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The Dinner

21 Mag 17

A cura di Matteo Balestrieri

Bello il film di Oren Moverman, che ha il merito di sfatare molti luoghi comuni, e forse il demerito di mettere troppa carne al fuoco, tanto da risultare irrisolvibile. Ma anche questo alla fine è un merito, poiché la trama, caratterizzata da una esplorazione sociologica di una upperclass americana, descrive una situazione in evoluzione che non ha facili soluzioni immediate quanto piuttosto conseguenze a lungo termine non indovinabili.

Il film trae spunto, adattandolo alla realtà americana, dal romanzo “La cena” dell’olandese Herman Koch. Un adattamento più libero al romanzo era stato firmato nella realtà italiana dal regista Ivano De Matteo, con il film “I nostri ragazzi” nel 2014. Overman, sceneggiatore israeliano al suo quarto film come regista, è autore anche del film “Oltre le regole – The messenger” del 2009, pluripremiato a Berlino e con una nomination per l’Oscar 2010.

La sceneggiatura di “The Dinner”, scandita da continui flashback, narra della cena molto convulsa tra due fratelli, un potente senatore americano (Richard Gere) e suo fratello insegnante di scuola (Steve Coogan), e le rispettive compagne/mogli. Il motivo che giustifica la cena, svolta in un prestigioso e ricercato ristorante, è l’efferato omicidio che i loro rispettivi figli hanno compiuto nei confronti di una senzatetto. Le posizioni dei genitori sono molto differenti, combattuti tra la difesa dei figli e la necessità etica di denunciare l’accaduto.
Molti i temi scottanti che vengono toccati:

  • il rapporto conflittuale tra padri e figli, con le conseguenze della assenza/incapacità dei padri a gestire questo rapporto;
  • il razzismo e la difficoltà a distinguere il giudizio sulla singola persona da un pregiudizio generale;
  • le differenze tra padri e madri nella difesa della famiglia, con queste ultime più propense alla difesa a qualunque costo del nucleo familiare;
  • il ruolo dei traumi infantili nella genesi della malattia mentale e la fallacia del giudizio nel ricostruire gli eventi passati;
  • il confine tra disagio mentale, disturbo di personalità e originalità di vedute;
  • l’interdipendenza dei ruoli di malato in una coppia fragile (quella del fratello insegnante), dove al disagio mentale dell’uno consegue il disagio dell’altro;
  • la paura e lo stigma per la malattia mentale, cosa sulla quale si gioca una certa parte dei rapporti tra i protagonisti;
  • l’impossibile bilancio nell’attribuire meriti e torti tra chi si è iperconcretamente identificato con le regole della società capitalista e chi invece la rifiuta, salvo poi adeguarsi passivamente adottandone i suoi aspetti peggiori;
  • la legislazione americana sulla salute mentale, tra Obamacare e nuove proposte legislative apparentemente migliorative, ma che rimandano ovviamente ai timori nel mondo reale degli obiettivi del governo Trump.

 

Dati i temi trattati si capisce come i protagonisti vivano la cena con un forte stato di tensione che li porta ad essere seduti contemporaneamente al tavolo solo per brevi tratti, intervallati da fughe verso altri interessi o bisogni emotivi concomitanti. Assistiamo ad una cena dove la cornice è data da un cerimoniale molto formale, ricercato e rigido, ma i protagonisti soffrono di una acatisia motoria e un’incontinenza emotiva che mette continuamente in crisi tale cerimoniale. Di fatto la cena è solo il preambolo di un confronto reale che si svolge solo nel dopo-cena, con esiti non scontati.
 
Un rimando cinematografico diretto è quello con il film “Carnage” di Roman Polansky (2011), dove due coppie si trovavano a discutere del litigio tra i rispettivi figli. Anche in quel caso, seppur inizialmente le due coppie si trovavano in posizioni opposte, in realtà piano a piano finivano per emergere le divisioni all’interno delle coppie stesse. Quel film era più claustrofobico, ambientato com’era unicamente all’interno di un appartamento, rispetto a “The Dinner”, che invece sceneggia diversi esterni, inclusa la scena dell’omicidio.

Al lettore di questo post devo dire che “The Dinner” non ha in generale ricevuto una critica italiana entusiastica, limitandosi in genere i critici ad elogiare la performance di Gere e degli altri attori, ma disapprovando invece l’impianto troppo complesso della sceneggiatura. Quello che ai miei occhi appare invece un elemento a favore di “The Dinner” è appunto l’articolato intreccio delle implicazioni sottostanti al comportamento dei protagonisti, motivati da spinte nobili e meno nobili e gravati dalle esperienze passate e presenti. Come spesso accade, l’occhio dello psichiatra vede al di là di quello del critico cinematografico.
 

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