PENSIERI SPARSI
Tra psichiatria, impegno civile e suggestioni culturali
LA MOSTRA DI ROMA E IL “MEA CULPA” DELLA PSICHIATRIA. Tra gennaio e febbraio 2019 a Milano
La Germania ha fatto i conti con molto ritardo con questa specifica parte dello sterminio nazista, solo alcuni dei medici coinvolti hanno pagato le proprie responsabilità, mentre la maggior parte di essi ha mantenuto le proprie posizioni nell’ambito della professione, e alcuni hanno anche ricoperto la presidenza della Società Tedesca di Psichiatria, Psicoterapia e Psicosomatica. Solo a partire dagli anni ‘80 l’olocausto dei malati di mente è emerso dall’oblio, i conti con la storia sono stati regolati, un monumento lo ricorda a Berlino e lo scorso 27 gennaio 2017 il Parlamento Tedesco gli ha dedicato per la prima volta la Giornata della Memoria. L’ex presidente della Società Tedesca di Psichiatria, Psicoterapia e Psicosomatica Frank Schneider ha ideato questa mostra che, esposta originariamente a Berlino, sta riproponendo in tutto il mondo la sua testimonianza di ingiustizia, dolore e arroganza. Non solo perché questa storia non sia dimenticata – ha argomentato Schneider in occasione dell’inaugurazione romana alla presenza dell’ambasciatrice tedesca Susanne Wasum-Rainer – ma anche perché aiuti a riflettere sulle nostre responsabilità di oggi, quelle gravissime dell’Unione europea nella strage di migranti che quotidianamente si consuma nell’indifferenza ai suoi confini in primo luogo.
In occasione dell’esposizione romana, la mostra è stata arricchita dalla sezione “Malati, manicomi e psichiatri in Italia: dal ventennio fascista alla seconda guerra mondiale”, allestita dalla Società Italiana di Psichiatria (SIP).
Certo la psichiatria italiana negli anni dal 1922 al 1945 non ebbe responsabilità paragonabili nelle dimensioni a quelle della psichiatria tedesca, e anzi i suoi dirigenti ebbero costantemente il merito di opporsi nelle sedi internazionali alle proposte dell’eugenetica radicale – sterilizzazione obbligatoria e soppressione – che trovarono invece orecchie attente in altri Paesi a regime democratico oltre che in Germania. Pure, anch’essa ha scontato per molti anni la rimozione delle proprie responsabilità (e anche dei propri meriti), che ebbe inizio a partire dal XXIII congresso della Società Italiana di Psichiatria i cui 70 anni abbiamo ricordato l’anno scorso su questa rivista[ii]. I pannelli della sezione italiana ripercorrono quel tragico periodo, dall’adesione del gruppo dirigente della psichiatria italiana - insieme al resto dei ceti dominanti - al fascismo; a quella al razzismo coloniale che datava già da metà dell’800; alla firma, con le ambiguità delle quali ho già avuto modo di fare riferimento nell’articolo ricordato, da parte di Arturo Donaggio in qualità di presidente della SIP del Manifesto degli scienziati razzisti pubblicato nel luglio del 1938 e destinato a favorire l’evoluzione razzista e antisemita del regime, con l’emanazione delle leggi in difesa della razza nell’autunno; al trasferimento nel Reich, a seguito delle famiglie, degli internati adulti e bambini di lingua tedesca dei manicomi al confine con l’Austria, che li avrebbe esposti al coinvolgimento nelle politiche di sterminio; all’adesione entusiastica alla guerra fascista, che avrebbe portato tra il 1942 e il 1945 alla morte per causa bellica diretta di circa 300 persone nei manicomi e a quella per fame, freddo, mancanza di cure - e in definitiva, colpevole disorganizzazione da parte delle autorità - di un numero di internati stimato tra 25 e 30.000, e alla deportazione nei lager di psichiatri e pazienti ebrei dentro e fuori i manicomi dopo l’occupazione; alle pagine gloriose dell’opposizione al fascismo di psichiatri come Guglielmo Lippi Francesconi, Arnaldo Pieraccini, Luigi Scabia ed altri; alla partecipazione alla resistenza di altri come Giovanni Mercurio[iii], Ottorino Balduzzi e molti altri colleghi[iv]; al rifugio dato in cliniche e manicomi da molti a ebrei, antifascisti, renitenti alla leva per sottrarli ai nazifascisti. Il presidente della SIP Claudio Mencacci ha voluto cogliere l’occasione dell’inaugurazione della mostra romana per fare pubblica ammenda, a nome di tutta la Società, delle sue responsabilità nell’adesione al fascismo, al razzismo coloniale, all’antisemitismo, alla guerra, nonché dell’opportunismo - vizio antico dei ceti dirigenti italiani, e speriamo possa (almeno) attenuarsi tra noi psichiatri dopo questo momento di riflessione – che ne è stato il più delle volte la causa principale.
Un atto tre volte doveroso dunque: quello di ospitare la mostra dei colleghi tedeschi, di aggiungervi una sezione italiana a cura di Andreas Conca e Gerardo Favaretto, alla quale ho volentieri collaborato come consulente, e di seguire l’esempio tedesco con un atto di scuse tardivo, ma speriamo utile a non ricadere mai in futuro - anche in forma diversa - in simili errori.
Quando nel 2008 - su impulso di Carmine Munizza e all’interno di un progetto di ricerca di Martin Gittelman allora direttore dell’International Journal of Mental Health, dove una prima versione del mio studio è apparsa a fine 2006, sugli effetti della guerra nei diversi Paesi d’Europa - ho pubblicato il primo tentativo di gettare uno sguardo complessivo su questa parte di storia della psichiatria italiana allora assai poco frequentata, mi sono valso soprattutto delle fonti dell’epoca e della letteratura relativa al razzismo, all’eugenetica, alla persecuzione degli antifascisti, alla guerra e alla resistenza. La specifica realtà della psichiatria era documentata per il caso tedesco in Italia, e anche a proposito della nostra qualche episodio era stato qua e là riportato alla luce.
Credo perciò che in quest’occasione – nella quale il racconto di queste vicende è approdato nel cuore della capitale, nella cornice di un monumento discusso con buone ragioni sia sul piano storico che urbanistico ma indubbiamente di grande visibilità – debbano essere ricordati tanti storici e psichiatri che hanno dato inizio a questo lavoro di scavo nella memoria. E voglio allora ricordare, consapevole certo di omettere molto, per la promozione in Italia della conoscenza dell’olocausto nazista le traduzioni dei testi di Alice Ricciardi von Platen[v], Henry Friedlander[vi], Robert Jay Lifton[vii], il generoso lavoro di divulgazione posto in essere da Michael Von Cranach sul caso di Kaufbeuren e i testi di Michael Tregenza[viii] e di Luigi Benevelli[ix] cui si sono aggiunti negli anni successivi quello di Marco Paolini[x], insieme all’omonimo spettacolo, e la pubblicazione per l'editore ombre corte di un testo fondamentale dell’eugenetica radicale, quello scritto dal giurista Karl Binding e dallo psichiatra Alfred Hoche nel 1922: La liberalizzazione della soppressione delle vite senza valore (Die Freigabe der Vernichtung lebensunwerten Lebens)[xi].
Ai fatti italiani e non solo erano stati dedicati tre importanti quaderni dalla rivista Fogli di informazione[xii], nei quali tra l’altro Paolo Tranchina ha recuperato la vicenda di Lippi Francesconi, e uno dal Centro di documentazione per la Storia della Psichiatria di Reggio Emilia[xiii].
Oltre ai numerosi interventi raccolti in questi quaderni, ricordo a proposito della vicenda altoatesina Giuseppe Pantozzi[xiv] e Hartmann Hinterhuber[xv], a proposito delle responsabilità della psichiatria nel razzismo italiano un bel saggio di Ferruccio Giacanelli[xvi] e soprattutto la ricca documentazione oggi proposta da Luigi Benevelli nella rubrica da lui curata su questa rivista[xvii], a proposito della guerra nei manicomi il testo di Paolo Sorcinelli[xviii] e per la sovramortalità al loro interno durante la guerra, ampiamente documentata sulla stampa psichiatrica dell’epoca, un saggio di Catapano per l’Italia meridionale[xix]. Relativamente alla deportazione di internati ebrei dagli ospedali psichiatrici del nord-est, a Trieste faceva forse già riferimento Rosario Ruggeri nel 1949 (il luogo non è indicato ma la vicenda è molto simile a quella successivamente ricostruita da Wiesenfeld, Donini e Lallo e Toresini)[xx], e poi se ne sono occupati appunto questi autori nel 1994 e Bruno Norcio e Lorenzo Toresini nel 2002 sui quaderni già ricordati; su Venezia hanno scritto Angelo Lallo e Lorenzo Toresini[xxi], mentre il caso di Treviso è stato ricostruito in occasione di questa mostra da Gerardo Favaretto, e nelle mie ricerche ho trovato tracce di un fatto analogo a Gorizia, che non mi risulta sia stato ancora approfondito.
L’anno dopo l’uscita de La guerra dentro Valeria Babini ha ripercorso la storia della psichiatria italiana durante il fascismo e la guerra nel II capitolo del suo Liberi tutti[xxii], mentre in anni ancora più recenti due saggi di Marco Rossi[xxiii] e di Matteo Petracci[xxiv] hanno ricostruito l’uso delle istituzioni psichiatriche, e in particolare psichiatrico-giudiziarie, nella repressione dell’antifascismo e uno di Paolo Giovannini ha approfondito questioni del rapporto tra psichiatria e guerra durante il secondo conflitto[xxv]. Al tema "Psichiatria fascismo e nazismo" la Rivista Sperimentale di Freniatria ha dedicato il primo numero del suo CXXXIII volume nel 2009 (testi di Bertani, Berneri, Maura e Peloso, Paolella, Migliorino, Giacanelli, von Cranach, Strous) e Valentina Casetti e Andreas Conca hanno a loro volta affrontato questi temi nell'ultima annata della rivista ufficiale della SIP (Italian psychiatry and fascism. Racial law and life in psychiatric hospitals during World War II, Evidence based psychiatric care, II, 1, 105-111, disponibile sul sito della SIP).
L’augurio è dunque che la mostra romana possa servire anche da stimolo a molti per approfondire la conoscenza di questi fatti, che fanno senz'altro riflettere, della nostra storia recente e magari anche a qualcuno per impegnarsi nella ricerca a sua volta.
Commenti
E così, dopo Roma, Torino e Cagliari la mostra sullo sterminio e la sterilizzazione dei malati di mente nella Germania nazista e sulle relazioni tra fascismo e psichiatria in Italia sarà al Palazzo di Giustizia di Milano dal 7 gennaio al 16 febbraio 2019, per passare poi a Udine.
Dopo Roma e Milano, è la volta di Cagliari. Fotografie, documenti e testimonianze originali per raccontare una pagina poco nota dell'orrore nazista: quella della "caccia" ai malati psichici e ai disabili, schedati, ospedalizzati in modo coatto e metodicamente eliminati dal regime di Hitler, entro un vero e proprio programma di sterminio intitolato "Operazione T4", partito nell'autunno del '39 per cancellare dalla società ariana gli "impuri" e "inferiori". È la mostra "Schedati, perseguitati, sterminati. Malati psichici e disabili durante il nazionalsocialismo - Malati, manicomi e psichiatri in Italia: dal ventennio fascista alla seconda guerra mondiale", organizzata dal docente di psichiatria Bernardo Carpiniello, che sarà ospitata nell'Aula Rossa della Cittadella dei Musei a Cagliari dal prossimo 5 novembre e per tutto il mese. La sezione dedicata all’Italia, documenta il contributo dato da alcuni esponenti della psichiatria italiana nella promulgazione delle leggi razziali volute e delle teorie eugenetiche, che porteranno alla deportazione di tanti degenti psichici, ebrei e non, dai manicomi italiani del Nord Italia occupati dai Nazisti (da "L'unione sarda" del 31 ottobre). Sullo stesso tema vedi in questa rubrica "Dalle macerie. 70 anni dal XXIII congresso SIP" e "1938-2018. 70 anni dal Manifesto degli scienziati razzisti".
La colpa e il trauma inscritti nella storia. Il lavoro è quello dell'integrazione dei frammenti e delle parti scisse attraverso il recupero continuo della storia stessa. L'articolo di Paolo Peloso sulla mostra di Roma, oltre ad essere una ricca rassegna di dati ed informazioni sollecitanti l' esercizio mai compiuto ( definitivo e definente ) della memoria, rientra in quel tipo di lavoro intellettuale che sfida il distorcimento pigro ed indica una via che comprenda la possibilità di superarlo e di pensare il futuro e quindi il passato, un passato di cui Vasilij Grossman poté scrivere" La violenza estrema dei sistemi totalitari si è mostrata capace di paralizzare i cuori su interi continenti".
Grazie Sandro, questo lavoro, a quasi un anno, prosegue. "Schedati, perseguitati, sterminati. Malati psichici e disabili durante il nazionalsocialismo" e "Malati, manicomi e psichiatri in Italia. Dal regime fascista alla Seconda guerra mondiale": riapre da domani 23 marzo al 13 maggio, 40.o anniversario della legge 180, la doppia mostra al Museo della città di Collegno (TO).