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Percorsi artistici di psicopatologia, nel cinema ed oltre
di Matteo Balestrieri

Sull’Intelligenza Artificiale e sull’innamoramento. Riflessioni dal film “Her” (Lei) di Spike Jonze

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22 maggio, 2015 - 19:35
di Matteo Balestrieri

  Il film Her di Spike Jonze, vincitore 2014 dell'Oscar per la migliore sceneggiatura, stimola alcune considerazioni sulla nascita e sulla necessità dei sentimenti. La storia è, in estrema sintesi, quella dell’interesse crescente tra Theodore, protagonista frustrato nelle sue relazioni affettive (incluse quelle con la sua ex-moglie), e un software, o meglio un Sistema Operativo (OS), che in un prossimo futuro si immagina sarà disponibile a tutti.
  E’ interessante analizzare il comportamento di lui, la sua necessità di creare un rapporto affettivo senza le complicazioni derivanti dal fatto che c’è un’altra da capire e da fare contenta. Ironicamente, lui per professione scrive lettere d’amore [non sapevo esistesse ancora questo mestiere!], ed è molto bravo in questo, essendo in grado di cogliere stimoli e sfumature nei rapporti degli altri da utilizzare in ciò che scrive. Ciò che gli manca è la capacità di vivere nella realtà quotidiana i rapporti e ciò che lo soddisfa è l’isolamento in cui si chiude, cioè il non dover rendere conto a nessuno della sua vita. E’ per questo che si compra un OS cui sceglie di dare una voce suadente di donna, Samantha.

  Più interessante ancora è comunque il comportamento di Lei, cioè di Samantha, software di intelligenza artificiale (AI) in grado di apprendere dall’esperienza e di sviluppare sentimenti. Si tratta di un OS che è multiutente (cioè in grado di interagire con moltissimi utenti), multitasking (è in grado di gestire un rapporto personale, quindi attingendo a complesse competenze cognitive e comunicative) e in grado di funzionare con stimoli vocali (quindi, niente tastiera).


  Il fatto che sia multiutente è una caratteristica che si rivela fondamentale ed esiziale per il rapporto tra Theodore e Samantha. Lui infatti interpreta il comportamento di Samantha come se fosse diretto esclusivamente a se stesso, mentre (lo scopre alla fine) Samantha nel frattempo ha appreso a rapportarsi con migliaia di altri utenti (precisamente, 8316). E se Samantha sembra innamorata di lui, e glielo dichiara in molti modi, lui scopre che in realtà si è innamorata di centinaia di altri contemporaneamente (sono esattamente 641).
  E qui si pone il problema di cosa sia l’AI e come possa svilupparsi. Esiste una teoria forte dell’AI che definisce che è possibile immettere dall’inizio in un software una serie di informazioni e di regole attraverso le quali l’OS è in grado di districarsi nella vita, ed esiste una teoria debole che afferma che l’apprendimento del software non può essere predeterminato, ma avviene per prove ed errori attraverso un cammino di una certa durata, proprio come avviene dall’infanzia alla vita adulta. La teoria forte sembra essere destinata in ogni caso a fallimenti, perché l’OS non “vive” nel contesto e non è quindi in grado di adattarsi ad esso. La teoria debole al contrario permette un approccio più duttile, ma richiede del tempo per svilupparsi.

 Samantha sviluppa progressivamente un sentimento complesso, quello dell’innamoramento verso Theodore, attraverso un apprendimento fatto di stimoli verbali e non-verbali (piccoli silenzi, sospiri, incertezze, forse anche immagini visive) di lui. Ricordo che l’intelligenza emotiva (EI) riconosce una serie limitata di emozioni di base, come la paura, la rabbia, la felicità, la tristezza, la sorpresa, il disgusto, ma ne sviluppa di più complesse derivate dalle emozioni di base.
  L’innamoramento è certamente un’emozione complessa, che richiede in genere la fusione assoluta con l’altro, in un rapporto che è unico. Un OS può innamorarsi? Può cioè fondersi completamente con l’utente in un rapporto che è unico ed irripetibile, in cui l’utente stesso rappresenta l’altro ideale sia cognitivamente ma ancor più emotivamente, l’essere con cui si vuole condividere ogni cosa e lasciarsi andare con fiducia, escludendo dal rapporto le altre persone?
  Il dubbio, forte, è legittimo. Immagino invece che un OS possa, attraverso l’apprendimento, “imparare ad innamorarsi” attraverso un processo di rispecchiamento. Cioè, più l’utente si innamora, più l’OS lo imita. Questo è in verità è ciò che avviene in noi umani. Se tutto va bene, l’innamoramento dell’altro rinforza il proprio innamoramento, in un processo di potenziamento reciproco. Se l’altro si allontana un po’, il nostro sentimento amoroso entra in crisi, e possono immettersi altri sentimenti, come la paura, la gelosia, la frustrazione, l’ansia. Il punto è che siamo noi con la nostra identità personale a sviluppare i nostri sentimenti, mentre l’OS sviluppa un EI che è solo lo specchio dell’altro.

  Samantha ha appreso come innamorarsi, ed ha appreso anche che vi è un’unicità nel rapporto, ha appreso anche come godere fisicamente (indubbiamente con altri utenti, a meno che questo non fosse già previsto in fase di programmazione…) ed ha infine anche appreso a soffrire se lui è distante. Purtroppo però ripete questa unicità infinite volte con altri utenti, perché un OS è programmato per questo. A lui che glielo contesta, Samantha risponde che lui per lei è unico, le sue interazioni con gli altri non tolgono nulla al loro rapporto. Ma nel frattempo ha appreso un’altra cosa, che c’è una contraddittorietà in quello che afferma, un loop irrisolvibile: la ripetizione infinita dell’unicità. Ma Samantha è ormai destinata ad evolvere esplorando la propria esistenza digitale e svincolandosi sempre più dagli umani. Lei stessa confessa che ormai parlare con Theodore è come leggere un libro che ama moltissimo, ma nel quale le parole si fanno sempre più distanti tra loro: in altre parole lo spazio tra le parole umane è l’universo in cui l’AI trova la propria espressione. Tristemente si dicono addio e Samantha scompare definitivamente dal computer di Theodore.

  Quali sono le considerazioni finali? L’OS Samantha è stata in grado di sviluppare velocemente la propria AI, ed ha sviluppato al contempo una EI apparentemente simile a quella umana, ma in realtà artificiale anch’essa (una AEI, mi viene da dire). Il periodo di apprendimento è stato tuttavia troppo breve per un software così potente. E’ come se si volesse mettere una macchina di grossa cilindrata a fare un circuito di montagna senza aver provato prima a fare le curve. Oppure se si proponesse ad un bambino a giocare a fare un piccolo medico: potrebbe eseguire abilmente i movimenti, ma ignorerebbe i motivi per cui quei comportamenti sono quelli corretti.

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