La dizione di Massimo Recalcati. Il lato debole del conferenziere in TV

Share this
8 settembre, 2019 - 07:37
Non vorrei  rompere, come s’usa dire, le uova nel paniere ai suoi numerosi fan, ma finalmente ho capito perchè ero sempre fuggito da Massimo Recalcati, quando mi compariva sullo schermo televisivo. Oggi, 1 settembre 2019, ore 23.50, sul Tg3, ero abbandonato in poltrona, col telecomando nascosto dai nipoti, venuti a cena, e non ho potuto impedire che la replica di “Lessico amoroso” il cavallo di battaglia mediatico di Massimo Recalcati, arrivasse alle mie orecchie educate fin dall’infanzia, all’ascolto della parola, ancorché incipientemente otosclerotiche.

So che mi attirerò molte antipatie, ma Recalcati ha una S terribile e sulla Z non ci giurerei. Ecco! Mi son detto. Ma come fa un conferenziere a parlare con una “esse” così! Meschinetto! Penso agli sforzi logopedisti fatti dal popolare filosofo teoretico sartrian-freudiano, convertitosi presto al lacanismo. Esercizi forzati, senz’altro ostinati per correggere la “esse” ferita, con risultati, a mio avviso, modesti. Vi lascio immaginare la mia sofferenza per lui, quando l’ho sentito arrampicarsi sui concetti di sesso, inconscio, ossessività, cercando di padroneggiare il verbo che pur fluiva lucido. Ho sentito le consonanti in discorso ballare la loro infernale “taranta” nella bocca dell’oratore, dibattendosi tra bilabiali, labiodentali, alveolari, palatali e velari, cercando disperatamente d’intonarsi ai suoni consonantici nasali, sordi, sonori, per articolare i lemmi occlusivi, fricativi, vibranti, ecc, come comandano i più accreditati manuali di fonetica e pronunciarii della lingua italiana.
Non ho saputo frenare un certo acustico ribréźźo (quello con la “é” stretta e la “ż” dolce o sonora di aźźurro) e allora mi sono alzato di scatto e son corso a prendere la matita con un foglio di carta per lanciare il rezzaglio eidetico che tengo sempre imbracciato [1] nelle aree encefaliche di competenza. Ho tentato di catturare alcune frasi, foni e fonemi dell’applauditissimo discorso.
Naturalmente parlava di amore non platonico. Tenetevi forte «... il fantasma maschile che si presenta ossessivamente ... nel feticismo ... se il fuoco potesse bruciare senza fare in modo che si spegnesse ... si raffreddasse ... dovesse spegnersi ... se si elettrizzasse in modo da inseguire il desiderio ... come se fosse inversamente proporzionale ... fosse un bruciare riscoperto col sapore di caramella ... ma bisogna seguire tutte le puntate ... ». Non potrei giurare sulla “zeta” solitamente compagna di sventura della “esse” blesa. Mi ero distratto.
Purtroppo non so stenografare, dunque non posso dirvi se avesse anche la “zeppola”, come si dice a Roma di quelli che possiedono entrambi le consonanti, la S e la Z sinistrate, come Nicola Zingaretti (Roma, 1965), per esempio, il fratello minore di Luca/Montalbano/Zingaretti (Roma,1961, Accademia di recitazione “Silvio D’Amico”, attore semplicemente divino) cui deve, a mio avviso, in gran parte la popolarità. Inutile aggiungere che il senso di ciò che l’oratore dice, quando la “zeppola” è prevalente, passa in secondo piano, in attesa del prossimo flusso di esse e zeta. Se venisse corretto, l’ascoltatore sarebbe più tranquillo, pensando a una scivolata, come può capitare a tutti, e dunque riprenderebbe l’attenzione sul contenuto dei concetti esposti nel discorso.  Mi spiace proprio dover notare questo vulnus oratorio, perchè debbo confessare, invece, che non me n’ero mai accorto  prima, leggendolo, il Recalcati. Certe cose sue mi erano piaciute molto, anche perchè andavano a intrudere dentro il ricchissimo pensiero corporale di Merleau-Ponty.
Ricordo in particolare una sua godibilissima intervista, molto intrigante e arguta, a Colette Soler - tra i grandi allievi di Lacan - intitolata  Il corpo parlante, comparsa su Il Manifesto del 10.07.2010, di cui richiamo solo un breve frammento.
«Il convegno internazionale che comincia oggi a Roma ha come titolo “Il mistero del corpo parlante”. Credo sia importante ribadire che la psicoanalisi è una teoria rigorosa del corpo pulsionale. Per Freud il mistero del corpo consisteva nel suo essere una manifestazione della verità rimossa, del desiderio inconscio ... L'espressione “il mistero del corpo parlante” è di Lacan. Ma è Freud che ha messo in luce per primo il fatto che il corpo parla, e che ciascuno di noi parla col suo corpo, quando ha decifrato alcuni sintomi, e specialmente le conversioni delle sue pazienti isteriche, le loro paralisi, le loro repentine cecità. Li ha decifrati come messaggi linguistici che dicevano di fatto la verità del desiderio inconscio. Ma quello che si è rivelato a Freud è che questi sintomi trovano origine nelle pulsioni, e la pulsione per definizione tira in ballo qualcosa di più del desiderio, tira in ballo il godimento. Tra le lamentele delle persone che si rivolgono alla psicoanalisi non ce n'è nessuna che non riguardi la denuncia di un qualche limite in questo registro del godimento, una qualche incapacità di godimento, dunque, sia che si tratti di pulsioni parziali (orale, anale ecc) sia che si tratti del godimento derivato dalla relazione sessuale. Si può dire che Freud ha posto le prime basi di una teoria del corpo quando ha concluso che all'origine di ogni nevrosi c'è il trauma cosiddetto sessuale, il trauma di un incontro-scontro con il godimento, però un godimento insufficiente e non assunto dal soggetto: ma Freud non è riuscito a andare più in là, a renderne conto. Seguendo Lacan si può andare oltre, e segnalare l'evidenza che sta all'origine della psicoanalisi: parlando si arriva a ridurre o a trasformare il sintomo corporeo. Basta questo per evidenziare il rapporto esistente tra il fatto di essere parlanti e i nostri modi di godimento».
Ecco! È proprio la parola parlante, quella detta, pronunciata, anche se solamente voce dal sen fuggita, quella che rivela la presenza, perchè è la dimora dell’essere. Non basta avere una bella presenza per andare a parlare in televisione. I vecchi doppiatori, anni '50-'60 del secolo scorso, impegnarono una strenua battaglia sul tema “Voce Volto”. [2]
Con “Nino” Lo Cascio, di cui fra una decina di giorni ricorrerebbe il compleanno, ci divertivamo spesso a scoprire quale fosse il difetto più evidente di qualcuno e quale fosse quello percepito dal soggetto. Capitava, per esempio che uno con gli occhi strabici, guardandoti fisso ti dicesse che il suo maggior difetto era una cadenza troppo romanesca. Un balbuziente conclamato (uno che zagagliava, come dicono a Roma) insistesse nel prendere la parola nelle assemblee del Sessantotto esordendo con un terrificante: «Pe... pe... per quanto riguarda ... pe... per quanto riguarda...»
Concludevamo pensando che l’analista fosse stato bravo nel calcare il pedale sulla spinta controfobica per presentare in pubblico un difetto come un pregio individuale unico e irripetibile.
Se, come sostiene Martin Heidegger, tanto per continuare l’enunciato di cui sopra, il linguaggio è la casa dell'essere e nella sua dimora abita l'uomo, verrebbe da raccomandare di stare attenti anche alla fonetica. Infatti c’erano una volta i “Lettori” tipo Vittorio Sermonti, mancato tre anni fa e, il Presidente della Camera dei comuni del Regno Unito, la “camera bassa” di Sua Maestà la Regina Elisabetta II, lo conserva ancora nella persona dello Speaker della Camera dei comuni John Crow.
Forse pensiamo che sarebbe utile esercitarsi, talvolta, anche nel lessico fonetico articolatorio. Molti di coloro che hanno una buona articolazione della parola, possono avere una dizione fastidiosa per ignorare gli accenti, l’asprezza o la sonorità delle consonanti S , Z, ecc. Negli annunciatori radiotelevisivi, gli speaker, anche una piccola dissonanza s’ingigantisce e si nota subito. Infatti c’era un’apposita scuola di formazione, cui credo di ricordare che avesse contribuito, per la parte teorica, anche Carlo Emilio Gadda con un puntualissimo testo scritto. Tanto per restare agli speaker radiotelevisivi, circa l’articolazione della lettera R resta un capitolo a parte di cui diremo un’altra volta. I difetti sono infiniti, ma tollerati sotto la voce R moscia, che potrebbe anche essere ritenuta un vezzo “snob”.
Invece, tornando alla Z, e alla S, per concludere, sulle consonanti più importanti (le fricative alveolari sorde e sonore), si potrebbe rimarcare che quelli che dicono Renżi (l’ex-premier fiorentino) con la Ż dolce, di żanżara, anziché pronunziarlo Rènzi col suono aspro o sordo di zucchero, danno fastidio, urtano i timpani, sono i “burini romani”, gli stessi che dicono inżomma al posto di insomma e borża invece di borsa. Se poi sentite dire “il bósco” e “la Bóschi” (la selva e la ex del governo sopra richiamato) con la vocale Ó postconsonantica chiusa come quella di fósco, invece che aperta come  la Ò di mòtto, state pur certi che sono i “burini lombardi”, gente del nord che intercalano «... béne, tutto béne?» con la é stretta di candéle, come i protagonisti di Parenti Serpenti il film di Mario Monicelli (1992).
 
Note
1. Si veda Psychiatry on line Italia del 6 giugno, 2019 di  Sergio Mellina. Il rezzaglio. Una metafora per chi voglia catturare pensieri nel mare della mente.
2. Per “Voce Volto”, si veda Psychiatry on line Italia del 30 luglio 2019 di  Sergio Mellina. Perchè il teatro è anche psichiatria. La psicologia e la psicopatologia di Stanislawskij e di Brecht.

 
 
 
 

> Lascia un commento


Totale visualizzazioni: 3840