PENSIERI SPARSI
Tra psichiatria, impegno civile e suggestioni culturali
"VIA" DONAGGIO. Una buona notizia e una parola mantenuta
22 gennaio, 2018 - 20:44
Via Arturo Donaggio, presidente della SIP dal 1930 al 1942, dalla toponomastica romana; insieme agli altri firmatari del Manifesto degli scienziati razzisti, pubblicato sul Giornale d’Italia nel luglio 1938. Lo ha detto il sindaco Virginia Raggi in un’intervista durante il documentario 1938. Quando scoprimmo di non essere più italiani del giornalista Pietro Suber: «Abbiamo già avviato la procedura. Dobbiamo cancellare queste cicatrici indelebili che rappresentano una vergogna per il nostro Paese (…). Roma è una città orgogliosamente antifascista. Useremo ogni mezzo per combattere i rigurgiti nostalgici». La buona notizia è stata riportata dal notiziario di Radio 24 delle ore 17 di oggi. Dieci anni fa, avevo ricostruito la vicenda dell’adesione del Presidente della SIP, a nome della Società scientifica, al manifesto nel primo studio organico dedicato alla vicenda della psichiatria italiana negli anni del fascismo e della Resistenza, nei termini che riporto, per chi fosse interessato, in calce a questo breve commento. E in quell’occasione avevo riproposto proprio il problema dell’intitolazione a Donaggio di una pubblica via e di un largo nella capitale, sollevato dagli storici della shoah. Donaggio era anche citato l’11 luglio 2014 da Umberto Eco che rilanciava l’inchiesta “Strada per strada, lo sbadato omaggio alla geografia dell’odio” del giornale Pagine Ebraiche dalla sua rubrica La bustina di Minerva de L’Espresso: «Leggo su Pagine ebraiche un elenco commentato di illustri fascisti, razzisti e antisemiti, cui sono state dedicate strade in alcuni paesi: a Roma e a Napoli si è onorato Gaetano Azzariti, già presidente del Tribunale della Razza, e si sono intitolate strade a Nicola Pende (Modugno di Bari, Bari e Modena), a Sabato Visco (Salerno), ad Arturo Donaggio (Roma e Falconara): e si tratta di tre persone che, pur essendosi rese famose in altri campi, hanno sottoscritto per primi nel 1938 il famigerato ‘Manifesto della razza”». L’anno scorso, si è tenuta a Roma la mostra Schedati, perseguitati, sterminati, successivamente passata per Bolzano e prevista per la prossima primavera a Torino e Cagliari (clicca qui per il link a un commento). E in occasione dell’apertura dell’edizione romana il presidente della SIP Claudio Mencacci ha riproposto la questione e auspicato la rimozione del nome di Donaggio dalla toponomastica della città. Quando i 10 pretesi scienziati consentivano al regime di porre i loro nomi in calce al documento non potevano immaginare forse che un paio di mesi dopo le affermazioni sgangherate e contraddittorie in esso contenute avrebbero trovato applicazione concreta nelle Leggi per la difesa della razza, né che queste avrebbero favorito cinque anni dopo l’identificazione degli ebrei da destinare alla deportazione. Ma la scelta dei loro nomi da parte del fascismo nasceva dal loro avere flirtato negli anni precedenti con esso e con le sue confuse teorie razziste, cose queste delle quali portano invece la responsabilità. Non si tratta certo, perciò, della ricerca di un’ormai inutile e puntigliosa vendetta postuma, ma di un’esigenza di chiarezza; riposino pure in pace, nessuno glielo nega, questi 10 signori, ma essere ricordati nella toponomastica poi, no! Tra le vie e larghi della capitale da ridenominare anche quelli dedicati allo zoologo Edoardo Zavattari e al clinico medico Nicola Pende.
Estratti da: P.F. Peloso, La guerra dentro. La psichiatria italiana tra fascismo e resistenza (1922-1945), Verona, Ombre corte, 2008, cap. 3: Il male nell’altro: il contributo della psichiatria al razzismo coloniale e antisemita (clicca qui per il link alla scheda del libro).
«Il 14 luglio del 1938, viene pubblicato su Il giornale d’Italia il "Manifesto degli scienziati razzisti", del quale il 25 luglio dieci professori universitari - che Cesare Musatti, costretto a lasciare l’Università e riparare presso l’industria di Adriano Olivetti, definirà nel 1982 “canaglie che si facevano passare per scienziati e intellettuali” - vengono presentati come coloro che lo hanno redatto o comunque vi aderiscono. Spiccano tra gli altri l’antropologo Guido Landra e i medici Nicola Pende, Sabato Visco e Arturo Donaggio. Sul carattere e sul significato di quest’ultima adesione vale la pena di soffermarci. Donaggio, che anche in quest’occasione mostra un’appartenenza convinta al fascismo era, in realtà, sostenitore di una sua confusa teoria razzista della romanità, i cui tratti salienti troviamo nell’orazione introduttiva al XXI congresso della SIP, l’anno precedente: «I caratteri della romanità hanno attraversato i secoli, intatti […]. Nell’elemento sintetico della struttura psicologica, nella forma mentis, si afferma la stirpe. L’Italia ha conosciuto vicende trionfali, vicende tristi; ma sempre la sua particolare forma mentale ha brillato di una luce tutta sua. Il fatto psicologico della romanità ha emerso con decisa, autoctona costruzione, che ha sopraffatto e mendelianamente espulso infiltrazioni di elementi accessori, affermando la sua propria struttura, riconoscibile e inconfutabile […]. Chi potrà disconoscere codesta fatalità psicologica, che nell’azione, nell’eloquio, nella prosa “tutte cose” del Duce raccoglie precisa espressione; codesta fatalità psicologica che è una fatalità biologica; chi potrà disconoscere il destino di Roma?». Non può non colpire la disinvoltura con la quale il nome di Mendel viene tirato in ballo, e il salto dalla forma mentis al biologico è compiuto: eppure l’anonimo commentatore riferisce: «L’elevata orazione del prof. Donaggio, detta con il magnifico calore oratorio che gli è abituale, e qua e là resa ancor più animata da elementi di entusiasmo e di commozione che ancor più appassionarono l’assemblea, è stata spesso interrotta e alla fine salutata da calorosissimi applausi».
Sarà anche, ma il volume degli Atti del convegno sembrerebbe dimostrare che le sue farneticazioni cadono nel deserto più assoluto, e non trovano eco nei lavori congressuali dei giorni successivi. Sarà lui stesso, invece, a riprenderle, rivendicando con orgoglio, ma anche con una formulazione per alcuni aspetti ambigua e molto interessante, la sua adesione al manifesto degli scienziati razzisti nell’introdurre i lavori del XXII congresso del 1940: «Non vogliamo lasciar da parte che la nostra società fu il primo tra gli enti scientifici italiani che del problema razziale – già dal Duce posto replicatamente nei suoi scritti e discorsi – abbia fatto, come elemento nazionale, decisa trattazione in un Congresso. E fu questo nell’aprile del 1937: posi innanzi, nel discorso inaugurale del Congresso della nostra Società, a Napoli in altri termini, il concetto del valore […] dell’elemento psicologico, del tipo mentale, della forma mentis, come elemento di valore razziale, indicandone la continuità ininterrotta nella razza romano-italica […]. Così, chi vi parla ebbe l’onore di rappresentare la nostra Società in quel gruppo di universitari che, convocato nel luglio del 1938 in Roma, raccolse sul problema razziale il pensiero del Duce».
Primogenitura ed onore del quale, credo, ogni psichiatra italiano farebbe volentieri a meno. E la cui rivendicazione in questi termini rappresenta il problema centrale del razzismo di Donaggio, un razzismo ambiguo, astuto, opportunista, fatto di esaltazione, in positivo, della razza romano-italica, dei provvedimenti igienici volti a migliorarla e dell’epopea neoimperiale, nel quale però faticheremmo a trovare, al di fuori di quanto è implicito nell’orgoglio dell’adesione al manifesto - frutto però di un pensiero “altrui” - e del fatto di pubblicare su riviste dichiaratamente razziste, una parola esplicita a sostegno dell’inferiorità delle razze di colore o della persecuzione antiebraica» (da pp. 149-151).
«La paternità reale del documento, che abbiamo visto - pur prudentemente - rimpallare da Donaggio su Mussolini, è assai discussa. Alcuni la attribuiscono effettivamente a Mussolini stesso, forse tramite Landra; sta di fatto comunque che Pende e Visco criticarono da subito un eccessivo rimando agli aspetti biologici della razza rispetto a quelli spirituali e la rinuncia, di fatto, allo sviluppo di un razzismo autoctono italiano, oltre alla poco verosimile definizione della razza italiana come ariana (…). Quanto a Donaggio, come abbiamo visto, manifesta orgoglio per averle raccolte, ma non trascura di dire che il manifesto era costituito da “idee del duce”, che certo era stato molto onorato di ricevere, ma che non erano sue (da p. 153).
«Ad Arturo Donaggio è ancora oggi dedicata una via di Roma, e la sua figura è stata ricordata con tono benevolo, omettendone gli imbarazzanti risvolti politici e insistendo invece sui suoi contributi allo studio dell’istologia della cellula nervosa che gli valsero la candidatura al premio Nobel nel 1924, sul Dizionario biografico degli italiani» (p. 164).
«Il 14 luglio del 1938, viene pubblicato su Il giornale d’Italia il "Manifesto degli scienziati razzisti", del quale il 25 luglio dieci professori universitari - che Cesare Musatti, costretto a lasciare l’Università e riparare presso l’industria di Adriano Olivetti, definirà nel 1982 “canaglie che si facevano passare per scienziati e intellettuali” - vengono presentati come coloro che lo hanno redatto o comunque vi aderiscono. Spiccano tra gli altri l’antropologo Guido Landra e i medici Nicola Pende, Sabato Visco e Arturo Donaggio. Sul carattere e sul significato di quest’ultima adesione vale la pena di soffermarci. Donaggio, che anche in quest’occasione mostra un’appartenenza convinta al fascismo era, in realtà, sostenitore di una sua confusa teoria razzista della romanità, i cui tratti salienti troviamo nell’orazione introduttiva al XXI congresso della SIP, l’anno precedente: «I caratteri della romanità hanno attraversato i secoli, intatti […]. Nell’elemento sintetico della struttura psicologica, nella forma mentis, si afferma la stirpe. L’Italia ha conosciuto vicende trionfali, vicende tristi; ma sempre la sua particolare forma mentale ha brillato di una luce tutta sua. Il fatto psicologico della romanità ha emerso con decisa, autoctona costruzione, che ha sopraffatto e mendelianamente espulso infiltrazioni di elementi accessori, affermando la sua propria struttura, riconoscibile e inconfutabile […]. Chi potrà disconoscere codesta fatalità psicologica, che nell’azione, nell’eloquio, nella prosa “tutte cose” del Duce raccoglie precisa espressione; codesta fatalità psicologica che è una fatalità biologica; chi potrà disconoscere il destino di Roma?». Non può non colpire la disinvoltura con la quale il nome di Mendel viene tirato in ballo, e il salto dalla forma mentis al biologico è compiuto: eppure l’anonimo commentatore riferisce: «L’elevata orazione del prof. Donaggio, detta con il magnifico calore oratorio che gli è abituale, e qua e là resa ancor più animata da elementi di entusiasmo e di commozione che ancor più appassionarono l’assemblea, è stata spesso interrotta e alla fine salutata da calorosissimi applausi».
Sarà anche, ma il volume degli Atti del convegno sembrerebbe dimostrare che le sue farneticazioni cadono nel deserto più assoluto, e non trovano eco nei lavori congressuali dei giorni successivi. Sarà lui stesso, invece, a riprenderle, rivendicando con orgoglio, ma anche con una formulazione per alcuni aspetti ambigua e molto interessante, la sua adesione al manifesto degli scienziati razzisti nell’introdurre i lavori del XXII congresso del 1940: «Non vogliamo lasciar da parte che la nostra società fu il primo tra gli enti scientifici italiani che del problema razziale – già dal Duce posto replicatamente nei suoi scritti e discorsi – abbia fatto, come elemento nazionale, decisa trattazione in un Congresso. E fu questo nell’aprile del 1937: posi innanzi, nel discorso inaugurale del Congresso della nostra Società, a Napoli in altri termini, il concetto del valore […] dell’elemento psicologico, del tipo mentale, della forma mentis, come elemento di valore razziale, indicandone la continuità ininterrotta nella razza romano-italica […]. Così, chi vi parla ebbe l’onore di rappresentare la nostra Società in quel gruppo di universitari che, convocato nel luglio del 1938 in Roma, raccolse sul problema razziale il pensiero del Duce».
Primogenitura ed onore del quale, credo, ogni psichiatra italiano farebbe volentieri a meno. E la cui rivendicazione in questi termini rappresenta il problema centrale del razzismo di Donaggio, un razzismo ambiguo, astuto, opportunista, fatto di esaltazione, in positivo, della razza romano-italica, dei provvedimenti igienici volti a migliorarla e dell’epopea neoimperiale, nel quale però faticheremmo a trovare, al di fuori di quanto è implicito nell’orgoglio dell’adesione al manifesto - frutto però di un pensiero “altrui” - e del fatto di pubblicare su riviste dichiaratamente razziste, una parola esplicita a sostegno dell’inferiorità delle razze di colore o della persecuzione antiebraica» (da pp. 149-151).
«La paternità reale del documento, che abbiamo visto - pur prudentemente - rimpallare da Donaggio su Mussolini, è assai discussa. Alcuni la attribuiscono effettivamente a Mussolini stesso, forse tramite Landra; sta di fatto comunque che Pende e Visco criticarono da subito un eccessivo rimando agli aspetti biologici della razza rispetto a quelli spirituali e la rinuncia, di fatto, allo sviluppo di un razzismo autoctono italiano, oltre alla poco verosimile definizione della razza italiana come ariana (…). Quanto a Donaggio, come abbiamo visto, manifesta orgoglio per averle raccolte, ma non trascura di dire che il manifesto era costituito da “idee del duce”, che certo era stato molto onorato di ricevere, ma che non erano sue (da p. 153).
«Ad Arturo Donaggio è ancora oggi dedicata una via di Roma, e la sua figura è stata ricordata con tono benevolo, omettendone gli imbarazzanti risvolti politici e insistendo invece sui suoi contributi allo studio dell’istologia della cellula nervosa che gli valsero la candidatura al premio Nobel nel 1924, sul Dizionario biografico degli italiani» (p. 164).
Commenti
Fa piacere apprendere che a quasi due anni dalla promessa, in quest'Italia xenofoba e sempre più piena di ambiguità o aperte nostalgie del fascismo e persino della sua politica razziale, la giunta capitolina abbia scelto di muoversi in controtendenza mantenendo la parola. Il nome di Arturo Donaggio è andato davvero via dalla toponomastica cittadina e col suo quello dello zoologo Edoardo Zavattari, un altro degli "scienziati" reclutati dal regime per sottoscrivere "le idee del Duce sul problema razziale, confusamente esposte nel "Manifesto degli scienziati razzisti". Al posto loro via Donaggio sarà ora intitolata a Mario Carrara (1866-1937), antropologo genero di Lombroso e uno dei 12 docenti universitari che nell'autunno del 1931 si rifiutarono di prestare giuramento di fedeltà al fascismo, perdendo la cattedra e il lavoro e finendo la sua vita in carcere. Largo Donaggio a Nella Mortara (1893-1938), illustre fisica che faceva parte del celebre gruppo di via Panisperna e fu radiata dall'Università nel 1939 per ragioni razziali, riparò in Brasile e, ritornò clandestinamente a Roma nel 1941 per essere vicina alla famiglia, vivendo nascosta in un istituto religioso fino alla Liberazione. Quanto a via Zavattari sarà d'ora in poi intitolata a Enrica Calabresi (1891-1944), che ebbe tra le su allieve Margherita Hack, dichiarata decaduta dall'abilitazione alla libera docenza di Zoologia perché "appartenente alla razza ebraica"; arrestata nel 1944, si avvelenò per evitare la deportazione ad Auschwitz (notizie da "AdnKronos").