismi indefettibili e stereotipie patriarcali cronicizzate – dove le donne sono tuttora discriminate al punto che risulta difficile per loro guidare l’automobile. Ma queste ragioni, culturali, di potere, pseudo-religiose, e altro ancora fanno parte di un dibattito che ci condurrebbe lontano, e non è questa la sede. Ho sentito in televisione Dacia Maraini indicare l’accesso al consumo di “pornografia facile e diffusa” che oggettivizza il corpo femminile, brutalizzandolo. Ma forse, il genere tout court, qui, tra adolescenti, c’entra poco o niente. È come voler distinguere fagioli, lenticchie, ceci e piselli, da grano, riso, orzo e avena in una zuppa di legumi e cereali. Forse tutti noi vogliamo evitare – più o meno consapevolmente – di scivolare nell’argomento ambiguo, tragico, profondamente umano che è la follia. Del crimine, sovente, si intuisce il movente e il frutto; della pazzia no, non si vede nè l’uno nè l’altro! Si brancola nel buio dei perché senza risposta. Quel tremendo “progetto di morte”, come ineluttabile risoluzione finale, che nessuno può prevedere quando si manifesterà. Neppure il carnefice inconsapevole ma lucido e cosciente, come appena due giorni fa sulla sua rubrica telematica “Cuore di tenebra. Viaggio al termine della psichiatria” di Pol.It. ci ha ricordato Gilberto Di Petta nell’appassionato articolo Vernichtungsplan (soluzione finale) – Sulla strage di Ardea [01].

È legittimo dimenticare le cose spiacevoli ma è imprudente trascurare la Salute Mentale, malgrado siano da poco trascorsi i due giorni ufficiali (25-26 giugno 2021) della seconda Conferenza Nazionale per la Salute Mentale ("Per una Salute Mentale di Comunità"), passata nella più assoluta indifferenza di pressoché anonime relazioni, modalità “streaming online”, da remoto, rendicontazioni impartecipate. A distanza di 20 anni dalla prima, fortemente voluta da associazioni di familiari dei pazienti, tutto ciò è veramente scandaloso. Ne rammento una intitolata “Dopo di noi”. Sono passati 4 lustri e non resta che « … le déluge!», al singolare o al plurale a seconda che si voglia parafrasare Luigi XV o la marchesa di Pompadour. Non bisogna però trascurare le stranezze pericolose perchè basate su presupposti pseudo-paranoicali, ma che bisogna tenere d’occhio, anche dal punto di vista politico perchè sembra che l’autoironia sia divenuta merce rara tra i maschi che “non devono chiedere mai!”, neppure un bicchier d’acqua – e per favore – se hanno sete. Per esempio forme di bullismo da viagra e suprematismo testosteronico come per esempio il trumpismo il lukashenkismo, l’erdoganismo, tanto per dire dei più recenti. In America c’è una setta di maschi eterosessuali disperati, feticisti, misogini, insicuri, i brutti che non copulano, perchè non “rimediano”, come si dice a Roma, ma sono arrivati a uccidere le donne. Sono gli «Incel», come gli attaccapanni dove nessuno ci appende nulla, il “celibatario involontario”.

No! La pazzia non è scomparsa, ci siede accanto, perennemente, purtroppo. Nessuno può sapere come dove e quando si manifesterà, neppure gli “esperti”, i medici specialisti, gli psichiatri, che sovente non possono far altro che accusare lo scacco, “ammettere il proprio fallimento”, come bene ha scritto di recente Gilberto Di Petta a proposito della strage di Ardea. Come ebbe a dire anni orsono, Mario Rossi Monti, raccontandoci del tentato suicidio – per improvvisa defenestrazione da un abbaino della sede societaria – di Gianluca Pessotto il terzino della Juventus che lasciò sbigottiti i compagni, in una indimenticabile lezione alla SPIGA di Roma, intitolata “Quando tutto si tiene. Psicopatologia dell’esordio psicotico” del 23 febbraio 2013. Qualche mese dopo 26 ottobre 2013 sarebbe venuto Gilberto Di Petta a parlare di “Analisi del Dasein” una sofisticata metodologia di approccio fenomenologico al disturbo mentale, anch’essa non esente da situazioni da scacco, per quanto lungamente esentata dall’esercizio psicoterapeutico, prima che si facessero avanti Karl Jaspers, Eugène Minkowski, Ludwig Binswanger e, da noi, Bruno Callieri, Arnaldo Ballerini e Michele Risso. «Ma è realistico pensare – è la domanda spontanea di Gilberto, al quale non si può negare che quelli della prevenzione mentale possano mutarsi in rabdomanti – che un operatore della salute mentale, che incontra incidentalmente o anche in una condizione di emergenza uno di questi viaggiatori dell’assoluto, polarizzati sulla loro soluzione finale, possa anche lontanamente intravedere tutto questo?» [02]

Quelli che hanno chiuso i manicomi non hanno mai detto, che la patologia mentale “non esiste”, anche se qualcuno, talvolta, vorrebbe proditoriamente insinuarlo, magari allungando il brodo semantico della medicina con termini come “malattia”, “sindrome”, “etiologia”, “anatomo-patologia”, “fisiopatologia” e via discorrendo. Chiunque è in grado di comprendere che c’è qualcosa che non funziona quando l’interlocutore ha una rotella fuori posto, non è «compos suis». Non è vero il contrario, cioè che sia prevedibile sapere quando la persona tranquilla, irreprensibile, educata, gentile esploderà facendo cose da matti. Men che meno aspettarsi che il suicida, per esempio, lasci per iscritto le ragioni (?!) del suo gesto, tanto insano, quanto ignoto. In un passato, non tanto lontano, Herbert "Harry" Stack Sullivan [03], uno psichiatra innovatore americano del Maryland, che scrisse parole di disistima per chi bestemmiava la vita, togliendosela. La personalità del suicida, a suo avviso, in essenza, offendeva simbolicamente, l’intera collettività umana, di cui era parte, sia pure nella sua irripetibile singolarità. Fu un caposcuola molto particolare della psicoanalisi interpersonale di indirizzo fenomenologico. Insomma la questione della follia umana è questione complessa dell’essente.

Quelli che invece sono stati tagliati vergognosamente – da vent’anni a questa parte e qualcuno lo ha certamente fatto intenzionalmente per ospedalizzare la sanità – sono i fondi per la salute, l’igiene mentale, la prevenzione, l’assistenza nel territorio. Completamente dimenticato, poi, il monito di Helsinki – O.M.S. 2005 – “Non c'è salute, senza salute mentale”, rimasta una frase vuota, per non parlare del finanziamento al settore, soprattutto nel territorio in fattispecie, ridotto a cifre miserrime. Non tutti mostrano di ricordare che nelle lunghe corsie degli OP, la sera, bastava un infermiere da sopra e uno da sotto per legare 20-30 pazienti. Non tutti mostrano di ricordare che la stagione delle grandi / piccole rivoluzioni psichiatriche italiane negli OO.PP., riunite nella cosiddetta “Legge Basaglia-Orsini” del 1978. rese evidente che nell’ambito dell’assistenza alle patologie psichiatriche, il rapporto operatore / paziente dovrebbe essere 2/1 e, nelle crisi di agitazione psicomotoria, ci vorrebbe un “turno” di almeno cinque infermiere/i per una sorveglianze a vista con eventuale corpo-a-corpo per evitare fasce di contenzioni e letti di forza. Cose incredibili ma vere, per chi c’è stato, e per chi c’è ancora come Gilberto Di Petta, che di quando in quando trova il tempo e la voglia per raccontarcele in libri/racconti preziosi sempre molto seguiti, quelli sulla rivista telematica di Bollorino. Si noti che quello dell’assistenza psichiatrica, nel rispetto della 833/1978, è il settore più dispendioso, per parlare solo di vile denaro e togliendo di mezzo l’impegno psicofisico, quello che può condurre al burn out dell’operatore. Ma difficilmente si parla, per giusta prudenza di non procurare allarme, di “contagio” mentale della follia, più rapido di qualunque variante virale.

Per molto tempo, poco dopo la metà del secolo scorso, quando frequentavo la specializzazione secondo Lucio Bini e Tullio Bazzi, i docenti di quella stagione, il nostro assillo doveva essere la necessità di collocare ogni sintomo riscontrato o coloriture di esso in una apposito archivio nosografico-categoriale per classificare le varie forme di complessi sindromici alla stregua di un elenco telefonico o di una sfilata di “prêt-à-porter”, come potrebbero essere oggi il DSM, acronimo di “Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali” secondo l’APA ('American Psychiatric Association), rispettabile organizzazione professionale americana di psichiatri, giunto alla 5ª edizione o l’ICD, acronimo di "International Classification of Diseases", tassonomia delle malattie secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS-WHO) nella 10ª edizione. Non certamente “l’haute couture” della descrizione secondo l’indirizzo della psicopatologia fenomenologica.

Scrive Di Petta nel suo saggio appena citato «I media , gli articoli sulla stampa, i post su face book: ogni evento catastrofico che ha le tinte della follia riaccende il clamore sulla Salute Mentale» e, in un sontuoso affresco sul mondo della pazzia richiama figure psicopatologiche classiche come “I sensitivi” e i grandi freniatri e alienisti del secolo passato come Ernst Kretschmer, “Der sensitive Beziehungswahn” (Delirio di riferimento sensitivo, 1918), un’opera minore tra l’altro, il suo saggio sui pazienti del “delirio o deliroide di riferimento” – ai limiti della psicosi schizofrenica, che pur si proponeva di trattare psicoterapeuticamente (una svolta nella psichiatria novecentesca) ma coi quali resta problematico immedesimarsi, poiché risultano jaspersianamente “incomprensibili”. Altri linguaggi, epoche diverse. «Non è nulla per i media – continua Di Petta – quello che io e tanti operatori anonimi stiamo facendo stamane, un giorno qualsiasi estivo di giugno, nel grigio delle carceri, nei DH, nei reparti, nei CSM, nei centri diurni, nei PS, negli SPDC, nelle residenze» – lavoro prezioso, per l’appunto, fatica ignorata la tutela della salute mentale, appena un rattoppo nello sbrindellamento sociale che lacera velocemente ogni ascolto, rapporto …
 



 

 

Gilberto Di Petta e Francesco Bollorino, la raccontano la follia, allo stato nascente, per bocca di Gerolamo Rizzo, un maestro elementare di 35 anni, omicida per follia [04]. Egli ha messo lucidamente per iscritto il suo vissuto delirante e le sue dispercezioni. Il prezioso diario, fortunosamente ritrovato da Francesco Bollorino «spulciando i faldoni dell’ex Ospedale Psichiatrico di Cogoleto, dove erano raccolte tutte le cartelle cliniche, anche quelle […] provenienti dal Manicomio di Genova Quarto», è stato pubblicato. Si tratta semplicemente della scheda di un matto del manicomio, ma cosa singolare, l’autore del diario autobiografico, più circostanziato e preciso di una anamnesi, ci fa sapere quanta fatica ci voglia per difendersi dalla patologia mentale, quanto si sia soli e inaiutati, finché la follia prevale. Rizzo, ci racconta, anche, che dovranno passare sulle barricate della sua mente, aggressioni mentali di ogni genere, e per ben sette lunghi anni, prima che lui abbia a cedere alle “voci interiori” divenendo un volgare assassino! Finché «Decisi di farla finita col primo signore o il primo prete che avessi incontrato per istrada, mi avviai per via XX Settembre e in questa, vidi un prete, ma era lontano da me e mi avviai verso il Palazzo Ducale dove incontrai un altro prete e là successe quello che doveva succedere» sono le sue parole precise trascritte dal diario «Mi arrestarono subito, il delegato di servizio fece il suo processo verbale, io raccontai tutte le mie disgrazie» [05]. La stampa genovese scriverà che mercoledì 30 settembre 1908 un maestro elementare senza motivo alcuno ha ucciso con la pistola in pieno centro genovese un presbitero, Don Paolo Canessa.

È un caso esemplare e tipico della pazzia, ma ve ne sono altri, altrettanto classici, e Di Petta nel suo recente lavoro sui fatti di Ardea, ne ricorda uno molto noto “Il caso Ernst Wagner. Lo sterminatore e il drammaturgo” di Danilo Cargnello, Feltrinelli, 1984. Un maestro elementare di Stoccarda che dopo aver sterminato la famiglia nel sonno (5 persone) uccide altre 9 persone e alcuni animali, così, all’improvviso, senza aver mai fatto male neppure a una mosca e dopo una vita tranquilla, morigerata e rispettosa. Il caso è riportato dallo psichiatra di Castelfranco Veneto anche in “Alterità e alienità”, Feltrinelli, 1966, una specie di “messale” per gli specializzandi irrequieti, anni Cinquanta, che frequentavano gli Istituti di Belloni, Bolsi, Gozzano, Fazio, Riquier, Visintini, Buscaino Vito Maria e volevano vedere che succedeva, andando oltre la psicoanalisi freudiana e anche quella un po’ esoterica junghiana. Interessante è il fatto che in un tempo lontano, la psicologia e la psicopatologia più raffinate, quelle antropo-fenomenologiche, per intenderci, in Italia si coltivarono in taluni rari OPP. Nel “Carlo Besta”, il manicomio di Sondrio in Valtellina da Danilo Cargnello; alla “Brusegana”, il manicomio di Padova, da Fernando Barison, per esempio. Una strategia astuta, diversa, geniale – peraltro già adocchiata a Londra, dove aveva fatto l’infermiere in un viaggi-studio – fu adottata da Lorenzo Calvi che inventò il repartino psichiatrico nei posti letto della “neurologia” dell’Ospedale generale di Sondrio, per essere vicino a Cargnello (maestro che adorava) senza doverne dipendere. Materiali di riflessione clinica ed extraclinica, la psicopatologia antropofenomenologica, che mai ebbero attenzione dall’Accademia universitaria delle “Cliniche delle Malattie Nervose e Mentali” col pretesto di “materia troppo filosofica”, almeno fino alla cattedra sassarese di Aldo Giannini.

Il capitolo delle “voci” dei fatti di sangue di Monteveglio verrà sviscerato dai periti e giudicato dal giudice che resta il perito dei periti, ma intanto possiamo pensare qualcosa. I due protagonisti, sono/erano sedicenni e tutti sappiamo che l’adolescenza è un passaggio difficile dell’umanità.

La malattia mentale non è sparita e tuttora affligge l’età giovane tanto che nel secolo scorso Emil Kraepelin (Compendio di Psichiatria, 1883) riordinando la nosografia dei disturbi mentali chiamò “dementia praecox”, quello che Morel aveva definito “demenza precoce” e Kahlbaum “catatonia” perchè osservò che interessava i giovani ed esitava dopo l’esordio acuto rapidamente in una condizione di cronicità difettuale. È stata superata la psicopatologia descrittiva sul genere impersonale dell’elenco telefonico ma non si sono dileguate le esperienze dispercettive, le allucinazioni sotto forma di comandi interni imperativi e diretti alla tua persona ai quali non ti puoi assolutamente sottrarre, nè resistere più di tanto. Le pseudo-allucinazioni o allucinazioni psichiche, carenti di spazialità, le voci interne, estranee alla personalità di chi le esperisce. Ripetizione sonora del pensiero, il furto del pensiero la Sindrome da influenzamento esteriore non sono esperienze normali, nè comuni. L’illusione è la percezione sbagliata di uno stimolo sensoriale realmente esistente in condizioni normali che patologiche che assume le forme dell’esperienza allucinatoria quando diviene una certezza reale sospinta da un convincimento delirante. Eugen Bleuler è morto, l’esperienza schizofrenica no anche se, raccontata fenomenologicamente, può sembrare diversa.

Il cervello non è il solo responsabile della malattia mentale come si pensava ai tempi della mitologia cerebrale officiata da Griesinger, ma ciò non vuol dire che la psicosi sia sparita. Se la mia generazione con Basaglia, Orsini, Piro, Jervis, Pirella e molti altri mise fine alla reclusione manicomiale, i pazzi ci sono ancora e causano un senso di angoscia, perchè può capitare a chiunque di incontrarne o di diventarlo improvvisamente.

Possiamo anche immaginarlo nell’esperienza dei sedicenni di Monteveglio. Lui ti guarda e improvvisamente muta espressione da quella consueta degli incontri precedenti. Incomincia ad eseguire, a vivere nella realtà il gesto di un pensiero distruttivo – la “Vernichtungsplan” (Soluzione Finale) richiamata da Gilberto – elaborato e costruito nel tempo, dal quale ha tentato di difendersi, di sottrarsi invano. Possiamo supporre sia in difficoltà perchè il ragazzo è adolescente, il momento più critico. Quello che pareva la percezione di voce molesta diviene ordine, comando imperativo di colpire, uccidere, distruggere il corpo della coetanea divenuto oggetto estraneo e minaccioso. Una follia, un delirio, uno sproposito? Un crimine? Certamente anche questo può essere la pazzia, l’ultima parte e la peggiore e non solo per il paziente. Il problema per chi deve farsene carico, prevenirla, curarla è arrivare un minuto prima. Spesso non si fa in tempo ed è un fallimento non solo per la salute mentale, la psichiatria, i servizi dedicati del territorio, ma per l’umanità intera. Certamente “I Servizi portano lo stigma che sono luoghi per i matti”, rileva Gilberto Di Petta e, d’altro canto aggiunge, «non sono individui senza risorse […] non rientrano nel profilo di bruti. Anzi, vengono descritti come timidi, sensibili, riservati, attenti, discreti». Il poverino, pare si fosse rivolto a uno psicologo che lo avrebbe indirizzato dal neuropsichiatra, col quale avrebbe prenotato un incontro.

Erano segnali di sofferenza che purtroppo non sono stati raccolti, o sottovalutati da chi gli era vicino. Bruno Callieri, ricorda ancora Gilberto, parlava di «uno stremato richiamo di incontro» e Aldo Masullo invitava «a ridurre la quota di indifferenza tra di noi […] in favore della quota di pathos» di fronte al sangue, questo sangue, sparso da «individui sanguinanti». Commovente, poi, l’allegoria di Di Petta col film di Ermanno Olmi “I Recuperanti” (1970), coloro che ancora cercano sull’Altipiano di Asiago le bombe inesplose della “Grande Guerra”, perchè tali – al fondo – sono codesti giovani psicotici, “bombe inesplose” con l’innesco scoperto. Una lacerazione nascosta, insospettabile, «procurata dall’indifferenza dell’altro» conclude la passione e la sapienza psicopatologica di Gilberto Di Petta. «La loro ferita è una vergogna che brucia dentro, e la rabbia li arma – precisa più avanti – Con freddezza pianificano ed eseguono la loro vendetta, lanciando un messaggio al mondo […] ci interrogano tutti sulla nostra disponibilità a capire il dramma interno di chi incrociamo […] interrogarci, anche, sul nostro dramma interno. Perché non interrogo nessuno se non mi interrogo». La grave colpa dell’indifferenza, è di tutti quelli che pensano “non è affar mio!” Ricordo lucidamente un paziente, un ossessivo compulsivo, che mi diceva – “Ha sentito dottore? È caduto un aereoplano a Bombay e so’ morte cinquecento persone. A me che me frega. Io sto a Roma e nun pijo mai l’aroplano!”. Rammento anche un “malatino” del Santa Maria della Pietà, quelli che potevano girare da soli e avevano accesso agli uffici della Direzione perchè sapevano scrivere a macchina velocemente, abilità strategica. “La pazzia è una cosa seria, dottore! – ebbe a confidarmi una volta – bisogna studiarla bene!”. Eravamo in confidenza perchè gli avevo chiesto, dietro compenso naturalmente, se mi ripassava a macchina gli appunti della Assemblee al Pad XVI.

Strategico è l’incontro per noi della salute Mentale, ma anche per tutti gli altri, gli umani. «Se anche non riusciamo a capire chi incontriamo – ribadisce Di Petta – domandiamoci se ci accorgiamo, almeno, di averlo incontrato. Se, nell’incontro con l’altro, ancora sussultiamo. O se siamo diventati indifferenti, e dunque anche a noi stessi. – E incalza – Di quanti incontri mancati si sostanzia un piano di distruzione?» [06]. Non infrequentemente, purtroppo, irrompono nella “nera” casi che potrebbero avere la stessa genesi. Un’ANSA del 23 giugno 2021. Pieve di Soligo (Treviso). Elisa, 35 anni, barista, stesa sul lettino nel greto sassoso del Piave a prendere il sole, in pausa lavorativa, viene presa a coltellate da uno sconosciuto, materializzatosi all’improvviso che, come una furia scalmanata, la colpisce ai fianchi e alla schiena, dai quali la poveretta cerca di difendersi. Respira ancora quando viene soccorsa. Spirerà poco dopo in ospedale. Il killer era uscito da casa con un coltello da cucina, dopo mezz’ora si è costituito. Aveva un disagio psichico certificato, questo il commento dei media locali.

Cosa completamente diversa è quando il corpo femminile non si trova, come quello di Saman Abbas, la diciottenne di origine pakistana scomparsa a Novellara, nella Bassa Reggiana dall’aprile 2021. Un fatto di sangue, un femminicidio, anche questo, con occultamento di cadavere, e per di più giovanissimo, di adolescente ribelle. Ma tutto è presunto, perchè tutti si sono dileguati, una piccola comunità dissolta per aver “disonorato”, si dice, una “tradizione”. “Roba da chiodi!” Avrebbe detto mio suocero “u sciù Vittoriu”, il trilaureato genovese, quando voleva astenersi dal “Gundun marsu!”, per rispetto alla sua comunità familiare, prevalentemente femminile (1 a 3). Una limacciosa omertà criminale tanto diffusa quanto insospettabile, sembrerebbe legare codesta la comunità pakistana, dominata dalla paura, anzi dal terrore. Nessuno parla per timore di vendette, di ritorsioni. Emergerebbe che, i capi-famiglia di questa piccola comunità patriarcale pakistana (un volgarissimo e feroce padre-padrone che noi conosciamo bene) abbiano la facoltà di emanare ”sentenze di condanna a morte” se le figlie rifiutano “i matrimoni combinati”; e parrebbe anche che vi siano “boia” tra i familiari maschi, disposti a passare il cappio intorno al collo della sposa promessa ove tenti di sfuggire alla violenza predestinata e cosa inaudita, a tirarlo! Tutto ciò, è talmente impastato di complicità che questo immigrati per lavoro in Italia dal Pakistan, sembrerebbero beffarsi delle FF.OO italiane. Le denunce, le poche fatte, non troverebbero riscontro tra in connazionali, ad una eventuale indagine, per silenzio di tomba dei compatrioti cha sanno. Carabinieri, forestali, cani molecolari e ogni sorta di cercatori specializzati con marchingegni sofisticati, stanno ancora cercando il corpo della povera Saman. La ribelle pachistana, raccontata a una nota trasmissione della televisione italiana dal ventunenne fidanzato pachistano sovvertitore della faida, il quale ha rivelato le minacce di morte ricevute dai familiari della ragazza. Una mafia in perfetto stile Punjab, più efficiente di quella nostrana e di qualunque altra. Anche noi, Italiani, abbiamo avuto “tradizioni” maschiliste vetero-patriarcali come il “Delitto d’onore”, travolto dal ridicolo, anche cinematografico.

Concludo questo episodio sconcertante di crimine pseudo-etnico ribadendo che si tratta di un delitto crudele e volgare che offende una cultura e una tradizione orientale solitamente ispirata alla meditazione, alla non violenza, al continenza delle passioni. Qui la malattia mentale non c’entra! Le persone appena istruite sanno che esiste una “patologia sociale” ben diversa da quella “mentale”. Tradizioni, leggende, santoni, fattucchiere, frati guaritori, miracoli, credenze popolari come la ”taranta salentina”, o meglio il fenomeno popolare del “tarantismo” sul quale organizzò le “spedizioni” Ernesto de Martino, con la sua equipe, sono sempre esistite, fanno parte integrante del “corpus” delle culture popolari di ogni parte del mondo.. Proprio perchè ricorrenze festive popolari, sono utili a chi vi crede e facilmente auto-controllabili dalla stessa comunità che le festeggia. Uno sardo, che ho conosciuto, è “su ballu e s’arsza”, il rito di guarigione studiato da Clara Gallini, che in passato mi onorò della sua amicizia.

Oggi, per esempio, in Italia, ma anche in Europa, ci siamo abituati ad avere in casa etnie di ogni genere e dunque, a incontrare ritualità nuove, ma anche non criminali, né di violenza sulle donne. Non sono proprio contemplate in nessuna forma di religione, di festa religiosa, di rito di passaggio. È sempre l’essere umano che decide il crimine per proprio tornaconto e il primo è quello di coltivare l’ignoranza e la paura. Per chi eventualmente, fra i lettori, fosse interessato a saperne di più, per differenziare il crimine dalla patologia mentale in altre culture, ciò che in etnopsichiatria corrente, viene etichettato come CBS (Culture Bound Syndrome), si rimanda a POL.it Psychiatry on line ITALIA “La peste nella rete. Prima che tramonti un decennio”. Prima parte. 2 novembre, 2018 – Note a margine del Convegno di Lucca. “La psiche nella rete. Nuove opportunità e nuove patologie”. «Psicoanalisi e Metodo» IX, 2009, Edizioni ETS, Pisa, 2009, pp. 326, di Sergio Mellina.

Note

01. POL.IT. Psychatry on line Italia. Vernichtungsplan (soluzione finale) – Sulla strage di Ardea, di Gilberto Di Petta, 18 giugno, 2021 –

02. Vernichtungsplan, op. cit., a.

03. Fece parte del gruppo di psichiatri psicoanalisti rivoluzionari, confluiti in America per motivi razziali del nazismo o statunitensi di nascita, formato da Karen Horney, Clara Thompson, Erich Fromm, Erik Erikson, Frieda Fromm-Reichmann. Giunto alla psicoanalisi, per vie diverse, anche antropofilosofiche, supponeva che i comportamenti umani fossero la sommatoria di esperienze specifiche vissute dall’essere in ogni attimo dell’esistenza. La scelta, ossia la decisione cosciente di indirizzare la condotta al soddisfacimento dei bisogni essenziali e della propria sicurezza rappresenterebbe la convergenza di diversi vissuti che si riflettono sulla coscienza. Creò la scuola di psichiatria interpersonale. Questo indirizzo dava maggiore risalto alla relazione intersoggettiva colloquiale, non soltanto in senso anamnestico ma anche in uno già terapeutico. Esso – rispetto ai modelli nosografici classici – si indirizzava contemporaneamente verso analisi delle dinamiche relazionali mediante la tecnica dell’ “attenzione / disattenzione selettiva”. Sullivan ebbe influenza nella psichiatria statunitense degli anni '40 e '50, ma anche nella letteratura nel cinema e più in generale nella cultura socio-antropologica in un’America in piena II guerra mondiale. A lui si devono i primi tentativi di applicazione della psicoanalisi al trattamento della schizofrenia e la prime liberalizzazioni nei grandi istituti manicomiali americani Provava interesse per l’esistenzalismo sartriano. Un infarto lo colse a Parigi dove morì il 14 gennaio 1949 a 57 anni.

04. Gilberto Di Petta, Francesco Bollorino. La doppia morte di Gerolamo Rizzo. Diario «clinico» di una follia vissuta. Alpes, Roma, 2020.

05. La doppia morte, op. cit. p. VII.

06. Vernichtungsplan, op. cit., b.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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