Mente ad arte
Percorsi artistici di psicopatologia, nel cinema ed oltre
di Matteo Balestrieri

William Turner era depresso?

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9 febbraio, 2015 - 18:00
di Matteo Balestrieri
  Non conosco sufficientemente la storia personale di William Turner e non so neppure quanto il film “Turner”, diretto da Mike Leigh con protagonista Timothy Spall, attualmente in programmazione nelle nostre sale, descriva in modo corrispondente alla realtà il carattere del grande pittore inglese. Dico subito che il film è splendido sotto il profilo scenografico e pittorico, nonché estremamente evocativo della vita inglese della prima metà dell’800. La potenza visiva è forte e ci si sente direi quasi proiettati all’interno delle opere più intense del famosissimo pittore inglese.

  Il carattere anticonformista di William Turner viene rappresentato con tinte forti ed anche talvolta umoristiche, per esempio nella contrapposizione verso Constable, altro grande pittore romantico, più attento di Turner alla descrizione della verità del paesaggio rispetto alla espressività drammatica presente in Turner. Vi è una scena nella quale, all’annuale esposizione alla Royal Academy of Art, Turner si prende gioco del rivale inserendo una macchia rossa nel proprio quadro, a imitazione dei piccoli dettagli rossi che Constable stava apportando al suo quadro. C’è la diceria, in effetti, che Turner inserisse all’ultimo dei colori più brillanti nei suoi quadri per meglio gareggiare con Constable.

  Sin da subito William Turner viene descritto come un personaggio ruvido, atto a esprimersi più con gesti e grugniti che con parole. Piuttosto ripugnante sul piano fisico, non disdegna di approfittarsi della sua servetta. E’ misogino ed incurante dei bisogni delle sue figlie, che talvolta la loro madre gli porta in visita. Quando una figlia muore non se ne accorge nemmeno e, di fronte al rimprovero della madre, non emette parola. Si commuove solo, fino a piangere, mentre dipinge una giovane prostituta distesa su un letto. Cosa gli ricorda? Possiamo immaginare che egli rievochi la sorella precocemente morta, oppure - nonostante tutto - la figlia appena scomparsa? Allo spettatore non è dato sapere.

  Vive con il vecchio padre e la servetta, zoppicante ed invaghita di lui, di cui lui non si cura minimamente. Quando il padre muore egli accentua il suo carattere chiuso, grugnisce se possibile ancora di più, ma trova poi in una vivace vedova la compagna amorevole degli ultimi giorni della sua vita. Sempre più in difficoltà sul piano motorio e cognitivo, finisce per morire nella casa che lei ha comprato per vivere insieme.

  Cosa emerge dal punto di vista psicopatologico? Ho trovato più volte scritto che William Turner ha sviluppato una depressione dopo la morte del padre. Si deve tenere presente che Turner è stato separato sin da giovane dalla madre, ed ha perso precocemente la sorella. La madre soffriva di una qualche forma di “pazzia” ed è stata internata in manicomio, dove dopo pochi anni è morta. La sofferenza mentale della madre forse si aggravò per la morte precoce della figlia, ma sembra essere stata presente in precedenza.

  Il film sembra suggerire la presenza di una mitologia familiare sostenuta dal padre secondo la quale la madre era “fuori di testa” e perciò inattendibile, e l’unica alleanza possibile era tra i maschi della famiglia, padre e figlio. E’ possibile che da questo nucleo originasse la misoginia di William, abituato ad usare la donna a proprio piacimento. Non emergono in effetti nel film chiari sintomi depressivi in William, egli rimane attivo e interessato al suo lavoro, non appare pessimista, si impegna con vivacità in nuove esplorazioni, instaura una nuova relazione con una donna materna che assume un ruolo benefico.

  Se qualcosa cambia dopo la morte del padre, a me sembra che vi sia una sorta di liberazione da un sortilegio. Finalmente William può liberarsi dalla gravosa gratitudine per il padre e può scegliere una nuova vita, anche se solo per il breve tempo rimasto, recuperando la madre che aveva perso molti anni prima.
 

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